Giuseppe Moscati Presenta
"Norberto Bobbio Maestro di Democrazia e di Liberta”
Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

Giuseppe Moscati e' dottore di ricerca presso l'Universita' degli Studi di
Perugia dove svolge attivita' di collaboratore scientifico, tutore di
sostegno e cultore della materia presso le cattedre di filosofia morale e
storia della filosofia morale del professor Mario Martini, con cui condivide
tra l'altro gli studi capitiniani. Formatore sui temi dell'intercultura,
della pace, del dialogo tra i popoli e della cooperazione allo sviluppo, e'
segretario e membro supplente del Premio di laurea "Aldo Capitini". E'
redattore della rivista "Rocca". Ha pubblicato numerosi articoli su riviste
specializzate occupandosi in particolar modo degli aspetti etico-politici
dell'opera di Capitini e in generale del pensiero nonviolento, tra cui: "Il
libero-socialismo di Aldo Capitini", in AA. VV., Aldo Capitini tra
socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; La presenza alla
persona nell'etica di Aldo Capitini. Considerazioni su alcuni scritti
"minori", "Kykeion", n. 7, Firenze University Press, Firenze 2002; Mazzini,
Capitini, Gandhi. Intervista a Mario Martini, "Pensiero Mazziniano", nuova
serie LVII, n. 4, Bologna University Press, Bologna 2002; Pensare la pace,
scacco matto alla guerra. Una riflessione filosofica su conflitto e
dintorni, "Foro ellenico", VI, n. 53/2003; Dietrich Bonhoeffer:
Essere-per-gli-altri, "Rocca", LXIII, n. 8/2004; E il settimo giorno ando'
alla guerra. Religioni tra scenari di guerra e orizzonti di pace, "Apulia",
XXX, n. 4/2004; Capitini, la nonviolenza e il dialogo tra i popoli,
"L'altrapagina", XXII, n. 5/2005; Maria Zambrano, violenza e creazione,
"Rocca", LXIV, n. 12/2005; Simone Weil: dal mito al cuore dell'uomo,
"Rocca", LXIV, nn. 16-17/2005.


Ultimamente si e' avuto un notevole lavoro di ripensamento dedicato
all'opera e alla figura di un grande interprete del nostro tempo quale e'
stato e quale continua ancora ad essere - attraverso i suoi scritti, ma
anche per tramite dei tanti suoi allievi - Norberto Bobbio. Un intellettuale
non solo rigoroso e "di spessore", ma forse soprattutto calato tra le
questioni piu' vive di cui ha incessantemente discusso e scritto.
Uno degli ultimi lavori in tal senso e' quello rappresentato dal volume di
autori vari "Norberto Bobbio maestro di democrazia e di liberta'" (2005),
uscito per i tipi della Cittadella Editrice con interessanti interventi
interdisciplinari di Giancarlo Bosetti, Sergio Fabbrini, Luigi Ferrajoli,
Raffaele Luise, Marco Revelli, Ermanno Vitale e Danilo Zolo.
Sempre nel 2005, tra l'altro, era stato pubblicato (sulla scia della
giornata di studio torinese del 18 ottobre 2004) un altro volume
collettaneo, che faceva particolare riferimento al Bobbio studioso di
questioni giuridiche e socio-politiche: edito da Laterza, "Norberto Bobbio
tra diritto e politica" aveva ospitato contributi di autorevoli autori come
Gustavo Zagrebelsky ("Bobbio e il diritto"), Massimo L. Salvadori ("Bobbio e
la politica"), Riccardo Guastini e Michelangelo Bovero (rispettivamente: "La
teoria generale del diritto" e "La teoria generale della politica"), Pier
Paolo Portinaro ("Realismo politico e dottrina dello Stato") e Luigi
Bonanate ("La relazione tra gli Stati").
*
Ma torniamo al Bobbio "maestro di democrazia e di liberta'", che corrisponde
poi proprio alla lezione su quanto ci occorre oggi, direi con urgenza oltre
che con chiara evidenza.
Marco Revelli, intanto, dedica la sua introduzione al volume alla questione
dello stretto o strettissimo nesso che intercorre tra la democrazia
contemporanea e cio' che attiene al campo giuridico-filosofico; questione
che egli giustamente collega, in maniera diretta, con la tematica della
relazione dialogica tra partecipanti alla vita pubblica e alle diverse
dinamiche socio-politiche che caratterizzano il mondo di oggi. Sara' poi lo
stesso Revelli, con il suo contributo su "L'identita' culturale italiana in
Bobbio" a sottolineare la centralita' della tensione a quei valori morali e
a quelle virtu' civiche che animano la pagina del Nostro, riandando sia alla
chiara matrice gobettiana e sia al concetto dell'"ideologia negativa"
dell'"Italia barbara" fascista (secondo le espressioni bobbiane) quale
sostanziale "autobiografia della nazione". L'identita' culturale del
Novecento, allora, trova nell'opera di Bobbio una sorta di cartina di
tornasole davvero particolarmente efficace. Non solo: tale efficacia e'
riscontrabile, seguendo la lettura di Revelli, di riflesso anche a livello
di storia della Chiesa cattolica, laddove Bobbio, proprio in relazione ai
temi della democrazia e delle liberta', del socialismo e delle dinamiche di
politica sociale, ne individua uno ad uno gli elementi di antimodernita'.
*
Da buon "uomo di ragione" e "laico rigoroso", Bobbio avanza alla riflessione
contemporanea lo stimolo di una "religiosita' del dubbio" che Raffaele Luise
("A colloquio con Norberto Bobbio") sente di cogliere come "grande
profondita' interiore". Bobbio e' infatti colui che, partendo da una
posizione - diciamo cosi' - di dubbioso laico non credente, non arriva mai
ad assolutizzare l'angolo di visuale dal quale scruta il mondo, e non smette
di ripetersi domande sul senso e significato del mondo stesso. Egli anzi
intende costantemente la propria come una ricerca che va errando tra gli
interrogativi e le domande aperte. La religiosita' del filosofo italiano,
quindi, ha molto da insegnare nella sua peculiarita' e, "pur escludendo
l'approdo a una religiosita' positiva, e' preziosamente intessuta dei grandi
interrogativi sui massimi problemi: quelli del male 'umano', del male
cosmico, del Dio impotente o indifferente, ed e' percorsa da una
profondissima e rigorosissima sensibilita' morale" (p. 18). E fa bene Luise
a richiamare lo stralcio di una lettera di Bobbio ad Arrigo Levi (9 luglio
1997) dove si legge del senso del mistero come legame profondo quanto
indissolubile tra gli uomini di fedi diverse e non per questo
necessariamente conflittuali.
*
Con "Bobbio e la politica del dialogo" Giancarlo Bosetti intende invece
concentrare l'attenzione sull'aspetto dei conflitti e delle fratture proprio
in virtu' di una considerazione dell'elemento del dialogo come metodo e
attenzione alla prassi politico-sociale. Il dialogo, simboleggiando un vero
e proprio stile di vita improntato a paritari rapporti con l'altro, e' qui
strumento di negoziazione tra opinioni e posizioni diverse. Lo e' anche in
quei casi in cui si e' portati a pensare al peggio, quando cioe' la frattura
tra convinzioni estremamente radicate sembra insanabile e di conseguenza lo
scontro violento imminente; anche perche' dialogando siamo sempre in grado
di e in tempo per "smobilitare il risentimento" (cfr. p. 64 e p. 82). In tal
senso, possiamo aggiungere, se la risoluzione violenta e' sempre e comunque
deprecabile oltre che evitabile, il conflitto e' invece un'effettiva e
positiva dinamica di dialogo. Cio' spiega del resto quanto evidenziato da
uno studio bobbiano sulla relazione tra il formalismo giuridico e il
formalismo etico: "Piu' che un modo per eliminare i conflitti sociali -
scrive l'Autore nel lontano 1954 - la pace giuridica e' un modo di
risolverli quando sorgono" ("Formalismo giuridico e formalismo etico", in
Id., "Studi sulla teoria generale del diritto", Giappichelli, Torino 1955,
p. 148).
*
Venendo al contributo di Luigi Ferrajoli, che tratta di "Diritto e
democrazia nell'opera di Norberto Bobbio", torniamo ancora una volta al
cuore di quell'intreccio tipicamente bobbiano tra passione politica e
teorizzazione giuridica. Ma scopriamo che una delle principali doti del
filosofo torinese risiede nella capacita' di analizzare da vicino quei
concetti che, appunto, sono comuni alla teoria politica e a quella del
diritto. Dove politica e giurisprudenza si incontrano, la' Bobbio opera la
sua quadripartizione della materia in oggetto, ben presentata da Ferrajoli:
democrazia-diritto; diritto-ragione; ragione-pace; pace-diritti umani.
Nell'ambito della democrazia e della pace da costruire "non esistono
alternative al diritto - scrive Ferrajoli -; (...) nella costruzione del
diritto non esistono alternative alla ragione [e questa] e' essenzialmente
la ragione e 'il punto di vista degli oppressi', titolari dei tanti diritti
promessi e insoddisfatti" (p. 123). Qui il punto d'approdo o meglio
l'orizzonte di riferimento e' quello di una vera e propria filosofia
militante in virtu' della quale, come giustamente piu' volte viene
sottolineato, gli insegnamenti di un simile maestro convergono nello svelare
la profonda crisi delle nostre democrazie contemporanee e nel mettere a nudo
i limiti della politica per come oggi viene teorizzata e vissuta.
*
E' invece Ermanno Vitale ("La 'citta' periclea'. Liberta' e potere in
Bobbio") ad occuparsi nello specifico della relazione tra liberta' e potere,
indicando come essa si risolva, nell'opera bobbiana, in un chiaro primato
della prima sul secondo. Giungendo a concludere che "coniugare la piu' ampia
misura di liberta' con quella misura minima di potere necessario a regolare
la convivenza" (p. 152), Vitale tra l'altro esamina anche il Bobbio della
filosofia della storia, riportandocelo a ragione in primo piano proprio per
far si' che si possa comprendere appieno quei passaggi fondamentali che
investono la discussione di fondo del volume. Ripartendo con Vitale da
questo Bobbio, allora, proviamo "a risvegliarci dall'illusione che possa
esistere una societa' senza potere (...), senza una sapiente architettura
istituzionale di poteri e contropoteri a tutela dei soggetti sociali piu'
deboli" (p. 146).
Qui a mio avviso non possiamo dimenticarci delle parole di Aldo Capitini, il
quale ribalta totalmente il concetto di potere da esercizio di un dominio
sull'altro a concreta possibilita' di poter ideare e fare con l'altro, da
potere del proprio sull'altrui a "potere di tutti" e potere necessariamente,
inderogabilmente, costantemente "dal basso". Le riflessioni di Bobbio su
morale e diritto, o meglio sulle relazioni tra doveri e diritti, rendono
cosi' merito - testimoniandone in sostanza lo spirito di fondo - a quella
"lunga opera di formazione dello stato democratico di diritto" (cfr. p. 128)
puntualmente ricordata da Vitale, opera di cui oggi beneficiamo e che tutti
noi, pur evidenziandone i limiti costitutivi, non possiamo che tornare a
valorizzare. Possiamo dire, insomma, che l'idea di pace in Bobbio si
costruisce di un'essenza che in ultima istanza e' fondamentalmente politica
nel senso genuino della parola.
La vigilanza che ci viene richiesta, allora, e' quella da esercitare dinanzi
al rischio che dalla "rivoluzione copernicana" dell'attenzione ai diritti
dell'individuo si passi alla "Vandea tolemaica" della supremazia dei poteri
selvaggi. Ma parimenti, seguendo le analisi dello scritto bobbiano "Teoria
generale della politica" (dedicato a Stato, governo e socialita'), non
possiamo non interrogarci sul senso della democrazia dopo le atrocita' del
Novecento. Un secolo, quello passato, che con le sue guerre spacciate per
giuste, con i suoi genocidi, con le sue soppressioni di liberta' e simili,
in breve direi con la sua sinistra confidenza con il male assoluto, ha messo
a dura prova la stessa credibilita' di cio' che e' (diventata) la politica.
*
L'intervento di Sergio Fabbrini, intitolato "L'idea di democrazia in Bobbio.
Sulle spalle di un gigante per guardare alle democrazie di oggi", sembra
sviluppare proprio il discorso sulle regole fondamentali e sul metodo
democratici. Fabbrini mette coraggiosamente in guardia rispetto al pericolo
di scivolare in quello che definisce "bobbismo" (cfr. p. 154) e segnala uno
dei piu' preziosi insegnamenti del grande intellettuale italiano: la
democrazia moderna e' appunto innanzitutto un metodo e richiede una grande
attenzione proprio al rispetto delle regole, ma intendendo queste ultime
come elementi da sottoporre, come e' naturale, a una continua opera di
verifica e di riforma. Ecco, magari possiamo solo integrare la giusta
critica di Fabbrini all'ideologia specificando - a volte del resto ce n'e'
bisogno - che si tratta dell'ideologia nel senso piu' deteriore del termine:
in questa accezione, allora, si' che il pensiero di Bobbio funge da
efficacissimo antidoto al "modo di ragionare chiuso e definitivo" che spesso
incontriamo nella storia della politica novecentesca.
*
Con Danilo Zolo incontriamo poi una delle questioni piu' spinose dell'opera
del Nostro, quella che investe "Il problema della guerra e le vie della pace
secondo Norberto Bobbio" e che ci riporta addirittura alle ricerche del
docente di Filosofia del diritto dell'Universita' degli Studi di Torino
nell'anno accademico 1964/'65. La spinosita' in oggetto a mio avviso e'
nell'aver Bobbio - che pure e' stato e resta uno dei maestri della cultura
della pace - sostenuto la legittimita' sotto il profilo giuridico di una
guerra, quella contro l'Iraq del 1991, come ricadente nella casistica della
"guerra giusta". Una posizione, questa di Bobbio, che deve essere valutata,
come aiuta a fare in particolare quest'ultimo contributo del libro (cfr.,
per esempio, pp. 200-203), e dunque ridiscussa tenendosi lontani da
ipocrisie. A ragione Zolo aveva preliminarmente definito la moderna versione
della guerra come un fenomeno assolutamente privo di una qualsiasi
giustificazione morale oltre che esclusivamente irrazionale e distruttivo
(cfr. p. 189) e insiste su questo, riconoscendo peraltro a Bobbio il merito
di aver tracciato "la sua originale 'via della pace', alla quale da' il nome
di 'pacifismo giuridico' o 'pacifismo istituzionale' [differenziandolo] sia
dal pacifismo strumentale (...) sia dai pacifismi di impostazione etica,
pedagogica o terapeutica" (pp. 192-193).
Il pacifismo giuridico bobbiano, allora, si svela di chiara ascendenza
kantiana: si spiegano cosi' i riferimenti all'idea di uno stato universale e
a quella di una "autorita' superiore" (leggasi "a priori"), come si spiegano
pure le stesse figure di un "organo nuovo e supremo" e di un'autorita'
centrale sovranazionale. Ma tale pacifismo fa appello anche a un altro
classico del pensiero politico occidentale quale e' Thomas Hobbes. Come
chiarisce Zolo - il quale rinvia tra l'altro a un importante strumento di
ricerca come il saggio di M. Genua e M. Giacotto "Le relazioni fra gli Stati
e il problema della pace: alcuni modelli teorici da Hobbes a Kant"
("Comunita'", 39/1985) -, Bobbio interpreta in chiave kantiana,
sviluppandolo, il contrattualismo hobbesiano e finisce cosi' per
attribuirgli una "valenza universalistica e cosmopolitica". Ma non solo: e'
vero anche il processo contrario, ovvero quello per il quale Bobbio legge il
federalismo di Kant con un senso hobbesiano fino a impostare un "progetto di
superamento" di quella che e' la sovranita' degli Stati nazionali proprio in
vista della formazione finale di uno "Stato mondiale" (cfr., in particolare,
p. 195). Muovendosi in tal modo tra il portato dell'eredita' hobbesiana e
quello dell'eredita' kantiana, Bobbio ci consegna le chiavi di lettura del
nuovo panorama delle istituzioni internazionali. Allo stesso tempo,
inevitabilmente, egli ci provoca ad affrontare le questioni aperte, direi
tenacemente, dal suo pensiero. Un pensiero caratterizzato, come nota Zolo,
da una cifra aperta ed esplorativa (cfr. p. 203) tale appunto da aprire
delle questioni che lo stesso Bobbio si rammaricava di essere stato
impossibilitato a chiudere e che in qualche modo costituiscono il pungolo
per le nostre riflessioni contemporanee in merito a diritto e deontologia,
democrazia e pace, bene e potere comuni
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