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31 maggio 2010. È ancora buio quando una spedizione internazionale che porta aiuti umanitari alla Striscia di Gaza viene attaccata da incursori israeliani. In acque internazionali. Il bilancio è di nove morti e numerosi feriti. L'Autrice, Direttore responsabile dell’agenzia di stampa InfoPal.it, è specializzata in islam e in mondo arabo-islamico, era l'unica donna italiana della Freedom Flotilla. In questo libro ci racconta quegli eventi, la preparazione e i protagonisti dell'operazione, i giorni di prigionia. E di come il tragico esito di quel tentativo abbia raddoppiato la determinazione di partire nuovamente in soccorso ai palestinesi di Gaza. |
Prefazione di Enzo Iacopino La vita è testimonianza. Deve esserlo, se non si vuole precipitare nel magma maleodorante dell’indifferenza verso chi è lontano e, autentico inno alla barbarie dei tempi moderni, perfino verso chi vive accanto a noi. Capita spesso di scoprire che qualcuno che abitava nel nostro stesso stabile non c’è più solo perché vediamo gli addetti a un trasloco rumorosamente all’opera nel vano scale. Capita spesso che ci nascondiamo dietro l’illusione che ciò che non ci tocca direttamente o che non riguarda personalmente uno dei nostri familiari sia lontano mille miglia da noi e, quindi, non possa interferire con la nostra vita. Non è così. Lo scopriamo periodicamente, a volte in maniera tragicamente dolorosa, ma tendiamo a rimuoverne il ricordo, convinti che questo ci tuteli. La cosa triste è che ci riusciamo fino alla puntata successiva quando nutriamo il nostro senso di colpa con il rimorso per non aver fatto nulla. Questa non "è la vita", come con fare autoassolutorio ci raccontiamo. È l’esatto opposto, la rinuncia a tutto meno che allo stretto necessario della quotidianitàà: alimentarsi, lavorare, ubriacarsi con la tivù. La testimonianza non c’è. La solidarietà tra esseri umani non c’è o è episodica. La disponibilità all’aiuto da dare all’altro esplode in Italia solo davanti alle tragedie improvvise. Ma la vita non conosce pause, scorre ogni giorno. Non solo a Gaza, in verità, con il suo lungo rosario di dolori. Sono stato in Israele con Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica, ai tempi della prima Intifada, sul finire del 1987. Più esattamente proprio nei giorni dei primi segnali di quella protesta. Ricordo che lasciai il bus dei giornalisti al seguito, assieme a una collega di Famiglia Cristiana. Volevamo capire. Capimmo? Non credo. Non io, almeno, e sicuramente non in maniera completa. Cossiga, invece, capì, con quella sua ineguagliabile capacità di leggere gli avvenimenti e di anticipare le conseguenze degli stessi. Per questo, dopo gli incontri con le autorità, volle ricevere, nella sede del Consolato italiano a Gerusalemme, i rappresentanti dei palestinesi. Era un gesto, una testimonianza, appunto, che solo chi aveva confidenza con lui non io in quella fase riuscì a capire fino in fondo. Israele non gradì. Subì, senza poter fare commenti e senza trovare sponde in Italia perché allora il Cossiga picconatore non aveva neanche fatto capolino. Ho un ricordo personale, doloroso per me pasciuto giornalista occidentale: gli occhi "spaventati e persi" (uso volutamente parole di Angela Lano) dei palestinesi quando passavano accanto alle postazioni dei militari israeliani presenti ad ogni angolo della città. Occhi che potevi incrociare solo per un attimo, perché sfuggivano lo sguardo di chiunque, nell’evidente preoccupazione che un comportamento contrario potesse apparire una sfida o, ancor peggio, determinare un sospetto. Ma c’erano anche giovani, donne e uomini, in tuta mimetica e armati di mitragliatori più grandi di loro. Era la quotidianità, non le misure eccezionali per la visita di un capo di stato. Giovani privati dei sogni della loro età, abituati ad avere come loro migliore amico un freddo fucile mitragliatore. Forse quei giovani di allora sono i genitori di qualcuno tra quanti, "tutti giovanissimi" e con "gli occhi spaventati e persi", hanno dato l’assalto alla Freedom Flotilla. È vita la loro? Quella degli uni e degli altri. E noi figli dell’Occidente non rischiamo, volgendo lo sguardo dall’altra parte, di trasformare in semplici suoni privi di significato parole come democrazia, libertà, diritti umani che spesso evochiamo tacitando il rimorso per i troppo lunghi silenzi? |