Internazionale 571,

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23 dicembre 2004 

Questo articolo è tratto dal suo discorso alla Sydney peace foundation che il 4 novembre 2004 le ha assegnato il premio per la pace.

 

Impero aziende politica potere guerra e stupidita'

Premessa di Carl William Brown. 

 

Da tempo si sà che il mondo è in mano agli stolti e che la nostra ignoranza è di gran lunga più inquietante delle nostre conoscenze, ma si può fare sempre meglio e l'evoluzione della stupidità non deve arrestarsi, solo così infatti gli imbecilli potranno riprodursi e governare al meglio il nostro pietoso pianeta, per cui invito tutti a non lasciarsi prendere alla sprovvista e a prepararsi al meglio per votare alle prossime elezioni. Per Dio, che vinca il migliore !!!!! (P.S. questo aforisma non è così semplice da capire, ma sono sicuro che anche qui farete del vostro meglio)

La giustizia è per i ricchi e gli imprenditori. I "diritti umani" sono per i poveri. È il modello di un mondo fatto di aziende e eserciti. E non possiamo restare neutrali.
L'illusione della pace.

Arundhati roy, outlook, India. 

Ormai é ufficiale: LA Sydney Peace Foundation è nel giro del gioco d'azzardo. Nel 2003, con grande coraggio, ha scelto di assegnare il premio per la pace alla dottoressa Hanan Ashrawi, palestinese. E come se non bastasse quest'anno ha scelto proprio me tra tutta la gente del mondo!
Tuttavia vorrei presentare un reclamo. Le mie fonti mi dicono che la dottoressa Ashrawi ha avuto un picchetto di protesta tutto per sé. È una discriminazione. Esigo lo stesso trattamento per tutti i premiati. Posso chiedere formalmente alla fondazione di organizzare una protesta contro di me dopo questo discorso? Non dovrebbe essere difficile. Se il preavviso non è sufficiente, anche domani va benissimo.
Dopo l'annuncio del premio di quest'anno, chi mi conosce bene non ha risparmiato le battute: perché l'hanno assegnato alla più grande rompiscatole del mondo? Nessuno gli ha detto che non hai mai pace? Arundhati cara, cos'è il Sydney peace prize? A Sydney c'è stata forse una guerra che tu hai criticato?
Per quanto mi riguarda, sono felice di ricevere il premio per la pace di Sydney.
Ma devo accettarlo come un premio letterario assegnato a una scrittrice per le sue opere, perché - contrariamente alle molte virtù che mi attribuiscono erroneamente - non sono un'attivista né la leader di un movimento di massa, e di certo non sono "la voce dei senza voce" (sappiamo naturalmente che i "senzavoce" non esistono. Esistono soltanto i "deliberatamente azzittiti" o i "preferibilmente inascoltati").

Cambiamento allarmante

Sono una scrittrice che non rappresenta nessuno se non se stessa. Perciò, anche se mi piacerebbe, sarebbe presuntuoso da parte mia dire che accetto questo premio a nome dei cittadini senza potere e senza diritti che lottano contro i potenti. Posso comunque dire che lo accetto come un'espressione di solidarietà della fondazione per una politica e una visione del mondo condivisa da milioni di persone in tutto il mondo.
Può sembrare paradossale che una persona impegnata per buona parte del suo tempo a elaborare strategie di resistenza e a complottare per turbare questa finta pace riceva un premio proprio per la pace. Dovete ricordare che vengo da un paese sostanzialmente feudale - e poche cose sono più inquietanti di una pace feudale. A volte c'è del vero nei luoghi comuni. Non c'è pace senza giustizia. E senza resistenza non ci sarà giustizia.
Oggi non è soltanto la giustizia, ma l'idea stessa di giustizia a essere attaccata. L'assalto ai settori vulnerabili e fragili della società è così totale, crudele e così astuto - così globale eppure così calibrato, apertamente brutale eppure sottilmente insidioso - che la sua sfacciataggine ha eroso la nostra definizione di giustizia. Ci ha costretti ad abbassare il tiro e a ridimensionare le nostre aspettative. perfino tra chi ha le migliori intenzioni, l'ampio e magnifico concetto di giustizia è gradualmente sostituito dal discorso riduttivo e molto più fragile dei "diritti umani".
A pensarci bene, c'è un cambiamento nel modello d'analisi. Le idee di uguaglianza e di parità sono state smontate e tolte dall'equazione. E' un processo di logoramento. Quasi senza accorgercene cominciamo a pensare alla giustizia per i ricchi e ai diritti umani per i poveri. Giustizia per il mondo delle multinazionali, diritti umani per le sue vittime. Giustizia per gli americani, diritti umani per afghani e iracheni. Giustizia per le caste superiori dell'India, diritti umani per i fuori casta e i senza casta. Giustizia per gli australiani bianchi, diritti umani per gli aborigeni e gli immigrati (il più delle volte neppure questo).
Ormai è evidente che la violazione dei diritti umani è una componente necessaria del processo in corso per imporre al mondo una struttura economica e politica ingiusta. Senza la violazione dei diritti umani su larga scala il progetto neoliberista non potrebbe realizzarsi. Ma sempre più spesso le violazioni dei diritti umani sono presentate come il risvolto sfortunato, quasi accidentale, di un sistema economico e politico per il resto accettabile. Come se le violazioni fossero un piccolo problema che può essere eliminato con un po' di attenzione in più da parte delle organizzazioni non governative. È per questo che in zone di intensa conflittualità - per esempio in Kashmir e in Iraq - i professionisti dei diritti umani sono accolti con una certa diffidenza. Tanti movimenti di resistenza che nei
paesi poveri lottano contro grandi ingiustizie e mettono in discussione i principi sottintesi nei concetti di "liberazione" e "sviluppo", considerano le ong in difesa dei diritti umani come moderni missionari arrivati per alleggerire gli aspetti peggiori dell'imperialismo. Per disinnescare la rabbia politica e mantenere lo status quo.
Sono passate poche settimane da quando, il 9 ottobre, la maggioranza degli australiani ha votato per rieleggere il primo ministro John Howard, che tra (l'altro ha spinto l'Australia a partecipare all'invasione e all'occupazione illegali dell'Iraq. L'invasione dell'Iraq passerà senza dubbio alla storia come una delle guerre più vigliacche mai combattute. Una guerra in cui una banda di paesi ricchi, che dispone di tante armi nucleari da
distruggere il mondo più volte, ha accusato ingiustamente un paese povero di avere armi nucleari, ha usato le Nazioni Unite per costringerlo a disarmarsi e poi l'ha invaso, l'ha occupato e ora è impegnata a venderlo.

II palcoscenico

Parlo dell'Iraq non perché ne parlano tutti (lasciando che altri orrori in altri luoghi si consumino nel silenzio , ma perché è un'anticipazione del futuro. L'Iraq segna l'inizio di un nuovo ciclo. Ci offre l'opportunità di vedere all'opera la cricca multinazionali-militari che è ormai conosciuta con il nome di impero. Nel nuovo Iraq si lavora senza guanti. Mentre la battaglia per controllare le risorse del pianeta si intensifica, il colonialismo economico inscena il suo grande ritorno usando l'aggressione militare. L'Iraq è il culmine del processo di globalizzazione delle multinazionali in cui neocolonialismo e neoliberismo si sono fusi. Se trovassimo il coraggio di sbirciare oltre il velo di sangue, vedremmo le spietate transazioni in corso dietro le quinte. Ma prima, brevemente, parliamo del palcoscenico.
Nel 1991 il presidente americano George Bush senior organizzò l'operazione Tempesta nel deserto. In quella guerra furono uccisi decine di migliaia di iracheni. Il territorio iracheno fu bombardato con più di 300 tonnellate di uranio impoverito, quadruplicando i casi di cancro tra i bambini. Da più di 13 anni, 24 milioni di iracheni vivono in una zona di guerra priva di cibo, medicine e acqua pulita. Nella frenesia che si è scatenata intorno alle elezioni statunitensi ricordiamoci che la presenza di inquilini repubblicani o democratici alla Casa Bianca non ha mai determinato cambiamenti nei livelli di crudeltà. Mezzo milione di bambini iracheni sono morti a causa del regime delle sanzioni economiche nella fase preparatoria dell'operazione Shock and awe.
Fino a poco tempo fa avevamo una contabilità accurata dei soldati statunitensi morti in Iraq, ma non c'erano cifre esatte sugli iracheni uccisi. Il generale americano Tommy Franks ha detto: "Non ci interessa il conteggio dei cadaveri (intendendo il conteggio dei cadaveri iracheni). Avrebbe potuto aggiungere: "Non ci interessano neanche le Convenzioni di Ginevra". Un nuovo studio aprofondito, presentato dalla rivista medica Lancet e ampiamente condiviso da altri esperti del settore, calcola che dall'invasione del 2003 siano morti centomila iracheni. Equivalgono a cento sale come questa, piene di gente. Piene di amici, genitori, parenti, colleghi, innamorati. L'unica differenza è che qui non ci sono molti bambini - non dimentichiamo i bambini iracheni. Tecnicamente questo bagno di sangue si chiami bombardamento di precisione. Nella lingua di tutti i giorni si chiama mattanza. Queste cose sono ormai note. Chi sostiene l'invasione e vota per gli invasori non può rifugiarsi nell'ignoranza: devi veramente credere che questa brutalità sia giusta, o quanto meno accettabil perché è nel suo interesse.
E così il mondo "moderno" e "civile" costruito laboriosamente su un retaggio di genocidio, schiavitù e colonialismo oggi controlla gran parte del petrolio del pianeta. E gran parte delle armi, dei soldi, e dei mass media. Quei docili mass media delle multinazionali per i quali la dottrina della libertà di parola è stata sostituita dalla libertà di parola consenziente.
Hans Blix, il capo degli ispettori delle Nazioni Unite per gli armamenti, ha detto di non aver trovato prove della presenza di armi nucleari in Iraq. Ogni straccio di prova prodotto dal governo americano e britannico è risultato falso - che fossero i resoconti sull'acquisto di uranio in Niger da parte di Saddam Hussein, o il rapporto dell'intelligence inglese che si è rivelato un plagio di una vecchia tesi di laurea. Eppure alla vigilia della guerra, giorno dopo giorno la stampa e i canali televisivi più "rispettabili" degli Stati Uniti hanno lanciato titoloni sulle "prove" di un arsenale di armi nucleari iracheno. Ora si scopre che la fonte di queste "prove" sulle armi atomiche irachene era Ahmed Chalabi che (come Suharto in Indonesia, Pinochet in Cile, lo scià di Persia, i taliban e, ovviamente, lo stesso Saddam Hussein) era stato assoldato per milioni di dollari dalla vecchia buona Cia. E così un paese è stato ridotto all'oscurità a forza di bombe. E' vero che ci sono state delle frasi di scusa. Ci spice per quella gente, ma dobbiamo veramente andare avanti. Cominciano a circolare nuove voci sulla presenza di armi nucleari in Iran e in Siria. E indovinate chi riferisce queste voci? Gli stessi reporter che avevano fatto gli "scoop" fasulli sull'Iraq: la squadra dei giornalisti superembedded.
Il capo della BBC britannica si è dovuto dimettere e un uomo si è suicidato perché un reporter della BBC aveva accusato l'amministrazione Blair di "gonfiare" i rapporti d'intelligente sulle armi di distruzione struzione di massa irachene.
Ma il premier britannico resta in carica anche se il suo governo ha fatto ben di più che "gonfiare" i rapporti di intelligenee. È responsabile dell'invasione illegale di un paese e dello sterminio di massa del suo popolo.


Spremere la gente

Chi vuole entrare in Australia, come me, quando riempie il modulo del visto deve rispondere a una domanda: ha mai commesso o è stato coinvolto in crimini di guerra contro l'umanità o i diritti umani? George W. Bush e Tony Blair otterrebbero il visto per l'Australia? Secondo i principi del diritto internazionale rientrano senza dubbio nella categoria dei criminali di guerra.
Ma è ingenuo immaginare che il mondo cambierebbe se fossero rimossi dalla loro carica. La tragedia è che i loro avversari non si oppongono realmente a queste politiche. I toni apocalittici della campagna elettorale statunitense sono stati riservati alla discussione su chi sarebbe stato un migliore comandante in capo e un manager più efficiente dell'impero americano. La democrazia non offre più una vera scelta, agli elettori. Solo una scelta apparente.
Anche se in Iraq non sono state trovate armi di distruzione di massa, ci sono nuove prove sconvolgenti che Saddam Hussein stesse progettando il riarmo (come se io progettassi di vincere un oro olimpico per il nuoto sincronizzato). 
Grazie al cielo c'è la dottrina della guerra preventiva. Dio solo sa quanti altri pensieri malvagi avesse    Saddam - spedire Tampax per posta ai senatori americani, o liberare coniglie in burqa nella metropolitana londinese. Senza dubbio tutto verrà alla luce nel libero ed equo processo a Saddam Hussein che si terrà presto nel nuovo Iraq.
Verrà alla luce tutto, tranne il capitolo in cui sapremmo che Stati Uniti e Gran Bretagna l'avevano coperto di soldi e assistenza materiale all'epoca dei suoi criminali attacchi
contro i curdi e gli sciiti iracheni. Tutto tranne il capitolo in cui sapremmo che un rapporto di dodicimila pagine presentato dal governo di Saddam Hussein alle Nazioni Unite è stato censurato dagli Stati Uniti perché elenca 24 multinazionali americane che hanno partecipato al programma di armi convenzionali e nucleari dell'Iraq prima della guerra del Golfo (ci sono Bechtel, DuPont, Eastman Kodak, Hewlett Packard, International computer systems e Unisys).
E così l'Iraq è stato "liberato". La sua gente è stata soggiogata e i suoi mercati sono diventati "liberi". Questo è l'inno del neoliberismo. Liberate i mercati. Spremere la gente. Il governo americano ha privatizzato e venduto interi settori dell'economia irachena. Le politiche economiche e le eggi in materia fiscale sono state riscritte. Le società straniere ora possono comprare il 100 per cento delle aziende irachene ed esportare i profitti.
Questa è una palese violazione delle leggi internazionali ed è una delle ragioni principali della farsa clandestina e frettolosa con cui il potere è stato "consegnato" a un "governo provvisorio': Quando la consegna dell'Iraq alle multinazionali sarà completa, una dose modesta di vera democrazia non farà alcun male. Potrebbe essere una buona pubblicità per la versione aziendale della teologia della liberazione, nota anche come nuova democrazia.

Farsa intrisa di Sangue

Non sorprende che la messa all'asta dell'Iraq abbia provocato una corsa verso la mangiatoia. Grandi aziende come la Bechtel e la Halliburton - che un tempo era guidata dal vicepresidente americano Dick Cheney - hanno ottenuto contratti colossali per le opere di "ricostruzione"
Un breve curriculum di una di queste multinazionali può dare al profano l'idea di come funziona il meccanismo - non solo in Iraq, ma in tutto il mondo. Prendiamo la Bechtel, per esempio - solo perché la povera piccola Halliburton è sotto inchiesta con l'accusa di aver gonfiato le fatture per le forniture di carburante in Iraq e a causa dei suoi contratti per "ripristinare" l'industria petrolifera irachena, contratti che hanno avuto un costo piuttosto alto: 2,5 miliardi di dollari.
Il gruppo Bechtel e Saddam Hussein sono vecchi compari. Molti dei loro affari furono negoziati addirittura da Donald Rumsfeld. Nel 1988, dopo che Saddam Vussein aveva gassato migliaia di curdi, la Bechtel firmò dei contratti con il suo governo per costruire un impianto chimico a Baghdad.
Storicamente il gruppo Bechtel ha avuto e continua ad avere legami strettissimi con l'establishment repubblicano. Potreste definire la Bechtel e l'amministrazione Reagan-Bush una squadra. L'ex segretario alla difesa Caspar Weinberger è stato consulente legale della Bechtel. L'ex vicesegretario per l'energia, W. Kenneth Davis, è stato il vicepresidente
della Bechtel. Riley Bechtel, presidente della società, fa parte del consiglio per le esportazioni del presidente degli Stati Uniti. Jack Sheehan, generale in pensione dei marines, è un altro vicepresidente della Bechtel e membro della commissione per la difesa. L'ex segretario di stato George Shultz, che fa parte del consiglio di amministrazione del gruppo Bechtel, è stato presidente del consiglio consultivo del comitato per la liberazione dell'Iraq.
Quando il New York Times gli ha chiesto se era preoccupato per un possibile conflitto d'interessi tra i suoi due "lavori'; Shultz ha risposto: "Non mi risulta che alla Bechtel gioverebbe particolarmente (invasione dell'Iraq. Ma se c'è un lavoro da fare, la Bechtel è il tipo di società che può farlo". In Iraq la Bechtel ha ottenuto contratti per più di un miliardo di dollari, tra cui ordini per ricostruire impianti idroelettrici, reti elettriche e idriche, sistemi fognari e strutture aeroportuali. Anche senza il gioco delle parti, sarebbe una farsa da camera da letto - se non fosse così intrisa di sangue.
Tra il 2001 e il 2002 nove membri su 30 della commissione statunitense per la difesa avevano legami con società che avevano rievuto contratti militari per 76 miliardi di dollari. Un 
tempo le armi erano prodotte per combattere le guerre. Ora le guerre si fanno per vendere armi.
Tra il 1990 e il 2002 il gruppo Bechtel ha contribuito con 3,3 milioni di dollari alla campagna elettorale finanziando sia repubblicani sia democratici. Dal 1990 ha ottenuto più di duemila contratti pubblici per un totale di più di undici miliardi di dollari. E' un investimento incredibilmente fruttuoso, no?
E la Bechtel ha lasciato tracce in tutto il mondo. È così che fa una multinazionale. Il gruppo Bechtel ha attirato per la prima volta l'attenzione del mondo quando ha firmato un contratto con Hugo Banzer, l'ex dittatore boliviano, per privatizzare i rifornimenti idrici della città di Cochabamba. Per prima cosa fu alzato il prezzo dell'acqua. Centinaia di migliaia di persone che non potevano permettersi di pagare le bollette della Bechtel scesero in piazza. Un enorme sciopero paralizzò la città. Fu subito dichiarata la legge marziale. Anche se alla fine fu costretta ad abbandonare i suoi uffici, la Bechtel sta ancora negoziando una buonuscita di milioni di dollari dal governo boliviano per la perdita di potenziali profitti. E questo, come vedremo, sta diventando un popolare sport aziendale. In India la Bechtel e la General Electric (Ge) sono i nuovi proprietari del famigerato e fallito progetto energetico della Enron. Il contratto della Enron, che legalmente vincola il governo dello stato del Maharashtra a pagare alla società la somma di 30 miliardi di dollari, è il più grande mai firmato in India. La Enron non ha esitato a vantarsi dei milioni di dollari che ha speso per "educare" i politici e i burocrati indiani. Il contratto della Enron nel Maharastra - il primo progetto energetico privato "agevolato" dell'India - è diventato famoso come la più grande frode nella storia del paese (la Enron è stata un altro dei grandi finanziatori della campagna elettorale del partito Repubblicano). In India l'elettricità prodotta dalla Enron aveva un costo così alto che il governo di new Delhi ha ritenuto più economico non comprarla e pagare alla Enron i compensi previsti dal contratto. Questo significa che il governo di uno dei paesi più poveri del mondo pagava alla Enron 220 milioni di dollari statunitensi all'anno per non produrre elettricità! Ora che la Enron ha chiuso, la Bechtel e la General Electric hanno promosso un'azione legale contro il governo indiano chiedendo 5,6 miliardi di dollari. Non è neppure una parte del denaro che loro (o la Enron) hanno realmente investito nel progetto. Ancora una volta, è una proiezione dei profitti che avrebbero ricavato se il progetto, fosse stato realizzato.
Per darvi un'idea delle dimensioni, 5,6 miliardi di dollari sono poco più della cifra di cui il governo dell'India avrebbe bisogno ogni anno per un progetto di tutela dell'occupazione rurale capace di garantire un salario di sussistenza a milioni di persone che vivono nella povertà più abietta, schiacciati dai debiti, dagli sfollamenti, dalla denutrizione cronica e 
dall'Organizzazione mondiale del commercio. L'India è un paese dove gli agricoltori strangolati dai debiti sono spinti al suicidio - non a centinaia, ma a migliaia.
Il progetto di tutela dell'occupazione rurale presentato dal nuovo governo eletto a maggio è deriso dalla classe imprenditoriale indiana che lo considera una richiesta irragionevole e utopistica avanzata da una sinistra "pazzoide" ritornata al potere. "Dove trovare i soldi?", 
chiedono con disprezzo. Eppure, ogni volta che si parla di annullare un pessimo contratto con una multinazionale notoriamente corrotta come la Enron, gli stessi cinici cominciano a sproloquiare sulla fuga dei capitali e sul rischio terribile di "creare un clima sfavorevole agli investimenti".
L'arbitrato tra la Bechtel, la General electric e il governo indiano è attualmente in corso a Londra. La Bechtel e la Ge hanno motivi di speranza. Il ministro delle finanze indiano che aveva avuto un ruolo centrale nell'approvazione del disastroso contratto con la Enron è tornato a casa dopo aver passato qualche anno al Fondo monetario internazionale. E oltretutto è tornato con una promozione in tasca. Oggi è vicepresidente della Commissione per la pianificazione.
Pensateci. l profitti nazionali di un unico progetto sarebbero sufficienti per assicurare un centinaio di giornate di lavoro all'anno a salario minimo per 25 milioni di persone. Sono cinque milioni in più degli abitanti dell'Australia: questa è la scala dell'orrore del neoliberalismo. E la storia della Bechtel è ancora più grave. In una vicenda che si può definire solo scandalosa, scrive Naomi Klein, la Bechtel è riuscita a vincere una causa contro l'Iraq lacerato dalla guerra per "risarcimenti di guerra" e "profitti mancati". Le sono stati concessi sette milioni di dollari.

II nuovo Iraq

Perciò, tutti voi giovani laureati in management non preoccupatevi di Harvard e Wharton - ecco la guida al successo aziendale per il manager pigro: primo, riempite il consiglio di amministrazione di importanti funzionari pubblici. Secondo, riempite il governo
di membri del vostro consiglio d'amministrazione. Aggiungete petrolio. Mescolate. Quando nessuno saprà dire dove finisce il governo e dove comincia la vostra azienda, mettetevi d'accordo con il governo per equipaggiare e armare un feroce dittatore in un paese ricco di petrolio.
Guardate da un'altra parte mentre uccide la sua popolazione. Fate bollire a fuoco lento. Usate il tempo per procurarvi alcuni miliardi di dollari in contratti pubblici. Poi accordatevi di nuovo con il vostro governo mentre rovescia il dittatore e bombarda i suoi sudditi, prendendo specificamente di mira infrastrutture essenziali e uccidendo in corso d'opera un centinaio di migliaia di persone. Incassate un altro miliardo di dollari circa, in contratti per "ricostruire" le infrastrutture.
Per coprire le spese di viaggio e gli extra, intentate azioni legali chiedendo risarcimenti per i profitti mancati nel paese devastato. Diversificate gli investimenti. Comprate un'emittente televisiva, in modo che in occasione della prossima guerra possiate mettere in mostra i vostri armamenti e la vostra tecnologia militare mascherati da servizi e reportage. E infine, create un premio per i diritti umani con il nome della vostra azienda. Potreste assegnare il primo riconoscimento postumo a Madre Teresa di Calcutta. Non potrebbe rifiutarlo né controbattere.
L'Iraq invaso e occupato è stato costretto a pagare 200 milioni di dollari a titolo di "risarcimenti" per profitti mancati a multinazionali come Halliburton, Shell, Mobil, Nestlé, Pepsi, Kentucky Fried Chicken e Toys R Us. E questo oltre ai 125 milioni di dollari di debito come stato sovrano che lo costringono a rivolgersi al Fondo monetario internazionale, appostato in attesa come l'angelo della morte, con il suo programma di aggiustamento strutturale (anche se in Iraq sembra che non siano rimaste molte strutture da aggiustare. A parte l'oscura    al Qaeda). Nel nuovo Iraq la privatizzazione ha conquistato nuovi spazi. L'esercito statunitense recluta sempre più spesso mercenari privati che collaborano all'occupazione. Il vantaggio dei mercenari è che quando sono uccisi non rientrano nel calcolo dei soldati americani morti. Questo aiuta a gestire l'opinione pubblica, cosa particolarmente importante in un anno elettorale. Le prigioni sono state privatizzate. La tortura è stata privatizzata. Abbiamo visto a cosa porta tutto ciò. Tra le altre attrattive del nuovo Iraq ci sono anche la chiusura dei giornali, il bombardamento di emittenti televisive, i reporter uccisi. I soldati americano hanno aperto il fuoco sui manifestanti disarmati uccidendo decine di persone. L'unico tipo di resistenza che è riuscito a sopravvivere è folle e brutale come l'occupazione. C'è spazio per una resistenza laica, democratica, femminista e non violenta in Iraq? Di fatto no.

Pareti scivolose

per questo tocca a noi che viviamo fuori dall'Iraq creare una resistenza di massa laica e non violenta all'occupazione statunitense. Se non lo facciamo, corriamo il rischio di permettere che l'idea di resistenza sia sequestrata e confusa con il terrorismo, e sarebbe un peccato perché non sono la stessa cosa.
E allora cosa significa pace in questo mondo selvaggio, aziendalizzato, militarizzato? Cosa significa pace in un mondo dove un radicato sistema di appropriazione ha creato una situazione in cui le nazioni povere che per secoli sono state saccheggiate dai regimi coloniali affondano nei debiti con gli stessi paesi che le hanno saccheggiate, e devono ripagarli al ritmo di 382 miliardi di dollari l'anno?
Cosa significa pace in un mondo in cui la somma della ricchezza dei 587 miliardari del pianeta supera la somma del prodotto interno lordo dei 135 paesi più poveri? O quando i paesi ricchi che pagano sussidi all'agricoltura per un miliardo di dollari al giorno cercano di costringere i paesi poveri a rinunciare ai loro sussidi? Cosa significa pace per le popolazioni dell'Iraq, della Palestina, del Kashmir, del Tibet e della Cecenia occupati? O per gli aborigeni dell'Australia? O per gli Ogoni della Nigeria? O per i Curdi in Turchia? O per i dalit e gli adivasi, i fuori casta e i senza casta, in India? Cosa significa pace per i non musulmani nei paesi islamici, o per le donne in Iran, Arabia Saudita e Afghanistan? Cosa significa per i milioni di persone sradicate dalle loro terre dalle dighe e dai progetti di sviluppo? Cosa significa pace per i poveri derubati delle loro risorse e per i quali ogni giorno la vita è una tetra battaglia per l'acqua, la casa, la sopravvivenza e, soprattutto, una parvenza di dignità? Per loro la pace è guerra.
Sappiamo benissimo a chi giova la guerra nell'età dell'impero? Ma dobbiamo anche chiederci onestamente: a chi giova la pace nell'età dell'impero? Alimentare la guerra è criminale. Ma parlare di pace senza parlare di giustizia potrebbe facilmente diventare un discorso in favore di una ritirata. E parlare di giustizia senza smascherare le istituzioni e i sistemi responsabili dell'ingiustizia è più che ipocrita.
E' facile dare ai poveri la colpa della loro povertà. E' facile credere che il mondo sia intrappolato in una spirale di terrorismo e di guerra. E' quello che permette al presidente americano di dire: "O siete con noi o con i terroristi". Ma noi sappiamo che è una falsa alternativa. Sappiamo che il terrorismo è solo la privatizzazione della guerra: i terroristi sono i sostenitori del libero mercato della guerra, credono che l'uso legittimo della violenza non sia una prerogativa esclusiva dello stato.
E' sbagliato fare una distinzione morale tra l'indicibile brutalità del terrorismo e la carneficina indiscriminata della guerra e dell'occupazione. Entrambi i tipi di violenza sono inaccettabili. Non possiamo sostenerne uno e condannarne un altro. La vera tragedia è che la maggior parte della gente è intrappolata tra l'orrore di una pace finta e il terrore della guerra. Sono le due pareti scivolose intorno a noi.
La domanda è: come possiamo uscire da questo burrone? Chi è benestante ma si sente moralmente a disagio, deve chiedersi innanzitutto se vuole veramente uscirne. Fino a dove siete disposti ad arrivare? Il burrone non è diventato troppo comodo? Se volete veramente arrampicarvi fuori, ci sono notizie buone e notizie cattive.
La buona è che il gruppo di testa ha cominciato la scalata qualche tempo fa. Sono già a metà strada. Migliaia di attivisti in tutto il mondo hanno lavorato sodo per costruire i punti di appoggio per i piedi e per fissare le corde, in modo che per tutti noi la scalata diventi più facile.
Non c'è una sola strada per salire. Ci sono centinaia di modi per farlo. Ci sono centinaia di battaglie combattute in tutto il mondo e che hanno bisogno delle vostre capacità, delle vostre menti, delle vostre risorse. Nessuna battaglia è irrilevante. Nessuna vittoria è troppo piccola.
La cattiva notizia è che le manifestazioni colorate, le marce del fine settimana e i viaggi annuali al Social forum mondiale non bastano. Servono azioni mirate di concreta disobbedienza civile con conseguenze concrete. Forse non possiamo premere l'interruttore e accendere una rivoluzione. Ma ci sono varie cose che potremmo fare. Per esempio, potremmo compilare un elenco delle società che hanno tratto profitti dall'invasione dell'Iraq e hanno una rappresentanza qui in Australia. Potremmo fare i loro nomi, occuparle, occupare i loro uffici e costringerle ad abbandonare l'attività. Se è successo in Bolivia, può succedere in India. Può succedere in Australia. Perché no?
Questo è solo un piccolo suggerimento. Ma ricordate che se la lotta dovesse ricorrere alla violenza, perderebbe lungimiranza, bellezza e immaginazione. E, cosa più pericolosa di tutte, finirebbe con l'emarginare e sacrificare le donne. E una lotta politica che non ha le donne al centro, sopra, sotto e dentro di sé, non è neppure una lotta. Il punto è che bisogna partecipare alla battaglia. Come ha detto lo storico americano Howard Zinn: non si può restare fermi su un treno in movimento. 

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