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L'incantesimo del villaggio
di A Yi
Traduzione di Desiree Marianini

Dal mondo si scompare senza motivo.

Un insetto vola raso terra e se ne perdono le tracce, un pollo segue questo stesso destino.

Questo è l’incipit della storia. La proprietaria dell’animale, Zhong Yonglian, è arrivata alla conclusione che a rubarlo è stata Wu Haiying, la sua vicina di casa. Ci sarebbero due prove. Quando Zhong Yonglian, nella sua spasmodica ricerca, è giunta al cortile della vicina, le tracce del pollo erano scomparse e dalla casa di Wu Haiying veniva odore di stufato. Wu Haiying è una donna che non va provocata. Le piace litigare, è peggio di chi minaccia di bruciarti casa. Zhong Yonglian sa che suo figlio, torvo come un criminale, se stesse a casa, andrebbe tutto bene.

È da tanto tempo che non chiama, e non spedisce nemmeno una lira. Al tramonto, la minuta Zhong Yonglian aveva riflettuto su due questioni. In primo luogo non era stata lei a rovinare un rapporto di amicizia che sicuramente non poteva mantenere da sola e in secondo luogo, tutta la questione del pollo era di relativa importanza, dipendeva dai punti di vista, ma non si poteva più rimandare a domani. Così era andata a fare un giro nel villaggio. «Hai visto il mio pollo?», chiedeva. Oppure:

«Che strano! Mi è scomparso un bel pollo intero, così, da un momento all’altro». Se qualcuno le chiedeva se lo avesse ritrovato, rispondeva: «So solo che l’ultima volta che l'ho visto stava andando verso il cortile, da quella parte». Questa era la strategia che le aveva insegnato il marito sul letto di morte. Per risalire alle ragioni, bisognava girare per il villaggio e farsi amici gli abitanti. Zhong Yonglian giunse così alla porta di Wu Haiying. Ripetè la stessa cantilena per tre volte: «Chi ha rubato il mio pollo?». «Ch'è successo?», chiese finalmente Wu Haiying. «Non so proprio chi sia quel poveraccio che ha rubato il mio pollo». Ciò detto, Zhong Yonglian sentì di aver acceso la miccia che avrebbe portato a una terribile guerra. Wu Haiying stava per rispondere che il pollo sarebbe tornato a tempo debito, ma Zhong Yonglian, spietata, aggiunse: «Se è morto, come torna? Se ne hanno mangiato anche le interiora, come torna?»

Zhong Yonglian parlava a occhi bassi, ma Wu Haiying sembrava aver capito. «Non penserai che sia stata io?» « Il colpevole lo sa di sicuro!» Emessa la sentenza, Zhong Haiying voleva andar via ma Wu Haiying le afferrò la manica della camicia. Zhong Yonglian si liberò e fece per andarsene: «Vattene!» Wu Haiying intanto urlava: «Dimmelo chiaro e tondo! Quando mi sarei mangiata il tuo pollo? Te ne potrai andare solo dopo avermelo detto». «Non l'ho detto io! L'hai detto tu stessa di averlo mangiato» «Quand'è che avrei detto di averlo mangiato?» «Se lo hai mangiato, lo hai mangiato. Era solo un pollo e non ci sono prove» Pioveva sul villaggio. Le gocce di pioggia erano come milioni di schegge sghembe che tagliavano il cielo. Wu Haiying afferrò Zhong Yonglian per il bavero della camicia. Freddamente guardò quella faccia tutta bagnata e ci lasciò su un bel ricordino. Zhong Yonglian cominciò a piangere e a perdere sangue dal naso.

Aveva il volto sfigurato ed era stata umiliata per la seconda volta. Mentre Wu Haiying stava per colpirla di nuovo, Zhong Yonglian ripensò al marito morto e si scagliò con un urlo contro l’avversaria. Questa indietreggiò e si ritrovò a terra. Si rialzò immediatamente e afferrò i capelli di Zhong Yonglian come fossero spighe di grano: tirò e torse fino a quando non la trascinò in terra. I passanti assistevano allo spettacolo. Zhong Yonglian si trascinava a terra invocando il nome di suo marito e di suo figlio; Wu Haiying, di lato, si sfregava le mani mentre suo marito la chiamava chiedendole di rincasare.

Lei non si muoveva: «È stata lei ad avermi accusato ingiustamente di aver rubato un pollo». Intanto, Zhong Yonglian continuava a battere le mani nel fango urlando: «Ancora parli!». Alcune donne accorsero a sollevarla, ma appena la alzavano lei si ributtava a terra dimenando braccia e gambe. Sembrava in preda alle convulsioni. «Falsa!», gridava Wu Haiying, mentre il marito la afferrava per farla rientrare in casa. «Stai un po’ zitta», le diceva il marito, ma lei, imperterrita, continuava: «Siete tutti testimoni! Mi incolpa ingiustamente di averle rubato un pollo. Mi prendesse un colpo davanti a lei se sono stata io» Zhong Yonglian a quel punto si sedette in terra e, mentre stringeva i pugni come a volerla pugnalare, disse: «Ok. Se sei la ladra, tuo figlio morirà quest’anno. Altrimenti toccherà al mio» «Se l'ho rubato io, quest’anno morirà mio figlio», concordò Wu Haiying. «Vediamo quale figlio morirà», rispose Zhong Yonglian. E ribadì: «No, non ti credo»

Aveva parlato in modo risoluto ma, quando arrivò a casa realizzò che, in fondo, pretendeva solo un po’ di giustizia. Si commiserò e si addormentò singhiozzando. La mattina seguente il pollo ritornò. Aveva tutte le piume bagnate e un nastro rosso legato alla zampa, come un asceta senza ormai più nulla, che solitario, scavava nella terra. Di nascosto, Zhong Yonglian lo prese, lo portò a casa e lo uccise. Da quel momento Zhong Yonglian si sentiva sempre in colpa quando incontrava Wu Haiying, ma un giorno le fu tutto chiaro. Anche se non è stata lei, la questione non è risolta. Perché una ladra dovrebbe essere una brava persona solo per non aver rubato un pollo?

Zhong Yonglian, oltretutto, ormai conosceva il sapore che Wu Haiying le aveva fatto assaggiare prendendola per i capelli e trascinandola nel fango. Quando la incontrava, quindi, camminava a testa alta con lo stesso sdegno della sua avversaria. In seguito, chiuse il pollaio con una rete per impedire ai polli di volare via e chiese al genero di scrivere sul nastro rosso legato alle zampe di ogni volatile: chi mi ruba è morto. Da quel momento le due donne non ebbero più alcun contatto. Alla fine dell'anno, l’intero villaggio era in fibrillazione per il ritorno da Dongwan del figlio di Wu Haiying. Guo Hua guidava una Buik bianca le cui ruote schiacciavano erbe e sassi senza fare il minimo rumore. Guo Hua sembrava un perfetto dirigente governativo. Tirò il freno a mano in maniera decisa, chiuse la portiera dell'auto, premette il telecomando e la macchina, immobile, squittì come se avesse paura. Una ragazza di una ventina d'anni stava lì accanto a lui, con uno sguardo pieno d'amore.

La sua pelle era bianca e delicata, il suo volto così piccolo da poter essere racchiuso tutto in un’unica mano. Dai suoi occhi persi proveniva una luce simile a quella delle fanciulle straniere e i suoi capelli, raccolti e folti, erano tinti di rosso come l’ultimo bagliore del sole. In pieno inverno portava una lunga maglietta grigia stretta in vita e un paio di pantaloni di pelle nera che mettevano in evidenza le curve eleganti e le lunghe gambe. Era cordiale. Sorrideva innocente mostrando i denti, piccole perle bianche di melograno.

«Xixi, entra dentro», disse Guo Hua. Lei, obbediente, con lunghi passi da gazzella sparì dentro casa di Wu Haiying. Non ci fu più un’altra donna della sua stessa bellezza. La gente del villaggio fu pervasa tutto il giorno come da un senso di vuoto, una strana combinazione d’invidia e gelosia. Poi la ragazza non uscì più di casa, finché Wu Haiying non le consigliò di uscire ogni tanto. Solo allora Guo Hua, incurante, la portò in visita da alcuni parenti. Wu Haiying non era mai stata così bene. Era sempre in giro e la gente sapeva cosa voleva sentirsi dire per essere contenta.

E rispondeva: «No, i suoi genitori non hanno ancora acconsentito». Nel caso in cui, invece, non la assecondavano, dicevano: «Prima o poi succederà». Lei ribatteva: «Si sono scambiati gli anelli». In quel periodo, era così presa da se stessa che non pensava minimamente di prendersi gioco di Zhong Yonglian. Quest'ultima, invece, riteneva di non aver mai provato una vergogna più grande. Zhong Yonglian andò in città, tirò fuori un pezzo di carta con un numero di telefono e chiese al proprietario di un piccolo negozio di chiamarlo. Voleva dire a suo figlio, Guo Feng, di portare a casa una ragazza per le feste di fine anno, a qualsiasi condizione anche a costo di pagarla. Il numero, però, non era raggiungibile. «Prova ancora, forse hai sbagliato numero», disse Zhong Yonglian. Il proprietario riprovò ma la situazione peggiorò ancora. Il cellulare era staccato. Guo Feng era una persona scostante: non aveva mai detto dove lavorava e non si faceva mai sentire.

Se la madre era in pensiero per lui, rispondeva: «Se non mi preoccupo io per te, che sei così vecchia, perché devi essere tu a preoccuparti? Non hai niente di meglio da fare?». Per Capodanno spesso andava in città e a notte fonda tornava scalzo e con il volto ferito. Non raccontava mai alla madre cosa fosse successo. Per un anno, invece, non uscì e aiutò lo zio con piccoli lavori di trasporto. Un giorno lo zio si ammalò e Guo Feng prese la macchina e si diresse verso la provincia dell’Anhui. La macchina si ruppe e lui chiamò a casa. Lo zio accorse immediatamente, percorrendo chilometri e chilometri di strada. Trovò la macchina con la portiera aperta e le chiavi nel cruscotto. Ma il ragazzo non c’era. «Dimmi tu se un catorcio del genere non lo avresti dovuto buttare subito», si permise di dire Guo Feng. Zhong Yonglian andò alla polizia.

Quando entrò nel commissariato con un fazzoletto in testa, l’accolse un addetto alla sicurezza. «Sono venuta per fare una denuncia»

«Come si chiama?»

«Cosa le importa chi sono, devo fare una denuncia»

Con una mano si coprì la bocca e, avvicinandosi all’orecchio del poliziotto, sussurrò: «Guo Hua è tornato»

«Di chi sta parlando? Chi è Guo Hua?»

«Quello che è scappato per aver giocato d’azzardo. È tornato».

Ci pensò su e aggiunse: «Ha portato anche una donna che sembra una poco di buono»

«La ringrazio», disse l’ufficiale.

La dovevano ringraziare. Il commissariato, da quando era stato costruito, tirava avanti grazie agli introiti delle multe. L’anno precedente avevano fermato quattro persone per gioco d’azzardo, una multa di quattrocento yuan a testa. Solo Guo Hua era scappato senza pagare. Non era un buon esempio e molte altre persone si sarebbero potute chiedere per quale ragione pagare se Guo Hua non aveva sborsato nulla. Dopo alcuni giorni, il commissariato di polizia mandò un autista, un poliziotto e un addetto alla sicurezza a prendere di sorpresa Guo Hua. Lo portarono via di casa come un coniglio agitato. Come in una telenovela, Xixi gli andava dietro: «Perché? Perché?», chiedeva. L’ufficiale che portava folti baffi alla Stalin urlò: «Vattene». Xixi, invece, continuava a colpirlo, dalla sua bocca uscivano insulti feroci, ma non parole in dialetto. La ragazza si morse le guance e scoppiò in lacrime: «Così arrestate le persone? Siete senza leggi e senza Dio!». Se quelli esitarono, lo fecero solo per l'ostinazione sensuale e infantile di Xixi.

Dopo poco afferrarono Guo Hua e lo portarono via, dietro di loro solo una nuvola di polvere. Wu Haiying aveva appena finito di preparare il mangime per i maiali quando apprese la notizia che il figlio era stato portato via. Svenne in preda alle convulsioni. Xixi, in lacrime stava accucciata accanto a lei. Zhong Yonglian vide tutto dalla finestra. Con un sorriso freddo mormorò qualcosa, si convinse che era quello che si meritava e ritenne di non aver nulla da temere. Andando avanti e indietro per la stanza, ripeteva ad alta voce: «Ti sta bene! Ti sta bene!» Mezz’ora dopo Guo Hua era scappato. Tornato a casa, diede un bacio sulla fronte a Xixi e salì in fretta al secondo piano dove si nascose in un recipiente per il grano. Dopo poco uscì dal nascondiglio: «Dite che sono fuggito in montagna» Al calar della sera, una volante che aveva già setacciato tutto il villaggio fece irruzione nella casa di Wu Haiying. La perquisizione cominciò di nuovo, incurante e violenta.

Afferrarono il bavero del vestito di Wu Haiying: «Dov’è tuo figlio?» «Non lo so» «Non sai dov’è tuo figlio?» Wu Haiying abbassò la testa. «È andato in montagna», si intromise fredda e triste la ragazza del Sichuan. «È scappato?» «Sì, è scappato» L’addetto alla sicurezza si avvicinò e, presa una torcia, la puntò sulla faccia della ragazza. Lei chiuse gli occhi e si morse le labbra. La pelle del volto tremava e le folte ciglia mettevano in ombra gli occhi. «È scappato?» «Sì, è scappato», ripetè con tono deciso Xixi.L’ufficiale allora le chiese: «Dov’è il tuo permesso di soggiorno temporaneo?» «Non ce l’ho» «Ce lo devi avere» «Non ce l’ho» «Allora devi seguirmi per un controllo» «Perché?» La colpì bruscamente sulla bocca con la torcia. La ragazza rimase immobile, di stucco. Poi si accasciò al suolo. Era tempo di andare: «Andiamo. Tiratela su e andiamo».

Un paio di alti stivali di pelle andavano avanti e indietro. Quando si fermavano, la giovane guardava con lo sguardo carico di disperazione tutti quei parenti sconosciuti. Era la stessa angoscia del pesce che, immobile sul tagliere da cucina, scorge un coltello. La situazione era insostenibile e uno a uno si allontanarono tutti. Ma quando la polizia trascinò la ragazza verso il cortile esterno, tornarono alla carica per attaccare da ogni lato. Circondarono la volante brandendo scope, pali di metallo, bastoni di legno e perfino lunghe pipe. Non la smettevano più di colpire. In tutto quel macello, si riusciva a sentire solo la voce effeminata di un poliziotto che intimava alla folla di calmarsi. Nessuno, però, riusciva a farlo. Si fermarono solo quando udirono un urlo da un punto molto distante: «Fermi!» Fecero largo al re che era tornato con la Buik e con la bella puttana.

Anche se poco prima si era nascosto nel granaio, ora impugnava un grande coltello come fosse un grande eroe. Stava ancora camminando quando, senza esitazione, sferrò la prima coltellata al braccio dell’ufficiale. La gente chiuse gli occhi, ormai non si poteva più tornare indietro. Lo stesso Guo Hua non riusciva a capacitarsi e se ne stava lì, con il coltello fermo a mezz'aria. Soltanto Zhong Yonglian lo incoraggiava ripetendo dentro di sé: «Accoltellalo! Colpiscilo! Accoltellalo! Uccidilo e vai a morire ammazzato anche tu! » Lui continuò a sferrare colpi. Non c’era sangue, ma silenzio. Accoltellare e uccidere una persona può essere un processo estremamente lungo, tanto da divenire insostenibile anche per la vittima. L’addetto alla sicurezza gli strappò di mano il coltello e disse: «Usalo così, con la lama nell’altro verso» Guo Hua si rese conto della grande umiliazione ricevuta e tirò fuori un bastone di legno con cui voleva trafiggerli e ucciderli tutti quanti.

Fu come se le tre persone mandate dalla polizia si risvegliassero improvvisamente. Si dispersero correndo disordinatamente come una mandria di buoi che sa di rincontrarsi presto; fecero a gara a chi arrivava prima tra le viuzze lontane. Alla fine il commissariato non inviò più nessuno. Wu Haiying chiamò un nipote alla provincia che chiamò il Comitato di partito del distretto che chiamò la polizia. Il comandante della polizia, infine, ordinò l’alt ai diciotto agenti che stavano partendo per il villaggio. La polizia fece capire che non avrebbe più cercato Guo Hua e il nipote di Wu Haiying fece capire che non avrebbe più cercato la polizia. La faccenda finì lì. Guo Hua, invece, partì terrorizzato con la sua spaurita femme fatale al seguito.

I lavoratori migranti tornavano, piano piano, alle loro case, portando le cose che avrebbero cambiato il villaggio. Mettevano sotto gli occhi dei bambini carte magiche che cantano, cellulari d’oro e sigarette che non si accendono, ma da cui si può aspirare il fumo. Zhong Yonglian si spingeva sempre fino alla porta del villaggio guardando ovunque. La speranza era che apparisse suo figlio, alto e robusto, ma ciò non accadeva.

Chiedeva in giro se per caso qualcuno sapeva dove lavorava, ma nessuno lo sapeva. Alla fine andò in città e lo chiamò sul cellulare. Il proprietario del negozio da cui si potevano fare le chiamate, disse che il telefono non era attivo, che probabilmente nessuno lo utilizzava, che non era stato ricaricato o che forse era stato rubato. Aggiunse che nel Guangdong gli scippatori vanno tutti in moto e che per rapinare la gente, la trascinano per terra, anche per parecchi metri. Un giorno, Zhang Yonglian si addormentò esausta sulla sedia, da tempo era torturata dall'insonnia. Sognò che Guo Feng era diventato un bambino muto e con il volto bianco pallido. Nel sogno prendeva un mestolo di zuppa e glielo versava assieme ad alcune medicine e insieme si raccomandava: «Mangia, figlio mio. Mangia un boccone. Vedrai che se mangi starai molto meglio»

Guo Feng la fissava terrorizzato scuotendo la testa in silenzio. Così Zhong Yonglian sprofondò in un’angoscia priva di ogni speranza. Portò via la ciotola. Quando tornò, trovò un enorme creatura dalle sembianze di un mollusco gigante che giaceva sul letto. Le costole emaciate erano incassate nel torace, le viscere si sollevavano e si abbassavano rapidamente, il sangue scuro delle gonfie cisti perforate gocciolava giù seguendo i meridiani, i suoi arti erano come quelli di un coniglio scuoiato. La creatura era per metà accovacciata. Provava a sollevare il suo corpo esausto afferrando il letto con la mano destra, ma le gambe rimanevano sempre curve come un setaccio che si muove. In quel momento la coperta di cotone che gli copriva il corpo scivolò giù.

Qualche capello era ancora appiccicato alla sua smisurata testa ovoidale e calva, ma il suo volto non aveva occhi, né orecchie, né naso. Rimaneva solo una grande bocca rantolante dai denti affilati. Mentre respirava con affanno, l’apertura e la chiusura delle guance gli infliggevano agonia e un odore nauseabondo permeava l’aria. La creatura oscillava e, proprio mentre stava per cadere, stese improvvisamente un braccio e la agguantò. Zhong Yonglian si svegliò, il polso gelido le faceva ancora male. «Perché Guo Feng non chiama? In tanto tempo, non ha mai chiamato neanche una volta. Sono preoccupata, l’ho sognato con la coda e le ali insanguinate» Il genero rimaneva zitto. «Sei il marito di sua sorella, vai a cercarlo. Sua sorella è preoccupata per lui» A questo punto avrebbe voluto aprire bocca, ma alla fine non disse nulla.

«Vai a cercarlo, sei il marito di sua sorella! Ho solo un figlio, io! »

«Come lo cerco?»

«Troverai il modo. Ti prego aiutami a ritrovarlo»

«La Cina è immensa, dove vado a cercalo? Non so neanche se sia nella provincia del Guangdong o in quella del Fujian»

«Lo troverai. Voi giovani trovate sempre una soluzione. Riportalo a casa per le feste. Finito il Capodanno, farete quello che volete. Non sto bene di salute, voglio vederlo. Mi tranquillizzerò appena lo vedrò»

Il genero si alzò e d’improvviso Zhong Yonglian s’inginocchiò ai suoi piedi afferrandogli i pantaloni e strattonandogli le ginocchia. Con gli occhi pieni di lacrime disse: «Ho paura che Guo Feng sia già morto. Già, proprio così, morto!» «Non parlare a vanvera» disse il genero. Ma quando vide la moglie che stava arrivando, acconsentì: «Va bene» «Giura» «Giuro» Il genero prese cinquecento yuan da Zhong Yonglian e rimase un giorno in giro per il capoluogo della contea. Alla fine tornò a casa senza aver speso nulla. Mentiva quando aveva detto che alla stazione aveva incontrato Li Yuanrong, quello del villaggio vicino, che gli aveva dato la notizia che Guo Feng tra pochi giorni sarebbe tornato a casa. Zhong Yonglian non ci credette e quindi il genero prese il cellulare e chiamò Li Yuanrong. «Guo Feng sta per tornare. Adesso guadagna mille yuan. Vuole guadagnare a sufficienza e tornare a casa», disse Li Yuanrong. Poco prima di Capodanno, Guo Guang, un tipo del villaggio che lavorava nel Guangdong, tornò a casa e confermò la versione di Li Yuanrong.

Guo Guang e Guo Feng lavoravano in due fabbriche che stavano una accanto all’altra; Guo Feng sta facendo gli straordinari per guadagnare il doppio, in un giorno arriva a fare quattrocento Yuan. Guo Feng in persona gli ha chiesto di portare il messaggio che per Capodanno sarà tornato a casa. «Guo Feng come sta?» «È sempre taciturno. Ha i capelli lunghi, da poeta» Zhong Yonglian sapeva che i soldi guadagnati da Guo Feng sarebbero serviti ad andare in un villaggio vicino a giocare d’azzardo. Ogni anno subito dopo le feste, vicino al tempio c’erano una decina di tavoli che invogliavano i lavoratori migranti.

C’era un tipo di nome Zhi Gang che gestiva il tutto. Le persone scommettevano da qualche centinaio di Yuan ad alcune migliaia, a diecimila e poi a centomila. Un anno di duro lavoro andava in fumo in questo modo. In seguito si facevano prestare i soldi per comprare il biglietto del treno e tornare al sud. L’anno precedente Guo Feng aveva vinto per quattro giorni, ma al quinto aveva perso tutto. Era tornato a casa con gli occhi rosso fuoco, aveva mangiato una zuppa ed era ripartito. La mattina del giorno di Capodanno, Zhong Yonglian tirò fuori il pollo per lo stufato, un’oca, un po’ di manzo e del maiale. Lavò le verdure e, quando la zuppa bollì, aggiunse la soia. A mezzogiorno i piatti erano completamente freddi, ma Zhong Yonglian era ancora lì e rifaceva piano piano tutto ciò che aveva già fatto.

Come una donna riservata durante una storia d’amore, teneva per sé tutti i desideri. Non avrebbe mai fatto un passo fuori dalla porta di casa, voleva aspettarlo. Lui sarebbe entrato di corsa e, impaziente, l’avrebbe chiamata. Lei si sarebbe voltata e avrebbe sorriso teneramente. «Guo Feng, sei tornato!» «Sì, mamma. Sono tornato». Aspettava solo queste quattro parole. Il tempo era sospeso. Le strade e l’aria, fuori dal villaggio, erano scure e immobili. Non c’era rumore di automobili, neppure un suono. C’erano solo i bambini che giocavano di nascosto con i fuochi d’artificio. Poi, come cola l'inchiostro, si fece buio. Zhong Yonglian era seduta sulla soglia. Piangeva. Alle undici di sera, tutte le case avevano chiuso la porta e anche lei si apprestava a farlo quando vide una luce, fioca ma costante, che veniva dal cielo. Rimase immobile. La luce divenne sempre più grande, chiaramente puntava nella sua direzione. Solo allora riprese coraggio: «I fari di questa macchina sembrano il bastone magico di Sun Wukong che si agita nel cielo», pensò Zhong Yonglian. Cominciò a correre piano, troppo piano. Così, forte ed energica, affrettò il passo e prese a correre veloce.

La macchina le passò davanti, ma non si fermò. Seduta per terra ricominciò a piangere. Soffriva, le faceva male ovunque. Le erano volate via le scarpe e le pietre appuntite le avevano ferito i piedi. Suo figlio non sarebbe tornato. Quando sentì che nulla l’avrebbe potuta più consolare, la macchina che aveva preso chiaramente un’altra direzione, tornò indietro verso il villaggio. Si fermò proprio davanti casa sua, senza spegnere il motore. Zhong Yonglian cominciò a correre verso casa.

Guo Feng uscì dalla macchina con uno zaino modesto che buttò in terra. Tirò fuori duecento yuan dalla tasca e li diede al tassista. Il ragazzo era ancora così scostante! Zhong Yonglian raccolse lo zaino e chiese all’autista se si volesse fermare a cena, ma l’autista non rispose e ripartì. «Perché sei tornato così tardi? » chiese la madre. Il figlio era nervoso.

«Ho viaggiato un giorno e una notte e, arrivato in città, non ho trovato una macchina»

«Hai fame?»

«Sì»

«Vado a riscaldarti la cena»

«Mangio un po’ di zuppa»

«A Capodanno? La zuppa?»

«Sì, la zuppa»

Guo Feng aveva una voce flebile, ma ancora austera. «Ho sonno. Chiamami quando è pronto» Disse ancora. Poi andò in camera, chiuse gli occhi e crollò sul letto. Zhong Yonglian impiegò molto tempo a togliere la coperta da sotto il corpo del figlio e a coprirlo per bene. Quindi, con l'animo sereno e spensierato, andò a preparare la zuppa. Lavò le pentole e il riso, poi aggiunse molta acqua al brodo perché al figlio piaceva sciapo. Più insipido era e meglio era. L’attesa la spazientiva. Si mise a regolare il gas. Quando pensava che era pronto, toglieva il coperchio. Il fumo bianco usciva dalla pentola e lei girava la zuppa con il mestolo, ma ancora non era pronta. Quando lo fu, la mise in una ciotola bollente. Sopportò il bruciore e la portò nella stanza. Chiamò il figlio a voce alta. Dalle coperte veniva fuori un suono flebile. Il ragazzo mormorò qualcosa da lontano.

«Feng, alzati! Bevi la zuppa» Lui non rispose. La madre sedeva sul bordo del letto, in attesa. In treno avrà percorso circa mille e cinquecento chilometri; dal capoluogo almeno altri trenta. In silenzio, gli rimboccò le coperte. Fuori cominciò a nevicare. Adesso tutto era pace: «Mio figlio dorme profondamente e fuori cade la neve» Dopo un po’ lo chiamò nuovamente: «Feng!» Nessuna risposta. Proprio come fanno gli animali, avvicinò teneramente il volto a suo figlio. Lo chiamò con dolcezza: «Feng! Dai, svegliati. Mangia qualcosa e poi ti rimetti a dormire»A chiamarlo in quel modo, ebbe un brivido. Lo accarezzò, il viso era ghiacciato. Scrutò le narici, il respiro era flebile. Lo scosse da una parte e dall'altra come una borraccia d’acqua. In ansia lo tirò su. Le mani del figlio sbucarono fuori dal piumino. Lei gli arrotolò le maniche e con forza gli afferrò il polso. Si accorse dell’imprevedibile leggerezza del corpo del giovane.

Era come se non ci fosse stato più nulla da afferrare. Improvvisamente si fermò e scoppiò a piangere. Le mani che aveva stretto non erano quelle di un essere umano, ma quelle di un animale morto. Le dita della donna erano completamente coperte di grasso viscido e nauseabondo. Il pollice era incollato al palmo lacerato del figlio e premeva fino a entrargli nelle bianche ossa. Le braccia erano tutte di un viola livido, come fossero state melanzane che si decomponevano al più leggero strofinio. Gli tirò via il maglione, il suo petto era uguale. Le vene erano lunghi e ampi corsi d’acqua bluastri che s’intersecavano alla bocca dello stomaco. Si affrettò ad abbracciarlo da dietro, ma la testa sembrava fosse stata decapitata, caduta di colpo. A forza gli aprì la bocca. Venne fuori un odore di composti chimici. Il dottore esaminò il corpo per tre minuti.

Poi uscì dalla sala e, trovata Zhong Yonglian, le disse indignato: «Il corpo di suo figlio è completamente putrefatto; gli organi, la pelle, le ossa, tutto putrefatto. Si è decomposto da vivo» Zhong Yonglian allora affittò una macchina per il trasportare il figlio al villaggio. Lo seppellì in silenzio. A primavera iniziata, si recò al villaggio un praticante di un centro provinciale per l'aiuto legale che coltivava la speranza di diventare un avvocato di fama nazionale. Trovò Zhong Yonglian, i capelli ormai grigi. Cercò di chiarire la situazione con parole come «quantità di piombo», «capacità di carico per settimana lavorativa» e «misure di protezione». Scoprì che la sua interlocutrice non capiva nulla. Allora fece un esempio: «Suo figlio lavorava in un ambiente molto peggiore di quello delle fabbriche di gas tossico durante l’invasione giapponese.» Zhong Yonglian scosse la testa e se ne andò. «Lo faccio per il suo bene, non deve pagare nulla.» «No» «Le sembra possibile che suo figlio sia morto così?» «No, non ho bisogno di nulla.»

Zhong Yonglian era testarda. Se ne andò verso la casa della vicina, come per riprendersi da una grave malattia. Con estrema lentezza e attenzione, si andò a sedere sulla soglia della porta. Wu Haiying la vide e le portò uno sgabello: «Fa freddo seduta lì» «Non avrei dovuto sospettare di te» «Non dire queste cose» Wu Haiying si accovacciò e accarezzò la mano di Zhong Yonglian. Lei la lasciò fare e non si scostò. Wu Haiying rimase in silenzio, senza smettere di piangere. Zhong Yonglian era immobile, come una martire a testa alta. In quel momento in fondo al villaggio, in una casa dove un lavoratore migrante non era ancora partito, risuonava una canzone pop americana.

Everywhere I'm looking now

I'm surrounded by your embrace

Baby, I can see your halo

You know you're my saving grace

You're everything I need and more

It's written all over your face

Baby, I can feel your halo

Pray it won't fade away

Le due donne erano come pietre che ascoltavano assenti. Io, lo scrittore, sono quel poliziotto del villaggio che ha intimato alla folla di calmarsi. In seguito ho dato le dimissioni dalla polizia. Ho lavorato per il governo e per tante altre persone, in molti altri luoghi differenti. Volevo avere l'occasione di guardare, anche solo per un istante, una donna meravigliosa.

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