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Originale: Firstpost.com Arundhati Roy Definisce ‘Contro-Violenza’ Gli Attacchi Maoisti Successivamente all’attacco maoista di sabato contro lo Yatra [missione? n.d.t.] del Congresso nel Chhattisgarh, l’attivista e scrittrice Arundhati Roy precisa in un’intervista alla CNN-IBN che i maoisti non hanno altra scelta che quella di abbandonarsi alla ‘contro-violenza’. Quella che segue è l’intervista della Roy a Sagarika Gosh. Sagarika Ghose: Lei ha scritto il suo articolo ‘In marcia con i compagni’ su The Outlook prima dell’attentato a Dantewada. Dopo Dantewada lei mantiene l’atteggiamento di simpatia che dimostrò per la causa maoista in quel saggio? Arundhati Roy: Beh, questo è un modo strano di dividere gli avvenimenti tra prima e dopo Dantewada perché in realtà, lei sa, questo ciclo di violenza è andato costruendosi da molto tempo. Quella non è la prima volta in cui è stato ucciso un grande numero di agenti di polizia dai maoisti. Ho scritto a tale riguardo e a proposito di altri attacchi che hanno avuto luogo negli anni 2005-2007. Come io vedo le cose è che spesso, lei sa, la gente si schiera vivacemente con la parte del popolo che festeggia le uccisioni degli agenti del CRPF [Force Centrali di Riserva della Polizia n.d.t.] o quella parte che chiede che i maoisti siano spazzati via. Le cose non stanno così. Penso che si debba considerare ogni morte come una tragedia terribile, in un sistema, in una guerra che è scatenata contro il popolo e che sfortunatamente sta diventando una guerra dei ricchi contro i poveri e nella quale i ricchi mandano avanti i più poveri tra i poveri per combattere i poveri. I CRPF sono terribilmente vittime ma non sono vittime soltanto dei maoisti. Sono vittime di un sistema di violenza strutturale che si sta attuando, quella sorta di annegamento in questa vuota industria della condanna in corso che è interamente priva di significato, perché per la maggior parte del tempo chi li condanna non prova realmente compassione per loro. Li usano semplicemente come pedine. SG: Chi allora spezzerà il ciclo della violenza? Lo stato sostiene che il motivo per cui deve ripulire o bonificare l’area è che ogni volta che avvia opere di sviluppo di ponti o avvia scuole, sono fatte saltare in aria dai maoisti. E’ che secondo lei il ciclo della violenza può essere spezzato solo dagli stati e se lo stato si ritira? E’ questo che pensa? AR: C’è una specie di cartina di tornasole per questo. Succede che ci siano ospedali, scuole, bassa malnutrizione e un mucchio di sviluppo in aree povere dove non c’è nessun maoista? Non è così. Il fatto è che anche se si guarda agli studi che sono stati condotti da medici in luoghi come Bilashpur, si stanno attuando quelli che Vinayak Sen descrive come aiuti alimentari. Se si va nelle scuole si vede che sono usate come caserme. Sono costruite come caserme, perciò dire che i maoisti fanno saltare le scuole e sono contro lo sviluppo è un po’ ridicolo. SG: Ma lei condanna la violenza dello stato e l’accusa contro di lei è che lei non condanna la violenza dei naxaliti e perciò non condanna la violenza maoista. In realtà lei razionalizza e persino rende romantica la violenza. E’ un’accusa che le è mossa e in realtà, se possono leggere dal suo saggio, lei ha scritto che “sento di voler dire qualcosa a proposito dell’inutilità della violenza, ma cosa dovrei suggerire che facciano? Andare in tribunale, fare una manifestazione e uno sciopera della fame suona ridicolo. Per quale partito dovrebbero votare, quale istituzione democratica dovrebbero avvicinare?” Sembra che lei dica che la nonviolenza è inutile. AR: E’ un’accusa strana a una che scrive ormai da dieci anni a proposito della nonviolenza e del movimento per la nonviolenza. Ma quello che ho visto quando sono andate nelle foreste è stato che la resistenza nonviolenza in realtà non ha funzionato; non nel movimento “Narmada Bachao Andolan” né in molti altri movimenti nonviolenti e nemmeno nei movimenti militanti. Ha funzionato in alcune parti del movimento. Ma nelle foreste è tutta un’altra storia perché la nonviolenza, e in particolare la nonviolenza gandhiana ha in qualche modo bisogno di un pubblico. E’ una rappresentazione che ha bisogno di un uditorio. Ma nelle foreste non c’è un pubblico quando un migliaio di poliziotti arriva e circonda il villaggio nella foresta nel mezzo della notte. Cosa devono fare? Come fanno gli affamati a scendere in uno sciopero della fame? Come fanno quelli che non hanno soldi a boicottare le tasse o le merci stranieri o ad attuare un boicottaggio dei consumi? Non hanno niente. Considero davvero la violenza in quella foresta come una “contro-violenza”. Come una “violenza di resistenza” e mi sento davvero male per il fatto che ci sia un crescente ciclo di violenze in cui di quante più armi il governo dota la polizia, tante più finiscono al PLGA maoista [Armata Popolare di Liberazione Guerrigliera]. E’ una cosa terribile da fare a qualsiasi società. Non penso che ci sia qualcosa di romantico in questo. In ogni caso io non sono contro il romanticismo. Sento che è incredibile che questi poveri si stiano opponendo a questo stato potente che sta mandando migliaia e migliaia di paramilitari. Voglio dire: quello che fanno in quelle foreste contro quella gente con gli AK-47 e le granate. SG: Ma anche i maoisti hanno AK-47. Hanno anche bombe fatte con le pentole a pressione. AR: Li hanno sottratti ai poliziotti. SG: Persone come lei sono per non far sentire la propria voce contro il ciclo della violenza o lei sta in realtà cercando di trovare una razionalizzazione per essa, visto che lei è stata definita una “apologeta dei maoisti”? Il BJP [Partito Popolare Indiano] l’ha definita il “volto sofisticato del naxalismo”. Se lei non fa sentire la sua voce contro la violenza e dice che è moralmente accettabile, che un contrasto moralmente legittimo allo stato, allora non manca in realtà di essere membro di una società civile? AR: No. Perché penso sia utile allo status quo che tutti dicano che questo è terribile e tutto il resto. E allora continuiamo senza tener conto della tremenda violenza strutturale che in realtà sta creando una “situazione genocida” in quelle aree tribali. Se si guarda ai livelli di malnutrizione, se si guarda ai livelli di assoluta disperazione in quei luoghi, qualsiasi persona responsabile deve dire che la violenza si fermerà quando si smetterà di schiacciare quella gente. Quando si ha un’intera comunità tribale che, per inciso, ha una popolazione più vasta di quella di molti paesi e che è realmente a rischio di sopravvivenza, che combatte contro il proprio annientamento, io non posso mettere sullo stesso piano le sue reazioni, la sua resistenza alla violenza dello stato. Penso sia immorale mettere sullo stesso piano le due violenze. SG: Passiamo a un altro punto del suo saggio, dove lei è particolarmente dura nei confronti di Gandhi. Lei ha detto che il fondatore del partito [comunista indiano] Charu Majumder “ha mantenuto reale e presente in India il sogno della rivoluzione. S’immagini una società senza quel sogno e solo per questo non possiamo giudicarlo troppo duramente. Specialmente non mentre crediamo alla pia fandonia di Gandhi sulla superiorità della via non violenta e circa il concetto di amministrazione fiduciaria.” Lei ha anche detto: “Sapete cosa fare quando si finisce sotto il fuoco?” Lei pensa che Gandhi sia una figura da deridere? AR: Penso che ci sia qualcosa in Gandhi che merita derisione e penso che ci sia qualcosa in lui che merita un grande rispetto. In particolare le sue (di Gandhi) idee sui consumi, su un modo di vivere minimalista e sostenibile. Comunque mi permetta di leggere quello che disse a proposito di questa faccenda dell’amministrazione fiduciaria: “Al ricco sarà lasciato il possesso della sua ricchezza, della quale userà ciò che è ragionevolmente necessario per i suoi bisogni personali e agirà da fiduciario per resto, da usare per il bene della società.” Penso che si tratti di una dichiarazione che può essere derisa. Non ho problemi a prendermene gioco. SG: In una conferenza in marzo negli Stati Uniti al Forum della Sinistra lei ha detto che “l’india è una democrazia finta”, il che si collega alla sua giustificazione o semi-giustificazione della violenza, in una certa misura. Lei pensa che poiché la democrazia indiana è “finta” non ci sia speranza che la democrazia indiana possa resistere ai maoisti? AR: No, certamente io sento che l’India è un’oligarchia che in effetti funziona come democrazia per le classi medie e superiori. SG: Ma è una democrazia finta? AR: Sì. Visto che non funziona per la massa del popolo è una democrazia finta. Così si ha un’istituzione che è stata svuotata, si ha un’istituzione alla quale i poveri non hanno accesso. E quando si considera l’istituzione della democrazia, si guardi alle elezioni, ai tribunali, ai media e si guardi alla magistratura. Si sta costruendo un sistema molto pericoloso se si esclude sempre più un vasto segmento dei più poveri in questo paese ed è per questo che dico che è finta. Funziona per alcuni e non funziona per altri; a seconda di dove si sta, ciò definisce la propria politica. Se si sta nel Grande Kailash, certo, è una democrazia grande e vivace, ma se si sta a Datenwada non è per nulla una democrazia. Abbiamo un Primo Ministro che sostanzialmente ha detto che quelli che non abbandonano le foreste e che vivono nei campi Salwa Judum sono terroristi. Dunque badare ai propri polli e curare i propri campi è agire da terroristi? E’ questa la democrazia? SG: Se lei dovesse ideare una soluzione a questo, quale soluzione sarebbe? Quale sarebbe il suo modo per spezzare lo stallo? AR: Beh, le cose sono due. Innanzitutto a livello filosofico direi che non credo che l’immaginazione che ha portato il paese a questa crisi potrà ideare un’alternativa. Perciò il minimo che possiamo fare è fermarci e dare spazio a quelli che consideriamo i custodi del nostro passato ma che potrebbero essere le persone che dispongono della saggezza per il futuro. Ma sull’”Operazione Green Hunt” [Caccia verde], vorrei dire tre cose: penso che il governo dovrebbe essere trasparente su tutti quei memorandum d’intesa, su quei progetti infrastrutturali; dovrebbe dichiararli e dirci cosa sono e congelarli per il momento. Dovrebbe insistere che tutti gli abitanti di villaggio che sono stati cacciati, parliamo di centinaia di migliaia di persone, siano reinsediati. Le armi devono essere ritirate. SG: Tutti i paesi usano le risorse minerali per crescere. La crescita è qualcosa di cui il nostro paese ha bisogno. L’attuale distribuzione ai maoisti … in precedenza trattavano con la Posco, il compenso era di tre milioni di rupie l’anno [circa 40.000 euro n.d.t] che pagava ai maoisti. Ora non ci sono più accordi; i giochi sono chiusi. Lei sostiene che tutti i progetti in quelle aree dovrebbero terminare ed essere abbandonati? AR: Lei vede cosa sta succedendo ora con la privatizzazione dell’industria mineraria che è davvero una forma di concezione sbagliata di come le miniere spingano la crescita. La spingeranno in uno strano modo che non ha nulla a che fare con il vero sviluppo. [ traduzione di una frase omessa; cita la misura delle royalties pagate al governo per il minerale di ferro; non ho potuto trovare conferma delle cifre che sembrano poco credibili, salvo errori nell’originale: “Rs 27 for 5,000 tonnes profit for the private companies” n.d.t.]. Stiamo pagando senza ecologia nei confronti delle economie altrui. Perciò questa cosa chiamata crescita è un mito. SG: Lei è disposta a mediare tra i maoisti e il governo, visto che hanno proposto il suo nome, così come quello di Kabir Suman, per mediare, ma lei ha declinato? Cosa teme? Perché non procede con la mediazione? AR: Temo me stessa. Non rientra nelle mie competenze. Non ho fiducia in me stessa. Se sei un giocatore di pallacanestro non puoi essere un nuotatore. Perciò penso che ci siano persone che farebbero un buon lavoro, ma io non sono tra queste. Ma penso che una domanda che dobbiamo porci è: a chi ci riferiamo quando parliamo di maoisti? Chi ha per bersaglio l’”Operazione Green Hunt”? Perché al riguardo è stata fatta una distinta separazione tra i maoisti qui e i tribali là. Non è vero. Il fatto è che circa il 99% dei maoisti è tribale. Ma non tutti i tribali sono maoisti, anche se le cifre dicono che decine di migliaia di persone si definirebbero ufficialmente maoiste. Tra di esse, 90.000 donne appartengono all’organizzazione femminile. Diecimila appartengono all’organizzazione culturale. Dunque sono tutte da spazzare via? SG: Qual è il suo messaggio al ministro degli interni P. Chidambaram? Che genere di messaggio vorrebbe trasmettergli? Pensa che stia combattendo questa guerra per un’alta concezione di sé stesso? AR: Penso che stia combattendo per una forma di sbrigatività e che stia combattendo con un’immaginazione legata alle grandi imprese che vuole siano servite, dalla Enron alla Vedanta a tutte le società che ha rappresentato. Non lo sto necessariamente accusando di essere corrotto ma lo accuso di avere un’immaginazione che sta spingendo questo paese in una situazione molto grave e che ci colpirà tutti. SG: E’ preoccupata per la causa che è stata avviata contro di lei? C’è stata una denuncia contro di lei in base alla Legge del Chhatisrgah sui Poteri Speciali (CSPA) e la polizia sta indagando sul suo appoggio ai maoisti dopo il suo articolo. E’ preoccupata per l’incriminazione da parte dello stato? AR: Sarei naturalmente una stupida se non fossi preoccupata. Ma non sarò la prima che perseguono. Penso che quello che stanno cercando di fare è trasmettere un messaggio alla gente, perché sento che loro vogliono intensificare questa guerra. Penso che assisteremo ad attacchi di droni contro la gente più povera di questo paese. Inoltre vogliono stendere un cordone attorno al teatro della guerra per cercare di ammonire a non andare nell’area chi potrebbe avere un’idea diversa da quella del governo. SG: Perché pensa che i suoi scritti siano così controversi come sono ritenuti? Perché all’India piace odiare Arundhati Roy? Perché le vengono indirizzate così tante lettere d’odio? Perché si pensa che lei dica cose con cui la gente con concorda? Perché lei è l’autore che l’India ama odiare? AR: Penso sia molto presuntuoso da parte sua rappresentare l’India. Io provo l’opposto essendo una che è abbracciata dovunque vada, da Orissa a Narmada; sono solo quelli con una voce, quelli che hanno grandi interessi nelle cose di cui scrivo e in cui tali interessi sono minacciati, che mi odiano. Ma se sentissi che l’intera India mi odia avrei fatto qualcosa di terribilmente sbagliato. Da autrice politica sarei pazza a portare avanti quello che sto facendo? Il fatto è che mi sento profondamente amata, questo è il problema vero. SG: Ma lei pensa che ci sia un problema? Pensa che il governo, i media, la cultura dominante stiano prendendo di mira gli intellettuali, stiano prendendo di mira persone come gli attivisti dei diritti umani? E’ pericoloso? AR: Naturalmente è molto pericoloso. Ho letto un articolo che dice che il Dantewada si presenta a Delhi nell’accusa contro Kobad Ghandy. L’unione nazionale per i diritti democratici … tutte le istituzioni sono definite organizzazioni di facciata. Ci sono queste barricate maniacali con accuse di maoismo contro chiunque abbia idee diverse. Centinaia di persone non note sono state prese e incarcerate. C’è un’intera gamma di movimenti popolari, da quelli nonviolenti all’esterno delle foreste alle lotte in armi dentro le foreste che hanno concretamente sostenuto questo assalto delle imprese, cosa che devo dire non è successa in nessun’altra parte del mondo. SG: Mi permetta soltanto di porle una domanda che mi ha trasmesso uno spettatore: “Quando vedessi una sedicenne con un’arma, avrei paura e proverei dolore. Perché Arundhati Roy, quando vede una sedicenne con un’arma la celebra e dice che è così bella, che ha un sorriso così delizioso?” AR: Perché se vedessi una sedicenne stuprata da un agente del CRPF e vedessi il suo villaggio incendiato e vedessi i suoi genitori uccisi e lo accettassi, piangerei per questo. Quando vedessi una persona che si oppone e che dice “combatterò tutto questo” mi sentirei in modo terribile. Penso sia una cosa tremenda arrivare a questo. Ma è meglio che vederla accettare il suo annientamento. SG: Mi consenta di leggere alcune delle critiche che le sono mosse da attivisti e da pensatori che hanno detto: “Lei mette sullo stesso piano il loro cinico perseguimento del potere con le genuine rivendicazioni, diritti e preoccupazioni di chi vive nelle foreste. Lei da un significato nuovo alla logica binaria per la quale ha messo in ridicolo George W. Bush. Attualmente è vittima della Sindrome di Stoccolma. E un altro di considerarla è che andrebbe descritta come una giornalista al seguito”. Come reagisce? AR: Penso che essere al seguito non sia di per sé una cosa cattiva; dipende al seguito di chi si è; se si è al seguito dei media o delle imprese. O se si è al seguito della parte che si considera all’opposizione di essi. Qui non mi riferisco ai maoisti. Chi sono i maoisti? Ovviamente gli ideologhi maoisti sono quelli il cui scopo è rovesciare lo stato indiano, mentre le persone che costituiscono le loro forze di combattimento neppure sanno cos’è lo stato indiano. Ma sicuramente c’è una coincidenza di scopi al momento; si usano a vicenda. Voglio dire che i maoisti non sono gli unici a cercare di rovesciare lo stato indiano; lo stato indiano è già stato ribaltato dal progetto “Hindutva” [nazionalismo hindu] e dal progetto delle grandi imprese. SG: Dunque lei pensa che la Costituzione abbia cessato di esistere? AR: Credo che sia stata profondamente indebolita. SG: Pensa che un giorno abbandonerà l’India per andare a vivere altrove? AR: Assolutamente no. Per me è qui la sfida, la bellezza, la meraviglia, perché la gente di questo paese sta mettendo in atto la lotta più difficile del mondo. Mi sento molto orgogliosa. Le rendo davvero onore per quanto sta avvenendo qui. Poiché io appartengo a questo paese, anche se la CSPA vuole mettermi in galera, e non andrò a vivere in Svizzera.
Da Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://www.zcommunications.org/arundhati-roy-terms-maoist-attacks-like-chhattisgarh-as-counter-violence-by-arundhati-roy
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