http://www.eurocomunicazione.com 28 aprile 2015
La storia e la memoria. Il mistero dell’oro di Dongo di Giancarlo Cocco
Le ultime ore di vita di Benito Mussolini e di Claretta Petacci nel 70° anniversario della morte. Stralci raccontati dallo storico Attilio Tamaro
Sono trascorsi esattamente 70 anni dalla morte di Benito Mussolini il 28 aprile 1945. Fu ucciso a colpi d’arma da fuoco a Giulino, frazione del comune di Mezzegra in provincia di Como insieme all’amante Claretta Petacci. Il capo del fascismo e della Repubblica di Salò era stato catturato a Dongo il giorno prima dai partigiani della 52^ Brigata Garibaldi “Luigi Clerici” comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle. Il comandante partigiano Walter Audisio detto colonnello Valerio disse di essere stato lui l’autore dell’uccisione. Come racconta lo storico Attilio Tamaro nel suo libro, Mussolini, dopo la disfatta, era giunto a Como con alcune autoblinde tedesche la sera del 25 aprile. Sua intenzione era quella di espatriare in Svizzera ma l’incaricato d’affari svizzero Trondler gli disse che il governo elvetico non gli avrebbe dato ospitalità. Mussolini aveva al seguito numerosi gerarchi che cercavano scampo dai partigiani che avevano occupato tutte le città del nord Italia. Il Duce era molto inquieto in quanto non riusciva ad avere notizie del furgoncino carico di documenti e di valori che era partito con lui e temeva fosse andato perduto. In realtà quel furgoncino, con la complicità dell’autista, s’era fermato a Garbagnate ed era stato saccheggiato. Alle tre di notte del 26 aprile egli si spostò con il gruppo dei ministri e dei gerarchi fra Menaggio e Porlezza e si fermò in un alberghetto di montagna trasformato in caserma. Verso le 14 all’ora del rancio si sedette a capotavola e tutti i gerarchi presero posto ai due lati. Ascoltarono con preoccupazione la radio che trasmetteva i proclami e gli ordini del CLN – Comitato di Liberazione Nazionale – e dava notizia dell’insurrezione di Milano, di tutta l’alta Italia e dell’avanzata degli alleati. Si parlò di Badoglio, di Caporetto, della Svizzera che aveva respinto le famiglie dei ministri a Chiasso. Mussolini tirò fuori dalla sua cartella i documenti delle trattative per ottenere ospitalità in Svizzera. Era triste perché aveva saputo che la mattina donna Rachele, la moglie, presentatasi con i figli alla frontiera di Chiasso era stata respinta. Decise quindi di proseguire verso l’Alto Adige e si mise al seguito di una colonna di automezzi delle SS che diceva di andare a Merano. Si accodarono anche automobili con parecchi funzionari, gerarchi e ministri, una cinquantina di persone in totale, e in più una vettura in cui stavano Claretta Petacci (l’amante) con suo fratello Marcello e sua cognata che lo avevano raggiunto a Como. Mussolini quando fu avvertito da un ufficiale, sottovoce, dell’arrivo della Petacci, sussultò seccatissimo e ordinò che la signora fosse ricondotta via immediatamente ma ella non volle e neppure scese dall’automobile restandone all’interno per tutta la notte. All’alba la colonna si mosse compresa l’auto della Petacci. Giunti nel villaggio di Musso trovarono la strada sbarrata da un grosso tronco d’albero. I partigiani circondarono i mezzi e negarono ai tedeschi il passaggio, in particolare agli italiani. Partì una trattativa e alle 13 fu dato ordine di lasciar passare solo i tedeschi. Mussolini si mimetizzò tra questi con un cappotto da soldato, ma quando incominciò l’ispezione degli automezzi, su indicazione di un soldato germanico (cui fece cenno con il capo) a un partigiano, un certo Urbano – detto Bill – Mussolini fu riconosciuto e arrestato. Chi seguì la scena raccontò che: «il suo sguardo era assente, ancor più fuori del tempo, il suo volto cereo, gli si leggeva negli occhi una estrema stanchezza». Accompagnato dal sindaco Rubini e dal partigiano Urbano fu portato nel Municipio. Dopo qualche ora il comando partigiano stimò non sicuro il soggiorno di Dongo e di sera trasportò Mussolini a Germasino nella caserma della Finanza. Quì avvenne un episodio che condizionò la vita della Petacci, in quanto Mussolini chiese a un capo partigiano di salutare per lui Claretta. Così si conobbe il nome della sconosciuta – per i partigiani – che facendo parte della colonna di automobili si era presentata con documenti falsi come moglie di un console spagnolo. E’ stato assodato che era intenzione dei partigiani di consegnare Mussolini agli alleati e la signora Claretta lasciarla andare dove essa desiderava. L’ultimo scritto di Mussolini su un piccolo pezzo di carta rimediato nella caserma della Guardia di Finanza di Germasino, per ironia della sorte dice «…il trattamento riservatomi durante e dopo la cattura è stato corretto. f.to Mussolini». Su chi dette l’ordine di uccidere Mussolini sono stati scritti fiumi di inchiostro, resta il fatto che il partigiano Walter Audisio ha raccontato che la sera del 27 aprile l’incarico di giustiziare Mussolini e i gerarchi fascisti che lo accompagnavano gli venne affidato «da tutti i membri del Comando generale». Audisio ha dato poi cinque versioni in molte parti contraddittorie di come furono uccisi Mussolini e la Petacci. Il fatto avvenne il giorno dopo dinanzi alla villa Belmonte unitamente a un altro partigiano, un certo Moretti. Mussolini e la Petacci erano appena scesi da una automobile che furono colpiti da due raffiche di mitra, da destra verso sinistra e dal basso verso l’alto. Audisio sparò poi un colpo di pistola con l’intento di finire il duce. Erano le 16,10 del 28 aprile 1945.
Dopo questa esecuzione, trafugati prima dalla popolazione di Musso poi di Dongo e poi da gente venuta da fuori, sparirono d’incanto ingenti valori, oggetti d’arte, biancheria, gioielli e danaro dei gerarchi passati per le armi dai partigiani, scomparvero grossi fondi speciali del ministero degli Interni, danaro di Mussolini e oggetti preziosi della Petacci. Secondo una inchiesta della commissione Zingales a Dongo erano affluiti valori di fonte e natura disparate, 286 milioni di lire (dell’epoca) erano stati prelevati dalla Banca del Lavoro, 334 milioni sottratti dai fascisti alla Banca di Novara sparirono nel nulla, ogni ministro che accompagnava Mussolini aveva fondi del suo dicastero valutabili in centinaia di milioni ciascuno, senza contare i cospicui fondi personali che ogni gerarca fucilato portava con sé. Del “tesoro” facevano parte 51 chilogrammi in lingotti d’oro, 2150 sterline d’oro, 279.605 franchi svizzeri, 149.345 dollari di carta, 11.000 escudos portoghesi, 21.179 marenghi d’oro, a tutto ciò si aggiunse un centinaio di milioni di lire che costituivano il fondo segreto del ministero degli Interni sequestrati al ministro Buffarini Guidi che li aveva portati con sé nella sua auto. Un decreto del Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia, datato 26 aprile 1945, stabiliva che tutti i valori e gli oggetti preziosi sequestrati al governo fascista e ai suoi membri dovevano essere versati allo stesso Comitato. Anche Audisio fu messo sotto processo e accusato di essersi appropriato di oggetti preziosi dei fucilati. Lo stesso giorno in cui fu catturato a Dongo Mussolini, furono fucilati altri gerarchi, quali Barracu, Bombacci, Calistri Capitano d’aviazione, Casalinuovo aiutante di Mussolini, Coppola Rettore dell’Universtà di Bologna, Daquanno dell’Agenzia Stefani (oggi Ansa, ndr), Gatti, Liverani, Mezzasoma, Nudi, Pavolini, Porta,Utimperghe e Zerbino. C’era anche Marcello Petacci il fratello di Claretta che tentò di fuggire gettandosi nel lago e fu ripescato cadavere. Tutti i fucilati, la sera, furono gettati su di un camion dal plotone partigiano e ad Azzano furono caricati anche le spoglie di Mussolini e della Petacci. Il corteo di macchine si avviò a grande velocità verso Milano ove giunsero alle tre del mattino del 29 aprile a piazzale Loreto e scaricate sotto la pensilina di una stazione di servizio. All’alba cominciarono a raccogliersi intorno i curiosi, la voce si sparse in città. Ad un certo punto per evitare lo scempio dei corpi alcuni sollevarono per i piedi Mussolini, Barracu, la Petacci, Pavolini, Mezzasoma e Zerbino, alcuni colpirono con manate i corpi facendoli ballonzolare.
Era la quarta domenica dopo la Pasqua, giorno del Signore.
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