Spiegel Online del 04/02/2015.

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5 febbraio 2015

 

“Egemonia tedesca in Europa: «Un nuovo nazionalismo economico».

Oskar Piegsa intervista Hans Kundnani.

Traduzione di Matteo Thomann

 

La “questione tedesca” è tornata: Lo studioso Hans Kundnani confronta la Repubblica federale tedesca della Merkel con l’Impero sotto Bismarck. Qui di seguito ci spiega come è giunto a questa conclusione.

 

SPIEGEL ONLINE: Signor Kundnani, lei ha scritto un libro sul ruolo della Germania nella crisi dell’euro, dove spiega che avrebbe avuto inizio nel 1871. Perché?

Kundnani: Da qualche anno, in politica si discute nuovamente sulla “questione tedesca” e sull’ “egemonia tedesca” in Europa. Tali argomenti implicano degli elementi di ripetizione della storia tedesca. Scrittori come George Soros e Martin Wolf scrivono addirittura di un nuovo “impero tedesco”. Che non si tratti solo di un dibattito accademico, l’avete visto nei manifestanti di Atene durante gli ultimi anni.

 

SPIEGEL ONLINE: Se i dimostranti greci sfilano con manifesti di Angela Merkel con i baffi di Hitler, allora di capisce che non è una critica valida, ma solo una palese provocazione.

Kundnani: Certo. Ma la domanda rimane: la storia può aiutarci a capire la situazione attuale? Il dibattito sull’egemonia ha una lunga tradizione. Tra il 1871 e il 1914 la Germania era così grande e forte, che nessun paese poteva compensare il suo potere in Europa. Allo stesso tempo, non era abbastanza potente per essere una potenza egemone, in modo da imporre la propria volontà su tutti gli altri. Questo era il nucleo della “questione tedesca”: Lo storico Ludwig Dehio ha descritto la posizione della Germania come “halbhegemoniale” (egemonia a metà ndr). Gli storici tedeschi come Andreas Wirsching e Dominik Geppert sostengono come ora la Germania si trovi in una posizione molto simile. La differenza è che il piano egemonico in Europa non è più geopolitico ma economico.

 

SPIEGEL ONLINE: Lei suggerisce di non confrontare Angela Merkel con Hitler, ma con Bismarck?

Kundnani: No – anche se questo è proprio ciò che la “Bild Zeitung” ha fatto, dopo l’inizio della crisi greca nel 2010 – la mia tesi è che ci sia una somiglianza strutturale: con l’unificazione del 1871 è cresciuto il ruolo della Germania in Europa. Qualcosa di simile è accaduto con la riunificazione. Per 40 anni è sembrato che la “questione tedesca” fosse stata risolta grazie alla divisione del paese, ma è tornata viva quantomeno dopo la crisi dell’euro. Questo è dovuto, ora come allora, alle dimensioni della Germania e alla sua posizione centrale in Europa. L’euro si è aggiunto come parte del problema. È stato il desiderio dei francesi e soprattutto di François Mitterrand, quello di limitare il potere tedesco attraverso una moneta comune. Si è verificato il contrario: la Germania è diventata più potente proprio grazie all’euro.

SPIEGEL ONLINE: Nel suo libro lei scrive di un “Exportnationalismus”. Cosa intende?

Kundnani: Questa è la seconda parte della mia considerazione. Mi chiedo se oggi, oltre alle somiglianze strutturali rispetto al 1871, si riverberano anche gli elementi dei discorsi del tempo. Dopo l’impero c’era stato un certo trionfalismo in Germania: Nietzsche descrisse la percezione di quella volta, e cioè che nel 1871 la Germania non era solo superiore militarmente, ma anche culturalmente. La mia impressione è che dopo la crisi finanziaria nel 2008 e 2009, ci sia un nuovo trionfalismo in Germania.

 

SPIEGEL ONLINE: Può spiegarsi meglio?

Kundnani: Molti tedeschi credono che la crisi finanziaria abbia confermato che il loro modello economico sarebbe superiore a quello anglo-americano. Così è tornata in auge l’idea di un “modello tedesco”. Quasi la metà del prodotto interno lordo della Germania, dipende ora dalle esportazioni. Ci si potrebbe lamentare che ciò renda la Germania molto vulnerabile e dipendente dalla domanda internazionale. Invece, è diventato una fonte di orgoglio nazionale. Trovo incredibile, la naturalezza con la quale politici tedeschi hanno recentemente parlato di “Nazione esportatrice”. “Economia esportatrice” è il termine che conoscevo. Ma “Nazione esportatrice”? Questo sembra suggerire che le esportazioni non sono solo importanti per l’economia tedesca, ma anche per la sua identità.

 

SPIEGEL ONLINE: Il nazionalismo tedesco del 19 ° secolo si è concluso con la devastazione di due guerre mondiali e con il genocidio degli ebrei europei. L’analogia storica è davvero appropriata?

Kundnani: Capisco come “nazionalismo” sia un termine forte in tedesco. Ma già nel 1990, Jürgen Habermas scriveva del “nazionalismo del marco tedesco”. Secondo la mia opinione, ora si può parlare di un nuovo nazionalismo economico, che rende difficile la soluzione della crisi dell’euro da parte della Germania. Il paese è in un dilemma. Molti economisti ritengono che si possa risolvere la crisi dell’euro solo attraverso un allineamento simmetrico nell’eurozona: I paesi della cosiddetta periferia avrebbero dovuto essere più competitivi, e la Germania meno. Ma ciò non può funzionare proprio perché l’economia tedesca è molto dipendente dalle esportazioni, e vuole mantenere la sua competitività al di fuori dell’Europa. Invece di perseguire una crescita più equilibrata e rafforzare la domanda interna, la Germania ha difeso con il coltello fra i denti il suo surplus delle partite correnti.

SPIEGEL ONLINE: Lei scrive che una parte dell’ “Exportnationalismus” riguarda il cap salariale in Germania. Se fosse vero, la politica economica tedesca non danneggerebbe solo i dipendenti greci, ma anche quelli tedeschi. Come è possibile che non vediamo nessun movimento europeo del lavoro?

Kundnani: Ci sono diverse linee di divisione in Europa. Tra destra e sinistra e tra gli stati nazionali. L’SPD è per esempio antikeynesiano come altri partiti di sinistra in Europa. Durante le ultime elezioni federali, i politici dell’SPD hanno evitato il tema di “Europa” come meglio potevano – perché non avevano un antidoto alla politica europea di Merkel. Essi potrebbero offrire un’alternativa radicale, ma che avrebbe un notevole costo elettorale.

 

SPIEGEL ONLINE: Quindi i tedeschi starebbero barattando lo stipendio con il patriottismo?

Kundnani: Non direi. La disoccupazione è bassa, le esportazioni tedesche hanno molto successo in Europa e nel mondo. E anche la paura tedesca dell’inflazione, che molti stranieri non riescono a capire, non è del tutto ingiustificata in una nazione di risparmiatori. Il problema è che la Germania ha interessi contrastanti. Si vuole mantenere l’euro – che è ancora l’opinione di maggioranza, nonostante la crescita dell’AfD - ma allo stesso tempo la Germania non è disposta a fare quello che dovrebbe fare per preservarlo. Quindi, introdurre una messa in comune del debito – per esempio una forma di eurobonds - accettare una moderata inflazione, oppure stimolare la domanda interna.

SPIEGEL ONLINE: In che modo si evolverà la crisi dell’euro?

Kundnani: Nelle crisi internazionali del debito, vi è un modello coerente: in primo luogo, provare a distinguere i paesi debitori gli uni dagli altri. In questo caso, sottolineare che gli spagnoli non sono come i greci; L’Italia si allontana dalla Spagna per esempio. Nel lungo periodo, cresce però la pressione che porterà gli Stati debitori ad unirsi in un’alleanza anti-tedesca e perseguire una politica conflittuale verso la Germania, proprio ciò che temono i tedeschi. E questo è di nuovo un parallelo con la situazione del periodo dopo il 1871: la paura di “accerchiamento”, con la già menzionata differenza che oggi si tratta di un accerchiamento economico e non geopolitico.

 

SPIEGEL ONLINE: Quali sono le conseguenze che la preoccupano?

Kundnani: Il crollo dell’eurozona è ancora un rischio. Sarebbe devastante per l’economia tedesca basata così pesantemente sulle esportazioni. È anche ipotizzabile che la Germania continui la sua politica attuale e l’euro venga mantenuto a costo di una permanente fuga dei capitali e di una migrazione del lavoro dalla periferia verso il centro. Il risultato sarebbe un’Europa molto più diseguale e asociale con la Germania al centro.

 

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