Alcuni pensieri di pace di Ernesto Balducci La soglia Ci dicono gli studiosi delle trasformazioni che ha subito la specie umana, che essa si e' evoluta superando via via delle soglie. A un certo momento, man mano che la ricchezza delle trasformazioni toccava un certo livello, avveniva un salto di qualita': per esempio dalla composizione chimica si e' passati ai primi momenti della vita psichica, e dalla complessita' della vita psichica si e' passati al momento dell'atto mentale. Su ciascuna di quelle soglie si e' verificato un conflitto. Il superamento di quelle soglie comporta necessariamente un grosso dispendio di energie, un di piu' di sforzo. Ebbene, a mio giudizio, l'ingresso nell'eta' atomica rappresenta una di queste soglie. Siamo chiamati a superare la soglia per entrare in un'eta' dell'uomo in cui la violenza, ogni forma di violenza, sia bandita. E questo per una semplice ragione: perche' l'uso della violenza nell'eta' atomica significa suicidio della specie umana. Ma superare questa soglia significa abbandonare la mentalita', gli strumenti, le istituzioni, la cultura di prima. E' questo che e' faticoso! Eppure, o noi sorpassiamo la soglia vestendoci di abiti nuovi, e soprattutto creandoci un animo nuovo, cioe' un animo che rinuncia in maniera radicale, decisa, a considerare la forza come strumento risolutivo dei conflitti individuali e collettivi, o moriremo. E' il dilemma in cui ci troviamo. Dinanzi a questa soglia c'e' chi fugge all'indietro, c'e' chi recalcitra, c'e' chi si ripiega in se stesso, perche' questo di piu' di energia morale che e' richiesto dal passaggio della soglia non e' a disposizione di tutti. Dobbiamo tutti impegnarci ed aiutarci a superare questa soglia con spirito di comprensione, perche' solo cosi', lo ripeto, noi supereremo in modo positivo il dilemma morte-vita. * La violenza genera violenza Credo che non ci si sia nessun ascoltatore che non sappia chi fosse il Mahatma Gandhi, il grande maestro dell'India moderna, che attingendo all'antica sapienza dei libri vedici aveva progettato una strategia di lotta di liberazione basata sulla nonviolenza. Egli e' stato il maestro assoluto della nonviolenza nel tempo moderno. Quando esplose la bomba di Hiroshima, Gandhi era vivo ancora e questa esplosione gli sembro' come la riprova che o l'umanita' arrivava a distruggere - come si diceva ieri, a uccidere - la guerra dentro il suo cuore, o sarebbe arrivata al suicidio. Fatto forte di questa convinzione, egli si fece banditore di una conversione dell'umanita' alla nonviolenza cercando di tener lontana la convinzione falsa - diabolica secondo lui - che dal male nasce il bene, che da quella esplosione sarebbe nata nel mondo finalmente un'era di pace per la paura che quell'esplosione aveva suscitato. Egli disse allora parole forti e in qualche mdo impopolari. Disse che l'uomo sa che dal male non puo' nascere che il male, dalla violenza non puo' nascere che la violenza. Aspettarsi che l'umanita' rinsavisca per l'immensita' dei suoi eccidi e' una stoltezza in piu'. Occorre invece convertirsi e affidarsi a quella profonda forza rivoluzionaria che e' la forza dell'amore. * Le tre violenze Non so dire in quanti casi, in quante circostanze, mi e' stata fatta la domanda se io sono contro la violenza. E' naturale che io sia contro la violenza. Ma la domanda sottintendeva una specificazione: se sono contro la violenza di chi fa la rivoluzione, di chi si ribella ai poteri legittimi. Allora non ho dato una risposta semplice. Ho spiegato l'apologo molto vivace di cui ha fatto uso tempo fa un noto vescovo brasiliano, un profeta di quel lento viaggio di liberazione che il mondo latinoamericano sta vivendo: Helder Camara. Helder Camara, arieggiando il pensiero di Gandhi, spiegava che ci sono tre forme di violenza: la violenza numero uno, la violenza numero due e la violenza numero tre. La prima violenza e' quella delle istituzioni oppressive. Per parlare sbrigativamente e per farmi capire, si pensi alla Polonia, o al Cile. L'istituzione governativa e' oppressiva, e' violenza in atto, lo vediamo anche dalle cronache. La seconda violenza e' quella che reagisce, a volte con l'uso della forza, all'oppressione intollerabile della violenza numero uno. La terza violenza e' quella della polizia, che al servizio della violenza numero uno cerca di soffocare la violenza numero due. E allora quando mi si domanda se sono contro la violenza, rispondo si', totalmente, contro quella numero uno, numero due e numero tre. Come dire che io sono per una societa' liberata dalla violenza e lo sono in modo tale che non identifico la violenza con questo o quell'aspetto. Non dico che e' la polizia che e' violenta o che e' il governo che e' violento, questo e quella hanno quanto meno dalla loro parte la legge, espressione storica della nazione: ma in ogni caso la violenza e' come una condizione circolare che si trasmette con diversa gradazione dall'una all'altra delle componenti della dialettica sociale. E' evidente che per poter uscire dalla condizione della violenza, "bisogna rispettare l'ordine", diceva Helder Camara. Cominciamo ad abolire la violenza numero uno. Se finisce quella, finisce anche la violenza numero due, e dopo questa finisce anche la violenza numero tre. Mi sono permesso di raccontare questo apologo per semplificare un discorso altrimenti troppo complesso e per ripetere con forza che non si puo' essere per la pace se non si condannano davvero tutte le violenze e se non si condannano anche secondo la loro intima gerarchia. * Il granellino di sabbia Non si contano quelli che dopo aver cominciato a lottare per la causa della pace lungo la strada si scoraggiano, perche' vedono che una lotta del genere e' inconcludente, e' come opporre un filo d'erba a un carro armato. La fatalita' storica va avanti per conto suo. Ed e' certamente vero che una conoscenza approfondita dei meccanismi del mondo moderno favorisce il pessimismo sul futuro, perche' non si riesce a comprendere come si possa smontare una macchina siffatta. Intanto ricordo che questa macchina l'abbiamo costruita noi e se l'abbiamo costruita noi la possiamo smontare noi. Ma, al di la' di questa troppo facile risposta, vorrei suggerire un atteggiamento interiore di cui ha scritto in modo mirabile un noto teorico della pace, Norberto Bobbio. Egli ha detto che e' pessimista sul futuro, e tuttavia questo non significa che egli non debba impegnarsi, perche' ecco le sue parole: "Qualche volta e' accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina. E anche se ci fosse un miliardesimo di un miliardesimo di probabilita' che il granello sollevato dal vento vada a finire nel piu' delicato degli ingranaggi per arrestarne il movimento, la macchina che stiamo costruendo e' troppo mostruosa perche' non valga la pena di sfidare il destino". Sono parole di un laico che si ispira alla serieta' e alla lucidita' della coscienza morale, e mi pare che possiamo condividerle per darci una ragione, quando fossimo scoraggiati, per continuare a militare per la causa della pace. * Il fine e i mezzi Quando si discorre, come noi stiamo facendo da una serie di mattinate, di pace e di guerra, ci si imbatte, apertamente o implicitamente, nella grande questione, una delle grandi questioni morali della storia umana: la questione del rapporto fra i fini e i mezzi. Posto che la pace e' un fine buono - e su questo credo tutti siamo d'accordo - quali sono i mezzi per realizzarla? Si possono usare mezzi non pacifici per raggiungere la pace? Noi samo figli di una cultura che ha ammesso questo. Del resto c'e' un assioma latino - antico perche' ci viene proprio dai Romani - che dice: "Si vis pacem para bellum": "se vuoi la pace prepara la guerra". E' possibile accettare questa discrepanza fra il fine e i mezzi? Martin Luther King, di cui ho parlato ieri mattina, era convinto, per ragioni realistiche e non per pure ragioni morali, che il fine non si puo' separare dai mezzi, perche' i mezzi rappresentano in atto il fine stesso che stiamo costruendo, e se i mezzi sono discrepanti dal fine, essi invece che prepararlo preparano l'opposto. E difatti la storia ci dice: chi ha prepararto la guerra per fare la pace non ha fatto che preparare nuove guerre. Ecco il tema davanti al quale ci dovbbiamo collocare. Per un verso dobbiamo tener conto delle condizioni realistiche della societa' umana, e anzi della famiglia dei popoli, dove spesso sorgono prepotenze che non possono esser frenate se non con la forza, e dall'altro dobbiamo anche dar testimonanza di questa convinzione che con la forza, con le armi, nell'eta' atomica, non si costruisce nessuna pace, anzi si costruiscono soltanto le condizioni del cataclisma universale. E' l'eterno problema fra fini e mezzi. E' un discorso su cui dobbiamo tornare, perche' ci permette di mettere il dito proprio sul nervo dolente della nostra coscienza. * La fine dell'innocenza "Si accorsero di essere nudi". Cosi' leggiamo nella Bibbia, di Adamo ed Eva dopo che ebbero commesso il peccato. Entrarono, i nostri progenitori, in uno stato di vergogna. Lo stesso e' capitato alla nostra generazione. Noi ci siamo accorti delle nostre responsabilita' e siamo entrati in uno stato di vergogna da quando, anche a causa dei mezzi di informazione, le grandi piaghe dell'umanita' sono entrate nella sfera della nostra conoscenza. Ogni giorno, anche se le notizie sul mondo vengono manipolate, noi ci rendiamo conto delle terribili piaghe che affliggono l'umanita' in un momento in cui tutti i mezzi sono a sua disposizione per liberarsi da tutte le sue miserie del passato. Ecco perche' c'e' alla base della nostra coscienza un sentimento di inquietudine e, appunto, di vergogna morale. La fame nel mondo, come ci viene spesso ricordato (anche a livello parlamentare), e' qualcosa di intollerabile per una coscienza che abbia raggiunto i limiti di responsabilita' propri della morale del nostro tempo. Noi sappiamo che milioni di persone muoiono di fame, non accanto a noi ma a causa del nostro livello di vita che sperpera le energie prodotte dal pianeta. Una grossa importanza nel suscitare questa presa di coscienza ha avuto anni fa il cosiddetto rapporto di Willy Brandt, che e' appunto un resoconto della situazione del mondo con una prospettiva centrale che organizza le informazioni, ed e' la prospettiva del conflitto fra il Nord del pianeta - quello industrializzato - e il Sud. Per far capire qual e' la ragione del conflitto, quali sono i livelli intollerabili di questo divario fra i due emisferi, Brandt cita quattro situazioni emblematiche. Egli dice che le spese militari di un'unica mezza giornata a livello mondiale basterebbero a eliminare il flagello del cancro nel pianeta (sappiamo quante vittime miete questo flagello). Il costo di un moderno carro armato permetterebbe di costruire mille aule scolastiche per trentamila bambini. Un unico caccia a reazione costa quanto costerebbero quarantamila farmacie di villaggio. Lo 0,5% delle spese militari basterebbe a portare i paesi del sottosviluppo a raggiungere l'autosufficienza entro il 1990. Poche cifre, ma sufficienti a far capire perche' noi abbiamo perduto l'innocenza, non possiamo piu' vivere con la consapevolezza delle nostre nuove responsabilita' storiche, tollerando queste diversita' fra uomo e uomo e fra popolo e popolo. E' da questa presa di coscienza che nasce l'esigenza di un cambiamento mondiale degli orientamenti della politica. Aver coscienza di questo significa aver cominciato quella conversione morale che e' un imperativo assoluto del nostro tempo. * I popoli eletti In una leggenda di una antica tribu' di indios si racconta che quando il padrone del mondo volle fare l'uomo, formo' tre pupazzi di argilla. Il primo gli venne troppo cotto, e da li' derivo' la razza negra, il secondo troppo poco cotto e da lì derivo' la razza bianca: quello che venne ben cotto fu il capostipite della razza rossa. Potremmo dire che in maniera semplice questi antichi indios dicevano quello che, in parole piu' complesse, diceva, ad esempio, Giorgio Hegel, o anche da noi in Italia un uomo di illuminata cultura e di autentica democrazia, Benedetto Croce, il quale distingueva, anche lui, nel pianeta i popoli civili e i popoli di natura, cioe' i popoli che non possono fare storia perche' vivono a livello zoologico, nei confronti dei quali si puo' esercitare un dominio come - son parole precise di Croce - verso gli animali. Ed eravamo nel 1949, quindi dopo la tragedia nazista! Questo per dire come certe idee che sembrerebbero scomparse per sempre permangono invece anche nella cultura piu' elevata. Io penso che un punto fermo in tutte le attivita' educative debba essere lo smantellamento della presunzione etnica, cioe' della idea che ci siano razze privilegiate nel mondo e, in contrapposizione, lo sviluppo di un'attenzione, una disposizione al dialogo e al confronto, nella convinzione che ogni cultura porta tesori per la formazione di quell'uomo veramente universale, di quell'uomo planetario a cui domani sara' affidata la sorte del mondo. |