21-07-14 - n. 508
La vergognosa immunità di Enzo Pellegrin
Ogni volta che l'Occidente interviene contro un suo obiettivo, lo dipinge come nemico del diritto delle genti, dei diritti fondamentali dell'uomo e dell'autodeterminazione dei popoli. Il pubblico occidentale è stato abituato a veder accompagnare gli interventi militari, le ingerenze di varia forma contro legittimi governi da proclami circa asserite gravi violazioni del diritto internazionale e crimini contro l'umanità.
Nel corso dell'intervento contro il colonnello Gheddafi, fu richiesta ed accolta l'emanazione di un mandato di cattura da parte della Corte Penale Internazionale. Il leader libico e suo figlio, capo dei servizi segreti, furono accusati di aver ordinato un'ondata di omicidi e di sparizioni forzate nei confronti di presunti oppositori, a partire da metà febbraio, con l'inizio delle proteste di Bengasi [1] Fu il secondo mandato d'arresto emesso dalla Corte penale internazionale per un capo di stato in carica, dopo quello spiccato nel 2009 nei confronti del presidente sudanese Omar al-Bashir.
Con l'inizio della crisi siriana, il governo di Assad fu ripetutamente accusato di aver utlizzato contro gli asseriti "ribelli" armi chimiche in violazione delle convenzioni internazionali, così come di aver favorito la perpetrazione di crimini di guerra. Con la usuale laconicità, l'alto commissariato ONU per i diritti umani, in persona di Navi Pillay, dichiarò di possedere prove massicce di crimini gravi, crimini di guerra e crimini contro l'umanità che coinvolgevano la "responsabilità ai più alti livelli di governo, compreso il capo dello Stato" [2]
Trovare prove del concorso del potere nei fatti di sangue si rivela quasi sempre una probatio diabolica - una missione impossibile - nelle democrazie borghesi. Ustica e le stragi di stato in Italia, insegnano. Come invece questo accada in poco tempo nei confronti dei dichiarati nemici esterni del blocco occidentale, partendo poi gli investigatori da una posizione tutt'altro che istituzionale, desta sempre grosse perplessità quando non sarcastici sorrisi.
Polemiche a parte, l'uso del diritto internazionale si è sempre prestato a fornire i colpi più duri nei confronti dei nemici di volta in volta individuati dal blocco imperialista occidentale, spesso costruendo il patibolo dell'esecuzione.
Per converso, nei confronti delle pedine alleate dell'imperialismo ovvero nei confronti dei suoi baluardi la severa scure giuridica a difesa dei diritti dell'umanità è rimasta il più delle volte riposta negli appositi armadi.
Il giovane stato israeliano, nato nel laboratorio politico-giuridico del sionismo di Ben Gurion, Weizemann e Wise, è l'esempio fulgido del fenomeno "due pesi, due misure". Sin dal brodo di coltura in cui nacque, mise in fila crimini comuni, crimini di guerra nonché le più disparate violazioni dei diritti umani, del diritto delle genti.
Senza voler fare una lunga cronistoria, né senza limitarsi ai soli strepiti recenti, appare interessante ricordare come lo "Zionist Biltmore Program", approvato nel maggio 1942 all'Hotel Biltmore di New York da 600 eminenti ebrei americani e 67 dirigenti sionisti di tutto il mondo, sotto la guida di David Ben Gurion e del rabbino americano Chaim Weizemann, si prefiggesse il dominio ebraico su tutta la Palestina, la creazione di un esercito ebraico, l'immigrazione illimitata degli ebrei nel futuro stato di sion. Scopi che sarebbero costati ad altri l'accusa di ingiustificata aggressione ai danni di un popolo quando non di genocidio: un tale programma sarebbe potuto figurare tra gli elementi dei capi di accusa a quel processo che di lì a poco si sarebbe celebrato a Norimberga come aggressione ad una popolazione inerme. Ai sionisti il programma valse invece l'installazione duratura del loro movimento nel sistema di dominio americano del Medio Oriente. L'accresciuta importanza del petrolio rendeva necessario per le esigenze dell'imperialismo USA un sicuro baluardo strategico in una regione instabile: Israele divenne e rimase quel sicuro baluardo per mezzo del movimento sionista. "Dopo tre decenni di protezione inglese, i sionisti si apprestavano all'atto conclusivo del loro piano di conquista in una condizione nuova: non dipendevano più dalla sola buona volontà britannica" [3].
Quanto poi al preordinare persecuzioni nei confronti di civili o al tanto abusato termine di "pulizia etnica", merita ricordare ciò che avvenne dopo l'evacuazione britannica dalla Palestina. L'Agenzia Ebraica aveva predisposto sin dal 1941 una serie di piani strategici per la conquista di quello che sarebbe poi stato il territorio sotto la sovranità del futuro stato ebraico. Uno di questi, il Piano D o "Dalet" si realizzò nella realtà: i reparti dell'Haganah e degli altri organismi militari sionisti (Irgun Zwai Leumi, Banda Stern ed altri) occuparono e presero il controllo di caserme, uffici pubblici, posti di polizia che di volta in volta venivano abbandonati dalle Autorità Britanniche; essi presero inoltre possesso di tutti i villaggi palestinesi adiacenti ale esistenti colonie ebraiche, stabilirono il controllo delle vie di comunicazione, strinsero d'assedio le località abitate dagli arabi. Tra le "misure per garantire la sicurezza della rete di difesa ebraica" fu prevista la distruzione dei villaggi che non potevano essere occupati o l'occupazione integrale di località con espulsione degli abitanti. In particolare, nel 9 aprile 1948, truppe dell'Haganah conquistarono il villaggio di Deir Yassin, dopodichè si ritirarono lasciando mano libera agli uomini dell'Irgun e della banda Stern che provvedettero al massacro di 254 persone tra uomini, donne, vecchi e bambini palestinesi. Dopo Deir Yassin oltre 474 centri abitati arabi furono occupati dalle forze sioniste ben 385 furono distrutti e scomparvero per sempre dalla carta geogeafica. Moshe Sharrett diede successiva voce alle intenzioni di una tale condotta: "I rifugiati troveranno il loro posto nella diaspora. Grazie alla selezione naturale certi resisteranno, altri no. La maggioranza diverrà un rifiuto del genere umano e si fonderà con gli strati più poveri del mondo arabo" [4]. Parole che a Norimberga sarebbero echeggiate nelle accuse e nelle requisitorie dei pubblici ministeri per altri personaggi storici ed altre vicende.
Quanto all'ordinare omicidi, merita ricordare che dopo la proclamazione del neonato stato ebraico nel 1948 e l'inizio del conflitto con gli eserciti arabi, Folke Bernadotte, mediatore inviato dall'ONU ed incaricato di predisporre uno dei primi piani di pace, divenne bersaglio di un piano omicida. Fu deciso dalla Banda Stern, già responsabile del massacro di Deir Yassin. La decisione è opera dei membri che dirigevano l'organismo militare al'epoca: Israel Eldad, Nathan Yellin Mor e Ytzhak Shamir (che divenne primo ministro di Israele). I militari attesero lo svedese, parente della famiglia reale, sulla strada per Rehvot dove era atteso per una ispezione, e lo finirono in un agguato con fucili mitragliatori.
Questo è il brodo primordiale in cui si sviluppò e nacque lo stato ebraico. Inquietante appare il parallelismo storico: mentre sul banco degli accusati di Norimberga le potenze vincitrici contestavano accuse consistenti in atti di omicidio, brutalità, pulizia etnica, genocidio, soluzioni finali e selezione naturale dei detenuti nei campi di sterminio, un processo del tutto simile si ripeteva negli atti del sionismo, creatore dello stato ebraico.
Una volta affermata l'indipendenza dello stato ebraico, il governo di israele inaugurò la dura politica volta ad impedire il ritorno dei palestinesi nei territori occupati; lo storico israeliano Benny Morris calcolò in una conferenza tenuta alla fine del 1990 che migliaia di palestinesi che tentavano di rientrare nei territori per recuperare beni di loro proprietà furono uccisi da civili e militari israeliani nei primi anni di vita dello Stato Ebraico: il 99 per cento di quelli che si infiltravano non erano armati, ma contadini poveri che tornavano a raccogliere frutti dagli agrumeti a loro un tempo appartenuti. [5]
Con l'operazione "Pace in Galilea" della fine degli anni 80, Meahem Begim, capo del governo israeliano, già leader dell'Irgun Zwai Leumi [6], volge l'azione persecutoria dello stato ebraico contro i palestinesi oltre i confini dello stesso: in Libano, ultimo territorio in cui i palestinesi godevano di una minima indipendenza ed autodeterminazione dopo i fatti del "settembre nero". Sotto la roboante etichetta di una nuova "legalità internazionale", con la scusa di sgominare l'OLP, il ministro ex terrorista Begim affermò il diritto di Israele di intervenire in Libano in qualsiasi momento e sferrò di conseguenza l'attacco contro l'embrione di una comunità indipendente palestinese che si andava dotando faticosamente di un sistema politico, scolastico, di ospedali e trasporti, organismi economici e Università. Nel conflitto libanese, il 16 settembre si perpetrò il vergognoso massacro di Sabra e Chatila. Oltre quattrocento falangisti della destra cristiana libanese furono introdotti nei campi di Sabra e Chatila. In due giorni (dal 16 al 19 settembre) massacrarono più di 3000 palestinesi allo scopo di seminare un orrendo terrore in tutto il popolo con torture prima dell'assassinio e mutilazioni. Furono fucilate intere famiglie lasciando vivo un superstite perchè potesse testimoniarne la brutalità, furono fatte saltare in aria con la dinamite le case dei profughi con le persone rinchiuse dentro.
Oltre Sabra e Chatila, il bilancio dell'operazione "Pace in Galilea", secondo dati forniti dalla polizia libanese, vide negli aggrediti 19.085 morti, 30.302 mutilati e feriti. L'84 per cento delle vittime erano civili, il 33 per cento di questi aveva meno di quindici anni ed il 24 per cento più di cinquanta. Nel Libano Meridionale, dei 92.000 rifugiati palestinesi che vi vivevano, oltre 60.000 rimasero senza tetto [7].
Fatti di questo genere si aggiungono alle innumerevoli violazioni delle risoluzioni dell'ONU, alle violazioni odierne compiute nella vergognosa azione sulla striscia di Gaza. La scusa è sempre la stessa: la necessità di colpire un'organizzazione asseritamente giudicata terrorista offre il destro per lo sterminio ed il genocidio della popolazione civile palestinese, vero ostacolo agli interessi dello stato ebraico e del blocco imperialista di cui è baluardo. Manlio Dinucci ha chiarito bene sul Manifesto gli obiettivi di conquista delle fonti energetiche di gas naturale al largo di Gaza, soprattutto per sottrarlo alle società russe che stavano raggiungendo un accordo per lo sfruttamento dei giacimenti.
Per raggiungere questo obiettivo lo stato ebraico, conformemente alla spietatezza e mancanza di scrupoli morali dimostrata sin dalla nascita, non esita ad utilizzare armi sperimentali sulla popolazione civile: bombe DIME che "contengono tungsteno, un metallo cancerogeno, che permette di produrre esplosioni incredibilmente distruttive, capaci di tagliare la carne e le ossa, spesso troncando gli arti inferiori delle persone all'interno del loro raggio d'azione." [8].
Contro questo baluardo della politica imperialistica occidentale, il diritto internazionale che il blocco occidentale ha più volte utilizzato per fomentare le campagne contro i suoi nemici, giustificandone l'annientamento, si è prodotto nella condotta dei "due pesi due misure", restando più volte indifferente, rafforzando le speciose giustificazioni difensive, applicando sanzioni manifesto di fatto inutili o mai seriamente applicate, garantendo insomma una più che vergognosa immunità allo stato ebraico.
La sovrastruttura giuridica internazionale, pur se debole di costituzione, svolge quantomeno quel ruolo tutt'altro che imparziale che il diritto interno svolge per il conflitto sociale: costituire una finta gabbia di asserita imparzialità per favorire gli interessi del blocco sociale o politco dominante. Questo è pure un profilo sotto il quale la situazione palestinese offre uno spunto accoglibile di riflessione sulla repressione del conflitto sociale in Italia e soprattutto, in Valsusa, teatri dove oggi più che mai la politica dei due pesi e due misure è applicata in modo eclatante. Diritto usato in modo maniacalmente sistematico e vigilesco nei confronti del conflitto sociale, drammaticamente nei fatti insufficiente nei confronti dei blocchi di interesse che legalmente stanno uccidendo società, lavoro, ricchezza, ambiente, risorse e territorio.
Prendere coscienza dei meccanismi dell'imperialismo e del capitalismo significa indubbiamente sollevare anche questa contraddizione: la legalità internazionale è spesso legalità che uccide, opprime, regola in base ad interessi antipopolari, con lo stesso identico meccanismo col quale la legalità interna nelle società capitaliste garantisce l'oppressione, lo sfruttamento e la perpetuazione di quei rapporti di produzione tanto cari a Bertolt Brecht. Quei rapporti di produzione che nelle fasi di crisi del capitale, finiscono spesso per portare in qualche modo anche la morte.
* Enzo Pellegrin, componente collegio di difesa del Movimento NO TAV.
Note
1. http://www.amnesty.it/arrestare-e-processare-ghed-dafi-suo-figlio-e-capo-dei-servizi-segreti. 27.6.2011.
2. Siria, l'Onu accusa Assad: "Ha autorizzato crimini di guerra e contro l'umanità", La Repubblica on line, 2.12.2013, http://www.repubblica.it/esteri/2013/12/02/news/siria_jiha-disti_sequestrano_suore_del_convento_di_maalula-72507285/
3. Filippo GAJA, Le frontiere maledette del Medio Oriente, cap. 30, "Un Mosè da Oltre Atlantico", Maquis ed. 1991, p. 180.
4. Archivi dello Stato di Israele, ministero degli affari esteri, documentazione sui rifugiati,doc. n. 2444/19 in F.GAJA, Op.cit. p. 197
5. F. GAJA, Op. cit. p. 206
6. Organizzazione militare nazionale attiva nei fatti terroristici degli anni che portarono alla fondazione dello stato ebraico
7. F. GAJA, op. cit. p. 218.
8. Israele sta usando armi sperimentali sui civili di Gaza, dicono i medici, www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 16-07-14 - n. 507, Rania Khalek | electronicintifada.net - Traduzione da contropiano.org |
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