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Affliggere i consolati
La pace è finita, andate a messa
di Don Tonino Bello
Il frutto dell'eucaristia dovrebbe essere la condivisione dei beni. Celebrando una messa dovrei dividere per metà, celebrandone due in quattro... e così via. I nostri comportamenti invece sono l'inversione di questa logica.
Le nostre messe dovrebbero smascherare i nuovi volti dell'idolatria.
Le nostre messe dovrebbero metterci in crisi ogni volta. Per cui per evitare le crisi bisognerebbe ridurle il più possibile. Non fosse altro che per questo.
Dovrebbero smascherare le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. Dovrebbero far posto all'audacia evangelica. Non dovrebbero servire agli oppressori. Dietricht Bonhoeffer diceva che non può cantare il canto gregoriano colui che sa che un fratello ebreo viene ammazzato. Non si può cantare il canto gregoriano quando si sa che il mondo va così.
Tante volte anche noi, presi da una fede flaccida, svenevole, abbiamo fatto dell'eucaristia un momento di dilettazioni piacevoli, morose, di compiacimenti estenuanti che hanno snervato proprio la forza d'urto dell'eucaristia e ci hanno impedito di udire il grido dei Lazzari che stanno fuori la porta del nostro banchetto.
Se dall'eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà la voglia dell'inedito, allora sono eucaristie che non dicono niente.
Se dall'eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti - a noi presbiteri che celebriamo - l'audacia dello Spirito santo, la voglia di scoprire l'inedito che c'è ancora nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l'eucaristia.
E qui da noi c'è un inedito impensabile: basterebbe riferirsi a coloro che non vengono a messa, a tutti coloro che non conoscono Gesù Cristo.
Questo è l'inedito nostro: la piazza.
Lì ci dovrebbe sbattere il Signore, con una audacia nuova, con un coraggio nuovo. Ci dovrebbe portare là dove la gente soffre oggi.
Anche come Chiesa che ama, come Chiesa che si dispera per portare un brandello di speranza agli altri, noi spesso non siamo un segno efficace, un segno chiaro.
La Messa ci dovrebbe scaraventare fuori.
Anziché dire la messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Ché se vai a Messa finisce la tua pace.
Le nostre eucarestie dovrebbero essere delle esplosioni che ci scaraventano lontano e, invece, il Signore dopo cinque minuti ci rivede ancora lì dinanzi all'altare.
Un solo corpo, un solo Spirito. E io qui vorrei aggiungere (non vi sembri fuori posto): non una sola congrega, non un solo gruppo, non un solo partito, non un solo binario.
Attenzione a non essere riduttivi.
Anche i documenti della Chiesa ci aiutano in questo processo.
Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi (Octogesima Adveniens, 50).
Chiaramente ciò va spiegato con molta precisione.
Va spiegato nel senso che tu sacerdote, tu vescovo devi difendere la libertà della gente proprio come se toccassi e tutelassi l'ostia consacrata.
Tu devi fare luce. Accendi il faro del Vangelo, della Parola di Dio, del Magistero della Chiesa. Fai luce, però sta' attento che chi vede è l'occhio di tuo fratello. Non devi vedere tu per lui: "chiudi gli occhi che vedo io per te". Tu fai luce. Così come in tutte le cose, anche per le nostre proposte morali quello devi fare. Tu devi accendere la luce. Perché la coscienza personale di ciascuno è inaffittabile. È così unica che nessuno può arrischiarsi di accavallare, di sovrapporre le sue decisioni sulla coscienza altrui.
Nel rinnovato accostamento delle diverse ideologie, il cristiano attingerà alle sorgenti della sua fede e nell'insegnamento della Chiesa i princìpi e i criteri opportuni per evitare di lasciarsi sedurre e poi rinchiudere in un sistema, i cui limiti e il cui totalitarismo rischiano di apparirgli troppo tardi se egli non li ravvisa nelle loro radici (OA, 36).
Ciò non significa indifferenza, neutralità disarmata di fronte a tutte le ideologie e a tutte le scelte.
Io devo dire: "Vieni qua, questa è la fontana del Signore, l'acqua del Signore. La Parola del Signore è questa. Bevi e poi vai e agisci come credi".
L'educazione - anche l'educazione cristiana - è stare sulla soglia per vegliare e indicare, non per forzare.
Il cristiano deve operare una cernita occulta ed evitare d'impegnarsi in collaborazioni non controllate e contrarie ai principi di un autentico umanesimo, sia pure in nome di solidarietà effettivamente sentite. Se infatti egli desidera avere una funzione specifica, come cristiano in conformità della sua fede - funzione che gli stessi increduli si attendono da lui -, deve stare attento, nel suo impegno attivo, a elucidare le proprie motivazioni, e a oltrepassare gli obiettivi perseguiti in una visione più comprensiva, al fine di evitare il pericolo di particolarismi egoistici e di totalitarismi oppressori (OA, 49).
Ai cristiani che sembrano a prima vista opporsi partendo da opzioni differenti, essa (la Chiesa) chiede uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell'altro; un esame leale dei propri comportamenti e della loro rettitudine suggerirà a ciascuno un atteggiamento di carità più profonda che, pur riconoscendo le differenze, crede tuttavia alla possibilità di convergenza e di unità: "ciò che unisce i fedeli è, in effetti, più forte di ciò che li separa" (OA, 50).
Io credo che se noi sacerdoti ci distinguessimo più per la difesa della libertà di coscienza della gente che per l'intruppamento verso quella che, tutto sommato, noi crediamo che sia la strada giusta, la Chiesa veramente diventerebbe la Chiesa dello Spirito santo.
Noi sacerdoti dobbiamo porre una attenzione fortissima, nelle nostre comunità, perché la gente si abbeveri alle fontane dello Spirito. Quando è cresciuta alla luce dello Spirito e con la forza dell'eucaristia state tranquilli che le scelte le saprà fare. E non è giusto che noi andiamo a vedere nelle piccole tane della cronaca, manco della storia, senza mostrare le foreste immense che si spalancano davanti agli occhi del cristiano.
Un solo corpo, un solo Spirito. Ma quanto costa ciò!
Il nostro impegno sacerdotale, cristiano, non può non essere che crocifisso.
La legge della croce è capacità di assumere e interpretare e finalizzare anche ogni nostro atto di sofferenza.
È la legge della Croce!
Come ha fatto Gesù Cristo.
Nella sua vita c'era la lucidità, la chiarezza, la fortezza per seguire un progetto-programma da cui Lui non ha deflettuto mai, né di fronte ai poteri politici, né di fronte ai poteri culturali, né di fronte ai poteri sacerdotali, né di fronte alle pressioni di amici o familiari.
Anche per noi è importante vivere una economia di incarnazione e di crocifissione con Gesù Cristo, con l'umile chiarezza di chi sa evangelicamente darsi degli obiettivi e scegliere strumenti adatti e poi, soprattutto, disporsi con tutto il cuore alla collaborazione.
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