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Dono e intercultura: a proposito del Saggio di Mauss
di Bruna Giacomini


Perché e in che senso il Saggio sul dono di Marcel Mauss può essere inserito – con tutte le cautele critiche con cui ci si può apprestare ad una simile operazione – all’interno di un "canone" dell’"intercultura"? Non certo perché in esso sia tematizzato direttamente il concetto di intercultura o vi si utilizzi una terminologia che, in qualche modo, appartenga al "vocabolario" interculturale. Benché dunque tale connessione possa non apparire immediatamente evidente, nondimeno, ad un’analisi della struttura profonda del testo, essa si rivela, a mio parere, del tutto chiara.

39 Non ho mai trovato uomo tanto generoso
     E tanto munifico nel nutrire gli ospiti
     Che  «ricevere non fosse ricevuto»,
     né uomo tanto…[ l’aggettivo manca ]
     del proprio bene
     che ricevere in cambio gli fosse sgradito.
41 Con armi e indumenti
     gli amici devono farsi piacere l’un l’altro;
     ognuno lo sa da se stesso (per propria esperienza).
     Coloro che si fanno reciprocamente regali
     Restano amici per il più lungo tempo possibile,
     se le cose arrivano a prendere una buona piega
(Mauss, 1991:155-156)

Attraverso alcune strofe dell’Havamal, antico poema appartenente all’Edda scandinava, viene presentata all’esordio del Saggio una forma di scambio del tutto particolare, propria delle antiche civiltà del Nord Europa, ma anche di molte altre società, "sia primitive" che "arcaiche", nella quale il carattere volontario e gratuito che contraddistingue l’offerta di doni si sovrappone e s’intreccia all’aspetto obbligato e interessato delle transazioni economiche. Il documento fa riferimento alla circolazione di oggetti che vengono presentati come doni, ma che, a differenza dei doni comunemente intesi, sono obbligatoriamente ricambiati e, sotto una complementare angolatura, ci mette di fronte ad uno scambio che non è riportabile nel quadro delle scambio economico di merci, così come l’epoca moderna ce lo presenta comunemente.

L’interesse che muove la ricerca di Mauss  è volto non semplicemente a rintracciare e a ricostruire le diverse modalità con cui tale peculiare regime di scambio si presenta nel costume, nel linguaggio, nei sistemi giuridici di differenti gruppi culturali, ma anche e soprattutto a mostrare come esso costituisca "uno dei capisaldi su cui sono costruite le nostre società» (Mauss, 1991:159). Emerge di qui tutta la portata critica in sede storica, sociale, antropologica del progetto d’indagine di Mauss: il "sistema del dono", di cui egli si appresta a descrivere con la peculiare acribia dell’etnologo la straordinaria varietà di manifestazioni ed aspetti,  intende contestare non solo l’universalità  in sede storica, ma  la paradigmaticità come modello della relazione sociale della forma del mercato e di quella ad esso correlata del contratto. 

E’ proprio la congiunzione di tali forme, che la modernità ha elevato a struttura archetipica del rapporto interumano, ad aver impedito di cogliere ed indagare la relazione interculturale come relazione sociale tout-court , portata viceversa alla luce proprio dalla relazione di dono.

Non è tuttavia soltanto  il contenuto  della rivoluzionaria proposta teorico-interpretativa presentata da Mauss a meritare interesse, ma il metodo presentato all’esordio e documentato poi dall’intero lavoro. L’antropologo francese non si limita infatti a comparare  il regime del dono presente in alcuni grandi gruppi di popolazioni "primitive" (polinesiani, melanesiani, indiani del Nord-ovest americano)   con le sopravvivenze  di forme simili attestate nel diritto, nell’economia, nella morale, nelle lingue di alcune società arcaiche indoeuropee (dalla più antica civiltà latina all’India documentata dal libro XIII del Mahabharata, dal mondo germanico a quello celtico), ma ciò che egli intende evidenziare è la presenza, al di là di fittizie identità storico-culturali, di alcuni fenomeni sociali molto somiglianti tra loro che collegano universi sociali differenti, e che mostrano  come, a fondamento della convivenza tra gli uomini, sia riconoscibile una medesimo principio: «uscire da se stessi, dare, liberamente e per obbligo»(Mauss, 1991:276).
A partire dalla nozione "complessa" di dono che emerge dalla ricognizione analitica e dalla attenta comparazione di una molteplicità di fonti antropologiche, Marcel Mauss propone alla filosofia e alla scienza sociale del suo tempo di "rimettere in crogiuolo" tutta una serie di concetti che stanno alla base del paradigma della vita sociale costruito dalla tradizione culturale europea (1) e , in particolare, quelli di mercato e di contratto.

Il modello del mercato,  che, come è noto, costituisce uno degli elementi essenziali dell’antropologia del cosiddetto homo oeconomicus(2), presuppone ed insieme costruisce una modalità d’interazione tra gli individui governata da una duplice regola. Essa presume che  tra gli attori sociali esista un rapporto simmetrico di piena e compiuta reciprocità, in base al quale tutto ciò che è dato viene ricambiato. Di più, si prevede che ciò che è stato alienato sia in linea teorica equivalente, secondo una misura rigorosamente determinabile, a ciò che si ottiene in cambio. Ogni deroga da tale legge, sia essa interpretata come un regalo o una rapina, viene conseguentemente stigmatizzata. In tale quadro, il donare diviene un comportamento del tutto straordinario, percepito come espressione di un principio – sia esso etico o religioso - totalmente antagonistico nei confronti delle regole e delle relazioni che presiedono al funzionamento della vita sociale, dominata da interesse, calcolo e reciprocità, e che è, nella sua essenza, vita economica.

La relazione che tale modello contribuisce a plasmare e a generalizzare presenta almeno due aspetti di grande rilevanza sociale e, più in generale, antropologica, tra loro strettamente connessi.

Innanzitutto essa consente  di dare espressione e realizzazione agli interessi particolari di ciascuno mediante una forma di interazione non antagonistica: il mercato costituisce, in questo senso, un potente dispositivo sociale capace di disinnescare con la sua trama segreta il naturale conflitto  dei differenti egoismi che, al suo interno, sembrano trovare contemporaneamente espressione, misura oggettiva e soddisfazione. In questo quadro, l’economia definisce un orizzonte nell’ambito del quale la ricerca del bene per sé, lungi dallo scatenare un conflitto irrefrenabile e illimitato, lungi dal produrre guerra, genera una  rivalità virtuosa e pacifica che trova nel mercato il suo specchio e il suo compimento (3). Al suo interno, infatti, la lotta tra i diversi interessi sembra venire non solo neutralizzata, attraverso la conversione dell’antagonismo tra i soggetti in una relazione impersonale tra cose, ma, al contempo, risolta, mediante l’individuazione di un  meccanismo, estensibile ad ogni settore dell’interazione sociale, capace di decidere in forma pacifica e oggettiva come quei differenti interessi debbano essere soddisfatti.

In secondo luogo, la mediazione del mercato, che ha nella legge dell’equivalenza il suo principio regolatore, istituisce tra gli individui una relazione che non solo non crea impegni reciproci che vadano al di là della sua puntuale attuazione, ma si caratterizza anche per la piena libertà che essa garantisce da vincoli e gerarchie. La sua peculiarità, sotto il profilo storico e culturale, sta nel dare luogo a «un legame sociale che mira a sfuggire alle normali obbligazioni inerenti ai legami sociali» (Godbout, 1998:263), un legame grazie al quale gli individui interagiscono l’un l’altro  senza doversi reciprocamente nulla (4).

Tale tutela vicendevole degli interessi e delle libertà di ciascuno viene ulteriormente garantita dalla forma giuridica del contratto che nelle sue diverse modalità si contraddistingue per la reciprocità simultanea con cui si trasferiscono mutuamente oggetti, prestazioni o diritti. Può accadere che i due soggetti non adempiano contemporaneamente all’impegno preso e uno dei due richieda la fiducia dell’altro o, addirittura, rinviino entrambi l’adempimento dell’accordo, vincolandosi così ad una fiducia reciproca. In ogni caso, resta ferma la forma del contratto, e cioè il fatto che a ciò che uno dà viene garantito da subito (anche se magari effettivamente consegnato in futuro) un corrispettivo adeguato. 

Relazione personale, impegno reciproco, assenza non accidentale, ma strutturale di ogni garanzia di contraccambio contraddistinguono, viceversa, il "sistema del dono".

Partendo da quest’ultimo aspetto Mauss fa notare come l’obbligo a ricambiare che caratterizza tanto lo scambio dei doni tra le famiglie samoane quanto gli atti di donazione che costituiscono il kula e il potlàc, viene assolto proprio in quanto non sia presente nessuna forma di stipulazione esplicita o implicita, proprio in quanto, cioè, l’apertura che il dono istituisce nei confronti dell’altro resti esposta al rischio di un rifiuto.  Che vi sia restituzione, che chi dona attenda un contraccambio o lo trovi nell’atto stesso di donare o, ancora, lo offra, così facendo, per ciò che in passato ha ricevuto, tutto ciò non intacca la forma del dono  che si presenta tutte le volte in cui la restituzione resta libera, non anticipata né anticipabile da parte di chi dà (5). 

Ma – e questo è il punto – cosa rivela tale fenomeno che la forma del contratto-scambio nasconde o, addirittura, mira ad annullare? Il dono porta alla luce la forma della relazione che sta originariamente alla base dell’istituzione del legame sociale e che, prima di ogni scambio economico e di ogni unione politica, rende possibile la fuoriuscita dallo stato di conflitto permanente che sembra contraddistinguere le più antiche forme d’interazione tra gli uomini. La rinuncia alla guerra, come forma "naturale’ d’interazione tra tribù tra loro sconosciute e che, per questo, si temono e si combattono, non sta in una qualche forma di contratto o patto, sia esso di unione o soggezione, ma in una donazione asimmetrica e, in prima istanza, incondizionale di oggetti, donne ospitalità ecc.. «Non esiste via di mezzo: fidarsi interamente o diffidare interamente». Se si sceglie la prima via, bisogna "deporre le armi" e «dare tutto: dall’ospitalità fugace alle figlie ai beni» (Mauss, 1991:290). «Donare, ricevere, ricambiare» sono questi gli atti  con cui, secondo la nota formula di Mauss, non solo si dissipano ostilità e timori, ma si creano e si stabiliscono alleanze e legami. «Solo in seguito - sottolinea l’antropologo francese - i popoli hanno saputo crearsi degli interessi, soddisfarli reciprocamente e, infine, difenderli senza ricorrere alle armi» (Mauss, 1991:291). Solo in seguito hanno potuto commerciare, facendo valere regole reciprocamente condivise di scambio propriamente economico.

«Due gruppi di uomini che si incontrano non possono fare altro che: o allontanarsi – e, se si dimostrano una diffidenza reciproca o si lanciano una sfida battersi – oppure venire a patti» (Mauss, 1991:290). Ma perché ciò sia possibile è necessario che uno dei due per primo, spontaneamente e senza chiedere nulla in cambio, rovesci la sfiducia in fiducia, la difesa fino alla morte della propria tribù e dei propri beni in un offerta generosa e disinteressata delle proprie figlie e dei propri tesori. 

Il dono non è tuttavia semplicemente l’atto istitutivo della relazione sociale, ma definisce la natura del rapporto che impegna mutuamente gli uomini gli uni verso gli altri generando un’infinita circolarità di elargizioni da ricambiare e di debiti da assolvere. Ciò che infatti hanno in comune i tre grandi sistemi di scambio di doni analizzati da Mauss,  quello degli oloa e dei tonga presso i Maori in Polinesia, il kula studiato da Malinowski nelle isole Trobriand della Melanesia e, infine, il potlàc, fenomeno tipico delle società indiane del Nord-ovest americano, indagato da Boas e dai suoi collaboratori, è l’obbligo di dare, ricevere e ricambiare. Secondo una dinamica che è particolarmente evidente nella figura del dono agonistico rappresentata dal potlàc, i tre atti di cui si compone indissolubilmente il movimento del dono descrivono un processo sempre inesausto e inconcluso che non ammette stati di equilibrio, ma lega permanentemente i protagonisti spingendoli a dare e a ricambiare ad usura.

Laddove la forma del contratto-scambio definisce la relazione come un pericolo per gli individui e mira perciò ad impedire che essa dia luogo ad un legame che ne metta a rischio gli interessi o ne intacchi l’autonomia, la forma del dono, viceversa, trova fondamento proprio su quegli elementi che mantengono gli uomini in relazione tra loro rendendoli dipendenti l’uno dall’altro. Così la fiducia nei confronti dell’altro cui si dà senza chiedere nulla in cambio ed il debito che obbliga nei confronti di colui da cui si è ricevuto, lungi dall’essere percepiti come un rischio da cui immunizzare gli individui mediante opportuni meccanismi, sono al contrario riconosciuti all’origine della convivenza umana. In questo senso il dono non appare più come un comportamento insolito e sorprendente rispetto a quello consueto regolato dal contratto-scambio e che perciò, per essere spiegato, rende necessario il ricorso a motivazioni straordinarie, di carattere etico o religioso; esso diviene invece espressione emblematica della stessa struttura del legame sociale. Laddove il contratto-scambio collega gli individui solo a patto di tutelarne la reciproca indipendenza e, dunque, la costitutiva separazione, il dono esige tanto da chi dà quanto da chi riceve un atto di fiducia che coinvolge gli individui in una relazione permanente, che continuamente li rinvia l’uno all’altro. «Le nostre feste – dicono gli abitanti della Nuova Caledonia a proposito delle grandi cerimonie in cui avviene lo scambio di doni tra differenti tribù – sono simili al movimento dell’ago che serve a unire le parti della copertura di paglia per farne un solo tetto, una sola parola» (Mauss, 1991:185-186).

La relazione sociale di cui il dono è insieme espressione e  forma strutturale è caratterizzata da Mauss attraverso tre fondamentali aspetti.

Innanzitutto  essa non è un rapporto privato e particolare tra individui, ma ha una dimensione istituzionale che investe il gruppo sociale nella sua interezza e nella molteplicità delle sue manifestazioni. Essa costituisce, secondo l’espressione coniata da Mauss, un "fatto sociale totale". Coloro che entrano in relazione sono «collettività che si obbligano reciprocamente… clan, tribù, famiglie che si fronteggiano e si contrappongono, sia per gruppi che stanno l’uno di fronte all’altro nello stesso luogo di scambio, sia per mezzo dei loro capi… Inoltre, ciò che essi si scambiano non consiste esclusivamente in beni e ricchezze, in mobili e in immobili, in cose utili economicamente. Si tratta, prima di tutto di cortesie, di banchetti, di riti, di prestazioni militari, di donne, di bambini, di danze, di feste, di fiere…» (Mauss, 1991:160-161). 

Non solo, ma totalità significa anche che il dono non è confinabile entro una sfera particolare dell’esistenza sociale – economica, etica o religiosa – ma la investe nel suo insieme, alimentandone il ciclo vitale complessivo. Tale aspetto del fenomeno è particolarmente evidente nel grandioso sistema di scambio di doni intertribale descritto da Malinowski e che non a caso porta il nome di kula,  ovvero circolo. L’intera vita sociale è «come attraversata da una corrente, ininterrotta e rivolta in ogni direzione, di doni offerti, ricevuti, ricambiati, obbligatoriamente e per interesse, per ostentare grandezza e per compensare servizi,  a titolo di sfida e in pegno» (Mauss, 1991:200).

A tale dimensione strutturale e profonda del dono, si aggiunge il suo significato  personale. Il passaggio dei doni è irriducibile ad un mero scambio di oggetti tra soggetti indipendenti, ma tocca e coinvolge direttamente le persone che in quegli oggetti lasciano impressa la loro incancellabile traccia. Tale aspetto è messo particolarmente in evidenza dalla concezione maori secondo la quale le cose donate sarebbero animate da una misteriosa forza spirituale, lo hau, che attraverso di esse si trasmetterebbe dal donatore al donatario. Lo spirito della cosa donata" induce chi ha ricevuto a liberarsi del dono, dapprima dandolo ad altri, e poi, riavuto il contraccambio, a renderlo al primo donatore. Tale ritorno non ha, in alcun modo, il significato di una retribuzione, economica o morale per ciò che si è ottenuto, ma quello di proseguire il movimento dei doni che di quello scambio è l’autentico fine. Tra i samoani il senso del "dare, ricevere, ricambiare" sta nel far passare indefinitamente, di mano in mano, il dono senza mai trattenerlo e, tanto meno, "possederlo" o "utilizzarlo". In tale movimento l’accento non cade, come nello scambio propriamente detto, sull’essere contraccambiati come vero fine del dare, di cui questo è semplice mezzo, ma sul donare e ri-donare. Nessuna appropriazione è in gioco in tale processo, ché anzi del dono bisogna, quanto prima, liberarsi.

Lo hau simbolizza così efficacemente il "divieto" di possedere il dono e, con ciò stesso, di trasformarlo in oggetto di appropriazione economica tradendo così la sua peculiare funzione, che sta nel legare gli uomini gli uni agli altri attraverso e nelle cose. «Accettare, infatti, qualcosa da qualcuno equivale ad accettare qualcosa della sua essenza spirituale, della sua anima; tenere per sé questa cosa sarebbe pericoloso e mortale» (6). Il dono non è, dunque, una semplice cosa che si stacca dal suo primo proprietario per entrare in possesso di un secondo, lasciando i due reciprocamente separati e indifferenti prima e dopo lo scambio, ma trasforma contemporaneamente tanto chi offre quanto chi riceve il dono, impegnando ed esponendo entrambi ad un legame irriducibilmente personale. Lo scambio non avviene al di là degli attori, generando un movimento di reciprocità che li trascende e che può trovare manifestazione nel mercato o in qualsiasi altra forma di obbligo impersonale alla restituzione, ma tra gli attori in quanto soggetti che, attraverso lo hau, imprimono sulla cosa donata il segno permanente della loro individualità (7).

Vi è infine un ultimo aspetto che più di ogni altro valorizza la portata socialmente costitutiva in senso radicalmente interculturale del dono: il comportamento di cui si tratta non riguarda il familiare, il simile, l’amico, ma l’estraneo, colui che appartiene a un’altra tribù, il nemico: è a questi e non a quelli che bisogna donare. Non perché con il dono o  anche in precedenza con l’ospitalità che ne rappresenta la prima manifestazione, si cerchi di neutralizzare l’estraneità o addirittura l’inimicizia dell’altro, ma perché è proprio sul rapporto con lo straniero, con colui che non appartiene alla mia tribù, al mio clan, al mio sangue, che si fonda il rapporto sociale.
Così tra gli indiani del Nord-ovest americano il potlàc viene offerto «da clan a clan, o da tribù a tribù. Esso non ha neppure senso se l’invito non è fatto a persone diverse dei componenti della famiglia, del clan o della fratria» (Mauss, 1991:220). Similmente «il kula intertribale… fa uscire la stessa tribù, al completo, dalla stretta cerchia delle sue frontiere, dei suoi interesse e dei suoi diritti» (Mauss, 1991:199). Tale uscita non avviene mercanteggiando o contrattando, ma dando i propri beni, le proprie donne, i propri figli agli altri, legandosi a loro e legandoli a sé. 

Illuminante per intendere ciò che accade nel dono è la testimonianza resa dalla gente di Kiriwina a Malinowski: «Gli uomini di Dobu non sono buoni come noi; sono crudeli, sono cannibali; quando andiamo a Dobu li temiamo. Essi potrebbero ucciderci. Ma ecco io sputo radice di zenzero, e il loro animo muta. Depongono le lance e ci accolgono bene» (Mauss, 1991:200). 

L’offerta di doni  ha la forma di una scommessa, con la quale unilateralmente e incondizionatamente un gruppo di uomini dà e si dà all’altro esponendosi senza garanzie a qualsiasi sua reazione. «L’altro non gli ha promesso niente. Non vi è stata negoziazione alcuna. E peggio ancora, l’esito più probabile sarà il fallimento» (Caillé, 1998a:123), perché  «è a degli stranieri e a dei nemici prima e soprattutto che bisogna manifestare una fiducia incondizionale» (Caillé, 1998a:122).

Con le parole di un ritornello usato nei rituali del kula:

« La tua furia, il cane annusa,
La tua pittura di guerra, il cane annusa,
Ecc.»

Altre versioni dicono:

« La tua furia, il cane è docile, ecc.»

Oppure:

« La tua furia parte come la marea, il cane gioca;
La tua collera parte come la marea, il cane gioca»
Ecc. (Mauss, 1991:194)

Ad immagini che evocano la furia della guerra, la marea montante dell’odio, si contrappone la figura del cane festoso e mansueto che annusa il padrone: ostilità e antagonismo vengono placati facendo le feste all’altro, portandogli doni e segni di amicizia, trasformando, appunto, la furia in un cane che gioca.   

L’irriducibile dimensione incondizionale che contraddistingue il dono e, dunque, il rischio strutturalmente connesso ad esso, in particolare in quanto rivolto a coloro con i quali non  condivido nessuna immediata appartenenza comune, lungi dall’impedirne, come vorrebbe Derridà la circolazione e dunque la stessa manifestazione fenomenica (8), si presentano piuttosto come aspetti costitutivi di un movimento inesauribile di generazione del legame sociale in cui si è  chiamati a dare per primi e "per niente" e, contemporaneamente, a ricambiare quanto ricevuto (9). 





Note

(1) «Sarebbe bene rimettere in crogiolo tutti i concetti giuridici ed economici che ci compiaciamo di contrapporre: libertà e obbligo, liberalità, generosità, lusso e risparmio interesse, utilità» (Mauss, 1991:279).

(2) L’espressione è visibilmente vaga ed ambigua, spesso utilizzata per alludere in modo generico e, talvolta, ideologico ad un’idea di uomo che prende corpo e si precisa in epoca moderna  grazie al contributo di autori non solo diversi, ma talora in aperto conflitto gli uni con gli altri: da Hobbes a Rousseau, da Locke a Smith. Se si tenta tuttavia di cogliere il significato essenziale di tale locuzione, prescindendo dalle molteplici connotazioni che è venuta acquistando, esso appare legato ad un’idea fondamentale, sottesa a modelli di pensiero e prospettive teoriche anche molto differenti, e che consiste nell’attribuire all’uomo, nella sua interezza, fini, principi e moventi d’azione propri della condotta economica. Questa, secondo la "classica" definizione di Adam Smith, sarebbe governata dalla tendenza naturale e universale degli uomini alla cura e alla preferenza per sé, alla quale essi dovrebbero pienamente affidarsi per migliorare sia la propria condizione che quella altrui (cfr. A. SMITH, The Theory of Moral Sentiments, New York 1966, p.35; Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, tr.it. Milano 1973, p.18).

(3) Esso trova una delle sue più intense e celebri rappresentazioni nell’immagine della "mano invisibile" che guida le attività  di ciascuno, direttamente volte a perseguire soltanto il proprio personale guadagno, a conseguire, del tutto inintenzionalmente, il massimo guadagno per tutti (cfr. ivi, p.144).

(4) Con le parole di G. Berthoud: «in questo gioco infinito  della circolazione di equivalenze, essere un individuo si riduce a non dover nulla a nessuno»(Berthoud, 1994:53).

(5) Essa consiste nell’«esporsi alla possibilità che quel che viene restituito differisca da quel che è stato dato, sia restituito a una scadenza sconosciuta, forse mai, sia dato in cambio da altri che quelli che avevano ricevuto o non sia restituito per niente» (Caillé, 1998a:80). L’irriducibilità del dono al contratto ed anzi l’individuazione proprio in tale irriducibilità di uno degli elementi distintivi del dono stesso risultano evidenti se si considera il percorso lungo e tortuoso con cui tale concetto viene prendendo forma nella ricerca di Mauss. In Une forme ancienne de contrat chez les Thraces, uno  dei  brevi saggi che precedono il più importante testo del ’25 e che testimoniano dei primi risultati della sua indagine sull’argomento, l’antropologo francese documenta la presenza presso i Traci che abitavano il Nord dell’antica Grecia di una forma di scambio per alcuni aspetti molto simile al potlàc descritto da Boas alla fine dell’Ottocento nei suoi studi sulle popolazioni amerindiane, ma che era già noto a Omero e Senofonte. A conclusione dell’articolo, nell’auspicare la possibilità di rintracciare presso altri popoli antichi riti e usanze simili, egli parla del "contratto di scambio" come forma del tutto degradata di tali costumi (cfr. M .MAUSS, Un’antica forma di contratto presso i Traci in M. Grenet, M. Mauss, Il linguaggio dei sentimenti, tr.it. Adelphi, Milano 1975, p.66). Ulteriormente tale scarto appare chiaro se si confronta l’impostazione di Mauss con quella del suo discepolo Georges Davy, che nella tesi di dottorato, La foi jurée. Étude sociologique du problème du contrat: la formation du lien contractuel, pubblicata nel 1922, inquadra, viceversa, il potlàc nell’orizzonte paradigmatico del contratto, considerandolo nient’altro che una forma imperfetta di questo, destinata a tradursi e a compiersi in esso. Dal punto di vista del dono adottato da Mauss, all’opposto, «ciascun passaggio della determinazione sociologica del contratto appare letteralmente confutato. Ciò che in questo caso si tratta di studiare è un fenomeno apparentemente individuale… che sfugge per principio all’idea di obbligo socialmente istituito e che non è assolutamente limitato al campo giuridico, ma lo eccede da ogni parte, manifestandosi con ugual forza sul piano morale, religioso,economico, politico ed estetico» (B. KARSENTY, L’uomo totale. Sociologia, antropologia e filosofia in Marcel Mauss, tr.it. Il Ponte, Bologna 2005, p.357).

(6) (corsivi miei).«... non solo perché illecito, ma anche perché questa cosa che proviene da una persona, non solo moralmente, ma anche fisicamente e spiritualmente, questa essenza, questo nutrimento, questi beni, mobili o immobili, queste donne o questi discendenti, questi riti o queste comunioni, danno una presa magica su di voi» (Mauss, 1991:172).

(7) L’importanza del "tra", come tratto distintivo di uno scambio che non trascende i suoi protagonisti, ma li coinvolge in una relazione in cui restano sempre implicati, è alla base della distinzione proposta da Paul Ricoeur  tra "mutualità" e "reciprocità". Mentre la prima  designa un relazione scambievole che resta vincolata e dipendente dai soggetti individuali che la intrattengono  e attraverso di essa si riconoscono, la seconda viene scelta per indicare la regola sociale generale che, indipendentemente dagli attori, impone di ricambiare gli altri con un eguale "moneta": il male con il male, nella vendetta, l’oggetto utile con un oggetto utile di pari valore, nel mercato. Il movimento del dono non costituisce, in questo senso, né una forma arcaica di scambio mercantile, né una forma di reciprocità virtuosa, che ha la stessa struttura della vendetta, pur mutandone il segno , secondo l’ipotesi interpretativa adottata da M.R. Anspach in À  charge de revanche. Figures élémentaires de la réciprocité, pubblicato a Parigi nel 1978;  esso indica, piuttosto, l’attivarsi di una relazione mai regolamentabile, perché sempre dipendente dall’iniziativa personale, tra soggetti che così s’impegnano l’uno nei confronti dell’altro (cfr. P.RICOEUR, Percorsi del riconoscimento, tr.it. Milano 2005, pp.253-274). Né d’altra parte  lo hau è riducibile, come vorrebbe Lèvi-Strauss, ad espressione della forza profonda, di natura simbolica, che tiene unite le società spingendo gli uomini, indipendentemente dalle loro intenzioni e motivazioni, a entrare in quei rapporti di scambio che stanno alla base di ogni cultura umana (cfr. C.Levi Strauss, Introduzione all’opera di Marcel Mauss a M.Mauss, Teoria della magia cit., pp.XV-LIV). Come hanno fatto notare gli studiosi della "Revue du M.A.U.S.S." in Mauss, a differenza di quanto non ritenga lo strutturalismo di Levi-Strauss, ma anche poi di Lacan, il simbolo non diventa mai "piu reale del reale", ma svolge la sua indispensabile funzione nella costruzione della vita sociale soltanto a partire dalle azioni molteplici e irriducibili di attori concreti, che elaborano, mettono in opera, ma anche cambiano i loro simboli (Caillé, 1998b:5-12) e, per un più puntuale raffronto, C. Tarot, nel suo saggio, Mauss, Lévi-Strauss, le symbolique et l’homme total, ivi, pp.66-81). 

(8) Cfr. Derrida, J. (1996), Donare il tempo. La moneta falsa, tr.it. Raffaello Cortina, Milano. Per un tentativo di far dialogare la posizione derridiana con le tesi di Mauss, nel quadro di una ricostruzione storico-culturale di alcune tra le principali figure filosofiche del dono, mi permetto di rinviare a GIACOMINI, B. (2006) In cambio di nulla. Figure del dono, Il Poligrafo, Padova. 

(9) L’insufficienza della norma di reciprocità nel garantire la stabilità sociale è stata puntualmente argomentata anche dalla sociologia di impostazione funzionalistica, mostrando come soltanto il principio del dono unilaterale, che non pretende contraccambio, dato "per niente", sia in grado di disinnescare la violenza senza fine contenuta nel principio di retribuzione (cfr. A.W.Gouldner, The Norm of Reciprocity: a Preliminary Statement, "American Sociology Review", 2 (1960), pp. 161-178; ID, The Importance of Something for Nothing in ID., For Sociology. Renewal and Critique in Sociology Today, Penguin Books, Middlesex, England 1973).

 

Bibliografia

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Caillé, A.(1998a), Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, tr.it. Einaudi, Torino

Caillé, A.(1998b), Presentation a Plus réel que le réel, le symbolisme, "La Revue du M.A.U.S.S. Semestrielle", 2

Godbout, J.(1998), Homo donator  versus Homo oeconomicus, "La revue du  M.A.U.S.S. semestrielle", Plus réel que le réel, le simbolisme, 12

Godbout, J. (2000), Le Don, la Dette et l’Identité, La Découverte, Paris,/Boréal, Montréal 

Godbout, J. (2007), Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre, Edition du Seuil, Paris 

Karsenty, B.(2005), L’uomo totale. Sociologia, antropologia e filosofia in Marcel Mauss, tr.it. Il Ponte, Bologna

Mauss, M. (1991), Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, tr.it. di F. Zannino in ID., Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino

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