Enigma Nucleare Scienza Express Edizioni 2011 |
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Cento domande (e cento risposte)
sull'uso civile dell'atomo Il nucleare è ancora attuale, anche dopo il referendum. Sia perché l’emergenza Fukushima non è ancora rientrata. Sia perché l’atomo resta un’opzione energetica per molti paesi, a iniziare dalla Cina. Sia perché restano drammaticamente aperte quelle questioni dove il nucleare civile si sovrappone (o alcuni pensano che si sovrapponga) al nucleare militare, qual è la questione iraniana. E allora risulta una lettura preziosa e più che mai attuale quella che due giornalisti scientifici attenti alle questioni di ambiente e salute, Luca Carra e Margherita Fronte, ci propongono con il loro nuovo libro, Enigma nucleare. Cento risposte dopo Fukushima, appena uscito per l’editore Scienza Express (pagg. 160, euro 12,00). Il libro consiste, letteralmente, di cento risposte ad altrettante domande su tutto lo scibile del nucleare civile. E si tratta di risposte documentate e “laiche”, non venate da pregiudizi. Ne è un esempio la domanda 77. «A venticinque anni da Chernobyl, che conseguenze ha avuto l’incidente sulla salute delle persone»? È un tema su cui si innescano molte polemiche, fondate su analisi quantitative le più disparate. In realtà il tema è complesso. Perché è difficile individuare tutti i rapporti deterministici tra causa ed effetto nelle problematiche di ambiente e salute. Luca Carra e Margherita Fronte preferiscono citare almeno tre diverse analisi. La prima è quella ufficiale del Chernobyl Forum, l’organismo costituito da otto agenzie specializzate delle Nazioni Unite, comprese l’IAEA (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica), l’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) e l’UNSCEAR (Comitato scientifico per lo studio degli effetti della radiazioni ionizzanti). Il rapporto le 31 vittime immediate causate dall’esplosione e i 19 lavoratori delle squadre di emergenza morti da eroi, tra il 1987 e il 2004, a causa di un’esposizione acuta alle radiazioni. Inoltre il rapporto cita i circa 4.000 casi di cancro alla tiroide nei bambini causati dall’assorbimento, nei giorni dell’incidente, di massicce dosi di iodio 131. Per fortuna il cancro alla tiroide, se prontamente diagnosticato, può essere curato. E, infatti, tra quei bambini ammalati i morti sono stati 15. In definitiva, i morti univocamente correlabili all’incidente di Chernobyl sono stati 65. Tuttavia, a dimostrazione di quanto complessa sia la materia, il rapporto cita l’aumento dei casi di tumore tra la popolazione più esposta alla nube di Chernobyl. In particolare, la mortalità da tumore è aumentata del 13,5% nelle aree più vivine al reattore. In termini assoluti la nube radioattiva avrebbe causato 4.000 casi di morti da tumore in più rispetto ai periodi normali. Inoltre ci sarebbe un aumento di mortalità nelle zone di Ucraina, Bielorussia e Russia un po’ meno esposte. Che avrebbe causato altre 5.000 morti per tumore aggiuntive. Insomma, il totale sarebbe introno alle 9.000 vittime. I dati, rilevano Carra e Fronte, differiscono notevolmente da quelli proposti da Greenpeace. Che parla di circa 200.000 vittime. Più di recente il National Cancer Institute degli Stati Uniti ha rilevato che i casi di cancro alla tiroide in coloro che ai tempi di Chernobyl erano bambini continuano a manifestarsi a un ritmo che non conosce flessione. Tenendo conto di questi e di altri effetti di lungo periodo, Elisabeth Cardis, del centro di epidemiologia ambientale dell’Università di Barcellona che i morti per tumore causati dall’incidente di Chernobyl potrebbero raggiungere la cifra di 25.000 entro la metà di questo secolo. Il balletto (tragico) delle cifre ci dice quanto complessa sia la materia. Ma la loro presentazione puntuale ci dice quanto laico sia l’approccio di Luca Carra e Margherita Fronte. È accettabile questo numero di morti? La risposta non può in alcun modo essere tecnica, ma è gioco forza culturale ed è demandata ai cittadini tutti. Gli Italiani hanno detto di no. Tenendo conto di questo approccio, allora, è utile leggere il blocco di domande relativo al rapporto tra nucleare, ambiente, economia e società. Per cercare di rispondere al quesito che ci è stato posto anche nella campagna referendaria: in tempo di esaurimento di una risorsa (il petrolio) e di prevenzione dei cambiamenti climatici possiamo fare del nucleare come fonte energetica? A vantaggio del nucleare, sostengono Carra e Fronte, giocano il basso consumo di territorio (il nucleare produce in media 5.600 watt per metro quadro impegnato, contro i 10 watt per metro quadro di eolico e solare) e l’essere una fonte quasi “carbon free” (le emissioni di gas serra nel ciclo dell’uranio sono comprese da 16 e 55 grammi equivalenti di CO2 per kilowattora, contro i 17/49 grammi del solare fotovoltaico, i 430/690 grammi di una centrale a ciclo combinato e i 900/1.300 grammi di una centrale tradizionale a carbone). Il costo del nucleare è anch’esso incerto. Non c’è dubbio che in fase di normale manutenzione il kilowattora del nucleare costa meno altre fonti, in particolare di fonti rinnovabili come il solare. Ma i costi aumentano se si tiene conto del’investimento iniziale per costruire una nuova centrale. E si impennano se si tiene conto del decommissioning, ovvero della messa in sicurezza di una centrale quando ha ultimato il suo ciclo di vita. Possiamo fare a meno del nucleare, oltre che dei combustibili fossili? Possiamo immaginare un futuro energetico fondato solo sulle “nuove rinnovabili”? Premesso che anche le “nuove rinnovabili” non sono un “pasto gratis” ma hanno molti problemi economici ed ecologici da risolvere, la risposta non è scontata. Tuttavia Luca Carra e Margherita Fronte citano il recente studio di Mark Jacobson (università di Stanford) e di Mark Delucchi (università della California) noto come rapporto “wind, water and solar” (WWS). Secondo i due analisti aumentando dell’1% l’attuale area occupata nel mondo da impianti per il recupero di risorse energetiche è possibile con le tecnologie oggi disponibili costruire un nuovo paradigma energetico fondato al 51% sulla fonte eolica, al 40% sulla fonte solare e al 9% sulla fonte idrica (idroelettrico, maree e onde). Ogni problema, compreso quella della mancanza di continuità delle fonti principali, potrebbe essere risolto anche attraverso l’utilizzo esteso di smart grid, di una rete altamente informatizzata e intelligente. Credere in questa opzione per chi, come noi, ha necessità di uscire dal monopolio dei fossili senza fare ricorso al nucleare non è una possibilità. E un’assoluta necessità.
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