SAFERWORLD
INTERNATIONAL ALERT

Potenziare l'intervento dell'Unione Europea nella prevenzione dei Conflitti

EDIZIONE ITALIANA A CURA DEL CENTRO STUDI DIFESA CIVILE

Consolidare l'impegno nella prevenzione dei conflitti violenti:
Priorità per le Presidenze Grece e Italiana dell'Unione Europea nel 2003

Maggio 2003

QUESTO DOCUMENTO E' STATO REALIZZATO DA PERSONALE DI
INTERNATIONAL ALERT E DI SAFERWORLD,
IN COLLABORAZIONE CON EPLO
(EUROPEAN PEACE-BUILDING LIAISON OFFICE)

Ed è stato sottoscritto dalle seguenti organizzazioni
(l'organizzazione contrassegnata con un * appoggia le finalità del documento)

Il documento è scritto su base annuale come parte dell'Iniziativa congiunta di International Alert, Saferworld e dell'UE che si prefigge di accrescere l'impatto dell'Unione Europea nella prevenzione dei conflitti violenti, agendo in collaborazione con le Presidenze dell'UE, con gli stati membri, con i funzionari chiave del Consiglio, del Parlamento e della Commissione Europea, e con la società civile in Europa e nelle aree interessate da conflitti


INDICE


PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
APPUNTI PER UNA POLITICA ESTERA, DI SICUREZZA E DI PACE DELL’ITALIA

ACRONIMI

SOMMARIO ESECUTIVO

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: CREARE UNA POLITICA E UNA PRATICA COMUNE
DI PREVENZIONE DEI CONFLITTI NELLE POLITICHE DELLA
COMUNITA' EUROPEA 3

a) Prevenzione dei conflitti e cooperazione allo sviluppo
b) Fare della prevenzione dei conflitti una pratica comune nelle
politiche riguardanti il commercio e il settore privato
c) Collaborare con la società civile

CAPITOLO 2: RAFFORZARE LA COLLABORAZIONE TRA UE E AFRICA
NELLA PREVENZIONE DEICONFLITTI 9

a) Costruire la pace, la sicurezza e lo sviluppo in Africa: portare
avanti gli impegni presi dall'UE per la prevenzione dei conflitti
b) Far progredire la prevenzione dei conflitti all'interno
dell'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou

CAPITOLO 3: INTEGRARE GESTIONE DELLE CRISI E PREVENZIONE
DEI CONFLITTI 14

CAPITOLO 4: AFFRONTARE IL TERRORISMO, LA CRIMINALITA'
ORGANIZZATA E I TRAFFICI ILLECITI 19

a) Combattere il terrorismo mediante un approccio basato sulla
prevenzione dei conflitti.
b) Affrontare la criminalità organizzata
c) Combattere il traffico illecito di armi convenzionali

CAPITOLO 5: AUMENTARE IL COORDINAMENTO TRA LE ISTITUZIONI
DELL'UE 25

a) Coordinamento istituzionale e comprensione culturale della
prevenzione dei conflitti
b) Coordinamento dell'UE con le istituzioni internazionali
c) Prevenzione dei conflitti nella Convenzione sul Futuro
dell'Europa

ALTRE PUBBLICAZIONI SULL'ARGOMENTO



Action for Ireland (AfrI) Irlanda
APRODEV * Belgio
Associazione delle ONG italiane* Italia
Berghof Research Center for Constructive Conflict Management Germania
BOND* Regno Unito
European Centre for Common Ground (ECCG)* Belgio
European Institute Conflict-Culture-Cooperation (EICCC) Germania/Francia
European Centre for Conflict Prevention Olanda
European Network for Civil Peace Services
Field Diplomacy Initiative* Belgio
GRIP Belgio
International Alert Regno Unito
International Service (UNAIS) Regno Unito
International Security Information Service (ISIS) Belgio
Irish Peace Institute Irlanda
Mercy Corps Scotland Regno Unito
Nonviolent Peaceforce Belgio
OIKOS* Portogallo
Oxfam International Belgio
Pax Christi International Belgio
Peace Brigades International - European Office Bruxelles
Peaceworkers UK Regno Unito
Saferworld Regno Unito
Swedish Fellowship of Reconciliation * Svezia
SwissPeace Svizzera
World Vision EU Liaison Office Belgio
World Vision Deutschland Germania

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PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
APPUNTI PER UNA POLITICA ESTERA, DI SICUREZZA E DI PACE DELL’ITALIA

&Mac183; International Alert è un'organizzazione indipendente e non governativa che analizza le cause dei conflitti tra i paesi, crea spazio per la mediazione e il dialogo, stabilisce degli standard di gestione dei conflitti che escludono la violenza e favorisce lo sviluppo delle capacità necessarie a risolvere i conflitti in senso nonviolento. International Alert conduce un'azione e una ricerca orientata politicamente, tesa alla promozione di una pace sostenibile.
&Mac183; Saferworld è un centro di ricerca indipendente sugli affari esteri che opera per identificare, sviluppare e rendere pubblici degli approcci più efficaci con cui fronteggiare e prevenire i conflitti armati.
&Mac183; Il Centro Studi Difesa Civile è un’associazione no-profit indipendente che opera, attraverso la ricerca e la formazione, per l’avanzamento di una cultura della prevenzione e della gestione costruttiva dei conflitti a livello nazionale ed internazionale. Il CSDC fa parte di European Network for Civil Peace Services e di Nonviolent Peceforce.

Si ringraziano Heike Schneider (EPLO), Tim Wallis (Peaceworkers UK) e Catriona Gourlay (ISIS Europe) per il loro prezioso aiuto nella realizzazione di questo rapporto.

Le proposte di International Alert e Saferworld intendono evidenziare i passi concreti che l’Unione Europea potrebbe compiere nel 2003 per promuovere un intervento organico di prevenzione dei conflitti violenti. Il Centro Studi Difesa Civile, nel presentarlo al pubblico italiano, vuole fornire un supporto a coloro che sono coinvolti nella definizione delle linee guida del semestre di presidenza italiana, ma anche ai parlamentari e alle ONG.

In questa prefazione intendiamo volgere l’attenzione ad alcune possibili scelte del nostro Paese, che sviluppino la cultura e gli strumenti concreti della trasformazione costruttiva dei conflitti, per una politica estera e di sicurezza coerente ed efficace.

Avvertiamo che il sistema internazionale si trova sulla soglia di una trasformazione epocale. In tutto il mondo milioni di cittadini, non solo quelli scesi in piazza, hanno preso coscienza della gravità del momento. Voci autorevoli si sono levate contro la guerra, dal papa ai capi religiosi di altre confessioni e fedi. Le bandiere della pace che sventolano in tutte le città italiane sono un segno di attenzione diffusa e indicano la preferenza verso forme di gestione diplomatica e di prevenzione delle crisi internazionali.

Crediamo che l’impegno della pace non sia solo una dichiarazione di principio, lontana dal realismo della politica internazionale. Scegliere la pace significa costruirla negli atti concreti, nelle scelte quotidiane ed in quelle di politica estera, non solo durante le crisi come quella che viviamo oggi, ma anche portando il contributo del nostro paese nei processi meno seguiti dai media, ma decisivi nel lungo periodo per assicurare al pianeta ed al nostro paese un futuro di stabilità e di benessere.

È sulla capacità di mettere in atto valide misure che garantiscano pace, giustizia e sicurezza, che si misurerà nel breve e nel lungo periodo il valore della nostra civiltà. Per realizzare queste misure tutti sono convocati, sia i governi che le opposizioni. D’altra parte, i politici e i funzionari addetti a queste tematiche sono anch’essi interessati a cercare e trovare le risposte più idonee ed efficaci ed allo stesso tempo meno rischiose possibili, per affrontare le tensioni future.

Le seguenti proposte ovviamente non sono esaustive di tutto ciò che di costruttivo il nostro paese può fare a livello internazionale ed interno.

IL RUOLO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI

&Mac183; Il Governo italiano potrebbe adottare un “piano di azione” simile a quelli adottati da altri paesi membri dell’Unione Europea, ad esempio la Svezia , per elaborare un indirizzo sistematico di prevenzione delle crisi e della violenza internazionale non solo nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, ma anche delle politiche culturali e del commercio estero.

&Mac183; Sarebbe funzionale, agli interessi e valori italiani, un salto di qualità nell’impegno per la soluzione di crisi e conflitti di lunga durata. In diverse regioni del mondo ci sono ampi spazi per iniziative di mediazione e sostegno ai processi di pace. Paesi come la Norvegia e la Svizzera, nonostante le loro piccole dimensioni, hanno avuto un ruolo importante in alcuni processi negoziali degli ultimi anni.

&Mac183; Appare utile sviluppare ulteriormente gli strumenti di segnalazione precoce di potenziali crisi e di intervento tempestivo, con missioni di inchiesta, attivazione di organizzazioni internazionali e la nomina di autorevoli mediatori.
&Mac183; Oltre a mantenere gli impegni per le risorse per la cooperazione allo sviluppo, è importante verificare concretamente le ricadute degli aiuti italiani sulla stabilità e la giustizia locale attraverso l’introduzione di indicatori di valutazione di impatto sui conflitti. Questi strumenti, orientati alla individuazione di successi ed errori degli interventi della cooperazione, delle politiche commerciali e in generale delle scelte di politica internazionale, faciliterebbero efficienti e tempestive correzioni di rotta.

&Mac183; Sarebbe pertanto opportuno valutare l’istituzione presso il MAE di un ufficio che si occupi di sostenere e coordinare tali politiche ed interventi, in modo da valorizzare le lodevoli iniziative messe in atto dai diversi uffici.

&Mac183; Il sudest Europa resterà auspicabilmente una regione al centro dell’attenzione politica italiana. L’obiettivo dell’Italia dovrebbe essere di sostenere le forze democratiche presenti in tutti i paesi dell’area, facilitare il processo di integrazione regionale inaugurato con il Patto di Stabilità per l’Europa sud-orientale e in particolare impegnarsi per sostenere i processi di pace nelle realtà in cui i conflitti sono ancora irrisolti (Kosovo, Macedonia) e laddove tali processi sono già avviati (Bosnia, Croazia).

LA PARTECIPAZIONE AI PROCESSI MULTILATERALI

&Mac183; Ci aspettiamo che l’Italia prosegua la sua politica di rafforzamento dell’integrazione europea. La politica estera comune dell’UE deve fondarsi sul valore della pace, intesa come sicurezza attraverso il dialogo, la cooperazione e gli strumenti di trasformazione costruttiva dei conflitti. Il valore della pace va riconosciuto nel testo della convenzione europea attualmente in fase di redazione.

&Mac183; Le organizzazioni internazionali multilaterali, in particolare l’ONU e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), vanno potenziate nel loro lavoro di prevenzione dei conflitti violenti e di mediazione nelle crisi internazionali. L’Italia può dare un contributo assai più alto in termini di personale civile e di sostegno politico all’attività di tali organizzazioni nel solco della nostra tradizione.

&Mac183; Va sostenuto nella maniera più ampia possibile il processo di costituzione del Tribunale Penale Internazionale, anche facendo in modo che i paesi alleati scoprano il valore di questa istituzione.

DISARMO E CONTROLLO DEGLI ARMAMENTI

&Mac183; L’Italia dovrebbe continuare il proprio impegno per il rispetto dei trattati internazionali in materia di disarmo e controllo degli armamenti. La comunità degli stati si è data una serie di strumenti per contrastare la minaccia globale delle armi di distruzione di massa atomiche, batteriologiche e chimiche: le agenzie e gli strumenti indipendenti di verifica (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche; Agenzia internazionale per l’energia atomica; Convenzione sulle armi biologiche) vanno rafforzati. E’ auspicabile che venga segnalata anche agli Stati Uniti l’importanza della loro partecipazione a questi processi.

&Mac183; E’ indispensabile un regime di controlli rigorosi del commercio di armi a livello europeo. L’Italia deve valorizzare l’esperienza delle propria normativa (legge 185/1990, recentemente emendata), mirando a potenziarla e tradurla in una direttiva europea.

IL COORDINAMENTO CON LA SOCIETA’ CIVILE

&Mac183; Lo Stato italiano dovrà sostenere e coordinare i propri sforzi con le iniziative della società civile già da anni impegnate in iniziative di diplomazia popolare e cooperazione in situazioni di conflitto. Il vastissimo patrimonio di esperienze di solidarietà internazionale che l’associazionismo italiano ha praticato negli ultimi decenni va riconosciuto istituzionalmente fino a farne, a tutti gli effetti, uno strumento della politica estera italiana nel mondo .

&Mac183; Un aspetto che contribuirebbe ad aumentare la capacità di lavorare efficacemente alla prevenzione è il coordinamento e la messa in rete di organizzazioni e iniziative esistenti, allo scopo di sfruttare sinergie ed evitare “buchi” o duplicazioni. Da alcuni anni gli organismi della società civile europea hanno iniziato ad organizzarsi in una Piattaforma Europea per la Prevenzione dei Conflitti (EPCP). L'obiettivo principale è quello di raccordare attori che operano in ambiti diversi: diritti umani, costruzione della pace, cooperazione allo sviluppo, azione umanitaria, processi di democratizzazione e institution building. Con investimenti relativamente limitati, l'Italia potrà incoraggiare le realtà della società civile a dotarsi di strumenti concettuali ed operativi per la prevenzione, ad esempio rilanciando l'idea di una Piattaforma nazionale per la prevenzione e la trasformazione dei conflitti.

&Mac183; Chiediamo che l’Italia sostenga, durante il suo turno di Presidenza dell’UE, la creazione di un Corpo Civile di Pace Europeo, che possa funzionare da anello di congiunzione tra le iniziative della società civile e le istituzioni. Già a metà anni novanta il Parlamento Europeo ha raccomandato la creazione di tale organismo, composto di civili esperti nei processi di trasformazione pacifica dei conflitti. Esso si occuperà di un ampio raggio di attività attraverso le differenti fasi dei conflitti con concrete funzioni di peace-keeping (per arginare o ridurre la violenza), di peace-making (per facilitare il confronto tra le parti al fine di una gestione nonviolenta del conflitto) e di peace-building (per eliminare le cause sottostanti i conflitti e creare le condizioni per la costruzione della pace). Questa iniziativa si inserisce nel percorso avviato dalle Nazioni Unite che a metà degli anni ottanta ipotizzarono la nascita di contingenti di caschi bianchi da affiancare ai caschi blu dell’ONU.

&Mac183; Un ruolo tecnico per la organizzazione dei contingenti italiani di Corpi Civili di Pace, con risvolti importanti anche per la gestione della microconflittualità interna, potrebbe essere svolto dal Tavolo per la Difesa Civile Non armata e Nonviolenta, previsto dalla legge 230/98 presso l’Ufficio Nazionale Servizio Civile – Presidenza del Consiglio. Questa disposizione, i cui fondi erano previsti nella finanziaria 2002, va messa in pratica nell’ambito del nuovo servizio civile volontario come nucleo di un sistema di difesa civile che può assumere un ruolo centrale nell’indirizzo e nel coordinamento di iniziative comuni tra società civile e istituzioni.

RICERCA E FORMAZIONE

&Mac183; E’ necessario che l’Italia favorisca le iniziative di ricerca nel campo della Peace research. In molte università sono stati attivati i nuovi corsi di laurea in scienze dello sviluppo, della cooperazione e la pace e, già da anni, sono attivi centri interdipartimentali di ricerca sulla pace; ma non basta. Andrebbero attivati stabilmente alcuni Centri di ricerca e formazione sui conflitti e per la pace, che approfondiscano il nesso interdisciplinare fra crisi politico-economica e psico-sociale ed il nesso fra competenze nella gestione dei microconflitti locali e la prevenzione dei conflitti internazionali.

&Mac183; Il coordinamento scientifico di queste iniziative potrebbe risiedere in un Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace e sui Conflitti (sul modello del PRIO norvegese o del SIPRI svedese) in grado di contribuire alle ricerche per la politica estera di pace e di sicurezza dell’Italia. Disegni di legge per la realizzazione di tale Istituto, ispirati dal Movimento Internazionale di Riconciliazione e dal Centro Studi Difesa Civile, sono stati depositati in parlamento da esponenti di maggioranza e di opposizione.

&Mac183; Il governo, gli enti locali, le associazioni della società civile, gli enti di formazione possono promuovere corsi per la gestione costruttiva dei conflitti a tutti i livelli. Attraverso la formazione di formatori che operino da “moltiplicatori” di una cultura della gestione costruttiva dei conflitti si potrà contribuire concretamente alla diffusione di strumenti, prassi, comportamenti che promuovano il dialogo e la cooperazione tra le persone, i gruppi ed anche gli Stati.


Una strategia coerente, efficiente ed incisiva per la prevenzione e la trasformazione dei conflitti violenti è un logico pilastro di una politica estera e di sicurezza improntata alla pace, sia dell’Italia che dell’Europa. E’ bene che il nostro paese investa le risorse umane e finanziarie necessarie per svilupparla. Il semestre italiano di presidenza del Consiglio europeo rappresenta senz’altro un’occasione in questo senso.

Francesco Tullio
Giovanni Scotto Sergio Marelli

Centro Studi Difesa Civile Associazione ONG Italian

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ACRONIMI


ACP Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico
CAG Consiglio Affari Generali
CPS Comitato Politico e di Sicurezza
CPU Conflict Prevention Unit
DFID Department for International Development
DG Allargamento Direzione Generale Allargamento
DG Commercio Direzione Generale Commercio
DG Relex Direzione Generale Relazioni Esterne
DG Sviluppo Direzione Generale Sviluppo
DSN Documento di strategia nazionale
DSR Documenti di strategia regionale
ECDPM Centro Europeo di Gestione delle Politiche di Sviluppo
ECHO Ufficio Umanitario della Comunità Europea
ECOWAS Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale
CCPE Corpi Civili di Pace Europei
EIDHR Iniziativa Europea per la Democrazia e i Diritti dell'uomo
EPLO Ufficio europeo di collegamento per la costruzione della pace
EUPM Missione di Polizia dell'Unione Europea
FED Fondo Europeo di Sviluppo
FRR Forza di Reazione Rapida
HIPC Paesi poveri fortemente indebitati
IGAD Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo
IPTF Forza di Polizia Internazionale
MRR Meccanismo di Reazione Rapida
NATO Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico
NEPAD Nuovo Partenariato per lo Sviluppo Africano
OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
ONG Organizzazioni non governative
ONU Organizzazione delle Nazioni Unite
OSCE Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
PESC Politica Estera e di Sicurezza Comune
PESD Politica Europea di Sicurezza e Difesa
PPEWU Policy Planning and Early Warning Unit
SADC Comunità per lo Sviluppo dell'Africa Australe
SALW Armi portatili e armi leggere
SECI Iniziativa di cooperazione nell'Europa sud-orientale
UA Unione Africana
UE Unione Europea
UN PoA Programma di Azione dell'ONU
UNDP Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo
USA Stati Uniti d'America

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SOMMARIO ESECUTIVO


I conflitti violenti causano sofferenze umane di massa, minano lo sviluppo e i diritti umani e soffocano la crescita economica. In situazioni di conflitto, le democrazie politiche non sono in grado di maturare e il conflitto crea le condizioni per il proliferare del terrorismo e della criminalità organizzata.

L'Unione Europea (UE) si è impegnata nell'attribuire priorità alla prevenzione dei conflitti violenti e ha sviluppato una serie di documenti politici e di cambiamenti istituzionali fondamentali. Progressi significativi sono stati compiuti, per l'avanzamento dell'agenda per la prevenzione dei conflitti, durante le presidenze spagnola e danese nel 2002 sulla base del lavoro compiuto dalle presidenze belga e svedese4.

Lo scopo di questo documento consiste nell'evidenziare i passi concreti che l'UE potrebbe compiere durante le presidenze greca e italiana nel 2003 per meglio realizzare e monitorare il progresso degli impegni presi sulla prevenzione dei conflitti. Il documento intende fornire un supporto alle Presidenze, agli Stati membri, alla Commissione, al Consiglio, ai parlamentari e alle organizzazioni non governative (ONG) nella promozione del ruolo dell'UE nella prevenzione dei conflitti violenti.

Questo documento evidenzia cinque questioni chiave che gli Stati membri dell'UE e la Commissione devono affrontare durante le Presidenze greca e italiana per accrescere la capacità dell'UE di prevenire i conflitti violenti.

CREARE UNA POLITICA E UNA PRATICA COMUNE DI PREVENZIONE DEI CONFLITTI NELLE POLITICHE DELLA COMUNITA' EUROPEA

I conflitti armati sono diventati una delle cause principali della povertà in molte parti del mondo. A loro volta la povertà e l'esclusione sociale ed economica aumentano il rischio di conflitti violenti. L'UE ha riconosciuto i collegamenti esistenti tra sviluppo, povertà e conflitto e il ruolo della cooperazione allo sviluppo nella prevenzione dei conflitti. Tuttavia, per assicurarsi che la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace costituiscano una parte centrale delle politiche di sviluppo, è importante che la questione divenga oggetto di una politica comune all'interno delle politiche della Comunità Europea. E’ essenziale che per tutte le aree di cui si occupano le politiche della Comunità, come il commercio e le iniziative del settore privato, vengano prese in considerazione le cause che stanno alla base dei conflitti violenti. Le politiche e le pratiche di prevenzione dei conflitti dell'UE devono inoltre integrarsi ed essere informate da validi e rappresentativi interpreti della società civile, come parte di un approccio partecipativo e comune.

Il documento propone un'azione nelle seguenti aree:

&Mac183; Rafforzare la capacità delle istituzioni dell'UE di integrare l'attenzione ai conflitti nel ciclo di programmazione dell'UE riguardante la cooperazione allo sviluppo, e in tutte le politiche e in tutti i settori dell'UE, mediante, per esempio, lo sviluppo di ampi programmi di formazione.
&Mac183; Sviluppare valutazioni più efficaci sull'impatto della pace e dei conflitti che vadano oltre quelle utilizzate nei programmi per lo sviluppo, in tutti i settori, compreso quello del commercio.
&Mac183; Fornire sostegno alla capacity building dei governi e delle società civili nei paesi in via di sviluppo, perché prendano parte efficacemente alle politiche e alle programmazioni dell'UE, per esempio mediante l'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou.
&Mac183; Esercitare pressioni sui paesi esportatori affinché accettino degli esperti indipendenti che compiano un monitoraggio sul commercio illegale di merci legate ai conflitti.

RAFFORZARE IL PARTENARIATO UE-AFRICA NELLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

E' importante che l'UE si concentri non solo sulle aree di ovvio interesse strategico, ma anche su quei paesi o quelle regioni affette da una situazione cronica di sottosviluppo e conflitti: in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico (ovvero nei paesi compresi nell'Accordo di Partenariato ACP-EU di Cotonou). E’ importante che lo sviluppo di un dialogo tra UE e Africa sulla prevenzione dei conflitti violenti rimanga ai primi posti dell'agenda, nonostante il probabile rinvio "sine die" del summit tra l'UE e l'Africa che si sarebbe dovuto tenere a Lisbona nell'aprile 2003.

Il documento propone un'azione nelle seguenti aree:

&Mac183; Rivedere il dialogo tra UE e Africa sulla prevenzione dei conflitti per assicurarsi che sia assolutamente complementare rispetto alle attività in corso nelle iniziative africane [p.e. quelle dell'Unione Africana (UA), del Nuovo Partenariato per lo Sviluppo dell'Africa (NOPADA) e di istituzioni e strutture internazionali (come per esempio l'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou e il Piano d'Azione per l'Africa del G8)].
&Mac183; Monitorare l'impatto della preesistente cooperazione sul commercio tra ACP e UE sull'esclusione sociale ed economica e sui rischi dei conflitti violenti.
&Mac183; Mettere a disposizione risorse per assicurare l'attiva partecipazione della società civile nello sviluppo delle strategie di UE e Africa per la prevenzione dei conflitti.

INTEGRARE LA GESTIONE DELLE CRISI ALLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

L'UE è profondamente impegnata a sviluppare e integrare una capacità di gestione civile delle crisi e negli anni passati ci sono stati diversi sviluppi politici fondamentali. Tuttavia, dal punto di vista della costruzione della pace, bisogna porre più attenzione nel collegare la gestione delle crisi con le strategie di prevenzione a lungo termine dei conflitti. Per migliorare il funzionamento delle capacità di gestione civili delle crisi, le strutture istituzionali dell'UE e i suoi rapporti con le altre organizzazioni devono essere resi più compatibili.

Il documento propone un'azione nelle seguenti aree:

&Mac183; Integrare la gestione delle crisi alle capacità di prevenzione dei conflitti per rafforzare il loro impatto a breve, medio e lungo termine.
&Mac183; Stabilire definizioni e pratiche chiare con le altre istituzioni che partecipano alla gestione delle crisi (ONU, OSCE e Consiglio d'Europa) per assicurarsi che le risposte siano complementari.
&Mac183; Lavorare al di là degli obiettivi quantitativi per il personale civile nelle quattro aree della gestione della crisi (polizia, stato di diritto, amministrazione civile e protezione civile) e sviluppare obiettivi qualitativi.

FRONTEGGIARE IL TERRORISMO, LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA E IL TRAFFICO ILLECITO

Le attività criminali e terroristiche, compreso il traffico illecito di esseri umani, denaro, droghe e armi, pongono una grande sfida per la sicurezza in una UE allargata. Sebbene i terroristi non sempre provengano da situazioni di privazioni, la povertà e l'arretratezza culturale costituiscono un terreno fertile per il terrorismo, facendo sì che esso trovi appoggio, simpatizzanti e nuovi adepti. Le cause che stanno alla base del terrorismo spesso sono le stesse di quelle che portano ai conflitti. Fronteggiare la criminalità organizzata è una delle preoccupazioni più pressanti e non solo perché i paesi dell'UE sono direttamente interessati dal traffico di persone, droghe e armi. Le reti terroristiche e criminali stabiliscono tra loro rapporti con reciproci benefici, che destabilizzano ulteriormente le comunità vulnerabili, portando in alcuni casi ai conflitti.

Il documento propone un'azione nelle seguenti aree:

&Mac183; Sviluppare e aumentare le iniziative di prevenzione a lungo termine dei conflitti e di costruzione della pace come una risposta efficace nei confronti delle minacce terroristiche.
&Mac183; Assicurarsi che la "guerra al terrorismo" non sia utilizzata come un pretesto per violare i diritti umani, o che le risorse non siano distolte dalle politiche di prevenzione a lungo termine dei conflitti.
&Mac183; Migliorare il coordinamento e lo scambio di informazioni tra tutte le agenzie e gli stati coinvolti nello sforzo di combattere la criminalità organizzata e dare maggiore priorità alle implicazioni della circolazione di armi leggere quando riguardano la criminalità organizzata.

AUMENTARE IL COORDINAMENTO TRA LE ISTITUZIONI DELL'UE

Applicare un'ampia e completa politica di prevenzione dei conflitti per mezzo di tutti i meccanismi e gli strumenti di cui dispone l'UE, richiede un efficace coordinamento. E’essenziale che l'UE indirizzi il contesto strutturale e i comportamenti culturali verso la prevenzione dei conflitti. L'allargamento dell'UE all'Europa Centrale e Orientale rende ancora più forte la necessità che l'UE affronti e delinei una politica comune sulla prevenzione dei conflitti in tutte le sue istituzioni. Molti nuovi membri avranno le loro priorità e le loro agende ed è essenziale che l'UE si impegni insieme ai paesi candidati per accrescere la consapevolezza e promuovere la comprensione del ruolo dell'UE nella prevenzione dei conflitti. Inoltre, è necessario un migliore coordinamento tra l'UE e le altre istituzioni internazionali [OSCE, NATO, ONU, Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS)] al fine di riunire le capacità di prevenzione dei conflitti.

Il documento propone un'azione nelle seguenti aree:

&Mac183; Istituire un ente di collegamento per monitorare e collegare il processo decisionale e l'applicazione tra i tre pilastri.
&Mac183; Costruire una cooperazione tra l'UE e le altre istituzioni internazionali mediante una rappresentanza congiunta e uno scambio di informazioni sull'applicazione della PESC e della PESD.
&Mac183; Accrescere il ruolo del Parlamento Europeo e dei parlamenti nazionali nella valutazione della PESC e della PESD e di quanto esse abbiano contribuito all'obiettivo fissato della prevenzione dei conflitti.
&Mac183; Impegnarsi insieme ai paesi candidati per accrescere la consapevolezza e promuovere la comprensione del ruolo dell'UE nella prevenzione dei conflitti, nell'ambito della Convenzione sul Futuro dell'Europa

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INTRODUZIONE

I conflitti violenti causano sofferenze umane di massa, minano lo sviluppo e i diritti umani e soffocano la crescita economica. In situazioni di conflitto, le democrazie politiche non sono in grado di maturare e i conflitti creano le condizioni per il proliferare del terrorismo e della criminalità organizzata. Il fallimento nella prevenzione dei conflitti violenti, all'interno dell'Unione Europea (UE) e nei paesi vicini (come Cipro, l'Irlanda del Nord, e l'Europa sud-orientale), così come in quelli lontani (come la Regione dei Grandi Laghi e il Corno d'Africa, l'Eurasia e il Medioriente), porta anche costi morali, politici, finanziari e di sicurezza per l'UE. L'attuale clima politico globale evidenzia ulteriormente la necessità di attribuire maggiore priorità politica alla prevenzione dei conflitti.

L'UE è uno dei principali corpi internazionali che affermano l'importanza della costruzione della pace e della prevenzione dei conflitti. La stessa UE è stata fondata come un'istituzione tesa a prevenire futuri conflitti violenti in Europa. Tra il potenziale con cui l'UE può giocare un ruolo importante in questo campo, vi è una serie di strumenti a sua disposizione, come la cooperazione allo sviluppo, la diplomazia, le politiche sui diritti umani, le politiche sul commercio, gli aiuti umanitari, le politiche sociali e ambientali, la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e la Politica Europea di Sicurezza e di Difesa (PESD).

L'UE si è impegnata nell'attribuire priorità alla prevenzione dei conflitti violenti e ha sviluppato una serie di importanti documenti politici e modifiche istituzionali (v. scheda a). L'istituzione nel 1999 della Conflict Prevention Unit (CPU) e della Policy Planning and Early Warning Unit (PPEWU) ha rappresentato un importante passo avanti istituzionale. Progressi significativi sono stati fatti durante le Presidenze spagnola e danese nel 2002, sulla base del lavoro compiuto dalle presidenze belga e svedese5. Negli ultimi anni, molti documenti di strategia nazionale e regionale hanno attinto informazioni dall’analisi sui conflitti; sono stati sviluppati sistemi di allarme tempestivo e valutazioni di impatto sui conflitti; sono stati raggiunti traguardi per il personale civile per le gestioni delle crisi ed è stata organizzata la prima missione civile di polizia in Bosnia nel gennaio 2003. Anche se tutti questi sviluppi sono benvenuti, rimane un forte divario tra la politica e la pratica ed è ancora necessaria una riforma istituzionale strutturale e culturale perché si realizzi completamente la potenzialità dell'UE nella prevenzione dei conflitti.

Lo scopo di questo documento consiste nell'evidenziare i passi concreti che l'UE potrebbe compiere durante le presidenze greca e italiana nel 2003 per meglio realizzare e monitorare il progresso degli impegni presi sulla prevenzione dei conflitti. Il documento intende fornire utili direttive e raccomandazioni politiche alle Presidenze, agli Stati membri, alla Commissione, al Consiglio, ai parlamentari e alle organizzazioni non governative (ONG) nella promozione del ruolo e dell'impatto dell'UE nella prevenzione dei conflitti violenti.

CONSOLIDARE L’IMPEGNO

Durante la Conferenza dell'UE sulla Prevenzione dei Conflitti tenutasi a Helsingborg nell'agosto 2002, il Ministro degli Affari Esteri greco, Georgios Papandreou, ha detto che “l'unico modo per occuparsi dei conflitti consiste nell'affrontarne le cause profonde mediante una politica di prevenzione strutturale a lungo termine”. Salutiamo con favore tale dichiarazione. Questo documento appoggia lo sviluppo di un approccio a lungo termine, olistico, per mezzo del quale la gestione a breve termine delle crisi si collega intrinsecamente alla prevenzione a lungo termine dei conflitti e alla costruzione della pace. Si devono affrontare le cause che stanno alla base dei conflitti (povertà, criminalità, emarginazione, repressione politica ecc.) e la prevenzione dei conflitti deve divenire una politica comune in tutti i settori e in tutte le attività dell'UE. L'allargamento dell'UE all'Europa Centrale e Orientale, che è già di per se una misura di prevenzione dei conflitti, renderà ancora più necessario che l'UE si impegni nell'adozione di più ampie misure di prevenzione dei conflitti, tenendo conto che i nuovi membri avranno le loro priorità e i loro programmi. Sarà necessaria una forte volontà politica e una forte leadership per assicurare che sia ricercata una comprensione comune della prevenzione dei conflitti in tutta l'UE e nei paesi candidati e che gli impegni politici siano efficacemente adempiuti.

PROSSIME OPPORTUNITA'

Per il 2003 sono stati programmati molti eventi e attività, tra i quali: la presentazione di un rapporto sullo stato di avanzamento dell'attuazione del Programma di Azione di Goteborg e, potenzialmente, un “rapporto Brahimi” dell'UE compilato dalla Presidenza greca. La Presidenza greca sta inoltre organizzando una conferenza sulla prevenzione dei conflitti e delle lesson-learned nell'Europa sud-orientale allo scopo di pianificare una strategia congiunta per la regione.

Anche le relazioni tra UE e Africa sembra che rimarranno ai primi posti dell'agenda, nonostante il rinvio “sine die” del Summit di aprile tra UE e Africa. La Presidenza italiana sta organizzando un Seminario UE-Africa per affrontare e dare priorità alle sfide riguardanti una pace sostenibile e lo sviluppo in Africa. Il rapporto sulle posizioni comuni della PESC sui conflitti in Africa è atteso per il giugno 2003. Un importante sviluppo sarà rappresentato dal negoziato della Convenzione sul Futuro dell'Europa, che dovrebbe essere completato durante la Conferenza Intergovernativa sotto la Presidenza italiana prima dell'ingresso dei nuovi membri nel 2004. Queste attività forniscono una importante opportunità e potrebbero avere un forte impatto sul cammino verso l'attuazione dell'agenda dell'UE sulla prevenzione dei conflitti.


SCHEDA A:

PRINCIPALI DOCUMENTI POLITICI DELL'UE RELATIVI ALLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

&Mac183; Comunicazione della Commissione sulla Partecipazione degli attori non statali alla politica di sviluppo della CE, novembre 2002
&Mac183; Attuazione del Programma dell'UE per la Prevenzione dei Conflitti Violenti, Consiglio Europeo di Siviglia, giugno 2002
&Mac183; Conclusioni del Consiglio Europeo sullo Sviluppo sui Paesi in Conflitto, maggio 2002
&Mac183; Conclusioni del Consiglio Europeo sulla Prevenzione dei Conflitti, luglio 2001
&Mac183; Programma dell'UE per la Prevenzione dei Conflitti Violenti, Consiglio Europeo di Goteborg, giugno 2001
&Mac183; Conclusioni del Consiglio Europeo sullo Sviluppo sulla Prevenzione dei Conflitti, maggio 2001
&Mac183; Posizione Comune del Consiglio riguardante la Prevenzione, la Gestione e la Risoluzione dei Conflitti in Africa, maggio 2001
&Mac183; Comunicazione della Commissione sulla Prevenzione dei Conflitti, aprile 2001
&Mac183; Risoluzione del Parlamento Europeo sulla Prevenzione dei Conflitti e la Gestione delle Crisi, marzo 2001
&Mac183; Rapporto dell’Alto Rappresentante e della Commissione sul miglioramento della coerenza e dell'efficacia dell'azione dell'UE in materia di prevenzione dei conflitti, dicembre 2000
&Mac183; Risoluzione del Parlamento Europeo sugli aspetti di Genere nella prevenzione dei Conflitti e nel Peace-building, novembre 2000
&Mac183; Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou

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CAPITOLO 1:

CREARE UNA POLITICA E UNA PRATICA COMUNE DI
PREVENZIONE DEI CONFLITTI NELLE POLITICHE DELLA
COMUNITA' EUROPEA

Tutte le principali istituzioni dell'Unione sono invitate a fare della prevenzione dei conflitti una strategia comune nell'ambito delle proprie aree di competenza.
PROGRAMMA DELL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI VIOLENTI, 2001

In linea con la decisione di fare della prevenzione dei conflitti una politica comune, il Consiglio e le sue istituzioni sono invitati a proseguire, in collaborazione con la Commissione, nella valutazione delle misure preventive come evidenziato nel programma (di Goteborg).
ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DELL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI VIOLENTI, GIUGNO 2002

Le politiche di sviluppo e altre forme di cooperazione sono tra gli strumenti più efficaci a disposizione della Comunità per combattere le cause che stanno alla base dei conflitti.
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE SULLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI, 2001

Al fine di ottenere processi sostenibili e la capacità di gestire una situazione di conflitto, è necessaria la cooperazione con gli altri attori coinvolti e con gl istakeholders.
ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DELL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI VIOLENTI, GIUGNO 2002


L'UE è passata dal “perché” la prevenzione dei conflitti dovrebbe essere resa una strategia comune all'interno delle politiche e delle pratiche dell'UE, al “come” ciò si possa efficacemente attuare. In questo campo sono stati ottenuti successi significativi, tra i quali fino a questo momento, una riforma istituzionale mediante l'istituzione della Conflict Prevention Unit (CPU), della Policy Planning and Early Warning Unit (PPEWU) e dell'Inter-Service Quality Support Group, e una riforma programmatica nella delega di autorità e personale alle delegazioni e nello sviluppo di Documenti di strategia nazionale e regionale (DSN e DSR) e di metodologie pratiche collegate ai conflitti (come per esempio la checklist delle cause che stanno alla base dei conflitti). Si tratta di sviluppi lodevoli, tuttavia questi avanzamenti necessitano ora di essere monitorati, rafforzati e ampliati di modo che la prevenzione dei conflitti sia resa una pratica comune all'interno di strumenti e approcci di sviluppo, e all'interno di questioni settoriali (o trasversali), come il commercio, le armi leggere, la riforma del settore della sicurezza e il settore privato. Per fare questo sono necessarie continue riforme istituzionali e programmatiche e una sostenuta volontà politica.

Oltre allo sviluppo di collegamenti orizzontali tra i diversi settori e le strutture dell'UE, per fare della prevenzione dei conflitti una politica comune occorre l'adozione di collegamenti verticali tra i rappresentanti dell'UE e le società civili sul terreno. La politica e la pratica di prevenzione dei conflitti, se deve essere motivata e legittimata, deve anche di conseguenza informare ed essere informata da una società civile rappresentativa.

A) PREVENZIONE DEI CONFLITTI E COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

La riduzione della povertà è oggi un obiettivo centrale delle politiche di sviluppo della Comunità Europea. La prevenzione e la gestione dei conflitti armati sono un aspetto centrale di questo obiettivo e un elemento chiave delle strategie per la riduzione della povertà. I conflitti armati sono diventati una delle principali cause della povertà in molte parti del mondo, in particolare nelle regioni dell'Africa sub-sahariana. In queste zone, i costi dei conflitti gravano in modo sproporzionato sui poveri e gli emarginati. I conflitti negano alle popolazioni (soprattutto ai profughi) i loro diritti fondamentali attraverso l'indebolimento delle reti sociali di sicurezza e la perdita dei mezzi di sostentamento. A un livello più ampio, i conflitti minano le prospettive di sviluppo degli stati riducendo la capacità di intervento degli stessi nelle aree colpite da conflitti, diminuendo la base del reddito e un dirottando i fondi sul settore della sicurezza. Inoltre, la distruzione delle infrastrutture operata dai conflitti mina l'attività economica e l'accesso ai mercati6.
In aggiunta, i conflitti e la povertà possono giungere a rafforzarsi a vicenda, nella misura in cui l'esistenza della povertà può presentare un fondamentale rischio di conflitto. Ciò accade con più facilità là dove la povertà si combina con fattori sociali e politici come una disparità nella distribuzione delle ricchezze e nell'accesso alle risorse, l'emarginazione di un settore della popolazione e la disponibilità di armi leggere. Per assicurare che vengano affrontate le cause che stanno alla base dei conflitti, la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace devono quindi costituire una parte determinante delle politiche di sviluppo, e venire a creare una pratica comune tra le strategie della cooperazione allo sviluppo e i processi di attuazione e revisione.
Le strategie per lo sviluppo devono inoltre integrare altri strumenti esterni, come il commercio, il dialogo politico e la PESC (vedi sezione B).

L'UE ha riconosciuto i collegamenti esistenti tra sviluppo e povertà, e il ruolo della cooperazione allo sviluppo nella prevenzione dei conflitti, in diversi documenti politici7 Questo si riflette anche negli accordi di cooperazione regionale, come l'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou, e nello sviluppo di linee di bilancio della Comunità, come per esempio l'Iniziativa Europea per i Diritti Umani e la Democrazia. Passi concreti sono inoltre stati compiuti per creare una politica comune di prevenzione dei conflitti nelle
politiche di sviluppo dell'UE e per assicurare coerenza alle politiche esterne.
Ciononostante, l'evidenza dei fatti indica che questo processo richiede tempo e un costante monitoraggio se si deve tradurre in una cultura profondamente radicata e operativa in tutte le istituzioni dell'UE, capace di vincere le restrizioni burocratiche.

E' necessario che all'interno dell'UE ci si allontani da una visione della prevenzione dei conflitti come di un “settore” distinto che richiede progetti speciali (o collegato esclusivamente ad aree di intervento specifiche come il settore della sicurezza).
L'UE dovrebbe sviluppare una linea di condotta specifica sull'integrazione degli approcci di uno sviluppo attento ai conflitti a una più ampia politica e sostegno dell'UE, che comprenda i trasporti, l'educazione, le risorse idriche, l'ambiente, e a strumenti istituzionali chiave delle politiche di sviluppo, tra cui gli aiuti di bilancio e l'assistenza macroeconomica. Da un punto di vista istituzionale, la divisione delle responsabilità per lo sviluppo delle strategie nazionali e dei processi di programmazione e attuazione tra EuropeAid, DG Relex, DG Sviluppo e delegazioni dell'UE, può ostacolare la traduzione degli obiettivi della prevenzione dei conflitti a livello strategico in azione concreta all'interno dei programmi per lo sviluppo portati avanti e attuati sia all'interno di EuropeAid che a livello delle delegazioni. Un'attenzione particolare inoltre è necessaria per sensibilizzare i funzionari che non hanno pratica in questioni legate ai conflitti, in special modo coloro che hanno una preparazione tecnica o puramente economica.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Rafforzare la capacità di mainstreaming della Conflict Prevention Unit nella DG Relex accrescendo le sue risorse e il numero del personale e assicurandosi che EuropeAid e le delegazioni della Commissione abbiano personale qualificato e con esperienza nel campo dello sviluppo che sia sensibile ai conflitti.
&Mac183; Proseguire nella compilazione, da parte della Conflict Prevention Unit, di un rapporto annuale sulla prevenzione dei conflitti, al fine di monitorare il processo di mainstreaming. Il punto centrale di questo rapporto potrebbe essere spostato dalla valutazione delle proposte (come per esempio lo spiegamento di squadre per la prevenzione dei conflitti) alla valutazione dei risultati (ossia collegarsi alla valutazione/revisione dell'assistenza allo sviluppo con particolare attenzione al suo impatto sui rischi di conflitto).
&Mac183; Sviluppare una linea di condotta che integri l'attenzione ai conflitti nel ciclo di programmazione dell'UE sulla cooperazione allo sviluppo nell'intera gamma di settori, per esempio integrando una prospettiva di conflitto alle esistenti linee guida sui trasporti e le risorse idriche.
&Mac183; Considerare la valutazione del potenziale impatto sui conflitti dell'uso di strumenti macroeconomici come il sostegno budgetario.
&Mac183; Fornire al personale un’adeguata preparazione sui principi della prevenzione dei conflitti e sull'utilizzo delle linee guida e degli approcci esistenti per integrare l'attenzione ai conflitti nella cooperazione allo sviluppo.

SCHEDA 1.1

CASO DI STUDIO: SVILUPPO DI LINEE GUIDA PER INTEGRARE L'ATTENZIONE AI CONFLITTI NELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

Comprendere il rapporto tra cooperazione allo sviluppo e dinamiche di impatto sulla pace e sui conflitti è difficile per chi prende le decisioni politiche e per le agenzie di attuazione, ed è essenziale che essi abbiano strumenti efficaci e una buona preparazione per prendere le giuste decisioni.

Un consorzio di organizzazioni del Nord e del Sud del mondo sta attuando un programma biennale in diverse regioni per integrare le pratiche di analisi ai conflitti alle attività di sviluppo, umanitarie e di costruzione della pace.
Il programma è condotto dal Forum on Early Warning and Early Response (FEWER), da International Alert e Saferworld, in diretta collaborazione con l'Africa Peace Forum (APFO) in Kenia, il Centre for Conflict Resolution (CECORE) in Uganda e il Consortium on Humanitarian Agencies (CHA) nello Sri Lanka.

Il progetto intende:
&Mac183; Produrre un “pacchetto di risorse” che riunisca gli approcci, gli strumenti e le linee guida esistenti relativi a una pianificazione, un'attuazione, una gestione e una valutazione attenta ai conflitti.
&Mac183; Attuare applicazioni nazionali e test sul campo per garantire l'attuabilità sul terreno del pacchetto di risorse, in relazione ai progetti specifici che sono attualmente ideati, o in via di attuazione, o di valutazione dai donatori, governi e/o ONG locali e internazionali.
&Mac183; Condurre una serie di attività per accrescere la consapevolezza e la formazione, per creare un’ampia area di consenso e per assicurarsi che il pacchetto di risorse sia utilizzato efficacemente, diffondendo in questo modo le pratiche di uno sviluppo attento ai conflitti.

Per ottenere questi obiettivi il progetto intende:
&Mac183; Documentare e valutare una serie di approcci e strumenti attualmente disponibili e utilizzati da professionisti del settore.
&Mac183; Testare il “pacchetto di risorse” con professionisti e pilotare alcuni di questi strumenti in Kenia, Uganda e Sri Lanka.
&Mac183; Trarre delle lesson-learned dall'applicazione degli strumenti di analisi dei conflitti e rendere disponibili queste indicazioni a un'ampia comunità.

B) FARE DELLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI UNA PRATICA COMUNE NELLE POLITICHE RIGUARDANTI IL COMMERCIO E IL SETTORE PRIVATO

Per rendere la prevenzione dei conflitti una pratica comune ed efficace, è essenziale che per tutte le aree di cui si occupano le politiche dell'UE, come il commercio e le iniziative del settore privato, vengano prese in considerazione le cause che sottostanno alla base dei conflitti violenti. Come accade per l'assistenza allo sviluppo, queste politiche possono avere un impatto significativo sulle dinamiche dello sviluppo e dei conflitti e potenzialmente possono contribuire a uno sviluppo sostenibile, alla prevenzione dei conflitti e alla stabilità strutturale a lungo termine, o al contrario possono aumentare i rischi di conflitti.

Inoltre è necessario approfondire la comprensione del collegamento tra integrazione commerciale, sviluppo e prevenzione dei conflitti. Particolare attenzione andrebbe rivolta ai potenziali impatti sulla politica e sui conflitti dell'integrazione e della liberalizzazione economica, così come agli impatti che la perversa dinamica della Politica Agricola Comune (PAC) ha sull'accesso dei paesi in via di sviluppo ai prodotti agricoli del mercato dell'UE.

La Commissione potrebbe meglio utilizzare il proprio impegno nel settore privato come una strada per promuovere la prevenzione dei conflitti. Le aziende europee operano in paesi colpiti da conflitti in tutto il mondo. L'importanza che esse adottino un approccio più attento ai conflitti nelle loro operazioni è stata evidenziata in casi recenti come per esempio lo scandalo Elf-Aquitaine, il “conflitto dei diamanti”e il ruolo delle compagnie petrolifere nel conflitto civile nel Delta del Niger.

La Commissione ha tentato di accrescere la capacità delle imprese europee di contribuire volontariamente a uno sviluppo sostenibile mediante la Strategia sulla Responsabilità Sociale delle Imprese (giugno 2002). Sebbene il libro verde si riferisca al coinvolgimento da parte dell'UE di compagnie multinazionali nella promozione dei diritti umani, non c'è un riferimento esplicito al fatto che le compagnie giocano un ruolo nella riduzione del conflitto. Le risorse naturali sono riconosciute dalla Commissione come una “questione trasversale” per la prevenzione dei conflitti. Riguardo al cosiddetto conflitto dei diamanti, l'UE ha assunto un ruolo attivo nel Processo Kimberley nel 2002 e sta completando una legislazione che inviterà i paesi membri a stabilire dei meccanismi di controllo e a conformarsi al Processo, anche se questo programma è in ritardo. I progressi compiuti nel conflitto dei diamanti devono inoltre essere estesi ad altre aree dell’imprenditoria privata come, ad esempio, i settori del legname e dell'estrazione del petrolio in aree affette da conflitti.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Sviluppare e integrare valutazioni di impatto sui conflitti e sulla pace che vadano oltre i programmi di sviluppo, per facilitare il mainstreaming della prevenzione dei conflitti in tutti i settori, compreso quello del commercio. Questo programma dovrebbe inoltre comprendere la formazione di personale delle sedi centrali e di funzionari destinati alle delegazioni.
&Mac183; Assicurarsi che il processo di attuazione della Strategia sulla Responsabilità Sociale delle Imprese dell'UE abbia un focus specifico sul collegamento tra affari e prevenzione dei conflitti.
&Mac183; Esercitare pressioni politiche per assicurarsi che la legislazione sul Processo Kimberley sia rimessa in agenda e che comprenda l'istituzione di un meccanismo di monitoraggio regolare. Preparare gli attori del settore privato affinché proseguano nei loro impegni presi durante il Processo.
&Mac183; Adottare la prossima bozza di Comunicazione per regolare il commercio di prodotti di legname, in modo che comprenda un'ampia definizione di "conflitto del legname" e specifici provvedimenti a riguardo.
&Mac183; Esercitare pressioni sui paesi esportatori affinché accettino esperti indipendenti che compiano un monitoraggio sul commercio illegale di merci collegate ai conflitti.


SCHEDA 1.2

CASO DI STUDIO: INIZIATIVE DEGLI STATI MEMBRI PER AFFRONTARE IL RUOLO DEL SETTORE PRIVATO NELLE ZONE DI CONFLITTO

Nel corso del 2002 diversi stati membri hanno rivolto una grande attenzione al ruolo del settore privato nella prevenzione dei conflitti. I ministri degli Affari Esteri tedesco e belga hanno organizzato incontri politici di alto livello coinvolgendo rappresentanti di governo, imprese e ONG. Queste riunioni hanno esplorato questioni pratiche e politiche relative alle imprese che operano in zone di conflitto, e hanno dato avvio al processo di identificazione di passi concreti che i loro governi potrebbero compiere. La Svezia ha tenuto un seminario ristretto di apprendimento per le imprese svedesi, con il sostegno di International Alert, su affari e conflitti, e ha in programma di far seguire un'altra iniziativa. Il Department for International Development (DFID) britannico, ha riunito i rappresentanti di altri quattro paesi per discutere le dimensioni politiche della questione in un incontro di lavoro nel luglio 2002. Riconoscendo l'interesse degli stati membri verso l'approfondimento della comprensione di queste questioni tra i diversi attori, la Commissione potrebbe utilmente ospitare un più ampio dialogo sulle imprese che operano in zone di conflitto nel corso del 2003, concentrandosi sull'azione a livello dell'UE.


C) COLLABORARE CON LA SOCIETA' CIVILE

Le organizzazioni della società civile, se realmente legittime e rappresentative, giocano un ruolo importante nella prevenzione dei conflitti violenti, nella gestione delle crisi e nella costruzione della pace. Le ONG, le organizzazioni di base, le associazioni femminili, le organizzazioni giovanili, i rappresentanti delle popolazioni indigene, i sindacati, le organizzazioni religiose e i media possono far sì che le politiche nazionali e internazionali siano pensate e attuate in modo tale da ridurre il rischio di conflitti. La firma dell'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou ha segnato in questo senso un importante passo avanti, dal momento che prevede che l'UE e i governi dell'ACP consultino le organizzazioni della società civile nell'attuazione dei programmi e delle politiche di sviluppo. Una maggiore attenzione va posta alla comprensione del ruolo degli attori non statali nella prevenzione dei conflitti. Ciò è particolarmente importante quando si coinvolgono attori non statali nella programmazione e nel dialogo politico tra UE e ACP e in ambienti politicamente fragili.

La Comunicazione della Commissione sulla partecipazione degli attori non statali alle politiche di sviluppo della CE (novembre 2002) è rivolta in qualche modo a comprendere e affrontare il ruolo degli attori non statali nella prevenzione dei conflitti. Le linee di bilancio
comprese nell’Iniziativa UE per la Democrazia e i Diritti Umani (EIDHR) e nel Meccanismo di Reazione Rapida, sono state assegnate e finanziate a questo scopo, che comprende, per esempio, l'appoggio agli attori non statali nel processo di pace nella Repubblica Democratica del Congo. E se il rapporto è encomiabile, la Comunicazione invece non invita esplicitamente gli attori non statali a partecipare alla prevenzione dei conflitti.
In definitiva, una più efficace collaborazione tra UE e società civile è ostacolata da limiti strutturali. Infatti i gruppi della società civile nelle zone teatro di conflitti hanno bisogno di un sostegno per accrescere la loro comprensione dell'UE, per migliorare la loro capacità d’azione, di ricerca e di analisi politica, per rafforzare le proprie organizzazioni e per costruire network tra loro. E’ necessario un appoggio politico e finanziario più sostanzioso per la protezione degli attori della società civile che operano nelle zone teatro di conflitti. Le delegazioni della CE, per esempio, spesso hanno risorse di personale insufficienti e poca esperienza nella collaborazione con attori non statali.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Inserire esplicitamente la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace nella Comunicazione della Commissione sulla partecipazione degli attori non statali alla politica di sviluppo della CE. Inoltre dovrebbero essere affrontate anche comunicazioni simili relative al ruolo degli attori non statali in altri settori delle politiche (come il commercio e le risorse naturali) e i loro collegamenti e relative ricadute sulla prevenzione dei conflitti. Questa azione dovrebbe essere intrapresa consultando i rappresentanti della società civile competenti e con esperienza pregressa nel campo della prevenzione dei conflitti.
&Mac183; Fornire appoggio ai governi dei paesi in via di sviluppo per accrescere la loro capacità di mettere in atto valide collaborazioni con la società civile e, là dove necessario, intraprendere una valutazione dello sviluppo di strutture legali trasparenti per i rapporti tra stato e società civile, fornendo a queste un appoggio.
&Mac183; Assicurare il miglioramento delle competenze degli attori della società civile affinché possano intraprendere attività di ricerca politica, di advocacy e di risoluzione dei conflitti, in modo che essi possano efficacemente collaborare con i propri governi e con l'UE sulla gamma di questioni riguardanti la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace.

SCHEDA 1.3

CASO DI STUDIO: AIUTARE LA SOCIETA' CIVILE A COMPRENDERE IL RUOLO DELL'UE NEL CORNO D'AFRICA

Per molti di coloro che lavorano per la prevenzione dei conflitti violenti, comprendere come opera l'UE può essere un processo complesso.
Saferworld ha prodotto, insieme all'Inter-Africa Group (IAG) in Etiopia, all'Africa Peace Forum (APFO) e in collaborazione con il Conflict Prevention Network, una guida completa per la società civile: Understanding the EU - a civil society guide to development and conflict prevention policies. La guida si divide in cinque sezioni, una delle quali si occupa in particolare dell'impegno dell'UE nel Corno d'Africa:
Parte I: Informazioni di base sull'UE
Parte II: L'UE e la prevenzione dei conflitti
Parte III: L'Accordo di Partenariato UE-ACP
Parte IV: L'UE e il Corno d'Africa
Parte V: Informazioni pratiche
La Guida è stata pubblicata nel luglio 2002 con l'obiettivo di venire aggiornata regolarmente alla luce delle informazioni di ritorno date dalla regione. La guida è stata distribuita direttamente alle organizzazioni della società civile e anche tramite una serie di incontri a livello locale per la crescita della consapevolezza, per permettere alle organizzazioni di sollevare questioni e fornire feedback. Ulteriori edizioni sono in programma per le altre regioni dell'ACP.
&Mac183; Dare priorità alla protezione della sicurezza degli attori della società civile all'interno di tutte le politiche e le attività dell'UE di sicurezza, umanitarie, di sviluppo e di prevenzione dei conflitti (per esempio tramite l’accompagnamento internazionale e la formazione sulle misure di sicurezza).

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CAPITOLO 2:

RAFFORZARE LA COLLABORAZIONE TRA UE E AFRICA NELLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

Sottolineiamo che occorrono ulteriori sforzi per prevenire i conflitti violenti fin dal loro insorgere, affrontandone le cause primarie in modo mirato e combinando adeguatamente tutti gli strumenti a disposizione.
PIANO DI AZIONE DEL VERTICE UE-AFRICA DEL CAIRO, APRILE 2000

Attraverso le proprie strutture di cooperazione regionale e sviluppando la PESC, l'UE ha forti opportunità di promuovere la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace in diverse regioni del mondo. Il governo greco, in particolare, si è impegnato nell'Europa sud-orientale, così come nell'area del Mediterraneo. Se da una parte i successi ottenuti in queste regioni dovrebbero essere rafforzati, dall'altra è di importanza capitale che l'UE non si concentri soltanto su aree di ovvio interesse strategico, ma anche su aree affette da una situazione cronica di sottosviluppo e conflitti, in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico (ovvero nei paesi compresi dall'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou). E' in queste regioni che la povertà, i conflitti protratti e il fallimento degli stati, forniscono un terreno fertile di riproduzione per gli aspetti negativi della globalizzazione, tra cui l'appoggio al terrorismo internazionale, la criminalità organizzata, il traffico di droga, la proliferazione e il traffico di armi portatili e di armi leggere.

L'Africa è stata interessata in totale da un terzo dei conflitti armati che si sono registrati in tutto il mondo negli ultimi dieci anni. Gli ultimi 27 paesi nella lista compilata dall'UNDP in base all'indice di sviluppo umano sono africani ed è stato stimato che vi siano 6,1 milioni di rifugiati e 20 milioni di profughi nel continente. Il primo summit straordinario dell'Unione Africana (febbraio 2003) era dedicato alla risoluzione dei conflitti in Africa e si è concluso con l'accordo per misure di pace a guida africana in sette paesi africani. Con il probabile rinvio "sine die" del Summit di Lisbona, sono state perse opportunità chiave per appoggiare questo programma. Di conseguenza, è importante che le questioni chiave riguardanti l'appoggio al dialogo UE-Africa sulla prevenzione dei conflitti violenti siano mantenute ai primi posti dell'agenda. Le speranze dunque sono ora rivolte al progetto della Presidenza italiana di ospitare un seminario UE-Africa all'inizio del suo turno.

A) COSTRUIRE LA PACE, LA SICUREZZA E LO SVILUPPO IN AFRICA: PORTARE AVANTI GLI IMPEGNI PRESI DALL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

L'UE ha la capacità unica, come unione regionale, di avere un impatto significativo e positivo sulla promozione della stabilità strutturale in Africa. Gli stati membri hanno legami storici con l'Africa e c'è un'ampia collaborazione diplomatica sul terreno. L'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou e altri accordi, facilitano le relazioni tra i blocchi regionali e l'UE rappresenta il più vasto fornitore di aiuti per la regione africana. Gli impegni riguardanti la costruzione della pace, la prevenzione, la gestione e la risoluzione dei conflitti, presi nel summit UE-Africa tenutosi al Cairo nel 2000 e sfociati nella risultante Dichiarazione del Cairo, segnano anche una volontà da parte dei Capi di Stato di entrambe le regioni di assegnare priorità a questi temi. Anche le aree convenute di azione e progresso, evidenziate nel summit di Ouagadougou del novembre 2002, che ha fatto seguito a quello del Cairo, sulla prevenzione e la soluzione dei conflitti, sono incoraggianti.

Questi impegni riflettono un crescente riconoscimento dell'importanza del peace-building, della prevenzione, della gestione e della risoluzione dei conflitti, sia per lo sviluppo e la stabilità a lungo termine del continente africano, sia per gli interessi dell'UE. Tuttavia, se gli impegni delineati nella Dichiarazione del Cairo devono essere tradotti in un progresso a lungo termine, si dovranno affrontare una serie di questioni sostanziali.

Per garantire rilevanza e validità, il processo del dialogo UE-Africa dovrebbe integrare e appoggiare il NEPAD. Così facendo, il processo fornirebbe un esplicito appoggio diplomatico e finanziario ai principi del NEPAD e ai suoi processi e attività. E' necessario, per la credibilità del dialogo UE-Africa, affrontare questioni critiche comuni, come il commercio e i sussidi agricoli; tuttavia è importante anche guardarsi da qualsiasi inutile ripetizione di comportamenti o politiche contraddittorie che possono minare entrambi i processi.

Affrontare la stabilità a lungo termine sul terreno in Africa, richiede che gli impegni presi ai più alti livelli, come per esempio quelli presi attraverso il dialogo UE-Africa, vengano tradotti in azioni pratiche. Tutte le parti dovrebbero monitorare e dare impulso alle aree convenute di azione a partire dall'incontro che farà seguito a quello di Ouagadougou e identificare una serie di nuove aree centrali di azione e di strade per l'attuazione. Ciò richiede che si rivolga attenzione anche al rafforzamento delle relazioni istituzionali, come per esempio di quelle con l'UA, l'ECOWAS, l'Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD) e la Comunità per lo Sviluppo dell'Africa Australe (SADC), e all'attuazione delle strutture finalizzate all'azione, come l'accordo Euro-Mediterraneo e l'Accordo UE-ACP di Cotonou. Occorre definire e monitorare una serie di indicatori di progresso mutualmente convenuti tra tutte le parti della Dichiarazione del Cairo. Bisogna inoltre dare priorità alla costruzione della pace, alla prevenzione, alla gestione e alla risoluzione dei conflitti, in quanto obiettivi centrali di processi come lo sviluppo dell'Iniziativa per la riduzione della povertà nei paesi poveri pesantemente indebitati (HIPC).

Per fare questo, tuttavia, c'è bisogno di una voce comune dell'UE riguardo alle priorità africane. Alcune posizioni contraddittorie e alcune azioni di politica estera tra gli stati membri dell'UE in Africa, al momento, stanno costituendo degli ostacoli nell'avanzamento del dialogo e della collaborazione tra UE e Africa. La Posizione Comune del Consiglio Europeo sulla prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti in Africa (maggio 2002), non ha raggiunto il grado di consenso necessario per affrontare con successo i conflitti. La posizione verrà rivista nel giugno 2003, quando saranno affrontate tali questioni.

E' importante che la voce della società civile sia ascoltata sia nel processo in corso, di assegnare priorità alle aree di azione all'interno della struttura del dialogo UE-Africa, sia nel processo di tradurre gli impegni in azioni efficaci. Perché la società civile possa giocare un ruolo efficace, è vitale che essa abbia accesso alle informazioni sul processo del dialogo e sulle attività connesse, e che le siano messi a disposizione lo spazio e le risorse per riflettere sulle questioni. Questo può concretizzarsi mediante un forum complementare della società civile (o più forum) in associazione con il prossimo meeting UE-Africa.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Rivedere la Posizione Comune sulla prevenzione, la gestione e la risoluzione dei conflitti in Africa del 2001, per assicurare armonia tra le posizioni degli stati membri e collaborazione in relazione ai conflitti in Africa e per una strategia unica dell’UE a lungo termine.
&Mac183; Rivedere il processo del dialogo UE-Africa per assicurarsi che sia portato avanti in modo che sia totalmente complementare rispetto alle attività in corso nelle istituzioni e nelle strutture africane (come l'UA e il NEPAD) e nelle strutture internazionali di cooperazione (come l'Accordo di Partenariato UE-ACP e il piano di azione del G8 per l'Africa).
&Mac183; Rafforzare la complementarietà tra il processo del dialogo UE-Africa e il NEPAD:
i. Fornendo un appoggio ufficiale politico e diplomatico ai principi del NEPAD;
ii. Assicurando un appoggio finanziario allo sviluppo dei processi e delle attività
del NEPAD;
iii. Rafforzando e sviluppando il meccanismo del NEPAD per la revisione tra
pari;
iv. Affrontando questioni critiche comuni come il commercio e i sussidi agricoli;
v. Assicurando e promuovendo collegamenti verticali all'interno delle società,
così come collegamenti orizzontali e diplomatici tra gli stati africani.
&Mac183; Appoggiare l'istituzione di un forum UE-Africa della società civile. Ciò potrebbe implicare sia un forum complementare istituito in associazione con il meeting ufficiale UE-Africa, sia dei forum separati nazionali o regionali ospitati dalle reti africane e dell'UE, come un meccanismo per inserire e dare impulso agli impegni presi. Questi forum potrebbero essere collegati a quelli della società civile stabiliti dall'Accordo UE-ACP di Cotonou. Ciò costituirebbe un importante precedente per il futuro coinvolgimento della società civile nel dialogo UE-Africa.
&Mac183; Valutare gli impegni per tutti gli aspetti della Dichiarazione del Cairo (per esempio sullo sviluppo e sul commercio) dal punto di vista del loro potenziale per contribuire al buon governo, alla costruzione della pace, alla prevenzione, alla gestione e alla risoluzione dei conflitti.
&Mac183; Dare priorità ad aree condivise per le azioni riguardanti la costruzione della pace e la prevenzione, la gestione e la risoluzione dei conflitti. Questo dovrebbe comprendere gli impegni a:
i. Attuare priorità di sviluppo fondamentali, come evidenziato negli Obiettivi
del Millennio;
ii. Adempiere agli impegni sul commercio assunti nella Dichiarazione del Cairo
In relazione all'accesso al mercato a dazio zero per i prodotti dei paesi in via
di sviluppo;
iii. Attuare misure per fermare lo sfruttamento illegale e il commercio delle
risorse naturali, mediante il Processo Kimberley e altri meccanismi;
iv. Rendere operativo il Sistema di Allarme Rapido dell'UA, come evidenziato
nella Dichiarazione del Cairo, e collegarlo alle strutture di allarme rapido dell'UE.
&Mac183; Sviluppare chiari programmi e parametri condivisi e misurabili per queste iniziative di prevenzione dei conflitti attraverso il processo del dialogo UE-Africa.

B) FAR PROGREDIRE LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI ALL'INTERNO DELL'ACCORDO DI PARTENARIATO UE-ACP DI COTONOU

Grandi progressi sono stati compiuti con lo sviluppo di una struttura per la prevenzione dei conflitti nei paesi ACP mediante le disposizioni dell'Accordo di Partenariato UE-ACP di Cotonou. I Documenti di strategia nazionale dell'UE, un più ampio dialogo politico e l'utilizzo di strumenti della PESC hanno aiutato questo processo, così come gli sforzi tesi ad appoggiare il coinvolgimento degli attori non statali nell'influenzare positivamente le dinamiche di pace e di conflitto mediante Cotonou (vedi scheda 1.3). Anche le Conclusioni del Consiglio Europeo sullo Sviluppo del maggio 2002 sui paesi dell'ACP in conflitto armato, hanno fornito un'utile guida per l'elaborazione di queste politiche. Tuttavia, sarà importante assicurare che queste strutture politiche siano ulteriormente tradotte in azioni pratiche, che le importanti lezioni che ne risulteranno siano apprese e che gli impatti del coinvolgimento siano attentamente monitorati.

Particolare enfasi, quindi, dovrà essere posta al fornire assistenza tecnica ai governi e alle società civili dei paesi ACP per accrescere la loro capacità di affrontare la prevenzione dei conflitti nelle strategie di progresso nazionale, nei documenti di strategia di riduzione della povertà, nelle strategie settoriali e nei programmi di spesa nazionale. Processi di revisione rapida e a medio termine dovrebbero essere utilizzati come veicolo chiave per monitorare l'attuazione degli elementi della prevenzione dei conflitti dell'Accordo di Partenariato di Cotonou, così come la coerenza delle politiche UE verso i paesi ACP dal punto di vista della prevenzione dei conflitti. Affinché questo processo abbia efficacia, è necessario che gli indicatori di rendimento che riflettono gli aspetti della cooperazione che vanno nella direzione della prevenzione dei conflitti e del peace-building, siano ulteriormente affinati e che il processo sia informato da una conoscenza profonda della situazione, ottenuta con mezzi quali i rapporti dei Capi delle Missioni dell'UE, le analisi dei conflitti, le valutazioni di impatto sulla pace e sui conflitti e la consultazione di attori non statali.

Il processo di revisione fornisce un'eccellente opportunità di collegare l'assistenza allo sviluppo ai processi politici e di dialogo politico a livello nazionale e regionale, per mezzo della quale le questioni che emergono dal processo di revisione sulla prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace possono essere usate come base di discussione tra le parti dell'accordo (insieme agli attori non statali). Scoperte chiave possono inserirsi nel processo di revisione dei Documenti di strategia nazionale con lo scopo di affrontare anche la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace mediante strategie di collaborazione. Un appoggio mirato può essere dato alle aree comprese nel dialogo (come per esempio i diritti umani) o comprese tra gli strumenti della PESC (come per esempio le dichiarazioni).

Come evidenziato nel capitolo precedente, è importante anche valutare l'impatto della politica sul commercio e sulle azioni per la prevenzione dei conflitti nella regione dell'ACP. La prevenzione dei conflitti necessita di essere considerata come una questione trasversale all'interno delle discussioni sul commercio dell'Accordo UE-ACP di Cotonou e c'è urgente bisogno di un'analisi dei potenziali impatti politici e sui conflitti delle proposte attualmente in discussione, in particolare dell'impatto dell'integrazione e della liberalizzazione economica. E’ importante che su tali questioni le parti coinvolte nelle negoziazioni e le organizzazioni della società civile ricevano un adeguato sostegno.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Fare tesoro della revisione annuale e a medio termine dell'assistenza UE-ACP come di un veicolo per monitorare l'attuazione degli elementi della prevenzione dei conflitti dell'Accordo di Cotonou e valutare l'impatto della cooperazione UE-ACP sulle situazioni di conflitto.
&Mac183; Fare uso del dialogo politico anche come di una strada per accrescere le questioni collegate alla prevenzione dei conflitti e alla costruzione della pace tra le parti dell'accordo, assicurando che le legittime e rappresentative società civili siano coinvolte in questo processo.
&Mac183; Fornire appoggio alla capacity-building, compresa l'assistenza tecnica, dei governi e degli attori non statali per accrescere la loro capacità di integrare la prevenzione dei conflitti come un obiettivo all'interno delle strategie di sviluppo nazionale, dei documenti di strategia di riduzione della povertà (PRSP), delle strategie settoriali e dei programmi di spesa pubblica.
&Mac183; Affrontare con urgenza i collegamenti tra le politiche sul commercio e la prevenzione dei conflitti all'interno della struttura delle negoziazioni sul commercio UE-ACP in corso, compresa l'analisi dei potenziali impatti politici e sui conflitti dell'integrazione e della liberalizzazione economica.

SCHEDA 2.1

CASO DI STUDIO: COOPERAZIONE DELL'UE CON IL SUDAN - COLLEGARE IL
DIALOGO POLITICO, L'ASSISTENZA ALLO SVILUPPO E IL
COINVOLGIMENTO DELLA SOCIETA' CIVILE

Nel 1990, la cooperazione ufficiale tra l'UE e il SUDAN stabilita dall'accordo di Lomé è stata sospesa in reazione a una prevalente mancanza di diritti umani, democrazia e sforzi soddisfacenti per negoziare una fine della guerra civile. Dal 2000, tuttavia, l'UE è stata coinvolta in un processo di cooperazione costruttiva nei confronti del Sudan mediante un processo di dialogo politico su questioni come i diritti umani, la democratizzazione e il processo di pace. Sulla base del progresso di questo dialogo, l'UE attualmente sta esplorando la possibilità di aprire delle consultazioni in base all'Articolo 96 di Cotonou per riesaminare la sospensione e dare inizio alla programmazione del IX Fondo Europeo per lo Sviluppo (FES). In relazione a questo dialogo è stato sviluppato un programma denominato "humanitarian plus" che utilizza i fondi non spesi del FES come un possibile precursore di una struttura a lungo termine per la cooperazione allo sviluppo. Il Sudan inoltre è diventato un paese centrale dell'Iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell'uomo (EIDHR) nel 2002, per cui le azioni finanziate mediante questa linea di bilancio saranno tese a rinforzare quelle aree comprese dal dialogo politico.
Su richiesta della Commissione Europea e del Governo del Sudan, il Centro Europeo di Gestione delle Politiche di Sviluppo (ECDPM) ha inoltre agevolato un processo di capacity-building per le società civili, per accrescere le loro capacità di collaborare a un futuro dialogo politico e alla programmazione e attuazione dello sviluppo. Questo processo ha incluso la crescita di consapevolezza e la mappatura degli attori non statali.

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CAPITOLO 3

INTEGRARE GESTIONE DELLE CRISI E PREVENZIONE DEI CONFLITTI.

E' necessaria una maggiore riflessione sull'uso delle capacità di gestione delle crisi, in particolare nel campo civile, per scopi preventivi.
ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DELL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI VIOLENTI, GIUGNO 2002

L'impegno preso dall'UE di dispiegare personale militare nelle crisi è stato confermato dalla creazione della Forza di reazione rapida (RRF). Tuttavia, le operazioni militari da sole otterranno poco più che il contenimento temporaneo di una situazione di crisi, se non verranno create le condizioni per il perseguimento di obiettivi più ampi da parte degli attori civili. Una risposta civile-militare coerente massimizzerebbe il potenziale per disinnescare i conflitti, fornendo sicurezza e capacità di costruzione della pace alle popolazioni locali. Anche se le risposte operative congiunte civili e militari sono un aspetto essenziale della gestione delle crisi, bisogna fare attenzione, tuttavia, ad assicurare che qualunque risposta civile-umanitaria mantenga la propria indipendenza politica da quella militare.

L'UE ha riconosciuto il ruolo chiave dei civili nella gestione delle crisi e importanti progressi sono stati compiuti negli anni passati nello sviluppo dello spiegamento di personale civile per la gestione delle crisi8. Gli obiettivi per il personale civile nelle quattro aree civili di gestione delle crisi identificati dal Consiglio Europeo di Feira (operazioni di polizia, stato di diritto, amministrazione civile e protezione civile) che si dovrebbero raggiungere entro il 2003, sono stati superati mediante gli impegni volontari degli stati membri. La Missione di Polizia dell'UE (EUPM) è subentrata alla Forza di Polizia Internazionale dell'ONU in Bosnia-Erzegovina nel gennaio 2003. La Commissione ha anche istituito una rete di istituzioni nazionali specializzate nella formazione all’intervento civile nelle crisi con lo scopo di sviluppare moduli di formazione comune per il personale civile nelle aree dello stato di diritto e dell'amministrazione civile. Il Consiglio ha espresso apprezzamento per la creazione di un Piano di Azione per l'ulteriore rafforzamento di un coordinamento civile-militare nella gestione delle crisi, che dovrebbe essere completato prima della fine del turno della Presidenza greca.

L'UE ha buone opportunità di sviluppare e integrare una capacità di gestione civile delle crisi, e questi sviluppi sono benvenuti. Tuttavia, dal punto di vista del peace-building, non si sta prestando sufficiente attenzione a collegare la gestione delle crisi alle strategie di prevenzione a lungo termine dei conflitti. La sola gestione delle crisi non può apportare soluzioni sostenibili ai conflitti violenti, anche se a breve termine può fornire la stabilità necessaria affinché il lavoro di prevenzione a lungo termine dei conflitti metta radici e, a sua volta, prevenga il riaccendersi di conflitti. Deve essere stabilita una struttura chiara, coerente e integrata per la gestione delle crisi come parte di un più ampio obiettivo di prevenzione dei conflitti, se l'UE intende mantenere i propri impegni.

Allo stesso modo, anche se gli impegni quantitativi relativi al raggiungimento degli obiettivi per il personale civile nelle quattro aree civili di gestione della crisi sono stati adempiuti, più attenzione va posta agli aspetti qualitativi, esplicitando ad esempio le modalità in cui le polizie dei diversi stati membri lavoreranno insieme sul campo. I diversi stati membri hanno differenti stili di polizia e differenti approcci ed è importante che sia promosso e sviluppato un efficace modello comune. Inoltre, l'UE dovrebbe sviluppare e lavorare al di là delle quattro aree prioritarie, per includere la diplomazia preventiva, come per esempio i rappresentanti speciali e i mediatori. Ulteriori fondi andrebbero forniti per aumentare il numero di rappresentanti speciali. Questi dovrebbero essere dotati di maggiore flessibilità e dovrebbero meglio integrarsi nelle politiche del Comitato Politico e di Sicurezza (CPS).

Al fine di migliorare il funzionamento delle capacità di gestione delle crisi, le strutture istituzionali dell'UE dovrebbero essere rese più compatibili. La struttura a pilastri ostacola la capacità dell'UE di collegare efficacemente i propri strumenti di gestione civile delle crisi con i propri strumenti di prevenzione dei conflitti (vedi Capitolo 5). La gestione delle crisi fondamentalmente è di competenza del secondo pilastro, tuttavia molti degli aspetti civili della gestione delle crisi sono di competenza del primo pilastro. Questa divisione di lavoro e responsabilità tra i pilastri e tra le istituzioni e i corrispettivi dipartimenti (per esempio il PSC, il PPEWU, l'MRR e l'FRR) può portare a una mancanza di coordinamento. Ciò impedisce il progresso sulle questioni collegate al finanziamento, allo sviluppo del processo decisionale e delle procedure di attuazione, allo sviluppo e al mantenimento dei piani di lavoro e delle questioni collegate alla formazione. Anche l'assenza di una terminologia e di pratiche chiare tra le altre istituzioni può essere problematica, se si considera per esempio che l'UE, la NATO, l'OSCE e l'ONU partecipano tutte alla gestione delle crisi con modalità differenti tra loro.

L'EUPM è subentrata alla Forza di Polizia Internazionale in Bosnia-Erzegovina nel gennaio 2003 (vedi scheda 3.1). Essa rappresenta la prima operazione di gestione civile delle crisi nel contesto della PESD e costituirà un'importante prova della capacità dell'UE e della sua collaborazione con le altre istituzioni coinvolte nella gestione delle crisi. Per avere efficacia, tuttavia, l'UE dovrebbe assicurarsi che le sue attività promuovono un programma di riforme a lungo termine che ricopra tutte le aree del settore della sicurezza, di cui la polizia è solo una parte.


SCHEDA 3.1

CASO DI STUDIO: LA MISSIONE DI POLIZIA DELL'UE (EUPM) IN BOSNIA-ERZEGOVINA

Nel gennaio 2003, l'EUPM è subentrata alla Forza di Polizia Internazionale dell'ONU (IPTF). La missione è tesa a creare entro il 2005 "un'agenzia di applicazione della legge, professionale, politicamente neutrale ed etnicamente imparziale". Delle quattro aree prioritarie per la gestione civile delle crisi fissate dal Consiglio Europeo di Feria, l'EUPM tenderà ad affrontare tutti gli aspetti collegati allo stato di diritto, tra cui i programmi di institution building e le operazioni di polizia. I principali obiettivi dell'EUPM saranno: monitorare, ispezionare e rafforzare la delega dei poteri; i principi di gestione quality oriented; le capacità di pianificazione operativa; e il livello della professionalità tra i ministri e i funzionari di polizia. L'EUPM inoltre monitorerà l'esercizio di un adeguato controllo politico sulla polizia. Questo approccio basato sulla gestione non richiederà una componente di polizia armata.
L'EUPM come modello per il futuro?
L'EUPM è relativamente piccola, poco costosa e gode di un ampio appoggio politico. Si è avuto molto tempo a disposizione per preparare il passaggio dall'IPTF all'EUPM; gli stati membri hanno con successo istituito nuove strutture di comando, misure di coordinamento interno, il coinvolgimento di paesi terzi e finanziamenti. Gli stati membri, tuttavia, hanno chiarito che i dispositivi utilizzati per istituire questa missione non forniscono un modello per le operazioni future. Tenere presente che operazioni più grandi e più complicate incontreranno probabilmente ostacoli logistici, politici e finanziari più grandi, sarà importante per delineare chiari principi guida per le operazioni future. Queste linee guida potrebbero costituire delle lesson-learned per altre missioni di riforma di polizia (vedi la pubblicazione di prossima uscita, Policing the Peace, Gordon Peake, Saferworld, prevista per aprile 2003).

In una prospettiva più globale, l'UE si è concentrata sulle reazioni ai conflitti in aree strategiche e sotto i riflettori (come per esempio nell'Europa sud-orientale), a spese dei paesi più poveri, in cui hanno luogo i conflitti più violenti e dove settori fuori controllo della sicurezza, mettono in pericolo la stabilità a lungo termine e aumentano il rischio di conflitti. Per esempio, non è in programma alcuna missione UE di gestione civile delle crisi in Africa, anche se la proposta franco-britannica di sviluppare la PESD in questa direzione costituisce uno sviluppo positivo9. L'UE ha riconosciuto l'importanza di una Riforma del Settore della Sicurezza (SSR)10, e sta partecipando all'SSR all'interno della struttura intergovernativa della PESD nei Balcani, in modo particolare in Bosnia-Erzegovina. Tuttavia, gli stati membri appaiono riluttanti a garantire alla Commissione l'autorità per partecipare attivamente a questo tipo di operazioni in altre regioni.

Se da una parte è importante collaborare e rafforzare la capacità dei governi di fornire sicurezza, dall'altra è importante anche che gli stessi cittadini siano coinvolti. L'UE dovrebbe appoggiare gli sforzi delle società civili nei paesi in via di sviluppo che stanno rafforzando degli approcci partecipativi alla sicurezza, come i programmi di polizia su base comunitaria (vedi scheda 3.2). L'UE inoltre dovrebbe incoraggiare le missioni civili a costruire capacità locali al fine di prevenire i conflitti violenti fin dal loro insorgere. A questo scopo potrebbero essere utili, per esempio, dei Corpi Civili di Pace Europei (vedi scheda 3.3).

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Integrare ulteriormente la gestione delle crisi alle capacità di gestione dei conflitti per trattare e rafforzare il loro impatto a breve, medio e lungo termine. A questo fine, la pianificazione civile e militare nell'UE dovrebbe essere più integrata e la Commissione dovrebbe essere un partner alla pari nei processi di pianificazione in modo che le azioni civili nelle situazioni di crisi siano coordinate, rapide e flessibili.
&Mac183; Lavorare per fissare delle definizioni e delle pratiche chiare con le altre istituzioni che partecipano alla gestione delle crisi (l'ONU, l'OSCE e il Consiglio d'Europa) per assicurare che le risposte siano complementari.
&Mac183; Sviluppare una struttura concettuale e pratica per il coordinamento civile-militare, che comprenda piani di azione e dettagliate linee di processi decisori, responsabilità e condivisione di informazioni trasversali rispetto ai pilastri, alle istituzioni e alle missioni, per assicurare l'efficacia e la trasparenza.
&Mac183; Affidare a un ente la responsabilità di farsi carico del monitoraggio e della valutazione delle operazioni di gestione civile delle crisi. Un ente di questo tipo potrebbe, per esempio, trarre vantaggio dall'esperienza e dalle lessons-learned della missione di polizia in Bosnia-Erzegovina per informare le missioni future.
&Mac183; Sviluppare un modello comune e stabilire dei traguardi per migliorare la qualità e il coordinamento del personale civile coinvolto nelle quattro aree prioritarie della gestione civile delle crisi.
&Mac183; Andare oltre le quattro aree prioritarie della gestione civile delle crisi per includere la diplomazia preventiva, per esempio accrescendo il ruolo dei rappresentanti speciali e dei mediatori.

SCHEDA 3.2

CASO DI STUDIO: AZIONI DI POLIZIA SU BASE COMUNITARIA IN KENIA: AFFRONTARE LA QUESTIONE DELLE ARMI PORTATILI E RIFORMARE IL SETTORE DELLA SICUREZZA

Forze di polizia e di sicurezza non professionali e non controllate possono far nascere diffidenza e sospetto tra le comunità. Questo rende difficile perseguire le strategie tese a promuovere la pace e ad assicurare la cooperazione del pubblico per contrastare il traffico di armi portatili e può, al contrario, far crescere la domanda di armi.
In Kenia, il Kenya Institute of Administration (KIA) e la Polizia keniota, in associazione con Saferworld e il Security Research and Information Centre (SRIC), stanno sviluppando un progetto pilota di azioni di polizia su base comunitaria in due distretti del Kenia. Tra gli aspetti fondamentali del progetto c'è lo sviluppo di una politica di azioni di polizia su base comunitaria, di formazione della polizia, delle organizzazioni della società civile, e sulla indipendenza dei media.
Una questione centrale del progetto consiste nell'allertare le comunità sui pericoli delle armi portatili e nello sviluppo di livelli di fiducia in modo tale che gli individui abbiano il coraggio di segnalare le azioni criminali armate. La riforma della polizia comporta aspetti centrali della prevenzione dei conflitti e delle politiche di sicurezza e questo tipo di modello può essere esteso ad altre regioni.

Che cosa sono le azioni di polizia su base comunitaria?

&Mac183; Azioni di polizia basate sul consenso e non sulla coercizione.
&Mac183; Accordi tra la polizia, le ONG, i gruppi della comunità e le organizzazioni di donatori.
&Mac183; Appoggiarsi alle strutture locali esistenti (tra cui le autorità tradizionali, le reti religiose e le strutture di affari).
&Mac183; Cambiamento attitudinale e comportamentale della polizia e del pubblico.
&Mac183; Rispetto per gli standard internazionali sui diritti umani.
&Mac183; Appoggio, rafforzamento e consapevolezza di genere per le vittime.
&Mac183; Mirare ad attività che favoriscano i gruppi più poveri e più vulnerabili della società.

SCHEDA 3.311

CASO DI STUDIO: ISTITUIRE UN CORPO CIVILE DI PACE EUROPEO (CCPE)

Nel febbraio 2003 il Gruppo di Contatto dell'UE sulla PESC (europarlamentari, commissari europei e ONG con base a Bruxelles) si è riunito al Parlamento Europeo a Bruxelles per riprendere i progetti riguardanti la costituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo.

Un primo passo significativo, in questa direzione, risale al Consiglio Europeo di Feira (19/20 Giugno 2000) il quale ha identificato quattro aree prioritarie di lavoro per l’intervento civile nei conflitti: stato di diritto, amministrazione civile, protezione civile e polizia; ritenendo necessario istituire professionalità specifiche da impiegare in operazioni congiunte condotte da altre agenzie, come le Nazioni Unite o l’OCSE, o in missioni autonome guidate dall’Unione stessa.
Questo impegno è stato reiterato dal Consiglio Europeo di Nizza (7/8/9 Dicembre 2000), sottolineando che l’Unione Europea dovrebbe “continuare la discussione al suo interno sulla base delle raccomandazioni fatte dal Consiglio Europeo di Feira con lo scopo di definire obbiettivi concreti e fornire all’Unione risorse adeguate allo scopo di intervenire efficacemente nelle crisi politiche complesse”12. Inoltre la Risoluzione del Parlamento Europeo sulle proposte della Commissione per la prevenzione dei Conflitti accoglie “il programma per la prevenzione dei conflitti violenti deciso dal Consiglio Europeo di Goteborg il 15 e 16 giugno 2001, e in particolare il concetto della ‘cultura della prevenzione’ come è espresso in quel programma”13
Dai Consigli Europei di Feira e Goteborg si evince la convinzione che un CCPE potrebbe contribuire positivamente alla politica estera dell'Unione, laddove venisse impiegato nel tentativo di evitare che i conflitti negli Stati terzi o tra stati terzi, degenerino in violenze.

Sulla base delle indicazioni generali fornite nei documenti citati, un CCPE dovrebbe adottare un approccio globale alla costruzione della pace, con un range di attività quali: la mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti, l'aiuto umanitario, la reintegrazione e il recupero degli ex combattenti, la ricostruzione, la stabilizzazione delle strutture economiche, il monitoraggio dei diritti umani, dell’informazione e della possibilità di partecipazione politica; l'amministrazione provvisoria per agevolare la stabilità a breve termine e la creazione di programmi in materia di istruzione tesi ad eliminare i pregiudizi e i sentimenti di ostilità.
Un CCPE dovrebbe contribuire a creare i necessari collegamenti tra le attività diplomatiche da un lato, e la società civile dall'altro e potrebbe avere i seguenti valori aggiunti: in qualità di Corpo Ufficiale dell'UE potrebbe assicurare che i fondi EU vengano spesi in progetti compatibili con gli interessi europei; garantire visibilità all’impegno dell’UE; supportare gli stati membri dell’EU nella preparazione e nel reclutamento del personale per le missioni.
L'attività del CCPE dovrebbe essere strutturata ed organizzata indipendentemente dagli organi militari, pur basandosi sulla cooperazione con i militari laddove le missioni del CCPE coincidano con le operazioni per il mantenimento della pace.
Il lavoro di un CCPE dovrebbe relazionarsi in una efficiente cooperazione con le ONG rafforzandone e legittimandone il lavoro. In questo senso la prima struttura di un CCPE potrebbe basarsi sull'esperienza dei network di ONG esistenti, valorizzando le competenze acquisite in anni di interventi nei conflitti dalla società civile.
Nonostante un concetto chiaro di CCPE debba ancora essere sviluppato, vi sono tutte le potenzialità per la realizzazione di un primo progetto pilota.

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CAPITOLO 4:

AFFRONTARE IL TERRORISMO, LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA E I TRAFFICI ILLECITI

Dopo gli attacchi dell'11 settembre, l'UE ha compiuto sforzi considerevoli tesi all'attuazione di una strategia antiterrorismo ampia e coerente, che affronti molteplici aspetti. Alcuni elementi di questa strategia sono strettamente collegati alla prevenzione dei conflitti. Le azioni intraprese nella lotta contro il terrorismo e il dialogo UE-Africa si possono considerare strategie coerenti. Cionondimeno, rimangono difficoltà nell'acquisizione di un'ampia prospettiva sulla prevenzione dei conflitti.
ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DELL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI VIOLENTI, GIUGNO 2002

La criminalità organizzata è una minaccia comune. Richiede una risposta coordinata e duratura.
JAVIER SOLANA, CONFERENZA DI LONDRA SULLA CRIMINALITA' ORGANIZZATA, NOVEMBRE 2002

L'espansione dell'UE comporterà una serie di opportunità che gioveranno all'Europa. Tuttavia, le attività criminali e terroristiche, tra cui il traffico illecito di esseri umani, denaro, droghe e armi, costituiranno una grande sfida per la sicurezza. Le reti terroristiche e criminali possono facilmente stabilire dei rapporti di lavoro mutualmente benefici, destabilizzando ulteriormente le comunità, gli stati e le regioni deboli e portando in alcuni casi ai conflitti.

I gruppi criminali organizzati hanno beneficiato delle situazioni di conflitto e post-belliche nell'Europa sud-orientale e in aree più lontane, creando gravi problemi sociali, politici ed economici in tutta Europa. La criminalità organizzata può coinvolgere tutti i settori della società, spesso è accettata e perfino assistita politicamente e priva gli stati di utili introiti, dal momento che i fondi spariscono in un'economia "grigia". Pressoché ogni paese europeo è in qualche misura afflitto dal traffico di esseri umani e armi, dalla corruzione e dalla malavita organizzata.

A) COMBATTERE IL TERRORISMO MEDIANTE UN APPROCCIO BASATO SULLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

Dall'11 settembre la "guerra contro il terrore" ha dominato il dibattito internazionale. I gruppi terroristici hanno dato luogo a una forte minaccia alla sicurezza internazionale, come hanno dimostrato gli attacchi a Bali, in Kenia, in Russia, in Tunisia e in altri paesi. Tuttavia, c'è il pericolo che le risposte internazionali si concentrino principalmente sulle azioni di polizia e sulle misure militari di emergenza e non affrontino adeguatamente la necessità di sviluppare efficaci strategie per la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace.

Anche se il terrorismo è generalmente riconosciuto come un prodotto della povertà e della privazione, i terroristi non sempre hanno un background di forte povertà e privazione. Tuttavia, la povertà e l'arretratezza culturale, così come i rancori politici non risolti, possono costituire un terreno fertile per il terrorismo, facendo sì che esso trovi appoggio, simpatizzanti e nuovi adepti. Le persone spesso si affidano al terrorismo quando si sentono emarginate e incapaci di promuovere i loro punti di vista con metodi legittimi, di conseguenza è importante separare quelle che potrebbero essere delle opinioni e dei rancori legittimi, dall'espressione violenta della frustrazione utilizzata dai terroristi. Le cause profonde del terrorismo sono, quindi, spesso le stesse cause che stanno alla base dei conflitti ed è essenziale che le politiche commerciali ed economiche dell'UE non inaspriscano inavvertitamente le condizioni in cui prolifera il terrorismo (vedi Capitolo 1). Il documento OCSE14, che affronta il ruolo della cooperazione allo sviluppo nella prevenzione del terrorismo, e la dichiarazione congiunta UE-Africa sul terrorismo stilata al summit di Ouagadougou nel novembre 2002, che ha fatto seguito a quello del Cairo, sono contributi positivi alla discussione internazionale, in particolare per quanto riguarda le cause profonde del terrorismo.

Spesso i terroristi provengono da società in cui la dissidenza è soppressa e i diritti umani violati. Sviluppando forme di governo rispondenti e legittime nei paesi in via di sviluppo (soprattutto negli stati "che hanno fallito" o che "stanno fallendo"), l'UE potrebbe ridurre una fonte e un rifugio fondamentale per il terrorismo (vedi scheda 4.1). La riduzione della povertà e la promozione dei processi democratici dovrebbero dunque essere due dei principali strumenti a lungo termine nella prevenzione del terrorismo per l'UE.

Inoltre dovrebbe venire affrontato il coinvolgimento politico e diplomatico dell'UE nelle questioni che alimentano le azioni terroristiche. Sviluppare una strategia più efficace per risolvere il conflitto arabo-israeliano è fondamentale per questo scopo. La disaffezione di molti nel mondo arabo è alimentata dalle ingiustizie avvertite come attuate dalla guida occidentale del processo di pace in Medioriente. Anche il conflitto in Iraq è un fattore importante. Intraprendendo un'azione militare contro l'Iraq senza avviare un nuovo sforzo diplomatico per risolvere il conflitto arabo-israeliano e per creare uno stato palestinese, si rischia di far crescere l'appoggio al fondamentalismo.

Il ruolo dell'ONU nel tentare di affrontare il terrorismo, è capitale. L'UE deve assicurare che il ruolo dell'ONU sia rafforzato. Nonostante i suoi difetti, l'ONU rimane ancora lo strumento internazionale più efficace e legittimo per la gestione dei conflitti. Anche i trattati internazionali, i diritti umani e le leggi umanitarie esistenti forniscono una struttura in cui possono essere in qualche modo migliorati i peggiori eccessi di conflitti violenti.

Nell'affrontare le minacce terroristiche interne, la risposta dell'UE è stata comprensibilmente dominata dal rafforzamento dell'applicazione della legge. La rapida espansione nelle competenze e nei poteri dell'Europol, dovrebbe essere attentamente monitorata data la potenziale minaccia alle libertà civili e ai diritti umani che la legislazione antiterrorismo può rappresentare. Nella valutazione della minaccia redatta dall'Europol nel 2000-2001 si afferma che il terrorismo islamico rappresenta "la più grande minaccia" all'Unione Europea. Tuttavia, è importante non semplificare troppo il problema concentrandosi su al-Qaeda a spese delle altre minacce come i gruppi terroristi indigeni e la criminalità organizzata.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Riconoscere che sviluppare e accrescere il ruolo dell'UE nella prevenzione a lungo termine dei conflitti e nella costruzione della pace (utilizzando a questo scopo tutti gli strumenti a disposizione) è una delle risposte più efficaci con cui affrontare e contrastare le cause profonde del terrorismo.
&Mac183; Continuare a lavorare con il "Quartetto" (USA, UE, ONU e Federazione russa) per sviluppare la road map per la pace in Medioriente, stabilendo un limite di tempo per la sua attuazione.
&Mac183; Assicurare che a livello internazionale la "guerra al terrorismo" sia condotta nel pieno rispetto della carta delle Nazioni Unite, in accordo con i trattati internazionali esistenti e con le leggi umanitarie e sui diritti umani internazionali.
&Mac183; Assicurare che gli stati membri e i paesi terzi non usino la "guerra al terrorismo" come un pretesto per interferire e restringere lo spazio politico, i processi giudiziari e i diritti umani, o per distogliere le risorse dalle politiche di prevenzione a lungo termine dei conflitti.

SCHEDA 4.1

IL TERRORISMO E IL CORNO D'AFRICA

Pur riconoscendo l'importanza dell'eliminazione delle minacce poste dalle organizzazioni terroristiche internazionali, i militari statunitensi attualmente nel Corno d'Africa costituiscono dei gravi rischi per le prospettive a lungo termine di pace e stabilità. Gli attacchi statunitensi o degli alleati ai paesi della regione rischiano di esacerbare le tensioni esistenti e di radicalizzare le popolazioni locali.

I precedenti interventi anti-terrorismo nella regione - come la chiusura della compagnia di telecomunicazioni e del sistema di trasferimento di denaro in Somalia del gruppo finanziario di Al-Barakaat, accusato di lavaggio e riciclaggio di denaro per conto di al-Qaeda - sono tornati a danno della popolazione civile e hanno creato dei traumi economici destabilizzanti.

Un'altra importante area che richiede urgente attenzione nel Corno d'Africa è l'appoggio della smobilitazione e della reintegrazione nella società di ex combattenti nel Gibuti, in Eritrea e in Etiopia. La reintegrazione e la creazione di valide opportunità economiche per queste persone sono spesso negate, ma sono vitali per ridurre il numero potenziale di individui che potrebbero essere reclutati in organizzazioni terroristiche (al-Qaeda ha origine con i volontari stranieri che hanno combattuto contro le forze sovietiche in Afghanistan e non sono mai stati smobilitati con successo).

Trovare soluzioni sostenibili ai conflitti protratti, come quello in Somalia, è un altro elemento chiave della lotta contro il terrore nella regione. Le aree di conflitto protratto e di fallimento dello stato sono potenziali porti per le cellule terroristiche. Il processo di pace in corso per la Somalia appoggiato dall'UE, che si sta promuovendo entro la struttura dell'IGAD, ospitato dal Kenia e appoggiato dalla comunità internazionale, fornisce un'opportunità per compiere progressi verso un accordo politico.


B) AFFRONTARE LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA

Fronteggiare la criminalità organizzata è una grande preoccupazione dell'UE. Javier Solana ha detto nel novembre 2002, che "la lotta contro la criminalità organizzata è una delle sfide fondamentali del nostro tempo"15 ed è positivo che la Presidenza greca abbia assegnato priorità a tale questione, dal momento che è geograficamente collegata ai paesi dell'Europa sud-orientale, in cui la criminalità organizzata e la proliferazione delle armi sono motivo di grande preoccupazione. Il Processo di Zagabria per fronteggiare la criminalità organizzata (novembre 2000), che ha coinvolto gli stati membri dell'UE, la Commissione Europea e i paesi del Processo di Stabilizzazione e Associazione, è stato un importante passo avanti. Un altro summit in programma per il giugno 2003 a Salonicco, si concentrerà su fino a che punto sono state intraprese azioni concrete contro la criminalità organizzata (vedi scheda 4.2.).

Per realizzare efficacemente gli impegni presi sulla lotta al crimine organizzato, è necessario vincere le sfide chiave nelle aree del coordinamento, della legislazione e del finanziamento. Un migliore coordinamento tra le agenzie e gli stati coinvolti negli sforzi tesi a combattere la criminalità organizzata è necessario per assicurare che questi sforzi ottengano successi ottimali, mediante una chiara definizione dei ruoli e delle responsabilità. Allo stesso modo, dovrebbe esserci uno scambio di informazioni molto più ampio tra gli stati e le agenzie che collaborano per combattere la criminalità organizzata. La riforma legislativa è necessaria per armonizzare le leggi, i codici penali e le procedure giudiziarie dei diversi paesi per coordinare con più efficacia le azioni contro il crimine organizzato. Questo comporta che siano compresi gli impegni alla trasparenza bancaria tra gli stati. Purtroppo, mancano molte delle risorse necessarie per intraprendere queste iniziative. L'Interpol, per esempio, uno degli enti più avanzati coinvolti nella lotta contro il traffico illecito di armi, che possiede l'unica banca dati sulle armi rubate e recuperate, ha solo un analista che lavora unicamente al traffico di armi da fuoco.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Aumentare le risorse per migliorare il coordinamento e lo scambio di informazioni tra le agenzie e gli stati coinvolti negli sforzi tesi a combattere la criminalità organizzata e assegnare maggiore priorità al problema e alle implicazioni del traffico di armi leggere quando queste sono collegate alla criminalità organizzata.
&Mac183; Sviluppare la capacità del Centro regionale per la lotta alla criminalità transfrontaliera, con sede a Bucarest, istituito dall'Iniziativa per la Cooperazione nell'Europa sud-orientale (SECI), e completare la formazione (secondo gli standard dell'Europol) degli specialisti di criminalità del Centro, così come aumentare il numero degli scambi operativi ufficiali con l'Europol sulle inchieste riguardanti la criminalità organizzata.
&Mac183; Attuare gli impegni sottoscritti dai paesi nella Dichiarazione di Londra per la presentazione ai parlamenti entro il 2003 di nuove leggi sul monitoraggio delle transazioni bancarie e sull’eliminazione del segreto bancario, ed assicurare che i disegni di legge siano compatibili con gli standard della Task Force di Azione Finanziaria


SCHEDA 4.2

LA CONFERENZA DI LONDRA SULLE MISURE VOLTE A "SCONFIGGERE LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA NELL'EUROPA SUD-ORIENTALE", NOVEMBRE 2002

Cinquantasei delegazioni hanno sottoscritto alla Conferenza di Londra un impegno congiunto per sconfiggere la criminalità al suo nascere, nel suo divenire e nelle sue destinazioni.
Uno sforzo congiunto e coordinato dovrà porre attenzione alle azioni tecniche e operative contro i più importanti aspetti della criminalità organizzata:
&Mac183; Immigrazione illegale e traffico di esseri umani
&Mac183; Traffico di droghe e armi
&Mac183; Grande criminalità transfrontaliera o di altro tipo
&Mac183; Corruzione

Le azioni prioritarie sono:
&Mac183; Lavorare per conformarsi agli standard europei della lotta alla criminalità
&Mac183; Costruire un appoggio pubblico alle azioni contro la criminalità
&Mac183; Migliorare la cooperazione regionale

I progressi saranno monitorati alla Conferenza di Salonicco nel giugno 2003

C) COMBATTERE IL TRAFFICO ILLECITO DI ARMI CONVENZIONALI

Il commercio illecito di armi portatili e armi leggere (SALW) gioca un ruolo chiave nell'alimentare i conflitti, la criminalità organizzata e la corruzione all'interno dell'UE e a livello internazionale (vedi scheda 4.3). Negli ultimi 50 anni la grande maggioranza delle vittime di conflitti è dovuta a questo tipo di armi. Attualmente l'attenzione internazionale è concentrata in gran parte sul negare l'accesso ai gruppi terroristici e agli stati alle armi di distruzione di massa, ma questi sforzi andrebbero rafforzati e completati con una più grande attenzione al controllo del commercio delle armi convenzionali, tra cui le armi portatili e le armi leggere. I trafficanti di armi spesso organizzano trasferimenti di armi nelle aree in conflitto, soprattutto in Africa. Controlli ampi sui trafficanti di armi dovrebbero dunque essere una parte vitale degli sforzi internazionali tesi a prevenire i conflitti violenti e a combattere la criminalità organizzata e il terrorismo.

Al summit del Cairo, i governi dell'UE e dell'Africa si sono accordati per "Intensificare gli sforzi per cooperare pienamente in forum internazionali per combattere il problema del traffico illegale di armi portatili e armi leggere, compresa la riduzione del flusso di armi verso le regioni teatro di conflitti e l'appoggio alle pertinenti iniziative africane ed europee". E’ stato inoltre concordato di "Adoperarsi per garantire il successo in tutti i suoi aspetti della conferenza dell'ONU sul commercio illegale di armi portatili e armi leggere prevista per il 2001". La conferenza dell'ONU è stata per molti versi un'opportunità mancata, dal momento che non è stata applicata nessuna misura vincolante per legge. Gli stati però hanno concordato un Programma di Azione abbastanza ampio che, se pienamente attuato, rappresenterebbe un grande passo avanti nella lotta al traffico illegale di SALW. La conferenza di revisione biennale del luglio 2003 fornisce una importante opportunità per rivedere i progressi e perché l'UE incoraggi ulteriori azioni per attuare il Programma d'Azione dell'ONU.

L'UE ha compiuto un passo avanti positivo, concordando controlli sul traffico di armi nel novembre 2001. Tuttavia, gli stati membri non sono obbligati a includere queste misure nelle loro leggi nazionali, i controlli non sono extraterritoriali e i paesi dell'Europa centrale e orientale devono ancora sottoscrivere i controlli sul traffico.

Ma non è solo il traffico illegale che rappresenta un problema. Le licenze governative di vendita continuano ad arrivare nelle zone teatro di conflitti e di crisi di diritti umani. Il Codice di Condotta dell'UE in materia di esportazione di armi è stato adottato nel 1998 e ancora rimangono una serie di aree che necessitano di essere affrontate per prevenire il flusso di armi in queste regioni. Tra queste è compresa la necessità di migliorare il sistema di rapporto annuale, di sviluppare i meccanismi di rifiuto e consultazione e di introdurre efficaci misure per controllare il traffico di armi e i controlli sull'utilizzo finale.

L'allargamento dell'UE fornisce una preziosa opportunità per rafforzare il controllo sulle armi nella più ampia regione europea. Anche se i paesi dell'Europa centrale e orientale hanno compiuto negli ultimi anni importanti miglioramenti alle loro politiche di controllo sull'esportazione di armi, la regione continua a essere un'importante fonte e via di transito per il trasferimento di armi, come hanno mostrato recenti spedizioni all'Iraq effettuate da alcuni paesi. Sebbene molti paesi abbiano assunto impegni politici per tener fede al Codice dell'UE, le spedizioni illegali passano ancora inosservate e molto rimane da fare per inasprire le leggi e le pratiche sul controllo sull'esportazione di armi. I paesi candidati richiedono particolare assistenza nell'attuazione dei controlli. E’ un fatto positivo che nell'aprile 2003 i paesi candidati prenderanno parte alle riunioni del gruppo di lavoro sulla PESC insieme a quello sulle COARM (gruppo “Esportazione di armi convenzionali”) e a quello sul CODUN (gruppo “Disarmo globale e controllo delle armi”), in quanto ciò migliorerà, per esempio, lo scambio di informazioni.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Stabilire una posizione congiunta UE-Africa che assegni priorità agli accordi internazionali sul controllo delle esportazioni, sul traffico d'armi e sulle forniture ad attori non statali, prima della riunione della Conferenza biennale dell'ONU sulle armi leggere del luglio 2003.
&Mac183; Concordare un'Azione Congiunta o Posizione Comune con i governi dell'Europa centro-orientale sul traffico d'armi e adottare severe leggi e sistemi di monitoraggio per tutti i movimenti di armi e di materiali connessi nei loro territori.
&Mac183; Dare priorità a un migliore coordinamento con i paesi associati per aiutare i paesi candidati ad attuare il Codice di Condotta dell'UE.
&Mac183; Sviluppare un meccanismo di scambio di informazioni per mezzo del quale la conoscenza dei problemi degli utilizzatori finali o dei trasferimenti siano comunicati tra gli stati membri.
&Mac183; Assicurare che i paesi candidati più prossimi ad aderire all'UE siano più strettamente coinvolti nello scambio di informazioni e nei meccanismi di consultazione.
&Mac183; Fornire appoggio tecnico e finanziario alle iniziative sub-regionali, come il Piano di Attuazione Regionale per l'Europa sud-orientale, la Dichiarazione di Nairobi e il Protocollo SADC.

SCHEDA 4.3

CASO DI STUDIO: I CRIMINI ARMATI NELL'UE

La disponibilità di armi da fuoco è parte di un fenomeno globale. Nel 2002, 638 milioni di armi portatili e di armi leggere sono state in circolazione in tutto il mondo, con un aumento del 16% rispetto ai dati del 2001. Anche se i dati fluttuano, i crimini armati sono una questione che devono affrontare tutti i paesi dell'UE. Il Regno Unito, per esempio, ha visto nel 2002 un aumento del crimine armato del 35%, mentre in Francia nel 2001, le rapine a mano armata sono aumentate del 9,8%. L'Italia ha visto una riduzione del 15% degli omicidi nel 2001, ma la preoccupazione nei confronti dei crimini violenti rimane alta16.
L'Europa sud-orientale, centrale e orientale è sempre più la fonte delle armi da fuoco presenti per le strade europee. Questi paesi sono anche la fonte principale delle armi che entrano nelle zone di guerra africane. Nella regione vi sono grandi stock rimasti dopo la Guerra Fredda, una mancanza di capacità di controllo sul traffico e un bisogno disperato di denaro. Più di 350.000 armi, per esempio, sfuggono ancora al controllo in Albania dopo il crollo dell'autorità dello stato nel 1997.
Gli stati membri dell'UE dovrebbero aumentare gli sforzi tesi a ridurre l'espansione e la disponibilità di armi alla fonte nell'Europa orientale e sud-orientale e aumentare la loro opera con i paesi candidati per inasprire i loro controlli prima che questi paesi vengano ammessi all'UE. Sono necessarie più risorse per fronteggiare la proliferazione nell'Europa sud-orientale, e gli stock sequestrati e in eccedenza andrebbero distrutti.

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CAPITOLO 5:

AUMENTARE IL COORDINAMENTO TRA LE ISTITUZIONI DELL'UE

E' necessario sforzarsi per ottenere una maggiore coerenza all'interno dell'Unione Europea quando si intraprendono delle azioni preventive.
Le difficoltà di acquisire una prospettiva ampia sulla prevenzione dei conflitti rimangono.
Anche se il coinvolgimento di diverse organizzazioni può costituire una sfida per il coordinamento e la cooperazione, ciascuna di esse può fornire un valore aggiunto e cooperando strettamente esse possono portare avanti efficacemente la causa della prevenzione dei conflitti.
ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DELL'UE PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI VIOLENTI

Il Parlamento Europeo invita la Commissione a sensibilizzare sulle questioni di genere le proprie attività collegate alla pace e alla sicurezza.
Il Parlamento Europeo invita gli stati membri a promuovere un'equa partecipazione di donne alle iniziative, a tutti i livelli, di risoluzione dei conflitti e di ricostruzione.
RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SUGLI ASPETTI DI GENERE NELLA RISOLUZIONE DEI CONFLITTI E NEL PEACE-BUILDING, NOVEMBRE 2000

Per attuare un'ampia politica di prevenzione dei conflitti e renderla una pratica comune, attraverso tutti i meccanismi disponibili all'UE, occorre coordinamento. L'espansione dell'Europa nel 2004 aumenterà il bisogno di focalizzare ancora di più l'attenzione sul rafforzamento della coerenza e del coordinamento per un approccio alla prevenzione dei conflitti comune in tutta l'UE. E’ necessario che si costruiscano legami più forti tra i tre pilastri, la Direzione Generale, i Gruppi di lavoro del Consiglio, il Consiglio e la Commissione e tra l'UE e le altre istituzioni internazionali. Per affrontare questa sfida, il contesto strutturale e la tendenza culturale verso la prevenzione dei conflitti e la disponibilità di risorse per aiutare un'efficace attuazione devono essere prioritari. Ciò comporta anche che il mainstreaming delle analisi di genere sia parte integrante dell'approccio alla prevenzione dei conflitti.

A) COORDINAMENTO ISTITUZIONALE E COMPRENSIONE CULTURALE DELLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

Dal momento che le decisioni e le politiche collegate alle relazioni esterne e alla prevenzione dei conflitti sono generate e attuate in tutti e tre i pilastri, la struttura a pilastri dell'UE presenta delle sfide particolari17. Allo stesso modo, la divisione di responsabilità per la programmazione e l'attuazione tra le Direzioni Generali della Commissione (come per esempio EuropeAid, DG Relex, DG Sviluppo, DG Commercio, DG Allargamento ed ECHO) può ostacolare il processo di mainstreaming della prevenzione dei conflitti all'interno delle unità settoriali e geografiche e a livello di delegazioni, dove ha luogo lo sviluppo e l'attuazione del programma. Anche il coordinamento tra il Consiglio e la Commissione può essere problematico e la veloce rotazione del sistema della Presidenza può risultare dannosa per la coerenza e la continuità. Occorre dunque che venga creata una struttura concreta per raggiungere il coordinamento nell'attuazione della prevenzione dei conflitti, portando avanti gli impegni presi [per esempio la risoluzione sulla Coerenza (sezione peace-building, prevenzione e risoluzione dei conflitti) adottata dal Consiglio sullo Sviluppo nel 1997].
L'UE deve inoltre lavorare per stabilire una cultura della prevenzione dei conflitti in tutte le istituzioni e in tutte le attività dell'UE. Il cambiamento delle attitudini e dei comportamenti è un processo a lungo termine, tuttavia è un processo che deve cominciare fin da subito e principalmente stabilendo una comprensione e un discorso comune su cosa significhi la prevenzione dei conflitti all'interno dell'UE. E’ positivo che l'UE abbia creato una serie di definizioni di lavoro per termini come prevenzione dei conflitti e costruzione della pace. Queste definizioni sono essenziali per prendere le decisioni politiche in modo efficace. Nella pratica, tuttavia, c'è ancora una certa incomprensione della terminologia e delle risposte appropriate, per esempio, tra gestione delle crisi, gestione dei conflitti e prevenzione dei conflitti.

Il processo di stabilire un linguaggio e una cultura comuni nell'UE dovrebbe comprendere un sistematico mainstreaming della prevenzione dei conflitti attento alle questioni di genere. Purtroppo questo, non sempre viene accettato. Le donne sono civili e vittime in guerra, così come combattenti, agenti (dei servizi logistici e dei servizi segreti), leader e costruttrici della pace. Ciononostante, le donne sono costantemente escluse dai processi ufficiali di prevenzione dei conflitti, di costruzione della pace, e di ricostruzione post-bellica e le loro necessità e preoccupazioni (sia come vittime che come agenti) spesso non vengono affrontate. La loro conoscenza della costruzione della pace e la loro esperienza pratica rimangono una risorsa inutilizzata nelle negoziazioni ufficiali per la pace e nella prevenzione dei conflitti su base comunitaria.

Le analisi di genere sono state riconosciute come uno strumento importante nella formulazione delle politiche e delle pratiche di prevenzione dei conflitti nell'UE mediante la Risoluzione del Parlamento Europeo sugli aspetti di genere della risoluzione dei conflitti e della costruzione della pace (novembre 2000) e mediante la Risoluzione Parlamentare Congiunta UE-ACP sulle questioni di genere (marzo 2002). Tuttavia, rimane sempre un divario tra il riconoscimento dell'importanza delle analisi di genere e il “mainstreaming di genere” nella pratica della prevenzione dei conflitti a tutti i livelli dell'UE. L'attuazione del mainstreaming di genere non è stata coordinata tra i diversi settori e livelli dell'UE e continua a essere guidata dalle priorità individuali degli operatori. Se le iniziative di prevenzione dei conflitti devono avere un impatto significativo e sostenibile, allora si deve affrontare la natura frammentaria, e spesso cieca riguardo al genere, dell'approccio alla prevenzione dei conflitti dell'UE. (vedi scheda 5.1 per una breve descrizione degli strumenti per il mainstreaming di genere nelle istituzioni dell'UE).

Ora è il momento consolidare il successo ottenuto con l'adozione della Risoluzione del Parlamento Europeo, per aprire nuovi spazi alla voce delle donne sulla pace e sulla sicurezza a tutti i livelli. Ciò deve essere fatto invitando le istituzioni dell'UE e gli stati membri ad attuare le raccomandazioni in maniera concreta, coerente ed efficace, e rendendo disponibili le risorse necessarie per fare ciò. Questo necessita di una forte volontà politica che appoggi l'attuazione e il monitoraggio del processo, ruolo nel quale il Parlamento Europeo e le Presidenze dell'UE possono giocare una parte importante.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Istituire un ente di collegamento per mettere in relazione il processo decisionale delle politiche e la loro attuazione tra i pilastri al fine di creare consenso, condividere le informazioni e monitorare la cooperazione.
&Mac183; Organizzare riunioni congiunte di pianificazione e progresso tra i gruppi regionali di lavoro, il PSC e le DG della Commissione per facilitare il mainstreaming e un efficace coordinamento.
&Mac183; Le cariche di Alto Rappresentante per la PESC e Commissario per le Relazioni Esterne dovrebbero essere unificate, e il nuovo Alto Rappresentante dovrebbe svolgere la funzione di Vice Presidente della Commissione ed essere reso responsabile del coordinamento di tutte le azioni esterne dell'UE.
&Mac183; Assicurare che le taskforce nazionali o regionali siano utilizzate di più per la formulazione e l'attuazione dei documenti di strategia, in particolare riunendo
&Mac183; personale importante della DG Relex, della DG Sviluppo, del Consiglio, della DG Commercio, dell'ECHO e importanti stati membri.
&Mac183; Per accrescere il livello della trasparenza della PESC e della PESD, la Presidenza, in cooperazione con la Commissione, dovrebbe produrre dei rapporti pubblici annuali sull'attuazione della PESC e della PESD su basi regionali, evidenziando le priorità annuali per l'azione futura.
&Mac183; Sviluppare documenti di lavoro e un programma di formazione per sviluppare una comprensione comune della prevenzione dei conflitti e della sua terminologia associata e addestrare il personale su come adattare questa conoscenza al loro lavoro in tutti i principali settori e livelli dell'Unione.
&Mac183; Effettuare istituzionalmente un mainstreaming dell'analisi di genere in tutti i settori e livelli dell'UE, compresa la CPU e la PPEWU, le delegazioni, i funzionari sedentari, tutto il personale civile e militare del mantenimento della pace, le operazioni in supporto della pace e le missioni di indagine, e in tutti i settori trasversali come lo sviluppo, i diritti umani, le armi portatili e il commercio, e assicurare le risorse necessarie a questo scopo18.


SCHEDA 5.1

STRUMENTI PER IL MAINSTREAMING DI GENERE TRA LE ISTITUZIONI DELL'UE

Il Gender & Peacebuilding Programme di International Alert, in collaborazione con la Coalizione delle ONG su Donne, Pace e Prevenzione dei Conflitti19, propugna la piena attuazione della Risoluzione del Parlamento Europeo. Basato sull'esperienza in corso fatta propugnando il mainstreaming di genere a livello dell'ONU, il Gender & Peacebuilding Programme ha sviluppato una serie di strumenti per assistere il mainstreaming di genere ai vari livelli istituzionali delle organizzazioni multilaterali. Tra questi, vi sono:

&Mac183; La Gender & Conflict Early Warning Framework: applicabile sia dalla PPEWU che dai funzionari sedentari.
&Mac183; La Women's Peacebuilding Know-How Analysis Framework: tesa a rendere sistematiche le analisi delle donne intese come una risorsa nella prevenzione dei conflitti.
&Mac183; Un modello per creare un profilo della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) su Donne, Pace e Sicurezza: uno strumento per la pianificazione dei gruppi di lavoro sulla Risoluzione dell'UNSC. Questo strumento potrebbe essere adattato alla Risoluzione del Parlamento Europeo.

In fase di sviluppo:
&Mac183; Una checklist di genere per le missioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
&Mac183; Una checklist di genere per i Documenti di strategia nazionale.
&Mac183; Indicatori per l'allarme rapido attenti al genere.
&Mac183; Un manuale d'uso su Donne, Pace e Sicurezza: uno strumento di azione per accrescere la consapevolezza sulle questioni e pianificare/attuare dei programmi di ricostruzione post-bellica attenti al genere.

L'applicazione di strumenti per le analisi di genere a ogni stadio del ciclo progettuale e di indicatori per il monitoraggio degli impatti della loro attuazione sono fondamentali per sviluppare un approccio alla prevenzione dei conflitti attento al genere. Tuttavia, strumenti e parametri possono essere efficaci solo se il personale dell'UE è sensibile alle questioni e ha ricevuto una formazione riguardo alla loro applicazione. Ciò necessita sia di una volontà politica, sia di risorse per assicurare che questo processo abbia luogo.
B) COORDINAMENTO DELL'UE CON LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI

Nell'agosto 2002 i ministri degli esteri, gli alti funzionari e i capi delle istituzioni europee dell'UE, della NATO, dell'ONU e dell'OSCE, così come dell'UA, dell'ECOWAS e della SADC, si sono incontrati alla Conferenza di Helsingborg. La conferenza ha segnato il primo incontro di alti funzionari di tutte le organizzazioni regionali europee e delle istituzioni dell'ONU, teso a rivedere le sfide collettive che essi affrontano nella prevenzione dei conflitti. Futuri incontri come questo rappresenteranno uno sviluppo fondamentale nella fondazione di un nuovo paradigma regionale e globale, che ha al centro la sicurezza degli uomini e le soluzioni cooperative. Operativamente, nel dicembre 2002 è stata stabilita l'alleanza strategica tra l'UE e la NATO nella gestione delle crisi, che ha permesso all'UE di accedere all'utilizzo di alcune strutture della NATO. Queste iniziative sono positive, tuttavia le opportunità di riunire le capacità dell'UE e quelle dell'OSCE, della NATO e dell'ONU per la prevenzione dei conflitti devono ancora essere ottimizzate. Questo comporta la collaborazione nell'uso del personale, delle strutture e dello scambio di informazioni sull'allarme rapido, la diplomazia, la gestione civile e militare delle crisi, lo sviluppo e le politiche umanitarie e commerciali.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Accrescere la cooperazione tra il Parlamento Europeo e l'OSCE, il Consiglio d'Europa e le assemblee parlamentari della NATO mediante una rappresentazione congiunta e uno scambio di informazioni sull'attuazione della PESC e della PESD.
&Mac183; Organizzare una conferenza che faccia seguito al vertice di Helsingborg per sviluppare un'ampia strategia operativa per promuovere la coerenza e la complementarietà con altri attori multilaterali della prevenzione dei conflitti, tra cui l'OSCE e l'ONU.

C) PREVENZIONE DEI CONFLITTI NELLA CONVENZIONE SUL FUTURO DELL'EUROPA20

L'allargamento dell'UE all'Europa centrale e orientale rende ancora più forte la necessità che l'UE affronti e delinei una pratica comune sulla prevenzione dei conflitti in tutte le sue istituzioni e in tutte le sue politiche. Molti nuovi membri avranno le loro priorità e i loro programmi che potrebbero ostacolare questi sforzi, di conseguenza è vitale che il processo sia attentamente coordinato. La Convenzione sul Futuro dell'Europa offre una valida opportunità di definire la visione che l'Europa ha della pace e della sicurezza per se stessa e per il resto del mondo e potrebbe essere un utile strumento per consolidare il coordinamento tra le istituzioni e le attività dell'UE. La Convenzione inoltre fornisce un'opportunità per rimediare alla mancanza di responsabilità democratica delle azioni dell'UE. In aggiunta al miglioramento del ruolo investigativo del Parlamento Europeo e dei parlamenti nazionali, potrebbe essere migliorata la trasparenza delle politiche di prevenzione dei conflitti (comprese la PESC e la PESD).

Tuttavia è necessario un metodo più efficace per il processo decisionale nel Consiglio, per assicurare che una UE allargata sia in grado di agire con decisione nelle questioni della PESC. Ci sono anche timori che il processo della Convenzione possa subordinare i diritti umani, la lotta alla povertà e le politiche di sviluppo alla promozione di una nuova agenda di politica estera dell'UE, in particolare della “guerra al terrorismo”. Dall'11 settembre 2001, le questioni della sicurezza e i sentimenti anti-immigrazione hanno assunto un ruolo centrale a spese di un impegno per uno sviluppo basato sui diritti umani e sulla prevenzione dei conflitti. La prevenzione dei conflitti violenti deve quindi essere resa un obiettivo fisso della PESC e le riforme istituzionali evidenziate sopra dovrebbero essere attuate in base alla Convenzione.

RACCOMANDAZIONI

L'UE dovrebbe:

&Mac183; Collaborare con i paesi candidati per accrescere la consapevolezza e a promuovere la comprensione del ruolo dell'UE nella prevenzione dei conflitti.
&Mac183; Estendere la votazione a maggioranza qualificata nel Consiglio a tutte le aree non militari della PESC, per facilitare un efficace processo decisionale in un'Europa allargata.
&Mac183; Adottare la prevenzione dei conflitti come un obiettivo fisso della PESC, in accordo con le leggi internazionali, tra qui le leggi umanitarie, e mediante l'eliminazione della povertà.
&Mac183; Rilanciare il ruolo del Parlamento Europeo e dei parlamenti nazionali nell'investigazione della PESC e della PESD valutando come la PESC e la PESD hanno contribuito all'obiettivo fisso della prevenzione dei conflitti.

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ALTRE PUBBLICAZIONI SULL'ARGOMENTO:


&Mac183; Building peace, security & development in Africa: Taking forward European Union (EU) commitments to conflict prevention - International Alert & Saferworld Briefing on the EU-Africa Summit 2003, Lisbon, International Alert and Saferworld, February 2003.

&Mac183; Building conflict prevention into the Future of Europe: Conference report and EPLO position paper on the European convention and conflict prevention-14 November 2002, Brussels, EPLO, December 2002.

&Mac183; Understanding the EU: A civil society guide to development and conflict prevention policies, Horn of Africa edition, Saferworld, Conflict Prevention Network, Africa Peace Forum, InterAfrica group, June 2002.

&Mac183; Putting Conflict Prevention into Practice: Priorities for the Spanish and Danish EU Presidencies 2002, International Alert, Saferworld and Intermón Oxfam, 2002.

&Mac183; Tackling Violent Conflict:The Case for a UK Civilian Peace Service, Peaceworkers UK, International Alert, Saferworld, ERIS, RedR, April 2002.

&Mac183; The EU's Response to Conflict Affected Countries: Operational Guidance for the Implementation of the Cotonou Agreement, International Alert and ECDPM, 2002.

&Mac183; Preventing Violent Conflict: Opportunities for the Swedish and Belgian Presidencies of the European Union in 2001, International Alert and Saferworld, December 2001.

&Mac183; Towards a Coherent EU Conflict Prevention Policy in Africa: Challenges for the Belgian Presidency, EPLO Conference Report produced by ISIS Europe with policy recommendations from International Alert, Saferworld November 2001.

&Mac183; Enhancing the EU's Response to Violent Conflict: Moving Beyond Reaction to Preventive Action: Conference Report and Recommendations, ISIS-Europe with International Alert, Saferworld, Centre for Defence Studies and Oxfam, January 2001.

&Mac183; The Prevention of Violent Conflict and the coherence of EU policies towards the Horn of Africa: A case study on the 92-95 post-conflict demobilisation and reintegration programme in Uganda, Saferworld, October 2000.

&Mac183; The Prevention of Violent Conflict and the coherence of EU policies towards the Horn of Africa: A case study on demobilisation in Djibouti, Saferworld, 2000.

&Mac183; The Prevention of Violent Conflict and the coherence of EU policies towards the Horn of Africa: EU policies and the risk of conflict in Ethiopias Awash Valley, Saferworld, October 2000.

&Mac183; Outlook on Brussels produced in the Conflict Prevention Newsletter (3 times a year), International Alert, Saferworld, with European Platform for Conflict Prevention, and ACCORD.

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