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Gente del muro manifestolibri, Contemporanea, Roma, 2010 Tratto da http://www.tecalibri.it/
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Priorità nazionale
Prefazione
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Prefazione Un archeologo può scavare per giorni e giorni senza trovare nulla. Quando deve eseguire degli scavi in zone residenziali, oltre che con cocci e antichità si trova ben presto a contatto con gli abitanti e i passanti del luogo, che divengono parte integrante del sito archeologico. Le caratteristiche dei residenti e il loro rapporto con gli scavi variano da sito a sito a seconda del quartiere, della sua popolazione e delle condizioni socio-economiche. Lo scavo porterà dei benefici ai residenti o interferirà negativamente con le loro vite? È legato alla storia della popolazione che vi abita, oppure racconta quella di un altro gruppo etnico? In alcuni casi l'ambiente umano è più interessante dei ritrovamenti archeologici. A Gerusalemme i siti sono sparsi dappertutto, ma i quartieri e i villaggi arabi che circondano la città vecchia hanno la maggiore concentrazione di antichità. I villaggi arabi di Gerusalemme est sono la diretta continuazione di antichi insediamenti legati a diversi periodi storici. Dall'estate del 2003 fino a quella del 2005, in qualità di archeologo ho avuto l'incarico di seguire i lavori di costruzione dell'"Otef Yerushalaim", il muro di separazione nella zona di Gerusalemme. Il mio compito di supervisore per la Sovrintendenza ai Beni Archeologici consisteva nell'evitare che la costruzione del muro danneggiasse siti archeologici, interrompendo i lavori nel caso venissero alla luce dei ritrovamenti. Questo in base alla legge sui beni archeologici, secondo cui ogni costruzione in un sito archeologico ufficiale (e tutta Gerusalemme è certificata come tale) richiede il permesso della Sovrintendenza e deve essere concordata con essa. Nel caso in cui i lavori si svolgano in un sito dove c'è il rischio di danni a beni archeologici, la Sovrintendenza ha facoltà di interrompere i lavori e richiedere che venga effettuato uno scavo. In situazioni del genere la costruzione potrà riprendere solo al termine dello scavo e dopo che i ritrovamenti siano stati documentati. Molti siti vengono così scavati e documentati, per essere distrutti solo dopo che ne vengono estratti i reperti di maggiore valore. Nei siti più importanti la Sovrintendenza può richiedere delle modifiche al progetto di costruzione, oppure coprire il sito che è stato aperto per impedire che venga distrutto. Il tracciato della barriera di separazione tocca numerosi siti archeologíci, perciò ne ho seguito tutte le fasi di costruzione, da nord a sud e oltre i confini di Gerusalemme. In alcuni casi ho effettuato io stesso gli scavi, in altri ho collaborato con una equipe archeologica. I miei incontri con la popolazione palestinese e le varie figure coinvolte nella costruzione del muro si sono moltiplicati, finché a un certo punto ho deciso di metterli per iscritto. Avendo a che fare quotidianamente con loro, ho visto persone che si sforzavano di condurre una vita normale mentre decisioni politiche prese dall'alto ricadevano sulle loro teste. La barriera di separazione ha esacerbato il livello di disturbo che lo Stato d'Israele infligge alla vita dei residenti di Gerusalemme est. D'altra parte, ho incontrato anche gente convinta che la sua costruzione potesse salvare vite umane e che perciò attribuiva al proprio lavoro un'importanza nazionale. A questi due gruppi principali, costruttori e residenti, si è aggiunta una vasta gamma di personaggi e professionisti: membri di organizzazioni internazionali, politici, artisti, commercianti, gente alla ricerca di lavoro ecc. Le storie qui raccolte descrivono fatti accaduti all'ombra del muro di separazione. Parlano di persone, non di politica. Sono raccontate da un punto di vista personale e soggettivo, che cerca di descrivere gli avvenimenti in uno scenario in cui si fatica a distinguere tra realtà e immaginazione. In ogni caso, ho avuto l'accortezza di preservare i nomi dei siti in cui si svolgevano i fatti. Come archeologo, considero il luogo l'elemento fondamentale di una storia. I confini municipali di Gerusalemme furono stabiliti dal governo israeliano dopo la guerra dei Sei Giorni. Molte delle zone conquistate in quella guerra furono annesse alla città, e tutte contenevano unicamente abitanti arabi. La zona denominata "Gerusalemme est" comprende i villaggi arabi che circondano Gerusalemme da est, nord e sud. A nord sono stati annessi Akev, Beit Hanina, parte di A-Ram, il villaggio e il campo profughi di Shuafat e parte del villaggio di Anata. Ad est: la Città Vecchia, i quartieri di Sheikh Jarrah e Wadi Joz e i villaggi di A-Tur, A-Sheikh e Ras el-Amud. A sud: Silwan (la "Città di David"), Abu Tor, Wadi Kadum, Jabel Mukhabar, Umm Lison, Zur-Baher e Umm Tuba. Quando è stato deciso di costruire la barriera di separazione intorno a Gerusalemme la maggior parte degli abitanti di Gerusalemme est sono stati inclusi nella parte israeliana, fatta eccezione per i campi profughi di Shuafat e Kfar Akev, e il quartiere di Dahid el-Salam nel villaggio di Anata. Gli abitanti di Gerusalemme est hanno lo status di residenti e non votano per la Knesset, ma hanno comunque diritto a tutti i servizi ricevuti dai cittadini israeliani. Pagina 35 Il cortile Ormai da diversi anni, gruppi di coloni legati all'organizzazione "Ateret Cohanim" cercano di insediarsi ad Abu Dis. Come mi ha spiegato una volta il dirigente di un'agenzia immobiliare, chi ha interesse a guadagnare da un progetto di costruzione otterrà che venga realizzato se si ostina abbastanza. Anche se la commissione edilizia locale respinge il progetto e i residenti si oppongono, si può sempre ripresentarlo con qualche leggera modifica: proponendo aree pubbliche più grandi, meno terreno edificabile e più vantaggi alla comunità, alla fine verrà approvato. Nelle società immobiliari, ciò che muove tutto è il denaro. Ma in quelle di Gerusalemme est anche il denaro a volte passa in secondo piano. L'ideologia è più forte. Secondo il progetto iniziale del ministero della Sicurezza, il muro doveva passare nel terreno aperto che si trova a ovest del parlamento palestinese. Quell'area farebbe parte del villaggio di Abu Dis, ma è considerata municipalità di Gerusalemme. I coloni hanno avanzato la pretesa che si tratti di terra ebraica, così alla fine a quelli del ministero non è rimasta altra scelta: hanno deciso di costruire il muro vicino alle case palestinesi che confinano a est con il "terreno ebraico". Il cortile di una di queste case si trova proprio sul confine tra la zona ebraica e quella palestinese. Qualcuno ha deciso che il muro di cemento alto otto metri passi proprio qui. Ed è così che entro in scena io, alla ricerca di reperti. D'altra parte, la ricerca archeologica in case private non è tanto inusuale a Gerusalemme est data la sua ricchezza di antichità, e i cortili non fanno eccezione. Un veloce esame del posto, o meglio un'occhiatina fugace nel cortile di casa, rivela un frantoio, un pozzo d'acqua e un attrezzo antico difficilmente identificabile. La gente del ministero della Sicurezza a volte ha tutto il tempo del mondo, altre volte attribuiscono al concetto di "adesso" un significato assai immediato. Questa volta hanno deciso che non c'è tempo da perdere, bisogna assolutamente documentare i reperti perché sia possibile costruire il muro. Così mi ritrovo a scavare in un cortile privato, senza nemmeno avvertire i proprietari. Arrivo al mattino con tre operai, tre guardie armate e una ruspa e ci mettiamo a scavare. Prima di iniziare i lavori abbiamo avvisato tutte le autorità e gli enti del caso. Solo gli abitanti sono rimasti all'oscuro. Per prima esce di casa una donna. Veste abiti tradizionali e porta il velo, ma parla in inglese, il che le conferisce l'aria di una persona istruita. Mentre si avvicina, le tre guardie scattano sull'allerta. "Cosa ci fate qui?" chiede in un misto di arabo e inglese. Le spiego come stanno le cose evidenziando che io ho a che fare solo con la ricerca di reperti, e se ha dei reclami da fare non sono la persona a cui rivolgersi. La donna mi spiega in inglese che questa è casa sua e domanda se è così che dovrebbe venire la pace. È furiosa, ma trattiene il suo rancore. In questa situazione spiacevole continuo il mio lavoro, assieme agli operai palestinesi e alle guardie. È uno di quei casi in cui nessuno è soddisfatto di quel che fa, ma tutti continuano a svolgere il proprio compito. Dopo un po' arriva il padrone di casa e domanda cosa stia succedendo. Glielo spiego. Sembra che abbia paura perfino di arrabbiarsi. Mormora: "Ma questo terreno è mio". Mentre continuiamo a scavare l'uomo si siede sul recinto e ci guarda. Per sentirmi la coscienza un po' meno sporca gli domando se è al corrente del fatto che stanno per costruire il muro proprio li. "Sì, lo so e ho anche un avvocato, ma tanto alla fine fate sempre quel che vi pare. Dov'è la legge e dov'è la giustizia?" risponde guardandoci disperato. "Wallah, io non ho mai preso una multa. Non ho mai fatto niente di male, e questa è la mia ricompensa". Continuiamo a lavorare e l'uomo rimane a guardarci. "Sappi che se venissero a costruire nel cortile di casa mia farei saltare in aria i macchinari" mi dice una delle guardie con tono minaccioso, come se volesse esprimere la collera del palestinese. "A te ti trasformerei in storia, altro che archeologia. Ti farei scappare a gambe levate non appena metti piede nel villaggio. Guardalo come ci osserva, non ha nemmeno il coraggio di muoversi". La guardia è arrabbiata anche per il comportamento del palestinese. "Nel paese in cui vivo" risponde il padrone di casa "se decidono di costruire un muro, basta che ti avvicini a una ruspa e sei agli arresti domiciliari per sei mesi. Ti sarai comportato da uomo ma, nel migliore dei casi, ti ritrovi con un muro nel cortile di casa. E nel caso peggiore, ti ritrovi anche senza casa". La guardia rimane in silenzio e torna al suo punto di osservazione, per bloccare ogni attacco a sorpresa da parte dei fuorilegge palestinesi. Ruspe, guardie, capi cantiere, grida, polvere, rumore, invasione della privacy, forze dell'esercito nel cortile di casa, e non riceviamo nemmeno una parolaccia. Dopo alcune ore di lavoro nasce tra noi una strana vicinanza. Le discussioni sulla situazione politica, sulla vita in generale e sui governanti corrotti da entrambe le parti ci accomunano. Quando il padrone di casa capisce che stiamo "solo facendo il nostro lavoro" chiama la moglie, che compare qualche minuto dopo con un vassoio di caffè. Beviamo. Bevo, e capisco che abbiamo perso. Sento com'è forte il gusto di quel caffè, più forte di tutta la potenza impiegata dallo stato d'Israele di fronte a una famiglia palestinese impaurita. Pagina 49 La via di Gerico Si dice che Gerico sia la città più antica del mondo. Sebbene la ricerca archeologica abbia dimostrato ampiamente che ce ne sono di più antiche in Turchia, Iran e altrove, le citazioni di Gerico nella Bibbia e gli ampi scavi condotti nel ventesimo secolo continuano ad alimentare questa leggenda. La nascita di Gerusalemme risale ai tempi di re David, intorno al 1000 a.C. È ben lontana dall'essere la città più antica del mondo ma le rimangono tremila anni di storia ricca e complessa. Tra queste due città scorre una strada, anch'essa molto antica. Spesso non è facile stabilire quando è iniziato l'uso di una strada. Anche se vengono ritrovati selciati o livellamenti che consentono di collocarla in un certo periodo (per esempio nell'età romana) si ipotizza una via preesistente, a volte non più di un semplice sentiero. La strada che conduce da Gerusalemme a Gerico è nota come "via di Gerico": esce dalle mura di Gerusalemme, oltrepassa la valle di Giosafat raggiungendo il villaggio di Ras el-Amud, continua per el-Azaryia e da li scende fino a Gerico e al Mar Morto. Questa via era in uso durante l'epoca romana, in cui visse anche Gesù, e sembra che lo fosse già da secoli. È possibile che risalga all'età del primo tempio e delle dinastia di re David. La via di Gerico è lontana dall'essere un collegamento veloce e moderno. È una strada asfaltata, con una sola carreggiata per direzione e che in alcuni punti si allarga a due corsie. Attraversa molti villaggi ed è un susseguirsi di curve, tornanti, salite ripide e pendii scoscesi. Viene percorsa ogni giorno da decine di migliaia di mezzi. Prima dello scoppio della prima intifada nel 1987, quasi ogni famiglia israeliana di Gerusalemme la imboccava al sabato per andare a fare la spesa a Gerico o per raggiungere il Mar Morto. Il viaggio da Gerusalemme a Gerico attraverso i villaggi palestinesi è un'esperienza molto mediterranea, che richiama alla memoria la storia di questi luoghi. In molti sentono che non c'è modo più idoneo di spostarsi fra le due antiche città della strada che è stata costruita e si è sviluppata insieme a loro. Gerusalemme e Gerico sono come due vecchie sorelle che dopo tanti anni di conoscenza reciproca non hanno bisogno della tecnologia moderna per comunicare: la loro intima vicinanza viene mantenuta per vie antiche e semplici. Eppure, alla fine è stato deciso di costruire una strada a scorrimento veloce che le colleghi come due città occidentali. Ricoperta di asfalto liscio, passa tra tunnel scavati nei monti e sopraelevate che sormontano le valli. La sua realizzazione è da attribuirsi allo sviluppo tecnologico, oppure ai "motivi di sicurezza", o forse ad altro. In ogni caso, finché è stato possibile, la storica via di Gerico non ha smesso di essere attraversata ogni giorno da decine di migliaia di mezzi. Non riuscendo a gestire in altro modo la popolazione palestinese, lo stato d'Israele ha deciso di limitare il movimento dalla Cisgiordania a Gerusalemme e viceversa. Ultimamente ha deciso anche di circondare tutta Israele, e Gerusalemme in particolare, con un muro che divida la popolazione israeliana da quella palestinese. In un paese dove si è abituati a veder spuntare nuovi sbarramenti da un giorno all'altro nessuno fa molto caso alla chiusura di una strada, per quanto antica. E così nessuno ha fiatato quando in mezzo alla storica via di Gerico è stato innalzato il muro. Qualcuno potrebbe sostenere che l'importanza della via di Gerico sia superata dalla superstrada esistente e che non ci sia nessun legame tra questa decisione e la situazione politica. In ogni caso, la via di Gerico oggi non è più in uso. Nessuno la percorre per raggiungere una delle due città, né in macchina né a piedi. Né la tecnologia, né il passare del tempo e nemmeno la situazione politica hanno causato la sua interruzione: è stata chiusa ermeticamente e bruscamente dalla costruzione di un muro che l'ha resa completamente inutile. Nel corso della storia la via di Gerico ha conosciuto alti e bassi, ma nessun governante ha mai pensato che sbarrandola avrebbe rafforzato il suo dominio sulla zona. Un'azione del genere non avrebbe fatto altro che bloccare il movimento, frenare il progresso. Eppure oggi gli addetti alla sicurezza sembrano convinti che il blocco di un passato tanto grandioso possa contribuire alla sicurezza nazionale, e prolunghi la nostra esistenza in questo luogo. Pagina 71 Valore commerciale È raro che incontri Jamal di mattina. Ma oggi arrivo alle otto e mezza nel villaggio di Jabel Mukhabar e dopo qualche minuto di ricerca lo trovo seduto a bere il caffè, vicino alla scuola locale. Una volta faceva l'uomo d'affari, ma da quando è iniziata l'intifada del 2000 ha cambiato mestiere ed è diventato maestro. Come molti degli abitanti di Gerusalemme est, la sua famiglia è originaria di Hebron. Suo padre, o forse suo nonno, si sono trasferiti ad Aakev, a nord di Gerusalemme, ma dopo decine d'anni e tre generazioni passate in questo villaggio Jamal si considera ancora di Hebron. Un tale legame con le proprie radici non può essere compreso da una società di immigrati, che cancella il proprio passato per costruire una nuova identità nazionale. Mi siedo accanto a lui e dopo una breve chiacchierata mi racconta che vogliono demolirgli la casa. Mi riempio di vergogna e non trovo niente da dire. Ci conosciamo da un anno e mezzo e finora abbiamo sempre parlato del più e del meno, senza quasi mai toccare argomenti politici, mentre ora mi sta rivelando un altro lato della sua vita: la lotta quotidiana per un'esistenza normale. Jamal con il suo carattere solare, che di solito emana grande dignità e ottimismo, a un tratto sembra un uomo distrutto. "Come faccio a spiegare ai miei figli che stanno per buttarci giù la casa?" mi domanda meditabondo. Non riesce a spiegarlo nemmeno a se stesso. Sa che casa sua è "illegale", ma nella realtà di Gerusalemme est questi casi sono migliaia e non c'è possibilità di ottenere una licenza edilizia. Jamal è un cittadino ligio alla legge, fa parte del comitato di quartiere che si adopera per migliorare la qualità di vita nel villaggio collaborando con le autorità locali. Il suo problema è che per sopravvivere deve convincersi che il governo non è crudele. Cerca una spiegazione razionale al peggioramento delle condizioni di vita, e fatica ad accettare motivazioni politiche o razziste. In una realtà del genere è difficile spiegare ai tuoi figli com'è possibile che il loro onesto padre si trasformi da un giorno all'altro in un criminale senzatetto. "Il fatto è che oggi tutte le organizzazioni di sinistra e i mezzi di comunicazione si occupano del muro. Se il tuo caso ci avesse a che fare, ti sarebbe molto più facile ricevere aiuto da una delle tante associazioni in Israele e nel mondo. Potresti perfino diventare una celebrità televisiva. Ma la demolizione di una casa illegale a Gerusalemme nord non è un tema molto sexy dal punto di vista commerciale, quindi la tua situazione non è buona". Cerco di spiegargli qual è il suo "vero" problema, senza accorgermi che anch'io mi sto occupando più del muro che della concreta sofferenza della persona che ho davanti. Il problema di Jamal in questo momento è come reagire alla demolizione di casa sua. Le autorità la distruggeranno e lui la ricostruirà in fretta e furia, senza osservare le norme di sicurezza né gli standard edilizi. Le autorità dichiareranno la casa fuori norma ed esigeranno che venga nuovamente abbattuta, Jamal la ricostruirà ancora più di fretta, e così via. Qualche giorno dopo ci rivediamo. Jamal sembra tornato quello di una volta: sorridente, tranquillo, desideroso di conversare. "Allora" gli chiedo "come va con la casa?". Sorride, come se la minaccia di demolizione di cui mi parlava pochi giorni prima non lo riguardasse direttamente. "Vedremo. Ne ho parlato con un avvocato, speriamo in bene". "Sai" continua "dall'inizio dell'intifada al villaggio non arriva più niente dal municipio o dal governo. Riparazioni di linee telefoniche, acqua, fognature, niente. Quando hanno iniziato a costruire il muro di divisione mi son detto, meglio così. Se saremo tagliati fuori da Gerusalemme forse il comune la smetterà di romperci le scatole. Tanto di aiuti non ne arrivano comunque. Negli ultimi tempi sono preparato a tutto: che mi tolgano la residenza a Gerusalemme, guai col municipio, licenziamento, tutto. Voi ebrei credete che essere un residente di Gerusalemme con la carta d'identità blu sia un premio. Io non ne sono più così certo. Un residente dei territori almeno sa a quale lato appartiene. Se vuole andare all'estero può passare dalla Giordania, allo stesso modo può cercare lavoro, per quanto sia difficile. Io invece? Non lo so proprio. Non sono né cittadino israeliano né residente dei territori, e ormai mi sembra che non valga più la pena di lottare per cercare di integrarmi nella vostra società. A questo punto preferisco che costruiate il vostro muro e mi lasciate vivere in pace. Ma lo sai qual è il problema? Anche dopo che l'avrete costruito ci saranno quelli tra voi che vorranno di più. Quando penso ai coloni che occupano le case a Silwan, Ras el-Amud o Abu Dis, villaggi che fanno parte di Gerusalemme, non riesco proprio a capire. Perché non possiamo vivere in pace, crescere le nostre famiglie? In fondo quanto ci rimane da vivere, settanta, ottant'anni? A che scopo passarli a litigare? Alla fine questo muro vi soffocherà, dopotutto i vostri coloni non vogliono altro che nuovi territori da invadere. Mi sa che ne risentirete molto di più voi che noi. Ecco, non vedo l'ora di far parte dei territori occupati. Credimi, non c'è niente al mondo come sapere da che parte stai". Pagina 87 Priorità nazionale "La vedi quell'area?" più che domandarmelo Shmuel lo afferma, indicando il punto in cui si nasconde un sito archeologico. "Ci servono solo due-tre metri in più ad ovest per completare la strada e il sistema di drenaggio. Tutto qui, ancora due metri e tutta questa zona diventa barriera operativa". So già cosa rispondere, ma esito alcuni secondi su come spiegarglielo. Shmuel è un ispettore del ministero della Sicurezza e il suo compito è fare in modo che il muro venga costruito più in fretta possibile e con la massima efficienza. Il valore aggiunto che attribuisce al suo lavoro è la profonda convinzione della sua utilità per la sicurezza nazionale. Come molti altri che il destino ha portato in questa città così complessa, anche lui attribuisce al suo lavoro il valore di una missione, anche se non in senso religioso ma ai nostri tempi la sicurezza è il valore laico più vicino al sacro. Perciò si può quasi dire che Shmuel svolga un servizio divino. "Sai bene" gli spiego "che per quel che ci riguarda, nel punto in cui arrivano i vostri lavori inizia un sito archeologico. Quindi non possiamo permettervi di spostarvi più ad ovest senza che prima venga effettuato uno scavo". Per quanto delicatamente abbia cercato di metterla, era inevitabile che la mia risposta lo facesse infuriare. "Sappi che in questo modo compromettete la sicurezza nazionale. Io non vivo a Gerusalemme, ma tu sì. Questa barriera è fatta per difendere te e la tua famiglia. Vuoi ostacolare i lavori? Qui si parla di priorità nazionale, non è possibile che ogni muretto dell'era del bronzo ci metta i bastoni tra le ruote. Se si trattasse di lavori pubblici, stai sicuro che accoglierei le vostre richieste a braccia aperte, ma per due metri in più chiedere uno scavo archeologico? È assurdo". Non cerco di ribattere. In casi del genere tutti pensano che gli si vogliano spillare dei soldi, o che la Sovrintendenza Archeologica ce l'abbia con loro. "Mostrami un solo arabo cui hai interrotto i lavori" continua Shmuel. "Lascia stare, è una discussione sterile. Dopo venti chilometri di barriera intorno a Gerusalemme e decine di siti archeologici trovati lungo il tragitto, qualsiasi cosa è già stata detta". Cambiamo argomento e dopo qualche minuto ognuno torna al suo lavoro. Forse il motivo per cui Shmuel e la gente come lui riesce a mantenersi lucida in questo caos e in una città folle come Gerusalemme, sta nel fatto che è intimamente convinto di costruire una barriera di sicurezza, e lo fa in maniera professionale. Perciò mi sembra un estraneo. Dopo due anni di frequentazione quotidiana, non gli è rimasta addosso nessuna abitudine di questa città. Sta costruendo un muro politico senza che la politica lo sfiori minimamente. Collabora con capi cantiere che stringono rapporti molto stretti e amichevoli con gli ispettori del comune, ma lui continua a occuparsi solo del suo lavoro. Nonostante la sua dedizione quasi religiosa, sa bene che i problemi obiettivi che disturbano la costruzione della barriera non cascano dal cielo. Eppure li considera come semplici anomalie che richiedono soluzioni tecniche. Shmuel è un vero professionista. Anche se sta costruendo un muro che minaccia la società palestinese, è lontano dall'immagine del nemico senza cuore che si accanisce su vittime inermi. In nessun modo pensa che lui o i suoi colleghi, stiano conducendo una guerra contro i palestinesi. I costruttori del muro si considerano come israeliani che desiderano vivere, la questione palestinese non li interessa. Sono quasi tutti di classe media, gente istruita e zelante. Come la maggior parte dei borghesi di tutto il mondo, vogliono soprattutto avere successo nel loro compito e poi continuare la vita di sempre. Vogliono vivere tra gente che gli assomiglia, dello stesso strato sociale e con lo stesso bagaglio culturale. Questa volontà è molto più forte del desiderio di convivenza pacifica con chi è diverso, non importa che si tratti di neri o musulmani, poveri o ispanici. E se per vivere una vita normale è necessario costruire un muro, allora lo costruiscono.
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