La Voce della Russia Lasciate proliferare la cultura Dopo la pubblicazione dell’articolo “Come ricostruire la nostra Russia?” l’ucraino Sviatoslav Karavanskij, che era stato per molti anni prigioniero del Gulag, scrisse una “Lettera aperta ad Aleksandr Solzenicyn” che fu pubblicata il 19.10.1990 sul giornale Russkaja mysl’. La risposta di Aleksandr Solzenicyn a Sviatoslav Karavnskij fu pubblicata nel numero del 2.11.1990 di Russkaja mysl’. Egregio Sviatoslav Iosifovic, stimandoLa profondamente per quanto ha sopportato e per la Sua fermezza mostrata durante le prove subite sono lieto di sentire adesso la Sua voce soave, mentre i Suoi conterranei a partire dalla tribuna del Soviet Supremo dell’URSS e per finire con i lontani giornali degli emigrati hanno dedotto dal mio articolo solo che sono uno sciovinista grande-russo, colonialista, reggicoda della tirannia imperiale ed “imperialista di mente ristretta” (Gomin Ukrainy, 10.10.90). Tale sordità palesemente premeditata e tale malafede sbalordiscono ed anche mettono in guardia: cosa voglio nascondere dietro questo ruggito? Posso rivolgermi a Lei con la speranza di una comprensione reciproca che loro mi hanno negato. Alle Sue argomentazioni storiche, a partire dal contributo alla resistenza all’invasione tartara (se non considerare Russia la Rutenia Rossa), si potrebbe rispondere prolissamente, ma tutte queste argomentazioni vengono ammazzate dall’argomento più forte che Lei adesso non vuole riportare vista la sua ovvietà: se i cuori degli ucraini aspirano alla separazione, allora non c’è niente da discutere. Basta tale movimento dei cuori! Ho detto appunto questo nel mio articolo. Ho scritto della stessa cosa già nell’ “Arcipelago” (parte V, volume 2). Quindi il mio attuale appello non è affatto “senza precedenti”. Nondimeno neanche Lei ha notato che, malgrado tutta la mia passione, non obietto alla separazione dell’Ucraina... Ma se si tratta veramente dell’Ucraina. Ora che nell’Ucraina Occidentale vengono abbattuti i monumenti a Lenin (e lo meritano!) perché gli ucraini occidentali più di tutti gli altri vogliono che l’Ucraina abbia proprio i confini leniniani, ossia quelli regalati alla stessa dal caro Lenin che, cercando di rabbonirla in qualche modo per la privazione dell’indipendenza, aggiunse ad essa territori che non erano mai stati ucraini, ossia la Novorossija (Russia del Sud), Donbass (per isolare il bacino del fiume Donets dalle influenze “controrivoluzionarie” della regione del Don) e parti rilevanti della Riva sinistra del Dnepr. (E Khrušov in un batter d’occhio “regalò” anche la Crimea.) Ed ora i nazionalisti ucraini difendono ferreamente proprio questi “sacri” confini leniniani? Scrivo nell’articolo (come se non fosse stato letto da nessuno): “Certo, se il popolo ucraino volesse veramente separarsi, nessuno oserebbe tentare di trattenerlo con la forza. Ma questo vasto territorio è molto vario e solo la popolazione locale può decidere la sorte della propria terra, della propria regione”. E sono per questo un “imperilista di mente ristretta”? Mentre coloro che vietano al popolo di esprimere la propria volontà e per qualche motivo lo temono sono democratici e amanti della libertà, è così? In tale situazione arroventata è impossibile discutere questa questione estremamente complessa. I nostri due popoli sono uniti da milioni di famiglie comuni, da centinaia di abitati. Ed ancora un argomento che, con mia sorpresa, è riportato anche da Lei: la scelta della lingua per i bambini non deve essere un “capriccio dei genitori”, lo deve decidere il governo della repubblica. Questo argomento colpisce. Allora, in misura ancor maggiore, nemmeno la scelta della fede cristiana, il battesimo dei figli dovrebbero essere un “capriccio dei genitori” ma dovrebbero aspettare la disposizione statale. Lei scrive: “I non ucraini sono liberi nella loro scelta”. Ma sarà ridotto il numero di scuole? Ma gli ucraini non sono “liberi nella scelta”? Si tratta quindi nuovamente di violenza? No, non ci deve essere tale diktat. Lasciate ogni cultura crescere, come è naturale per la stessa. In Russia questo testo è stato per la prima volta pubblicato dalla rivista Zvezda nel 1993 (N 12).
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