Un possibile percorso del servizio civile all'estero:
i Corpi Civili di Pace
di Raffaele Barbiero

Premessa

Il Coordinamento per la Rappresentanza degli Enti di Servizio Civile
La L.R. 20/10/2003 n.20, all'art.16, prevede la costituzione di organismi "di coordinamento e rappresentanza degli Enti di Servizio Civile" al fine di "garantire il necessario collegamento tra i bisogni del territorio e le risorse del Servizio Civile".
Da tale legge, nel dicembre del 2004, si è costituito il Co.Pr.E.S.C. di Forlì-Cesena, con la precisa finalità di promuovere sul territorio provinciale tutte le necessarie azioni di sensibilizzazione e impulso, programmazione e sostegno alla progettazione, formazione, verifica e riconoscimento del Servizio Civile.
È un'associazione mista, pubblica-privata, senza fini di lucro, che ad oggi associa 55 enti tra i Comuni della Provincia di Forlì-Cesena e le maggiori associazioni del privato sociale interessati e decisi a promuovere il Servizio Civile Nazionale nell'intero territorio.


Il Servizio Civile all’Estero
La legge n. 64 del 2001 che ha istituito il servizio civile nazionale, prevede che i giovani volontari possano prestare la propria attività anche presso enti e amministrazioni operanti all'estero, nell'ambito di iniziative assunte dall'Unione Europea nonché in strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa UE o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità ai quali l'Italia partecipa.
L’esperienza di Servizio Civile, in generale, realizza l’ideale di una difesa civile non armata che traduce in realtà le aspirazioni di cittadinanza attiva e partecipata.
Svolgere il Servizio Civile all’estero significa esercitare questo ruolo in contesti territoriali complessi, in cui permangono situazioni di conflitto degenerato o in cui si manifestano evidenti violazioni dei diritti umani fondamentali. Queste esperienze si traducono in progetti di promozione della pace e dei diritti umani nel mondo, di cooperazione, di condivisione concreta fra i popoli.
Progetto “Oltreconfine-SpazioMondo”
A partire dal 2005 il Copresc di Rimini ha promosso un progetto sovraprovinciale di valorizzazione del servizio civile all’estero come forma di difesa civile non armata e nonviolenta.
Il progetto interprovinciale è denominato “Oltreconfine-Spaziomondo”, ed è oggi sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna e dai Co.Pr.E.S.C. delle Province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Modena, Piacenza, Reggio-Emilia e Rimini. Il progetto è volto ad approfondire e valorizzare, nell’attuale quadro normativo del Servizio Civile Nazionale (L.64/2001) e a pochi anni dalla realizzata sospensione della leva obbligatoria, la realtà del Servizio Civile all’Estero.
Obiettivi generali del progetto sono:
1. Supportare e promuovere, attraverso il coinvolgimento dei COPRESC, iniziative tese a favorire la diffusione e la crescita (qualitativa e quantitativa) del servizio civile all'estero, nel contesto territoriale e normativo della Regione Emilia-Romagna con riferimento ad interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, riconducibili ai principi e le metodologie della difesa civile non armata e nonviolenta (DCNAN);
2. Collegare e mettere in rete esperienze, iniziative ed in particolare gli operatori e/o i referenti degli enti aderenti ai Copresc che per conto dei Copresc stessi partecipino alle attività del progetto contribuendo, con competenza e sensibilità, alla tematica specifica del Servizio Civile all’estero e della Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta.

Nell’ambito di tale progetto, nasce questo opuscolo informativo sull’esperienza dei Corpi Civili di Pace, per la cui crescita anche il Servizio Civile all’estero apporta il proprio importante contributo


Introduzione

Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e il disfacimento del "Patto di Varsavia" viene meno lo scontro tra blocchi contrapposti, ma si evidenzia una realtà fatta di conflitti regionali che, per continenti come l'Africa, hanno carattere endemico. I conflitti interni agli stati aumentano in modo significativo e portano alla progressiva disintegrazione delle identità statali. I civili divengono target delle operazioni. Anche gli operatori umanitari e civili divengono obiettivi militari.
Un dossier pubblicato da “La Repubblica” il 03 luglio 1999, dal titolo esplicativo "Le guerre nel tempo della Pace" evidenziava circa 30 Paesi in situazioni di guerra, guerriglia o forte violazione dei principali diritti umani. Se a questi aggiungiamo la guerra nella ex-Jugoslavia (Bosnia, Croazia, Kosovo), l'Irlanda del Nord, i Paesi Baschi e la Corsica, nemmeno l'Europa è immune dalla piaga della morte e conflittualità violenta.
Il mutato scenario internazionale è stato ulteriormente complicato dopo l’11 settembre 2001 dall’apparizione sulla scena mondiale del terrorismo e da un clima di paura irrazionale artificialmente alimentata che ha favorito il moltiplicarsi delle cosiddette “nuove guerre” e quindi il diffondersi di quelle che, in gergo umanitario, sono ben descritte con il termine di “emergenze complesse”. Con quest’ultimo concetto si vuole descrivere una crisi in un paese, regione o società dove vi è un crollo totale o comunque considerevole dell’autorità centrale, come conseguenza di un conflitto interno e/o internazionale.
Tale crisi richiede una risposta che vada oltre il mandato di capacità di una singola agenzia e/o programma nazionale o delle Nazioni Unite. Queste emergenze sono spesso aggravate da congiunture economiche sfavorevoli, povertà radicate, crescite demografiche incontrollate, calamità naturali.
Di fronte alla complessità delle “nuove guerre”, anche le risposte e contro-strategie di intervento della comunità internazionale non possono che divenire più articolate, multidimensionali, complesse. In una visione integrata della società che prevede allo stesso tempo pace e sviluppo, sicurezza e buon governo, la sfida più importante per la comunità internazionale è - accanto alla pacificazione intesa come fine delle ostilità aperte - ricostruire stabili entità politiche come presupposto indispensabile alla creazione di paci durevoli.

La riflessione nonviolenta è quindi giunta a definire una nuova modalità di intervento, sempre basata su metodologie nonviolente, che è centrata sull'intervento preventivo, di interposizione e post-conflitto attraverso forme di intervento civile organizzato da Ong (Organizzazioni Non Governative) ed altre forme, che cercano un progressivo coordinamento e già realizzano modalità di cooperazione fra loro e con le agenzie dell’ONU.
L’obiettivo è la creazione di Corpi Civili di Pace.

Ci preme chiarire subito un punto: la nonviolenza non rifiuta il conflitto, non lo nega e non lo vuole nascondere. Anche perché le dinamiche conflittuali sono spesso legate a dinamiche di crescita, di sviluppo di miglioramento, comunque sia di non omologazione all'esistente al "già visto".
La nonviolenza si propone di affrontare il conflitto con una filosofia diversa e con altri mezzi. La filosofia è quella del <tu vinci - io vinco>, i mezzi coerenti a tale filosofia sono quelli che non prevedono l'annullamento dell'altro e l'umiliazione della sua dignità.

Legislazione esistente e spunti giuridici

o Il primo importante passo è stato quello del 1972, con l'approvazione della legge n.772 che istituiva il servizio civile e riconosceva l'obiezione di coscienza
o Nel 1985 con la sentenza n. 165 del 24 maggio la Corte Costituzionale ha dichiarato che l'obbligo di "difesa della Patria" può essere adempiuto anche senza l'uso delle armi.
o La legge sull'obiezione di coscienza, n.230/1998, permetteva all'obiettore di svolgere il servizio civile allo scopo di ricercare e sperimentare forme di difesa civile non armata e nonviolenta (art. 8 comma e). Inoltre sempre la medesima legge all'art.9 comma 7 e 11 disciplinava la possibilità per l'obiettore di prendere parte a missioni umanitarie all'estero.
o Collegati alla legge sull’obiezione di coscienza il 14 aprile 1998 sono stati approvati anche tre ordini del giorno: sulla formazione alla difesa nonviolenta, sull'obiezione alle spese militari e sulla costituzione dei caschi bianchi.

- Sulla formazione il Governo si impegna:
a costituire entro 6 mesi dall'entrata in vigore della nuova legge sull'obiezione di coscienza un organismo di consulenza avvalendosi anche della collaborazione dei principali Istituti di Ricerca sulla pace (Peaceresearch) italiani ed europei (quali L'UNIP di Rovereto, l'IPRI di Torino, il Centro studi di formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli di Padova, il BEOC di Bruxelles, L'IRNC francese, l'Austrian Study Center for peace and conflict resolution di Vienna);
ad avviare la formazione dei formatori di obiettori di coscienza utilizzando le esperienze già in atto degli Enti per il Servizio Civile e delle associazioni di obiettori, per la pace ed i diritti umani (Lega Obiettori di Coscienza, Movimento Internazionale Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Caritas, Associazione Papa Giovanni XXIII, ecc.);
ad istituire un "Centro Studi nazionale sulla difesa civile nonviolenta" in collaborazione con le Università, gli Istituti di ricerca sulla pace ed i Centri studi e documentazione dei movimenti nonviolenti italiani già riconosciuti dagli enti locali (Torino, Brescia. Verona, Padova, Perugia, Roma);
a convocare almeno ogni due anni un Convegno nazionale sullo stato della ricerca scientifica e sulle esperienze concrete europee ed internazionali di difesa nonviolenta, peacekeeping, peacemaking, peacebuilding;
a proporre in sede U.E. la creazione di un Corpo Civile Europeo di Pace da utilizzare in ambito ONU per la prevenzione dei conflitti armati, cosi come già contenuto nell'Agenda per la Pace di Boutrus-Ghali.


- Sui corpi civili di pace il Governo si impegna:
a studiare forme atte alla creazione ed alla formazione operativa di un contingente italiano di Caschi Bianchi.
- Sull’obiezione alle spese militari il Governo si impegna a studiare forme per rendere possibile ai cittadini contribuenti il diritto soggettivo all’obiezione di coscienza, prevedendo forme di finanziamento al servizio civile e alla difesa non armata e nonviolenta attraverso l’autodeterminazione di una percentuale delle tasse (sul modello dell’8 per mille dello stato e delle formazioni religiose).

- Il 06 marzo 2001 è entrata in vigore la nuova legge n.64 di “Istituzione del servizio civile nazionale” che all’art.9 prevede la possibilità che il servizio sia svolto all’estero per <interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione Europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità (…) resta salvo quanto previsto dalla legge 230/98>

Molto importante è la sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2004 che ribadisce come il servizio civile volontario è una “forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria” e quindi chi fa servizio civile volontario non può essere <scollegato> dalle tematiche della pace, dei conflitti e della loro possibile soluzione. Per noi ovviamente attraverso le metodologie nonviolente.

- L'11 maggio 2004 è stato insediato il COMITATO CONSULTIVO DELL'UFFICIO NAZIONALE DEL SERVIZIO CIVILE (UNSC) PER LA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA, così come previsto dalla Legge 230/98 e dal regolamento dell'UNSC, DPR 28/07/1999 n. 352 art. 2. Il Comitato Consultivo sulla DPN (difesa popolare nonviolenta), così ribattezzato, costituisce un importante riconoscimento giuridico e istituzionale per la ricerca e la sperimentazione di forme alternative alla violenza per la soluzione-gestione-trasformazione dei conflitti. Il Comitato è formato da 16 componenti, di cui la metà molto vicini alle tematiche e ai gruppi dell'area nonviolenta.
o Il 02 luglio 2006 a Bologna è stata costituita l’Associazione di promozione sociale <Associazione Istituto di Ricerca per la Pace – Rete Corpi Civili di Pace > , acronimo: IPRI-RETE CCP. La sede legale è a Torino, presso il Centro Sereno Regis, via Garibaldi n.13. Questa associazione, composta anche da altre realtà associative che si interessano dei CCP si propone di rilanciare in Italia una riflessione che porti a costituire istituzionalmente i CCP.
Si affianca alla già esistente Rete dei Caschi Bianchi.

Per la regione Emilia Romagna si evidenziano anche:
o la Legge Regionale sulla Pace del 24 giugno 2002 n.12 dal titolo “Interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace”,
o la Legge Regionale sulla “Valorizzazione del servizio civile” del 20 ottobre 2003 n. 20 che negli art. 1; 2 e 3 parla dei corpi civili di pace e all'art.9, punto 6 ribadisce che il servizio civile si può svolgere in missioni umanitarie e in ricerca e sperimentazione di forme di difesa civile non armata e nonviolenta.

Lo stesso Parlamento Europeo a più riprese si è espresso in materia di interventi civili per la pace, chiedendo al Consiglio dei Ministri della UE ed alla Commissione Europea il varo di un vero e proprio Corpo di Pace Civile Europeo (riferimenti: A4-0047/99 raccomandazione del Parlamento europeo sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo, proposta di raccomandazione al Consiglio presentata dall'on. Spencer e altri 38 deputati sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo -B4-0791/98-).
Con la volontà del Parlamento europeo di costituire un' Agenzia Europea per la Difesa, ora principalmente orientata al militare, si aprono nuovi spazi di discussione per inserire in questa

Agenzia Europea per la Pace.
(per maggiori dettagli sull'Agenzia Europea per la Difesa aprite il sito:
www.europalex.kataweb.it/Article/0,1605,29385|298,00.html ;


invece per informazioni su European Network for Civil Peace Services (EN.CPS) aprite il sito:
www.en-cps.org

- il sito dell'European Peacebuilding Liaison Office (EPLO):
www.eplo.org.

A livello internazionale importanti sono le Nonviolent Peaceforce:
www.nonviolentpeaceforce.org.


Altri riferimenti giuridici:

o Convenzione Internazionale sui Dititti Civili e Politici, ed in particolare:preambolo, art. 6 comma 1, art. 8, art.9 comma 1, art.18, art.20;
ï Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, ed in particolare: art. 3,
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10/12/1948 dell’ONU ;
ï Il Documento " An Agenda for Peace "; di Boutros Boutros Ghali approvato dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite;
ï Dichiarazione sui doveri e le responsabilità di individui, gruppi ed organizzazioni della società per la promozione dei diritti umani universalmente riconosciuti e delle libertà fondamentali, adottato dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite 53^ sessione, New York, 9 Dicembre 1998. A/RES/53/144;
ï Rapporto Boulanger-Martin approvato dal Parlamento Europeo il 17/05/1995 prevedendo l’istituzione di un Corpo Civile Europeo di Pace ;
ï Risoluzione Saonara 7-00987 del 16/11/2000 della XIV Commissione della Camera dei Deputati Politiche della Unione Europea in materia di " Evoluzione del servizio civile volontario " dove il Governo si impegna:
- ad elaborare un piano di azione per interventi nel settore della gestione delle crisi con strumenti non militari,
- perfezionare risposte non militari dell’Unione Europea,
- evolvere il servizio civile volontario in ambito europeo, con l’impegno a rafforzare i principi di costruzione della pace.

Alcune esperienze di intervento civile in aree di conflitto

Le esperienze delle Organizzazioni non Governative, delle associazioni e del mondo civile nel campo degli interventi umanitari in aree di conflitto e attività di servizio civile all’estero sono numerose e in tutte le parti del mondo.
Le Organizzazioni italiane che più si sono distinte sono:
- Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini, con l’Operazione Colomba e con i Caschi Bianchi (giovani in Servizio Civile) in Cecenia, Kossovo, Chiapas, Zambia, Tanzania, Congo, Timor Est, Albania, Croazia, Bosnia Erzegovina, Turchia;
- Beati i Costruttori di Pace di Padova, con iniziative a Sarajevo, Mostar, in altre zone della ex-Jugoslavia, Kossovo e nella Repubblica Democratica del Congo;
- Berretti Bianchi di Lucca, con missioni a Belgrado, Pristina (Kossovo), Iraq e in Palestina,
- Caritas Italiana con i Caschi Bianchi in iniziativa soprattutto nella ex-Jugoslavia ed in Africa,
- Gavci - CEFA di Bologna, con iniziativa in Africa e nella ex-Jugoslavia,
- ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) di Genova, con iniziative in Albania, in Macedonia, in Kosovo, in Bosnia-Erzegovina e nella Repubblica Federale Yugoslava (FRY),
- Pax Christi, Mir (Movimento Internazionale della Riconciliazione) e altre realtà con la “Campagna Kosovo”,
- PBI (Peace Brigades International) di Vicenza, con iniziative in Guatemala, Salvador, Colombia, Sri Lanka.
Ci sono poi moltissime realtà più piccole sparse sul territorio nazionale che hanno operato nel settore della pace a diversi livelli e con diverse esperienze. Tutto questo a dimostrazione di una forte vivacità italiana in materia. Non mancano esperienze europee di alto livello attraverso Ong, Federazioni di Ong, Servizio Civile di Pace, etc. in Francia, Austria, Germania, Spagna. A livello Europeo esiste inoltre una Piattaforma Europa per la Prevenzione dei Conflitti ed un Network Europeo per il Servizio Civile di Pace (EN.CPS).
Ricerca e formazione

Ovviamente vi sono anche delle realtà scientificamente preparate per dare la cornice teorica e di stampo universitario all’azione pratica. Alcune delle più importanti sono:
- Centro studi di formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli di Padova,
- CSDC (Centro Studi Difesa Civile) di Roma e Perugia,
- IPRI (Istituto Italiano di Ricerca sulla Pace) presso Centro Sereno Regis di Torino,
- UNIP (Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace) di Rovereto (Trento),
- CISP ( Centro Interdipartimentale Scienze per la Pace) presso l'Università di Pisa.

Il percorso Accademico dei Corpi Civili di Pace si sostanzia, per il momento di 3 tappe:
- Il Ministero dell’Università, nella Gazzetta Ufficiale del 19 ottobre 2000, classe ministeriale n.35, ha istituito il Corso di Laurea in <Scienze Sociali per la Cooperazione, lo Sviluppo e la Pace> .
- L’Università di Firenze, grazie al prof. Alberto L’Abate, ha approvato il corso di laurea su “Scienze Sociali per operatori di Pace”, corso che si è aperto con l’anno accademico 2001-2002,
- L’Università di Bologna, su indicazione della prof.ssa Anna Maria Gentili, si è indirizzata sempre sullo stesso tema anche se con un’accentuazione maggiore sul lato della Cooperazione e dello Sviluppo.

Da tutti questi elementi: legislativi, giuridici, esperenziali e formativi si ricava che la società civile è in grado di operare degli interventi umanitari e di pacificazione e tutela dei diritti umani in zone di conflitto. Emerge la consapevolezza che al necessario volontarismo ed alla capacità di improvvisazione, anche se animati da buona volontà, devono sempre più affiancarsi capacità professionali, conoscenze tecniche e formative adeguate.

Corpi Civili di Pace
A seguito dell'intuizione più alta del nostro secolo, quella cioè avuta da Gandhi nel voler risolvere i conflitti senza l'utilizzo della violenza e delle armi e nel rispetto della dignità e della vita della controparte, nascono filoni di pensiero e di azione che si contraddistinguono per un'elaborazione che porta negli anni '80 a formulare il concetto di Difesa Popolare Nonviolenta".
La DPN tentava di rispondere soprattutto alle richieste di sicurezza delle popolazioni minacciate da invasioni armate.

Ora però ci preme evidenziare alcuni contributi di teorici della nonviolenza.

Giovanni Salio -Nanni Salio- dell’IPRI-Rete CCP (Istituto di Ricerca per la Pace-Rete Corpi Civili di Pace) parla della Difesa Popolare Nonviolenta (DPN), sostenendo che questa non è qualcosa di già completamente realizzato, definito in ogni particolare, ma una ricerca, un processo in atto, ed è quindi inevitabile che si proceda lungo diverse linee di esplorazione, come d’altronde avviene in qualsiasi campo, compreso quello della difesa militare.

Vi sono due scuole di pensiero: la prima si concentra soprattutto, o esclusivamente, sul macro livello e considera la DPN soltanto come sostituto della difesa militare o, per usare un’espressione usata anche da Gandhi, come “equivalente morale della guerra”.
La seconda scuola, quella olistica, considera invece il termine DPN in un’accezione più ampia, come risoluzione nonviolenta del conflitto a più livelli, nella micro e nella macro realtà (anche come filosofia e stile di vita).

Giuliano Pontara dell’Università di Stoccolma si sofferma sul concetto di etica della responsabilità.
E’ convinzione assai comune che se una certa azione sia moralmente giustificata o no dipenda dall’essere o meno quell’azione conforme a certi principi morali, considerati validi indipendentemente dalle conseguenze cui l’agire conforme ad essi conduce.
E’ importante invece che questa concezione venga sostituita, o quanto meno affiancata, da un codice morale che metta in primo piano la responsabilità per le conseguenze cui le nostre scelte, sia livello privato individuale, sia a livello sociale e politico, conducono. Pontara chiama questa concezione “l’etica della responsabilità”.

Secondo l’etica della responsabilità dobbiamo quindi sempre agire in modo tale da produrre le migliori conseguenze possibili, basandoci su dei principi minimi, che hanno il grande pregio della reversibilità dell’azione.

In base all’etica della responsabilità il ricorso alla violenza è in via di principio giustificabile, in quanto non si può escludere a priori che in certe situazioni l’uso della violenza conduca a conseguenze migliori di quelle cui conduce ogni altra alternativa. In ogni caso però si può sostenere che di rado l’uso della violenza è effettivamente giustificato.
Antonio Papisca, dell’Università di Padova, propone come paradigma universale di riferimento i valori ed i principi del nuovo diritto internazionale, dei diritti dell’uomo e dei popoli: soluzione pacifica delle controversie; divieto dell’uso della forza; cooperazione internazionale; rispetto dei diritti umani in base al principio di interdipendenza e indivisibilità dei diritti civili e politici e dei diritti economici, sociali e culturali; autodeterminazione dei popoli; democrazia internazionale, intesa come partecipazione politica popolare ai processi decisionali delle istituzioni internazionali; ingerenza pacifica negli affari interni degli stati in materia di diritti umani.

Il riferimento centrale è la costruzione dell’ordine mondiale previsto dall’art.28 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: “Ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale in cui tutti i diritti e le libertà enuncianti dalla presente Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.”
A fronte a questa nuova realtà, lo status e il ruolo dell’obiettore di coscienza deve acquisire un rilievo internazionale: egli infatti è titolare di un diritto innato, internazionalmente riconosciuto, quale quello della libertà di pensiero e di coscienza, di cui il diritto all’obiezione di coscienza è una articolazione (art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950 e l’art. 18 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici del 1966).
Il riconoscimento è utile anche per creare forze di intervento non armato e nonviolento da utilizzare sia nell’ambito delle Nazioni Unite sia in ambito regionale.
Gene Sharp, dell’Università di Harvard (USA), propone di sostituire in un conflitto mezzi nonviolenti a mezzi violenti, consapevole che ciò non avverrà senza tenere conto dei motivi per cui le società mantengono i loro sistemi militari: infatti il bisogno di difesa è una necessità fondamentale di tutte le società.

Egli si distingue da molti che sostengono che si debba prima creare una società ideale per poter conseguire l’abolizione della guerra.
Esistono numerosi esempi di come i non-pacifisti siano riusciti in particolari conflitti ad abbandonare la violenza a favore dell’uso della lotta nonviolenta. La stragrande maggioranza di casi di lotta nonviolenta del passato ha avuto una base pragmatica, senza nessun tipo di convinzione nella nonviolenza etica o religiosa, o in altri tipi di rifiuto dottrinale dei mezzi violenti.

Sostiene quindi che gruppi umani o intere società possono consapevolmente decidere di usare metodi di lotta nonviolenti al posto di mezzi militari per difendersi, visto che è già esistita gente che ha praticato la nonviolenza per ragioni pragmatiche. E’ dunque possibile che, proprio nel mondo in cui viviamo, si verifichi un cambiamento da una difesa di tipo militare ad una difesa a base civile. In questo modo per intere società si aprirebbe la via che può portare all’abbandono della guerra.

Theodor Ebert, dell’Università di Berlino, parte dalla considerazione che non si può abolire una istituzione che agli occhi dei suoi difensori adempie una funzione necessaria, così come non si può offrire una istituzione funzionalmente equivalente a quella da abolire.

La maggior parte della gente si forma le proprie convinzioni di base riguardo l’impiego della violenza entro le mura domestiche, ed è esattamente là che si deve arrivare proponendo la soluzione nonviolenta dei conflitti, se si vuole riuscire ad eliminare la violenza.

Sono utili le task forces nonviolente?
Ebert ritiene sia importante istruire ed educare il maggior numero possibile di cittadini in modo tale che essi possano affrontare le nuove situazioni potenzialmente violente, che costituiscono una minaccia appena fuori casa.
L’uso dei molteplici metodi nonviolenti può essere appreso discutendo differenti scenari del conflitto ed imparandone le strategie (LEARNING GAMES).
Egli crede nella validità dello studio dei casi e nella loro descrizione in dettaglio.
La task force ed i volontari sono chiamati a formare una specie di muro vivente nonviolento intorno alle persone minacciate ed a formare dei gruppi di discussione per influire direttamente sui gruppi violenti.

La cosa più importante per il futuro è che si cominci un addestramento nonviolento con corsi particolari a seconda dei diversi compiti. La preparazione alla difesa civile di un giornalista sarà diversa da quella di un impiegato addetto alla distribuzione e raccolta delle tasse.

Jean Marie Muller, membro del “Movimento per un’Alternativa Nonviolenta”, parla di diversi argomenti collegati alla nonviolenza.

Un modo di intendere la democrazia ci porta a dire che “la democrazia è la legge del numero”, è il rispetto della legge della maggioranza: una volta che la maggioranza si fosse pronunciata, la democrazia consisterebbe nell’assoggettare la minoranza a tale maggioranza.
Ma esiste una seconda maniera di intendere la democrazia: quando si parla di un regime non democratico, si dice che esso non rispetta i diritti dell’uomo. E così si arriva ad una definizione di democrazia che non si riferisce più alla legge del numero ma al rispetto del diritto, al rispetto delle libertà e dei diritti individuali e collettivi dei cittadini e di tutti i cittadini. Rispetto della giustizia. Rispetto della libertà.

L’azione politica riguarda sempre la gestione dei conflitti: bisogna, allora, capire quali siano i mezzi per gestire i conflitti che restino lontani dalla logica della violenza e della guerra.

Vi sono due discorsi di Gandhi, che non sono opposti l’uno all’altro, ma che si situano su due registri differenti. C’è il discorso di Gandhi ai suoi compagni, alla sua comunità nel suo ashram, e sono coloro che condividono la sua fede nella nonviolenza. Evidentemente, a quel livello, tali discorsi legano la nonviolenza alla fede nella nonviolenza. Ma ci sono anche i discorsi di Gandhi alla tribuna del Congresso dell’India, essendo il Congresso dell’India l’organizzazione politica attraverso la quale Gandhi ha portato avanti la lotta per l’indipendenza dell’India. Egli afferma in molti dei suoi scritti: “Per me la nonviolenza è un credo, ma non ve la presento come un credo, ve la presento come una politica più efficace.”

Johan Galtung, dell’IPRI (International Peace Research Institute) di Oslo, comincia con il dare la definizione di conflitto: è opportuno, fin dall’inizio, distinguere tra conflitto, atteggiamento e comportamento.
Il conflitto vero e proprio è una incompatibilità fra scopi perseguiti da attori diversi: persone, gruppi o nazioni.
Lo stabilire che un sistema sociale in conflitto sviluppi necessariamente un comportamento ed un atteggiamento distruttivo, dovrebbe essere considerato come una ideologia piuttosto che una preposizione scientifica. Galtung ha una considerazione positiva del conflitto: il conflitto è una sfida.
La teoria generale si legge nel modo seguente: la parte terza o le parti terze intercedono in favore dell’oppresso contro l’oppressore.

Alcune tesi.
La prima tesi: la nonviolenza non funziona là dove gli oppressi sono deumanizzati.
Tesi numero due: la nonviolenza ha funzionato dove si è formata una catena fra una parte degli oppressori con gli oppressi. L’intervento di parti terze particolarmente vicine all’oppressore contribuisce a indebolire l’oppressore.
Tesi numero tre: affinchè la nonviolenza possa funzionare bisogna costruire una catena fra oppresso e oppressori. Collegare le parti terze (interne od esterne agli oppressori) con gli oppressi.

Uno dei maggiori problemi nell’addestramento all’azione nonviolenta è accertare se vale la pena di combattere per una determinata causa.
Superare la paura è il primo problema ma la via per superare tale paura è riuscire a far sì che gli operatori si identifichino con la causa per cui stanno combattendo.

E’ quasi impossibile prevedere la via esatta della nonviolenza, anche perchè i governi sono diffidenti rispetto alla nonviolenza: <se una popolazione può resistere a una forza proveniente da fuori, può ugualmente resistere all’autorità interna di un governo>.
La conclusione è che siamo in un processo con una prospettiva di tempo molto lungo e allora bisogna continuare, continuare e continuare, senza aspettarsi gratitudine e ricompensa. Lo si fa perchè è la cosa da fare.

Corpi di pace non armati e nonviolenti
La proposta fatta da Alex Langer e ripresa dai suoi collaboratori, per la creazione di un “Corpo Civile di Pace Europeo”, che possa intervenire in situazioni di conflitto acuto, o per prevenirne l’esplosione, o per aiutare a trovare soluzioni accettabili alle parti in conflitto.
L’inefficacia dell’ONU è stata provocata dagli stati che dominano questa organizzazione che non danno alle Nazioni Unite nè i soldi, nè gli uomini necessari, nel tentativo di accreditare l’ipotesi che gli interventi di interposizione armata siano inadeguati e superati.
Studi recenti hanno confermato che gli stati intervengono direttamente quando sono in gioco i loro interessi vitali e fanno invece intervenire le Nazioni Unite, quando non hanno interessi diretti e/o quando rischiano di fare una brutta figura.

L’intervento degli stati viene di solito svolto in modi completamente diversi, ad esempio con aerei che bombardano “il nemico” dall’alto: intervento molto meno rischioso per la vita dei propri soldati. Ma le due diverse politiche strategiche (interposizione o intervento aereo) hanno anche una seconda implicazione molto importante.
L’interposizione non ha un nemico; o piuttosto, potremmo dire, il nemico è la guerra stessa che si cerca di fare finire. Ma per poterla portare avanti in modo valido è necessario che i due contendenti che si combattono siano convinti che l’interposizione non è a favore di uno dei due ma al di sopra delle parti, nel comune interesse di far cessare i combattimenti e di trovare una soluzione equa al conflitto, accettabile da ambedue i contendenti. L’intervento armato aereo ha invece bisogno di designare un nemico, di vedere tutte le colpe da una parte e sorvolare quelle dell’altra.

Malgrado le Nazioni Unite siano nate per fare la pace e non la guerra, il Consiglio di Sicurezza ristretto è formato da paesi (USA, Russia, Inghilterra, Francia, Cina) che dal 1985 al 1989 hanno venduto a paesi terzi ben l’85,6% del totale degli armamenti nel mondo.

La casistica degli interventi di interposizione nonviolenta o, almeno nonarmata, programmati e progettati dal 1932 al 1996 è interessante: 25 casi di intervento di questo tipo e 9 casi di progetti non realizzati , 6 casi spontanei conosciuti.

L’interposizione nonviolenta, di persone significativamente correlate ai due gruppi in conflitto, ha portato alla fine dei combattimenti ed alla ricerca di soluzioni negoziate. Altri interventi, programmati, di persone esterne al paese in cui avviene il conflitto, non hanno sempre dato risultati così evidenti ma hanno sicuramente salvato varie vite umane. Un esempio importante di questo viene dall’intervento delle Peace Brigades International, dai “Beati i Costruttori di pace”, dall'Associazione Papa Giovanni XXIII° di Rimini, dai Berretti Bianchi di Lucca, dal GAVCI di Bologna, dalla Comunità di Sant’Egidio di Roma, da Amnesty International, ecc.
L’efficacia dell’intervento non dipende solo dal lavoro in loco, ma dal sostegno in tutto il mondo di gruppi locali che si attivano a sostegno di quella iniziativa.

Gli esempi servono per dimostrare la possibilità di soluzioni nonviolente dei conflitti. Essi possono essere presi come modelli di azioni preventive di organismi più grandi

Il PEACEKEEPING delle Nazioni Unite ed il suo efficiente funzionamento sono oggi le sfide più importanti per le forze armate e per gli addetti alla politica estera dentro o fuori dell’Europa. Nello stesso

tempo il ruolo potenziale dei civili nel prevenire o nel gestire i conflitti è tuttora grandemente sottostimato.

Il rapporto “Bourlange/Martin”, adottato dal Parlamento Europeo il 17 maggio 1995 nella sua sessione plenaria a Strasburgo, ha riconosciuto questo ruolo della società civile, affermando che “un primo passo verso un contributo nella prevenzione del conflitto potrebbe essere la creazione di un Corpo civile di pace europeo (che includa obiettori di coscienza), con il compito di addestrare osservatori, mediatori e specialisti nella risoluzione dei conflitti”.

Perche’ un Corpo Civile di Pace
I civili possono dialogare con più facilità, impressionano di meno dei militari, l’assenza di vincoli gerarchici facilita una maggior comprensione dei valori democratici. I civili non minacciano l’orgoglio nazionale, la sovranità dei comandanti militari locali, dei capi milizia e dei leaders politici (non sono dei rivali). Inoltre possono agire più sommessamente, senza bisogno di apparati propagandistici.

Organizzazione
Costituito dagli stati membri dell’Unione Europea, con riferimento all’OSCE e all’ONU.
Il suo raggio d’azione sarebbe l’Europa, ma con possibilità di agire anche fuori dai confini europei.
Dovrebbe disporre di una sede centrale generale e di personale pienamente equipaggiato.
Dovrebbe essere costituito inizialmente da 1.000 persone (1/3 professionisti, 2/3 volontari).

Compiti
Prevenzione (facilitando scambi e dialogo fra le parti in conflitto).
Rimozione (soprattutto degli elementi o delle situazioni che creano conflittualità).
Negoziazione (con autorità locali, con personaggi di spicco, con leaders locali, con i politici locali).
Promozione (del dialogo, dell’ascolto, della reciproca comprensione, della consapevolezza dei bisogni delle parti).
Denuncia (dei fautori della violenza o di crimini difronte alle autorità locali ed internazionali).
Sostituzione - solo su richiesta- (alle autorità o alla polizia locale).
Cooperazione (per provvedere ai rifornimenti e ai servizi, così come per alleviare le sofferenze dei civili. Ciò in collaborazione anche con le organizzazioni umanitarie).
Interposizione - solo su richiesta- (in caso di degenerazione violenta di conflitti, senza però imporre soluzioni alle parti).

Reclutamento Personale
Il Corpo deve avere partecipanti di diverse nazioni, anche di membri delle nazioni in conflitto.
Uomini e donne dai 20 agli 80 anni.
Qualità dei partecipanti:
tolleranza, resistenza alla provocazione, educazione alla nonviolenza, marcata personalità, esperienza nel dialogo, propensione alla democrazia, conoscenza delle lingue, cultura, apertura mentale, capacità all’ascolto, intelligenza, capacità di sopravvivere in situazioni precarie, pazienza, non troppi problemi psicologici personali.
Da dove reclutarli:
- dalle ONG con esperienza diretta di prevenzione dei conflitti,
- dagli obiettori di coscienza,
- dai militari peacekeeping in pensione e da diplomatici,
- da rifugiati ed esiliati delle parti in conflitto.

Addestramento
Fondamentale. Tutti, volontari e professionisti, devono aver preso parte a programmi di addestramento, i trainers devono avere la possibilità di essere stagiairs in missioni per acquisire esperienza sul campo.
Prevedere formazione pratica (corsi sopravvivenza, lingua, storia, religioni, tradizioni e sensibilità della regione dove si va ad operare).

Operazioni e Loro Preparazione
Le parti devono richiedere l’intervento e l’imparzialità è necessaria.
Necessario stabilire le condizioni di base, il mandato, il periodo, e il finanziamento.
In Europa operazioni gestite dall’OSCE.
Fuori dall’Europa dall’ONU.

Finanziamento
A carico dell’Unione Europea che, in una prima fase, dovrebbe prevedere finanziamenti per progetti pilota delle ONG.

Relazione con i Militari
I peacekeepers militari potrebbero fornire protezione ai partecipanti del Corpo.
Necessario collaborare costruttivamente.

Conclusione
Bisogna prevedere anche il fallimento di operazioni svolte dal Corpo. In ogni caso se il conflitto si trasforma in vera guerra, il Corpo deve essere evacuato (almeno i volontari).
Fondamentale collaborazione e consenso con comunità e autorità locali. Promuovere una politica premiale a livello internazionale per chi assume atteggiamenti e comportamenti virtuosi.

Tavola Rotonda di Bruxelles (6/11/1995)
Arno Truger, responsabile dell’Austrian Study Center for Peace Conflict Resolution dell’Università di Stadtschlaining; Pertti Joenniemi, ricercatore del Center for Peace & Conflict Resolution di Copenaghen (Danimarca); David L. Philips, direttore del Centro Europeo per la Ricerca di un Terreno Comune di Bruxelles; Ernst Gulcher, segretario dell’intergruppo del Parlamento Europeo su <pace, disarmo e diritti umani>, hanno discusso sui problemi e sulle prospettive legate alla costituzione del Corpo Civile di Pace Europeo.

Sono emerse due concezioni.
La prima è più prudente e cauta e si riassume nelle quattro condizioni necessarie per l’invio del Corpo in una zona di conflitto:
1) avere una forte autorità politica, diretta emanazione di un’autorità internazionale universalmente riconosciuta,
2) intervenire solo quando è ritenuto inevitabile,
3) intervenire solo per far rispettare la pace (peacekeeping) e non impegnarsi nel compito di imporre la pace (peaceenforcing) che deve essere riservato ad un intervento armato della comunità internazionale,
4) intervenire solo se invitati dai governi legittimi coinvolti nella guerra.
La seconda concezione, più vicina al sentire pacifista, si riassume nei seguenti punti:
a) il Corpo non deve essere gestito direttamente dagli stati, anzi deve farsi scrupolo di non favorire gli interessi politico-economici di nessuna potenza straniera, compresa quella della comunità europea,
b) deve essere espressione della democrazia dal basso e deve essere gestito dalle ONG; compito dell’autorità internazionale (ONU o Unione Europea) è quello di legittimare giuridicamente e di contribuire a finanziare queste forze di mediazione,
c) deve rigorosamente rinunciare alla violenza e sviluppare le iniziative di azione nonviolenta.

La discussione del corpo civile di pace nel contesto dell’Unione Europea non è solo un dibattito su ciò che l’Unione Europea dovrebbe fare e su quale tipo di risorse dovrebbe acquisire. E’ soprattutto qualcosa che fa parte della stessa natura dell’Unione Europea, su cosa essenzialmente sia l’Unione Europea.

Il supporto accademico è stato fornito dal Centro Studi Austriaci per la Pace e la Risoluzione dei Conflitti; dal Centro Europeo per il Common Ground e dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Tampere.

Altri punti emersi come Segreteria italiana della Difesa Popolare Nonviolenta sono:
1) funzioni raccordate con schema a tre vertici del triangolo: a) coordinamento internazionale, b) gruppi locali impegnati nei vari conflitti, c) presenze a lungo termine all’estero in zone a rischio (es.ambasciate di pace);
2) il Corpo deve essere gestito da un comitato misto in cui siano presenti ONG e rappresentanti istituzionali;
3) possono far parte del Corpo i maggiorenni di ambo i sessi, compresi gli obiettori di coscienza, i quali però non devono costituire la parte essenziale;
4) il Corpo dura un anno, di cui tre mesi sono dedicati alla preparazione: due mesi all’inizio, quindici giorni dopo il primo semestre, quindici giorni alla fine come verifica;

5) il Corpo deve essere strettamente collegato con le organizzazioni che sono impegnate nella mediazione dei conflitti a livello di previsione, prevenzione e soluzione. Non rientrano in questo novero le organizzazioni che si dedicano specificamente agli aiuti umanitari;
6) ai lavoratori che decidono di far parte del Corpo deve essere salvaguardato almeno il diritto al posto di lavoro;
7) il finanziamento del Corpo deve essere al 50% a carico della Comunità Europea e al 50% a carico delle ONG che ne hanno la responsabilità, come previsto dal progetto di Madame Cresson (risoluzione al Parlamento Europeo B4-1127/95). Potrebbe essere più valida una tripartizione: 33% a carico della Comunità Europea, 33% a carico delle ONG e 33% a carico dei singoli stati che verrebbero così a legittimare politicamente la Difesa Nonviolenta, obiettivo primario della Campagna Internazionale per la Legittimazione Politica della Difesa Nonviolenta promossa dall’organizzazione indiana “Cooperazione per la Pace”;
8) coloro che fanno parte del Corpo costituiscono le riserve con le quali è opportuno mantenere sempre i contatti. Le riserve dovrebbero rinforzare i gruppi locali impegnati nella mediazione dei conflitti del proprio territorio ed essere disponibili per eventuali missioni di interposizione nonviolenta all’estero.

IL SEMINARIO DI STADTSCHLAINING (AUSTRIA 16-18 FEBBRAIO 1996) E IL SEMINARIO DI VERONA SUL CORPO CIVILE DI PACE EUROPEO (VERONA 30 MARZO 1996)

Da queste ulteriori iniziative e da altri interventi su questo progetto sono emerse anche queste considerazioni.

Se la guerra è un problema della società, è logico che anche i rimedi, più che dallo stato, devono venire, in primo luogo, dalla società.

Finora, nella prassi politica, la strategia nonviolenta mal si distingueva da quella antimilitarista. E’ stata essenzialmente una strategia di contrasto più che di progettualità.
Nessuno è tanto ingenuo da ipotizzare un domani senza conflitti. In un processo di trasformazione il conflitto è una componente dinamica positiva. Compito della nonviolenza non è quindi eliminare il conflitto. Compito della nonviolenza è insegnare la soluzione nonviolenta dei conflitti. E qui necessita la progettualità.

L’Unione Europea, agli inizi del conflitto in ex-Jugoslavia, aveva creato la European Community Monitoring Mission.
Essa aveva come obiettivi originari il controllo delle tregue, la supervisione dello scambio dei prigionieri e l’applicazione delle sanzioni internazionali. Oggi si adopera per riportare le parti ad un unico tavolo negoziale, prevenire la ripresa delle ostilità e monitorare l’attuazione degli aspetti civili degli accordi.
La ECMM potrebbe essere il primo passo, con le dovute modifiche, per l’istituzione del Corpo Civile di Pace Europeo.

A livello Europeo il percorso di "avvicinamento" ai Corpi Civili di Pace è continuato con l'approvazione, nel febbraio del 1999, da parte del Parlamento Europeo di una Raccomandazione ai Paesi Membri per la costituzione dei CPCE.
A seguito di ciò poi si è tenuto un seminario a Bruxelles il 09 dicembre 1999 "Corpi Civili di Pace Europei, verso un'efficace politica dell'Unione Europea per la trasformazione dei conflitti", organizzato dall'Intergruppo iniziative per la Pace dei Parlamentari Europei e presieduto da Luisa Morgantini.

Il Concetto di un Corpo di Pace Civile Europeo (CPCE)

Introduzione
La nuova situazione di conflitto venutasi a creare alla fine della "guerra fredda" è stata caratterizzata da un numero crescente di conflitti intrastatali con sempre maggiori implicazioni internazionali di carattere politico, economico, ecologico e militare. Tale evoluzione ha portato ad una crescente necessità e legittimità di un intervento esterno, ponendo le organizzazioni internazionali come l'Unione europea (UE) di fronte a una sfida sempre maggiore . Tuttavia dato il carattere multiforme di questi conflitti, esse debbono affrontare il problema della loro comprensione e gestione. Si registra una mancanza di adeguati concetti, strutture, metodi e strumenti, (ivi compresi mezzi materiali e personale preparato). E' ovvio ormai che avvalersi unicamente delle risorse tradizionali associate alle strategie diplomatiche o militari non basta più. E' necessario pertanto un approccio globale inteso a creare la pace, che comprenda gli aiuti umanitari, la cooperazione allo sviluppo e la soluzione dei conflitti. Gli interventi debbono essere coordinati a livello internazionale; riferirsi ai bisogni della popolazione nella zona di conflitto; essere compatibili con la società civile e con gli altri attori sul campo; essere non violenti e distinti dalle azioni coercitive, flessibili e pratici; essere altresì in grado di contrastare fin dall'inizio l'escalation della violenza.
La relazione Bourlanges/Martin, approvata dal Parlamento europeo nella seduta del 17 maggio 1995, a Strasburgo, ha riconosciuto per la prima volta questa necessità affermando che "un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo civile europeo della pace (che comprenda gli obiettori di coscienza) assicurando la formazione di controllori, mediatori e specialisti in materia di soluzione dei conflitti". Da allora, il Parlamento europeo ha ripetutamente confermato tale affermazione, da ultimo nella sua più recente relazione sull'attuazione della PESC. Nel frattempo è stato previsto di configurare il Corpo di pace civile europeo nel modo seguente:
Obiettivi
La principale priorità del CPCE sarà la trasformazione delle crisi provocate dall'uomo, per esempio la prevenzione dell'escalation violenta dei conflitti e il contributo verso una loro progressiva riduzione. In ogni caso, i compiti del CPCE avranno un carattere esclusivamente civile. Un particolare accento sarà posto sulla prevenzione dei conflitti, in quanto più umana e meno onerosa rispetto alla ricostruzione del dopoconflitto. Tuttavia, il Corpo potrebbe svolgere altresì compiti umanitari in seguito a catastrofi naturali. Il coinvolgimento del CPCE non dovrebbe limitarsi ad una data regione (per esempio Europa).
Il CPCE si baserà su un approccio olistico, che comprenderà inter alia sforzi politici ed economici e l'intensificazione della partecipazione politica e del contesto economico delle operazioni. Dal momento che gli sforzi intesi a trasformare il conflitto debbono riguardare tutti i livelli di conflitti che si protraggono nel tempo, il CPCE assumerà compiti multifunzionali. Esempi concreti delle attività del CPCE intese a creare la pace sono la mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti, l'aiuto umanitario (ivi compresi gi aiuti alimentari, le forniture di acqua, medicinali e servizi sanitari), la reintegrazione (ivi compresi il disarmo e la smobilitazione degli ex combattenti e il sostegno agli sfollati, ai rifugiati e ad altri gruppi vulnerabili), il ricupero e la ricostruzione, la stabilizzazione delle strutture economiche (ivi compresa la creazione di legami economici), il controllo e il miglioramento della situazione relativa ai diritti dell'uomo e la possibilità di partecipazione politica (ivi comprese la sorveglianza e l'assistenza durante le elezioni), l'amministrazione provvisoria per agevolare la stabilità a breve termine, l'informazione e la creazione di strutture e di programmi in materia di istruzione intesi ad eliminare i pregiudizi e i sentimenti di ostilità, e campagne d'informazione e d'istruzione della popolazione sulle attività in corso a favore della pace. Nulla di tutto ciò può essere imposto direttamente alle parti, tuttavia la loro cooperazione può essere agevolata attraverso il sostegno politico proveniente dall'esterno.
La riuscita nell'adempimento di questi compiti dipenderà dal grado in cui il CPCE sarà capace di migliorare le relazioni tra gli aiuti umanitari, il rafforzamento della fiducia e la cooperazione economica. Il sostegno a questi settori non potrà avere un risultato positivo se non sarà messo in relazione agli altri; per esempio il successo degli aiuti umanitari e la ricostruzione dopo una guerra dipendono dal grado di fiducia che viene a crearsi tra le parti belligeranti. La ricostruzione materiale ha pertanto il compito di coinvolgere i belligeranti in progetti comuni.
Il CPCE dovrebbe essere un organo ufficiale, istituito dall'Unione europea e operante sotto gli auspici della stessa. Con riferimento agli organi e agli Stati membri dell'UE, il CPCE dovrebbe garantire che
- i fondi dell'UE siano utilizzati per progetti compatibili con gli interessi dell'UE;
- il sostegno dell'UE sia reso visibile;
- gli Stati membri dell'UE siano sostenuti nella preparazione e nell'assunzione del personale delle missioni;
- il coordinamento tra gli Stati membri e gli altri attori beneficiari dei fondi per attività finalizzate alla pace sia agevolato e siano vietati i doppioni;
- i fondi dell'UE siano utilizzati in maniera efficiente.
Il CPCE opererà soltanto con un mandato sostenuto dall'ONU o dalle sue organizzazioni regionali: OSCE, OUA, OAS. Esso contribuirà a creare i necessari collegamenti tra le attività diplomatiche, da un lato, e la società civile, dall'altro. Quale organo a favore della pace, il CPCE svolgerà attività diverse da quelle svolte in tal senso in campo diplomatico. Le missioni del CPCE si baseranno sull'assenza di operazioni militari violente, su una specie di accordo di cessate il fuoco e sul consenso delle principali parti interessate. Quale organo ufficiale, il CPCE si distinguerà dalle ONG. Le sue attività si baseranno tuttavia su un'efficiente cooperazione con le ONG e rafforzerà e legittimerà il loro lavoro. L'attività del CPCE sarà strutturata ed organizzata indipendentemente dagli organi militari, pur basandosi sulla cooperazione con i militari laddove le missioni del CPCE coincideranno con le operazioni per il mantenimento della pace.

Personale e struttura
Il CPCE consisterà in due parti:
1. un nucleo costituito da personale qualificato a tempo pieno che svolgerà compiti di gestione ed assicurerà la continuità (vale a dire un segretariato con compiti di amministrazione e gestione, assunzione, preparazione, intervento, rapporto di fine missione e collegamento); e
2. un gruppo costituito da personale specializzato da destinare alle missioni (ivi compresi esperti, con o senza esperienza, tuttavia perfettamente addestrati), chiamato a compiere missioni specifiche, assunto a tempo parziale o con contratti a breve termine in qualità di operatori sul terreno (ivi compresi gli obiettori di coscienza su base volontaria o volontari non remunerati). Il reclutamento si baserà su una rappresentanza proporzionale tra gli Stati membri dell'Unione europea.

Preparazione

Preparazione generale
Tutto il personale sarà preparato tenuto conto delle condizioni generali della missione (per esempio carenza di adeguate infrastrutture materiali, forti pregiudizi e sentimenti di ostilità, tendenza alla violenza, servizi sanitari inadeguati, sistemi di forniture che mettono a dura prova il personale e le sue capacità sociali, dovendo cooperare in uno scenario multiculturale alieno alla propria vita normale. La preparazione generale svilupperà le capacità di far fronte a condizioni estreme ed applicabili ad una vasta gamma di situazioni di conflitto. Avrà lo scopo di creare un terreno d'intesa comune che comprenderà l'apprendimento di un modo di comunicazione comune e fornirà un approccio generale per il personale dell'UE proveniente da esperienze professionali e culturali diverse, che gli consentirà di operare in paesi con popolazioni di diverse culture. Nel corso della preparazione generale, ai tirocinanti verranno impartite nozioni di base sulle attività intese a stabilire la pace e sulle organizzazioni interessate (ONU, OSCE, ONG).
Preparazione con riferimento alle funzioni
Dato che il carattere multidimensionale dei conflitti rende molto ardue la loro comprensione e gestione, le esperienze professionali debbono riferirsi alle strategie per la trasformazione dei conflitti e alle specificità delle varie funzioni da svolgere. Indipendentemente dalla missione cui il personale sarà assegnato, esso dovrà ricevere una preparazione specifica e circostanziata relativa alle funzioni da svolgere su almeno uno dei principali compiti della missione.

Preparazione con riferimento alla missione
Il personale della missione dovrà essere messo al corrente delle condizioni specifiche in cui verrà a trovarsi in talune missioni e delle particolari funzioni che dovrà svolgere. Si rende pertanto necessaria una preparazione con riferimento specifico alla missione da effettuare, sia prima dell'intervento che sul terreno.
Rapporto di fine missione
Il rapporto di fine missione è importante per il personale e per il CPCE per valutare e integrare le esperienze e per migliorare la preparazione e le operazioni sul terreno.
Assunzione
Al fine di garantire che venga assunto soltanto personale qualificato è necessario che il CPCE stabilisca:
a) una base generale di dati relativa al personale disponibile che comprenda organigrammi compatibili in tutti gli Stati membri e istituzioni di formazione dell'UE;
b) procedure generali di assunzione che consentano la trasmissione periodica di informazioni sul personale qualificato tra le istituzioni interessate; e
c) una base per l'assunzione negli Stati membri, tramite la pubblicazione dei vantaggi della partecipazione del CPCE agli sforzi intesi a creare la pace, e l'adozione di misure sul piano giuridico e finanziario per garantire la sicurezza del posto di lavoro e predisporre misure sanitarie in vista delle missioni.
Intervento
È necessario provvedere all'organizzazione dell'intervento conformemente al mandato di una data missione. Il mandato deve essere definito in termini chiari e fattibili con riferimento alle risorse disponibili. Si deve altresì provvedere all'equipaggiamento necessario, alla copertura assicurativa e all'organizzazione della dislocazione del personale.
Finanziamento
L'UE e i suoi Stati membri provvedono al finanziamento. Al fine di agevolare la creazione del CPCE in base alle risorse disponibili, da un lato, e far fronte all'insieme delle esigenze, dall'altro, è previsto un continuo ampliamento del CPCE, iniziando con un progetto pilota seguito da costanti operazioni di controllo e da adeguamenti perfettamente sintonizzati.
Quadro istituzionale
Il CPCE dovrebbe essere creato quale servizio specifico nell'ambito della DG I della Commissione, con un direttore generale responsabile nei confronti del Commissario per gli affari esteri e dell'Alto rappresentante della PESC che dovrà essere insediato tra breve presso il Consiglio. Onde garantire la sua necessaria flessibilità operativa sarebbe opportuno strutturarlo sul modello di ECHO.

Conclusioni
Il ruolo potenziale dei civili nel campo della prevenzione e della soluzione pacifica dei conflitti deve essere ancora valutato in tutti i suoi elementi. Al termine di una missione militare per il mantenimento della pace si registra spesso una recrudescenza del conflitto, in quanto le ragioni interne che sono state all'origine della violenza non sono state pienamente affrontate e risolte. La risposta militare, per quanto necessaria per porre fine al confronto violento, non è sufficiente a creare un'effettiva riconciliazione tra le parti. A tale riguardo, l'idea del CPCE dovrebbe essere presa in considerazione dall'UE quale ulteriore mezzo per accrescere e rendere la sua azione ancora più efficace. Agevolare il dialogo e ripristinare le condizioni di reciproca fiducia sono compiti troppo spesso trascurati che dovrebbero far parte di ogni missione di pace. Solo perseguendo un reale processo di riconciliazione si potrà raggiungere una pace durevole. La diplomazia civile, meno dura e più flessibile, dovrebbe essere usata per affiancare, continuare o concludere azioni militari per il mantenimento della pace. L'UE ha una straordinaria occasione di rafforzare la sua politica estera e di sicurezza comune creando un nuovo strumento pratico che potrebbe essere messo a disposizione delle parti belligeranti, prevenire l'escalation della violenza e apportare una soluzione pacifica alle crisi.



Appendice

Testimonianze di giovani in Servizio Civile all’estero.

Particolarmente significativa in Italia è l’esperienza dei Caschi Bianchi, giovani del servizio civile impegnati in missioni di Pace e per la Cooperazione fra i popoli.
Dall´incontro di questi giovani con le popolazioni del Sud del mondo e delle aree di conflitto nasce l’idea di "Antenne di Pace" un sito (www.antennedipace.org) che raccoglie i diari, i reportages e le gallerie fotografiche che raccontano della bellezza dei luoghi, ma anche e soprattutto che denunciano le ingiustizie con le quali milioni di persone convivono ogni giorno.
Vi presentiamo alcune delle tante testimonianze raccolte negli anni.

Bilancio di un Casco Bianco rientrato
Elena De Giusti (Casco Bianco a Lima, Perù)
Fonte: Caschi Bianchi Focsiv - 14 ottobre 2005
Oggi è il 3 ottobre 2005, un anno fa mi trovavo a Lima e insieme alla mia compagna Fabiana e alla nostra responsabile Silvia stavo traendo le conclusioni di un anno di Servizio Civile in Perù come Caschi Bianchi.
E' passato un anno, ma solo adesso riesco a far ordine nella mia testa e a capire cosa è successo dentro di me.
Per 10 mesi filati mi sono chiesta che cosa volesse dire essere un Casco Bianco e non ne venivo mai a capo. Nonostante la formazione ricevuta prima della partenza, i dubbi sono stati tanti e in continuazione mi chiedevo se sarei stata all'altezza di questo compito cercando fuori di me risposte che non arrivavano. Ripensavo alle richieste che c'erano state fatte alla partenza, a quelli che sarebbero stati i nostri “compiti” e siccome si era insistito molto sull'essere voce dei senza voce mi sforzavo, senza riuscirci, di scrivere qualcosa che potesse essere di qualche interesse.
Solo adesso, dopo un anno dal mio rientro, mi rendo conto di quante cose abbia dato per scontate, di quanto poco le persone siano informate e di come molti rimangano increduli ascoltando semplicemente il racconto di una giornata a Lima. Ora sento di essere un Casco Bianco, qui in Italia, in Friuli, ogni giorno. Il Servizio Civile è stata una scintilla, probabilmente c'è voluto un po' perché il fuoco attecchisse, ma ora si è scatenato un incendio dentro e fuori di me. Ho fatto miei i valori in cui credevo prima di partire per il Perù e li ho trasformati in cellule del mio corpo. Sono diventati parte della mia vita e ho così capito cosa significhi insegnare con l'esempio, essere coerenti, partecipativi e critici nei confronti della realtà e della società che ci circonda.
Adesso affronterei la stessa esperienza in modo diverso, molto più consapevole. Sicuramente non c'è un modo giusto o uno sbagliato di fare il Servizio Civile, è un cammino, un sentiero poco segnato che ognuno arricchisce lasciando un pezzo di sé a indicare il suo passaggio per quelli che verranno poi.
Mettendo ordine nelle mie idee ho accantonato per un po' la mia voglia di ripartire il più presto possibile. Incredibilmente l'aver aperto una finestra sull'altro lato del pianeta mi ha dato la possibilità di osservare con più attenzione la realtà che mi circonda. Così ho deciso di impegnarmi sul territorio, rendendomi conto di quanto lavoro c’è da fare per porre delle basi solide necessarie alla costruzione di ponti duraturi tra i pochi “nord” e i tanti “sud”, non solo quelli geografici. Sì, perché la geografia in questi casi ci aiuta solo a fare confusione, a catalogare le persone e a sentirci tranquilli perché salvati dalle distanze. Queste distanze non esistono più, oggi i “sud” sono i campi nomadi fuori (o dentro) le nostre città, le comunità di immigrati che vivono e lavorano con noi, i ragazzi emarginati di quel quartiere con cui nessuno vuole avere a che fare.
Con questa nuova consapevolezza mi sveglio tutti i giorni, con questi nuovi occhi leggo il giornale o ascolto le notizie, con la voglia di approfondire, di saperne di più e non fermarmi alla superficie. Adesso, cerco di individuare il problema reale e provo a dare soluzioni creative, osservando dal di fuori e da ogni angolazione.
Quando stavo a Lima spesso mi incontravo con un gruppo di amici peruviani, ragazzi e ragazze di un quartiere popolare, accomunati dalla passione per l'arte in genere e in particolare per il teatro. Molte erano le occasioni di confronto e a volte mi sentivo profondamente in imbarazzo perché, posta davanti alla vita, io avevo comunque la possibilità di scegliere, mentre loro no. Dovevano risolvere questioni quotidiane di cui io, invece, non dovevo preoccuparmi e questo li obbligava a prendere decisioni concrete invece di inseguire un sogno o un ideale. È anche per questo che, adesso che sono tornata, cerco di dare concretezza ai valori che mi hanno portata in Perù. Io posso permettermi di decidere quale strada percorrere nella mia vita e, pensando a tutti quelli che non lo possono fare, ho scelto con più volontà e determinazione di percorrere il cammino verso la pace, contribuendo passo dopo passo e giorno dopo giorno alla sua costruzione.
Non sarà una strada facile da percorrere, ma visto che le regole, purtroppo, si fanno da questa parte del mondo, credo che tutti noi abbiamo una responsabilità enorme nei confronti di chi le subisce e questo deve spingerci verso una consapevolezza, affinché le nostre scelte diventino sempre di più scelte di vita per tutti.

Creatività vs violenza e distruzione
Sara Venturini (Casco Bianco in Israele/Palestina)
Fonte: Caschi Bianchi Apg23 - 06 ottobre 2008
A pochi chilometri da Betlemme, nei pressi di Beit Sahour c’è un posto chiamato Oush Grab, terra dei corvi, parco giochi per i bimbi della zona, ristorante e area picnic per le famiglie, con un campo sportivo per i più atletici, una piccola pineta dove in estate campeggiano gli scout, un osservatorio di animali protetti per gli amanti della natura e un punto di incontro per molti che approfittano del solo luogo pubblico della città per passare una giornata all’aperto.
Esiste da meno di un anno, eppure riesce a raccogliere tanta gente. Molte organizzazioni della società civile palestinese e centinaia di internazionali hanno visitato il luogo. Foto di Oush Grab si trovano oramai ovunque in internet. Oush Grab è diventato un simbolo di resistenza creativa alla violenza e alla volontà distruttiva dei coloni.
In cima alla collina della valle, tra pietre e macerie, restano ancora eretti gli edifici di una vecchia base militare, prima giordana e poi passata in mano all’esercito israeliano durante l’occupazione del ’67. E’ qui che si decide ogni giorno il futuro del parco e dei bambini, tra bandiere israeliane erette a simbolo di conquista, messaggi e disegni di pace lasciati da visitatori, bambini e “anarchisti”, secondo la definizione della stampa dei coloni. Anarchisti perchè forse non esiste una parola nel dizionario dei coloni per definire persone che credono nella giustizia e nella resistenza creativa e nonviolenta, senza essere affiliati a nessuna religione e a nessun gruppo etnico e partitico. Semplici persone che credono nei valori dell’umanità e ripudiano la filosofia dell’odio e della separazione.
Da sopra la collina c’è una vista a trecentosessanta gradi della città di Betlemme e dei villaggi intorno. L’esercito israeliano utilizzava il luogo come avamposto durante la seconda intifada per invadere la città. Da qui partiva la macchina israeliana di occupazione e distruzione. La triste fama di Oush Grab non è purtroppo ancora cosa passata. Nonostante la base militare sia stata abbandonata e gli edifici siano in deperimento, un gruppo di coloni estremisti sta facendo propaganda di terrore sui media, al knesset e per le strade delle colonie per rioccupare la base militare e costruirvi un avamposto ebraico. Organizzano dimostrazioni in cui, armati di bombolette spray, così come di fucili veri e propri, protetti dai militari, arrivano in territorio palestinese, compiendo un atto illegale per gli ebrei, piazzano tende, sedie e speaker e imbrattano i muri di stelle ebraiche e bandiere d’Israele, seguite da decine di frasi razziste come “a morte gli arabi”, “la terra d’Israele appartiene agli ebrei”, “gli ebrei vinceranno, Dio è con noi”. È una sfida innalzata a Dio, un Dio che elegge il suo popolo e lo proteggerà fino all’ultimo. E se Dio è con loro, allora non serve più nessuna moralità. Dio li perdonerà se tireranno pietre e sputeranno in faccia a chi non è ebreo.
La sfida è nata quando il comune di Beit Sahour ha presentato una richiesta di permesso all’amministrazione civile israeliana, essendo il territorio ancora sotto ordine militare israeliano, per costruire un ospedale per i bambini. A Beit Sahour non c’è ospedale e nei villaggi intorno hanno solo dei medici che si recano di tanto in tanto a controllare la situazione. Il permesso, naturalmente negato, ha suscitato la rabbia dei coloni ebrei che risiedono, illegalmente, nelle colonie e negli avamposti che circondano e racchiudono Betlemme in un’enclave. Nella loro stampa si parla di occupazione araba di territorio dello stato d’Israele. Un quartiere arabo, in terra araba, minaccerebbe la presenza dei coloni ebrei che risiedono nella zona. Ma linea verde e occupazione militare non vengono menzionati. Tutto viene presentato e modellato in nome di ideali nazionalistici quali indipendenza e sicurezza per la nazione.
Il gruppo di “anarchisti” ha deciso che il messaggio sarà diverso: niente scontri, niente provocazioni, niente bandiere né dimostrazioni: solo attività culturali e ricreative. Creatività contro volontà distruttiva. Se il posto non può essere né dell’uno né dell’altro, allora sarà per tutti coloro che vogliano condividerlo. Conferenze, barbecue, serate musicali e spettacoli di dabka, pittura degli edifici con disegni e colori di pace, carnevale e feste per i bambini, giochi di ruolo, bingo, momenti di preghiera e tour naturalistici e storici del sito.
Le armi possono spaventare, distruggere e uccidere gli uomini ma non i loro ideali. Oush Grab porta oggi nella coscienza di molti il messaggio che è possibile resistere alla violenza con arte e creatività.

Diario a bordo di un’emozione travolgente
Susanna Saleri (Casco Bianco a La Paz, Bolivia)
Fonte: Caschi Bianchi Apg23 - 25 giugno 2008
Dopo ben cinque mesi immersa nella nuova realtà che si chiama Bolivia sento la forte necessità di scrivere. Non per trasmettere qualcosa se non per dar sfogo al mio bisogno. Scrivere per trasmettere è qualcosa di veramente difficile quando non si ha la possibilità di vedere con i propri occhi. Trovare le parole per ogni sensazione che si presenta ogni giorno è quasi un’impresa…
Tocco terra Boliviana e ogni giorno incontro qualcosa che mi fa pensare di essere vicina a dove volevo arrivare. Tanto tempo camminando senza meta ed eccomi qui…lontana da tutto ciò che è stato fino ad oggi il mio quieto quotidiano vivere. Ed ora, completamente sconvolta da colori, odori, suoni tanto diversi che quasi non mi appartengono, sguardi mai visti, sapori mai provati prima. Come poter trasmettere la magia della profondità dello sguardo di un bimbo con il mocco al naso ... con le parole?! Vedere, vivere ed essere travolti dalla passione che entra nel mio corpo ogni giorno.
Sembra tutto così strano, eppure facciamo parte dello stesso mondo e non mi sento diversa da loro, semplicemente fortunata perchè oggi posso vivere a pieno e con emozione ciò che mi è stato possibile vedere e sentire con tutta me stessa, in questo pezzo di mondo.
Ho visto bimbi piangere e sorridere, li ho sentiti insultarmi perchè rimango sempre la ricca Gringa che viene per un senso di colpa nei confronti dell’umanità, ho visto ubriachi per la strada con un senso di umiltà più forte rispetto al mio solito concetto, ho sentito odore di urina per ogni angolo di questa città, ho sentito la fatica fisica del vivere a 4000 metri e la fatica mentale dell’ingiustizia che la circonda.
Ho conosciuto gente interessante che non si è fermata davanti al colore della mia pelle e ho respirato l’aria inquinata e troppo pura vicino al cielo, a un dito dalle nuvole e dalle stelle, mi sono addormentata in compagnia dei miei compagni di viaggio.
Ho visto nascere un amore simbolo della differenza accomunata dalla voglia di vivere e di cominciare un progetto nuovo,ho respirato ogni singolo momento con la consapevolezza che niente sarà più come prima, che quando tornerò qualcosa in me sarà diverso e più difficile da affrontare.
Bolivia: emozioni indescrivibili, inafferrabili, dolori che ti segnano da dentro perchè vivi la non giustizia ogni giorno, perchè vorresti fare qualcosa e non puoi perchè ti senti impotente e senza forze, perchè qui, in fin dei conti, non c’entri, ma ci sei, ci vivi e vuoi che sia così, e vuoi condividere tutto questo con qualcuno, e cerchi di farlo attraverso le tue parole, ma sono tue: tue sono le delusioni, tuoi i dubbi e la rabbia…e come poter pretendere che gli Altri ti capiscano!
Bolivia dei sorrisi senza denti, degli occhi delle persone tristi, del loro odori forti, della loro vitalità, della loro energia, ma anche della loro povertà e della loro sofferenza, della loro voglia di continuare nonostante tutto e di buttarsi via con un niente.
Questa è Bolivia: un insieme di sentimenti altalenanti che mi abbracciano ogni giorno fino a stringermi il cuore, fino a farmi soffocare e sentire che rimango sempre la stessa di prima, con dubbi, gioie e sofferenze che ci accomunano in ogni parte del mondo. Una volta qualcuno ha scritto “Il mondo è lo stesso di quando eravamo bambini, attende ancora con pazienza l’arrivo di veri eroi”.

Cittadini onorari
Mirella Zanon (Casco Bianco ad Astrahkan, Russia)
Fonte: Caschi Bianchi Apg 23 - 14 aprile 2007
Quando piove di solito sono pochi. Oggi è un’uggiosa giornata d’inizio aprile e non ne abbiamo incontrato quasi nessuno per le strade di Astrakhan. I senza fissa dimora qui sono molti e diversissimi tra loro: anziane signore, uomini oltre la cinquantina, bambini zingari, invalidi, ragazzi e ragazze, madri con figli da allattare, ex carcerati, distinti signori dallo sguardo penetrante, donne zoppe e ricurve, uomini dall’età indefinibile con gli occhi spenti.
Sono tutti accomunati dal rifiuto della società in cui vivono, un rifiuto subito, scelto, innato o cercato. Qualcuno ha come rifugio un tombino, qualcun altro dorme sulle tubature del riscaldamento che attraversano la città in superficie. Tra questi, chi è più sfortunato muore sciolto nel sonno, con la pelle incollata ai tubi bollenti. Altri, gli zingari soprattutto, stanno di solito ad elemosinare al mercato coperto. La maggior parte si raduna davanti alle chiese ortodosse della città.
Questa mattina non si vede quasi nessuno, forse perchè la pioggia li ha portati a rintanarsi in qualche buco, in qualche rovina abbandonata. Chissà dove sono le madri che se ne stanno sedute sul marciapiede davanti alla moschea, con i loro bambini piccolissimi e malati tra le braccia. E la nonna mezza matta vicino ai chioschi del grande mercato cittadino dei Bolshie Isady, con il suo impermeabile grigio sempre sudicio? Forse la figlia l’ha riempita ancora di medicine e lei non ha avuto la forza di uscire sulla strada. Non c’è nemmeno l’uomo con le stampelle, quello senza una gamba, che di solito se ne sta appoggiato alle tubature e mi sorride e mi benedice appena mi vede arrivare col furgone da lontano, assieme agli altri volontari. Oggi nell’aria manca la puzza dei bambini che mi corrono incontro e mi abbracciano, sorrisi sdentati e mani sporche. Lasciano cadere per terra le salsicce che distribuiamo tra due fette di pane, tanto la voglia di guardarci e parlare con noi supera l’attenzione verso il boccone ricevuto. Mi chiedo dove sia finita anche quella donna che si lamenta sempre del the, a volte poco zuccherato, a volte tiepido, a volte già terminato. “Fa schifo questo the oggi”, ha detto una mattina, gettando via il contenuto del bicchiere mentre s’allontanava. Non si vede nemmeno quell’allegro signore che mi sorride e mi dà le pacche sulla spalla, col berretto di pelliccia nero che fa risaltare ancora di più gli occhi azzurri, vispissimi. L’ultima volta mi ha regalato due cioccolatini, pregando Dio di darmi salute e felicità. La città sembra surreale, senza incontrare per le strade i loro volti e le loro storie. Ogni volta ci sono persone nuove da conoscere, ogni volta le solite facce conosciute da incontrare, le facce di quelli che ormai sono diventati i cittadini onorari della strada. Mi ritrovo inevitabilmente a pensare dove siano finiti quelli che mancano, se li rivedrò, se sono vivi da qualche parte.
Non esiste una minima tutela giuridica per queste persone, non solo perché quasi tutte sono senza documenti, ma anche perché allo stato russo non servono a niente e quindi semplicemente per la legge non esistono. Per questo motivo la milizia non interviene quando diventano vittime di pestaggi da parte di bande giovanili di tossicodipendenti o delinquenti; anzi, la polizia stessa sempre più spesso effettua ronde diurne per portarsene via qualcuno e farlo lavorare “per conto proprio”. Chissà cosa mai significa questa espressione: nella sua ambiguità, mi spaventa. Questi cittadini onorari della Russia non hanno diritto a cure mediche, non hanno diritto di sedersi su una panchina della stazione quando d’inverno la temperatura scende a 20 gradi sotto zero e loro se ne stanno stesi sul pavimento, non hanno diritto ad una casa o ad una famiglia. Non hanno neanche la pietà di chi passa loro accanto sul marciapiede e li urta col piede mentre mangiano, borbottando se per caso non abbiano scambiato la strada con un ristorante. E pensare che oggi come me forse speravano in una giornata di sole primaverile, ma diversamente da me si sono svegliati con la pioggia sulla testa e i piedi nel fango. Torno a casa mentre mi risuonano in testa le parole di uno di loro, che un giorno alla domanda “Tu credi in Dio?” mi ha risposto: “Dio? E come faccio a crederci? Io non l’ho mai incontrato...”






Bibliografia

- Addestramento alla nonviolenza, a cura di Alberto L'Abate, ed Satyagraha, Torino 1985.
- Anch’io a Sarajevo...!, a cura di Enrico Euli e Sabina Eandi, Rete di Formazione alla Nonviolenza, ed Satyagraha, Torino 1995.
- Antiche come le montagne (i pensieri del Mahatma Gandhi sulla verità, la nonviolenza, la pace), a cura di Sarvepalli Radhakrishan, ed. Mondadori, Milano.
- Ci sono alternative, di Johan Galtung, EGA, Torino 1986.
- Economia: conoscere per scegliere, di Franco Gesualdi, ed. LEF, Firenze 1992.
- Gandhi oggi, di Johan Galtung, EGA, Torino 1987.
- Guida al consumo critico, informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, a cura del Centro Nuovo Modello di Sviluppo (coord. Francesco Gesualdi), ed. EMI, Bologna 1996.
- Altri testi editi dalla EMI per il Centro Nuovo Modello di Sviluppo sono: Nord/Sud. Predatori, predati e opportunisti, 1997; Geografia del supermercato mondiale, 1997; Ai figli del pianeta, 1998.
- I sommersi e i salvati, di Primo Levi, ed. Einaudi, Torino 1986.
- I tuoi diritti. Guida per conoscerli e salvaguardarli, di Amedeo Santosuosso, ed. Hoepli, Milano 1991.
- Il Disarmo (Educazione al Disarmo n.9 ), a cura di Daniele Novara e Lino Ronda, EGA, Torino 1985.
- Il potere di tutti, di A. Capitini, ed. Nuova Italia, 1969.
- L’esperimento di Boves, un sociodramma-test per la DPN, AA.VV., Forze Nonviolente di Pace, ed Satyagraha, Torino 1995.
- La banalità del bene: Giorgio Perlasca, di Enrico Deaglio, ed. Feltrinelli, Milano 1992.
- La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, di Hannah Arendet, ed. Feltrinelli, Milano 1964.
- La conquista dell’America. Il problema dell’<altro>, di T.Todorov, ed. Einaudi, Torino 1992.
- La difesa popolare nonviolenta: un'alternativa democratica alla difesa militare, raccolta di saggi a cura di Alberto Zangheri, EGA, Torino 1984.
- La Geografia come Educazione allo Sviluppo e alla Pace, di Giuliana Martirani, EDB, Napoli 1986.
- La mia vita per la libertà, M.K. Gandhi, ed. Newton Compton, Roma 1988.
- La Resistenza Non-armata, a cura di Giorgio Giannini, Centro Studi Difesa Civile, ed, Sinnos, Roma 1995.
- La terapia sistemica, di AA.VV., a cura di Telfner U. e Togliatti M.,ed. Astrolabio, 1983.
- Mahan Mala, a cura di R.K. Prabhu, Libreria Editrice Fiorentina (LEF), Firenze 1983.
- Passo....Passo....Anch'io a Sarajevo, dei Beati i costruttori di pace (BCP), ed Messaggero di Padova, PD 1993.
- Per uscire dalla violenza, di Jacques Semelin, EGA, Torino 1985.
- Politica dell'azione nonviolenta, Gene Sharp, vol I (Potere e lotta), II (Le tecniche) e III (La dinamica), Edizioni Gruppo Abele (EGA), Torino 1985-1986-1997.
- Proposte per una società nonviolenta, a cura del gruppo Alleati dell'Arca del Languedoc e Roussillon, LEF, Firenze 1982.
- Teoria e pratica della nonviolenza, a cura di Giuliano Pontara, ed. Einaudi, Torino 1973.
- Un modello di difesa popolare nonviolenta, a cura di Camberra Peacemakers, ed. La Meridiana, Bari 1986.
- E Johnny prese il fucile, di Dalton Trumbo, ed. Bompiani, Milano 1972.
- Giù le armi, di Berta von Suttner, EGA, Torino 1989.
- La scuola professionale per Operatori di Pace della Provincia autonoma di Bolzano, di Abram Karin., Saltarelli Salvatore,in Quaderni Satygraha n. 7, Libreria Editrice Fiorentina, pp. 193-210.
- La difesa civile e il progetto Caschi Bianchi. Peacekeepers civili disarmati, CeMiSS, Centro militare di studi strategici (a cura di Tullio Francesco), Franco Angeli, Milano 2000.
- Le relazioni tra civili e militari nelle operazioni a supporto della pace. L’esperienza italiana, il CIMIC e le sue prospettive, CeSPI, (a cura di Aprile S. e Soledad Marco M.), Working Papers 19/2005.
- Just Wasting Our Times? An Open Letter to Peacebuilders, di Fisher Simon, Zimina Lada, march 2008, (http://lettertopeacebuilders.ning.com/).
- “Three Approaches to Peace: Peacekeeping, Peacemaking and Peacebuilding”, di Johan Galtung, in Essays in Peace Research, Copenhagen, Christian Ejlers, 1976, vol. 2 War, Peace and Defence, pp. 282-304.
- Transcend &Transform, an introduction to conflict work, di Johan Galtung, ed Pluto Press, Londra 2004.
- “Violence, peace and peace research”, di Johan Galtung, in Peace: Research - Education - Action. Essays in Peace Research, vol. I, Christian Ejlers, Copenhagen 1975.
- Pace con mezzi pacifici, di Johan Galtung, Esperia, Milano 2000.
- La trasformazione nonviolenta dei conflitti. Il metodo Transcend, di Johan Galtung, EGA, Torino 2000.
- Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare, di Johan Galtung, Edizioni Plus - Pisa University Press, Pisa 2008.
- 50 years, 100 Peace & Conflict Perspectives, di Johan Galtung, Transcend University Press, 2008.
- Lesson Learned Study: Rosters for the Deployment of Civilian Expert in Peace Operation, di Gourlay Catriona, United Nation Peacekeeping Department, Best Practices Unit, Febbraio 2006.
- “Partners Apart. Managing Civil-Military Co-operation in Humanitarian Interventions”, di Gourlay Catriona, in Disarmament Forum, n. 3, United Nations Institute for Disarmament Research, Geneva 2000, pp. 33-44.
- Civilian-based defence in a new era, di Johan Jorgen Holst, Albert Einstein Institution, n. 2, Cambridge, Massachusets, USA 1990.
- “Nonviolent Intervention in Armed Conflicts”, di Alberto L'Abate, in CHOUDHURI M., SINGH R., (eds), Mahatma Gandhi 125 Years, Gandhian Institute of Studies, Rajghat Varanasi, 1995.
- Unarmed Bodyguards. International Accompaniment for the Protection of Human Rights, di Mahony Liam, Eguren Luis Enrique, Kumarian Press, West Hartford (Connecticut) 1997.
- La piramide rovesciata, per sradicare la guerra, di Brian Martin, ed. La Meridiana, Molfetta (BA) 1990.
- Intervento umanitario e missioni di pace. Una guida non retorica, di Marco Mayer, Carocci, Roma 2005.
- “Strumenti civili per la sicurezza europea, tra Corpi civili di pace e capacità civili di gestione delle crisi e prevenzione dei conflitti”, di Matteo Menin (versione aggiornata della relazione tenuta a “Civitas 2005”), in Pacedifesa, anno III, n. 4, maggio 2005.
- Mozambico. Dalla guerra alla pace. Storia di una mediazione insolita, di Roberto Morozzo Della Rocca, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994.
- Vincere la guerra. Principi e metodi dell’intervento civile, di Jean Marie Muller, EGA 1999.
- The rationale for a UK civilian peace service, PEACEWORKERS UK.
- A Guide to the Training, Assessment and Recruitment of Peaceworkers, PEACEWORKERS UK, INTERNATIONAL ALERT.
- Il peace-keeping non armato, di Martina Pignatti Morano, in Quaderni SatyÇgraha n. 7, Libreria Editrice Fiorentina.
- Nell’emergenza. Teoria e pratica degli aiuti umanitari, di Gianni Rufini, Piero Calvi-Parisetti, GIGnos e-publishing, Ginevra 2006.
- “Ziviler Friedensdienst (Il Servizio Civile di Pace tedesco). Percorribilità della scelta nonviolenta di prevenzione della violenza nelle crisi e nei conflitti internazionali”, di Ylenia Sacco, in Quaderni SatyÇgraha, n. 2, 2002, pp. 143-154.
- Una forza non armata dell’ONU: utopia o necessità, Francesco Tullio (a cura di), Editrice Formazione e Lavoro, Roma 1989.
- La difesa civile e il progetto caschi bianchi. Peacekepeers civili disarmati, Francesco Tullio (a cura di), Franco Angeli, Milano 2000.
- Le ONG e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive, di Francesco Tullio, Editori Riuniti/Editrice Internazionale, Roma 2002.
- La difesa popolare nonviolenta: storia, teoria, esempi concreti. Aperture dell’ordinamento giuridico italiano, di Rodolfo Venditti, Sirene Studi per la pace, n. 16, aprile 1996.
- Cooperazione nel conflitto. Un modello di formazione al peacekeeping e al peacebuilding civile, di Dudley Weeks, Arno Truger, Giovanni Scotto, Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 1995.
- Skills, Networks and Knowledge. Developing a career in international peace and conflict resolution, di Craig Zelizer, Linda Johnston, Alliance for Conflict Transformation, Alexandria (USA), 2005.
- “Le scienze per la pace e la formazione al metodo nonviolento”, di Rocco Altieri, in Quaderni Satyagraha, n. 1, 2002, pp. 5-25.
- Conflitti e mediazioni, di Manuele Arielli, Giovanni Scotto, Bruno Mondadori, Milano 2003.
- Handbook for Conflict Transformation, Berlino 1999, BERGHOF REASEARCH CENTER FOR CONSTRUCTIVE CONFLICT MANAGEMENT.
- “Nuovi studi per la pace e il servizio civile”, di Pierluigi Consorti, Quaderni Satyagraha, n. 2, 2002, pp.129-142.
- “Esistono in Italia i Peace Studies?”, di Pierluigi Consorti, in Aggiornamenti Sociali, n. 1, gennaio 2004, pp. 43-50.
- Peace: Meanings, Politics, Strategies, di Linda Rennie Forcey, Praeger Paperback, 1989.
- “Investigación para la Paz”, di V.M. Guzman, F.A. Munoz, in MARTÍNEZ M.L. (dir.), Enciclopedia de Paz y Conflictos, vol. 2, Editorial Universidad de Granada, Granada 2004, p. 596-597.
- The New Agenda for Peace Research, Ho-Wong Jeong (a cura di), Ashgate, Singapore, Sydney 2000.
- Preparing for Peace: conflict transformation across cultures, di John Paul Lederach, Syracuse University Press, New York, 1996.

- Building peace. Sustainable reconciliation in divided societies, di John Paul Lederach, United State Institute of Peace Research, Washington 1999.
- War and Reconciliation. Reason and Emotion in Conflict Resolution, di William J. Long, Peter Brecke, MIT Press, Cambridge (MA) 2003.
- Contemporary Conflict Resolution. The prevention, management and transformation of deadly conflict, di Hugh Miall, Polity Press, Cambridge (UK) 1999.
- Handbook of conflict resolution: the analytical problem-solving approach, di Christopher Mitchell and Michael Banks, Pinter/Cassel, London 1996.
- Gli Istituti e i centri internazionali di ricerca per la pace, IFOR, Padova 1999, MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE.
- La Difesa civile non armata e nonviolenta (DCNAN), PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, UFFICIO NAZIONALE PER IL SERVIZIO CIVILE, COMITATO DI CONSULENZA PER LA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA, 30 gennaio 2006.
- “La ricerca interdisciplinare e multidisciplinare sulla pace”, di Giuliano Pontatra, in FORNARI F., La dissacrazione della guerra, Feltrinelli, Milano 1969, pp. 1215-172.
- Peace, Security and Conflict Prevention, STOCKOLM INTERNATIONAL PEACE RESEARCH INSTITUTE, SIPRI-UNESCO Handbook, Oxford University Press, New York, 1998.
- “The evolution of Peace Studies”, di Carolyn M. Stephenson, in THOMAS D.C., KLARE M.T., Peace and World Order Studies. A Curriculum Guide, Boulder, Westview Press, San Francisco 19895, pp. 9-19.
- “Peace Studies, Overview”, di Carolyn M. Stephenson, in KURTZ L. (Editor-in Chief), Encyclopedia of Violence, Peace & Conflict, vol. 2, Academic Press, San Diego - California 1999.


Testi sulla difesa popolare nonviolenta

- Azione nonviolenta nella liberazione della Lettonia, di Q.Eglitis, ed. La Meridiana, Molfetta BA 1994.
- Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, di Nanni Salio, ed. Movimento Nonviolento (MN), Perugia 1983.
- Difesa nucleare: nonsenso militare, S.King-Hall, ed. La Meridiana, Molfetta BA 1994.
- Il diritto di resistenza nel silenzio della Costituzione Italiana, di Daniela Alberghini, ed. La Meridiana, Molfetta (BA) 1995.
- La resistenza contro l'occupazione tedesca in Danimarca, di J. Bennet, ed. MN, Perugia 1979.
- Ministero degli Interni Austriaco, Manuale per obiettori di coscienza sulla difesa popolare nonviolenta, ed. La Meridiana, Bari 1990.
- People's power. Filippine febbraio 1986, ed. MIR Centro ricerche DPN, Padova 1989.
- Possibilità e limiti della difesa popolare nonviolenta, di A. Schmid, ed. MIR Centro ricerche DPN, Padova 1986.
- Rapporti fra protezione civile e difesa popolare nonviolenta, di Luca Baggio, ed. MIR Centro ricerche DPN, Padova 1985.
- Resistenza non armata nella bergamasca 1943-45, di Stefano Piziali, ed. Eirene, centro studi per la pace (Bergamo), ed. MIR Centro ricerche DPN, Padova 1987.
- Resistenza nonviolenta a Forlì, di Raffaele Barbiero, ed. La Meridiana, Molfetta (Bari) 1992.
- Resistenza nonviolenta in Norvegia sotto l'occupazione tedesca, di M. Skodvin, ed MN, Perugia 1979.
- Rivolte operaie, colpo di stato e resistenza nonviolenta in Polonia. Dalle lotte di Danzica a oggi, ed.MIR, Padova 1987.
- Volontari di pace in Medio Oriente, storie e riflessioni su una iniziativa di pace, A.L’Abate e S.Tartarini, ed. La Meridiana, Molfetta BA 1993.
- Dalla parte sbagliata, di AA.VV., ed. Fara, Santarcangelo di Romagna, 1999.
- Difesa popolare nonviolenta. Premesse teoriche, principi politici e nuovi scenari, di Antonino Drago, EGA, Torino 2006.
- La difesa popolare nonviolenta, di Teodor Ebert, EGA, Torino, 1984.
- Invece delle Armi: Obiezione di coscienza, difesa nonviolenta, corpo civile di pace europeo, AA.VV., a cura della Segreteria per la DPN e del Centro Eirene di Bergamo, ed. Fuori Thema, 1996
- La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, a cura di Antonino Drago, ed. Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 1997.

Per un percorso di autoformazione e formazione alla nonviolenza

- Come comunicare con gli altri, di P: Busso- P. Stradeni, ed. Sonda 1990.
- Comportamenti di pace (schede di proposte sulla pace), ed. Ass. Acli e Cipax, Roma (richiederlo a: CIPAX, via Acciaioli 7 00186 Roma tel. 06/68806661).
- Creatività per tutti, di Hubert Jaoui, ed. Franco Angeli, Milano 1993.
- Giochi Cooperativi, di Sigrid Loos, EGA, Torino 1989.
- Il Gruppo come luogo di comunicazione educativa, di M. Pollo, ed. LDC, 1990.
- Il Teatro degli Oppressi, di A. Boal, ed. Feltrinelli, Milano 1986.
- La comunicazione ecologica, di Jerom Liss, ed. La Meridiana, Bari 1992.
- Le tecniche di animazione, di Martin Jelfs, Editrice LDC, Torino 1986.
- Gioco e dopogioco (con 48 giochi di relazione e comunicazione), di P.Marcato, C. del Guasta, M. Pernacchia, ed. La Meridiana, Bari 1995.
- Percorsi di Formazione alla nonviolenza. Viaggi in training (1983-1991), di AA.VV:, ed. Satyagraha, Torino 1992.


I centri di formazione: sitografia

Centri di formazione istituzionali:

- www.pace.unipi.it/didattica/laureapace (Corso di laurea in “Scienze per la pace”, Università di Pisa).
- www.operatoriperlapace.unifi.it (Corso di laurea in “Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti”, Università di Firenze).
- www.pace.unipi.it/didattica/laureapace (Corso di laurea in “Scienze per la pace: cooperazione allo sviluppo, mediazione e trasformazione dei confitti”, Università di Pisa).
- www.peacekeeping.it (Master in “Peacekeeping Management”, Università di Torino).
- www.sssup.it (Master in “Human Rights and Conflicts Management”, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa).
- www.interuniv.isig.it (Master per “Operatori internazionali di Pace-International Peace Operators”, Università di Trieste).
- www.unibo.it (Master in “Mediatori dei conflitti - operatori di pace internazionali”, Università di Bologna).
- www.emahumanrights.org (European Master in “Human Rights and Democratisation”, Università di Padova).
- www.humanrights.unisi.it (Master in “Diritti umani e azione umanitaria” dell’Università di Siena).
- www.unibo.it (Master in “Diritti umani e intervento umanitario”, Università di Bologna).
- http://host.uniroma3.it/master/peacekeeping/db (Master in “Peacekeeping and Securities Studies”, Università Roma “Tre”).
- www.ssi.unitn.it/mpb/index.htm (Master in “Peacebuilding e gestione dei conflitti”, Università di Trento).
- www.unito.it/corsi_perfezionamento.htm (Corso di perfezionamento in Cooperazione internazionale “Sistemi e culture in relazione e in conflitto - Maghreb, Mashrek, Balcani”, Università di Torino).
- www.unibo.it/Portale/Offerta+formativa/AltaFormazione (Corso di alta formazione “La mediazione nonviolenta dei conflitti: dal locale all’internazionale”, Università di Bologna).

Centri di formazione non istituzionali:

- www.ispionline.it (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano).
- www.ceida.com (Ceida, Roma).
- www.iupip.unimondo.org (Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace, Rovereto – TN).
- www.sispa.it (Società Italiana di Scienze Psicosociali per la Pace, Firenze).
- www.pacedifesa.org (Centro Studi Difesa Civile, Roma).
- www.apg23.org (Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini).
- www.peacebrigades.org/italy-i.html (Peace Brigades International - Italia, Bollate - MI).
I centri di ricerca: sitografia

Centri di ricerca istituzionali:

- www.pace.unipi.it (Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace, Università di Pisa).
- www.cirpac.it (Centro interuniversitario di ricerca per la pace, l’analisi e la mediazione dei conflitti, Università di Siena, Polo di Arezzo).
- www.centrodirittiumani.unipd.it (Centro interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli, Università di Padova).
- www.peace.uniba.it (Centro Interdipartimentale di Ricerche sulla Pace, Università di Bari).
- www.units.it/~cusrp (Centro Universitario di Studi e Ricerche per la Pace, Università di Trieste).


Centri di ricerca non istituzionali:

- www.pacedifesa.org (Centro Studi Difesa Civile, Roma).
- www.cssr-pas.org (Centro Studi “Sereno Regis”, Torino).
- www.reteccp.org (Istituto Italiano per la Ricerca della Pace - Rete Corpi Civili di Pace, Torino).
- www.iupip.unimondo.org (Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace, Rovereto - TN).
- www.studiperlapace.it (Centro Studi per la Pace).

Riviste

- Altreconomia, piazza Napoli, 30/6 - 20146 Milano (www.altreconomia.it)
- Alfazeta, C.P. 475 Parma sud-Montebello- 43100 Parma.
- Azione Nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona (email: an@nonviolenti.org)
- Carta, via Gran Bretagna, 18 - 00196 Roma (www.carta.org)
- CEM-Mondialità, viale San Martino 6/bis, - 43100 Parma.
- Internazionale, viale Regina Margherita, 294 00198 Roma (www.internazionale.it).
- Fogli di collegamento degli obiettori, via Scuri 1/c, - 24128 Bergamo.
- Mosaico di Pace, via M.D’Azeglio 46, - 70056 Molfetta, Bari (email:info@mosaicodipace.it).
- Qualevita, via Buon Consiglio 2, - 67030 Torre dei Nolfi, Aquila.
- Valori, presso Coop. Editoriale Etica, via Copernico 1, 20125 Milano (www.valori.it).
- Vita, via Marco D’Agrate, 43 - 20139 Milano (www.vita.it)

Indirizzi utili

- Associazione Berretti Bianchi, via F. Carrara 209, - 55042 Forte dei Marmi Lucca (cell.335/7660623; fax 0584/735682).
- Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII - Servizio Obiezione, Pace e Caschi Bianchi - Sede Centrale in via Dante Alighieri - 61013 Mercatino Conca (PU) Tel.0541/985750
Fax. 0541/972477 e-mail: odcpace@apg23.org
Operazione Colomba - Antonio De Filippis, via Mameli 5, 47900 Rimini (RN), tel.0541/29005.
- Associazione Locale Obiezione e Nonviolenza-Gruppo Azione Nonviolenta Forlì-Cesena (ALON-GAN FC, www.alon.it; www.mediatoridipace.org), presso Centro Pace via Andrelini 59, 47100 Forlì.
- Associazione Obiettori Nonviolenti, sede nazionale via Giotto n.28, 81100 Caserta, tel.0823/357791, fax 0823/355167 (www.obiezione.it).
- Associazione Peace Brigades International - Italia (PBI Italia), Segreteria: Strada della Luigina n. 41, 10023 Chieri TO, (cell.349-3186494).

- Associazione per la Pace (Assopace), via Salaria, 89 00198 Roma (tel. 06/8841958; fax 06/8841749).
- Banca Popolare Etica S.c. a r.l., via Niccolò Tommaseo 7, 35131 Padova PD, tel.049/8771111; fax 049/7399799.
- Beati i costruttori di pace (BCP), via Antonio da Tempo, 2 35131 Padova (tel.049/8070522; fax 049/8070699).
- Caritas Italiana: Progetto Caschi Bianchi: Fabrizio Cavalletti, via Aurelia 796, 00165 Roma tel.06/66177001.
- Centro Studi Difesa Civile (CSDC), via della Cellulosa, 112 - 00166 Roma - e.mail: roma@pacedifesa.org; tel e fax 06/61550768.
- Centro Studi Eirene, via E.Scuri n.1, 24128 Bergamo, tel. 035/260073, fax 035/403220.
- Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi n. 13, 10122 Torino, tel. 011/532824, www.serenoregis.org
- Coordinamento Nazionale OSM, c/o LOC Nazionale, via M. Pichi, 1 - 20143 Milano (tel. 02/8378817, fax 02/58101220).
- GAVCI, presso “Villaggio del Fanciullo”, via Scipione dal Ferro n.4, 40138 Bologna (tel. e fax 051/341122).
- Lega Obiettori di Coscienza, via Mario Pichi 1, - 20143 Milano (tel. 02/8378817).
- Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR), Segreteria Nazionale presso la sede di Torino, via Garibaldi n.13, 10122 Torino, tel. 011/532824, fax 011/5158000.
- Movimento Nonviolento (MN), via Spagna n.8, 37123 Verona (tel.045/8009803, fax 045/8009212).
- Pax Christi Italia, via Quintole per le Rose n.131, 50029 Tavarnuzze FI; tel.055/2020375; fax 055/2020608.
- Rete di Educazione alla Pace (REAP), stradone Farnese n.74, 29100 Piacenza (tel.0523/27288, fax 0523/457627). Si propone di coordinare tutti coloro che lavorano, in particolare, nelle scuole e nelle istituzioni educative.
- Servizio Civile Internazionale (SCI), via G. Cardano 135, 00146 Roma, tel. (06/5580644/661, fax 06/5585268).
- Fondazione Lelio e Lisli Basso - Issoco (via della Dogana Vecchia, 5 - 00186 Roma -
Tel. 06.68801468 - 06.6877774 Fax. 0668307516 - 066877774)

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