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Apr 11 2014

La Carneficina il Banco di prova della Storia
di Ian Morris

Come la guerra ha creato la civiltà nel corso degli ultimi 10.000 anni, e minaccia di distruggerla nei prossimi 40.

Avevo 23 anni quando ho rischiato di morire in battaglia.

E' stato il 26 Settembre 1983, intorno alle 9:30 di sera. Ero chino su una macchina da scrivere manuale in una stanza in affitto a Cambridge, in Inghilterra, stavo battendo il primo capitolo del mio dottorato di ricerca, tesi di laurea in archeologia. Ero appena tornato da quattro mesi di lavoro sul campo nelle isole greche. Il mio lavoro andava bene. Ero innamorato. La vita era buona.

Non avevo idea che a 2000 miglia di distanza, Stanislav Petrov stava decidendo di uccidermi.

Petrov è stato il vice capo per gli algoritmi da combattimento a Serpukhov 15, il centro nevralgico del sistema di allarme precoce dell'Unione Sovietica. Era un uomo metodico, un ingegnere, uno scrittore di codici da computer, e non, fortunatamente per me, un uomo che si faceva prendere dal panico. Ma quando la sirena smise di suonare, poco dopo la mezzanotte, ora di Mosca, anche Petrov saltò dalla sedia. Una lampadina rossa ammiccò e si accese sulla mappa gigante dell'emisfero settentrionale che riempiva una parete della sala di controllo. Segnalava che un missile era stato lanciato dal Montana.

Sopra la mappa, si erano accese lettere rosse, illustravano la peggior parola che Petrov conoscesse: LANCIO

I Computer controllavano e ricontrollavano i loro dati. Anche in questo caso le luci rosse lampeggiavano, questa volta con più certezza: LANCIO MOLTO ATTENDIBILE

Si suppone che Trotsky abbia detto: Potresti non essere molto interessato alla guerra, ma la guerra è molto interessata a te. Cambridge era, ed è tuttora, una città universitaria sonnolenta, lontana dai luoghi del potere. Nel 1983, però, fu circondata da basi della Royal Air Force, ed era in cima alla lista degli obiettivi di Mosca. Se lo Staff generale sovietico aveva creduto negli algoritmi di Petrov, sarei morto entro 15 minuti, vaporizzato in una palla di fuoco più caldo della superficie del sole. Il College del re e il suo coro, le mucche al pascolo come puntini alla deriva, studiosi nelle loro toghe, mentre passavano sotto la porta a High Table, tutto sarebbe esploso in una ventata di polvere radioattiva.

Se i sovietici avessero lanciato solo i missili che erano puntano su obiettivi militari (quello che gli strateghi chiamano un attacco di controspinta), e se gli Stati Uniti avessero risposto in modo contenuto, sarei stato uno di circa un centinaio di milioni di persone spazzato via, bruciato, e avvelenato il primo giorno della guerra. Ma, probabilmente, quello non è ciò che sarebbe successo. Solo tre mesi prima dal momento della verità di Petrov, lo U.S. Strategic Concepts Development Center aveva concepito un gioco di guerra per prevedere quali conseguenze potessero generare i primi colpi di uno scambio nucleare. Hanno scoperto che nessun giocatore riuscirebbe a disegnare attacchi di controspinta. Sarebbero passati subito agli attacchi di controvalore, sparando sulle città così come sui silos. E quando tutto ciò accadesse, i primi giorni i morti salirebbero a circa mezzo miliardo, con fallout e fame, e ulteriori combattimenti ucciderebbero un altro mezzo miliardo di persone nelle settimane e nei mesi a seguire.

Tornando al mondo reale, tuttavia, Petrov è riuscito a disegnare una linea. In seguito ha ammesso di aver avuto tanta paura che le gambe gli cedevano sotto, ma lui confidava ancora nel suo istinto per gli algoritmi. Pensando con la pancia, disse all'ufficiale di turno che si trattava di un falso allarme. Il messaggio di attacco missilistico si fermò prima di prendere la sua strada fino alla catena di comando. Dodici mila testate sovietiche rimasero nei loro silos; un miliardo di noi rimasero in vita per combattere un altro giorno.

Un mondo come questo, in cui Armageddon rimane appeso ad una progettazione scadente e alle sentenze a molla dei programmi da computer, era sicuramente destinato ad impazzire. Le persone gridavano per avere risposte, e su entrambi i lati della cortina di ferro i giovani si allontanavano dai vecchi compromessi politici verso voci più forti. Auspicando una nuova generazione di baby boomers, Bruce Springsteen prese la più grande canzone di protesta contro la guerra in Vietnam, il classico della Motown di Edwin Starr, "War", e ne spedì una nuova e appassionante cover nella top 10:

Guerra!

Huh, buon Dio.

A cosa serve?

Assolutamente a niente ....

Guerra!

Soltanto il becchino è amico ....

***

La guerra è un omicidio di massa, eppure, è forse il più grande paradosso della storia, la guerra è stata comunque il peggior nemico del becchino. Contrariamente a quanto dice la canzone, in qualche modo la guerra è stata un bene: sul lungo periodo, ha reso l'umanità più sicura e più ricca.

Dividerò il caso in quattro parti.

La prima è che per combattere le guerre, le persone hanno creato grandi società, più organizzate e hanno ridotto il rischio che i loro membri muoiano in modo violento.

Questa osservazione si basa su una delle più importanti scoperte degli archeologi e antropologi nel corso dell'ultimo secolo: che le società dell'Età della Pietra erano tipicamente piccole. Principalmente a causa delle sfide nella ricerca del cibo, la gente viveva in bande di poche decine, in villaggi di poche centinaia o, molto occasionalmente, in città di poche migliaia di persone. Queste comunità non avevano bisogno di molto in termini di organizzazione interna e tendevano a vivere in condizioni di sospetto o addirittura di ostilità con gli estranei.

Le persone generalmente elaboravano le loro divergenze pacificamente, ma se qualcuno decideva di usare la forza, c’erano molti meno vincoli su di lui o, occasionalmente, lei, di quanto i cittadini degli Stati moderni siano abituati oggi. La maggior parte delle uccisioni avveniva su piccola scala, vendette e scorribande incessanti, anche se una volta ogni tanto, la violenza poteva distruggere un'intera banda o un villaggio così male che la malattia e la fame spazzavano via tutti i suoi membri. Ma proprio perché le popolazioni erano poco numerose, lo stillicidio costante di violenza di basso livello si prese un tributo spaventoso. Secondo la maggior parte delle stime, dal 10 al 20 per cento di tutte le persone che vivevano all’età della pietra sono morte per mano di altri esseri umani.

Il ventesimo secolo, costituisce un forte contrasto. Ha visto due guerre mondiali, una serie di genocidi, molteplici governi hanno indotto carestie, uccidendo un totale impressionante di persone, tra 100 milioni e 200 milioni. Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki uccisero più di 150.000 persone, probabilmente più di quante abbiano vissuto in tutto il mondo nel 50.000 a.C. Ma nel 1945, vi erano circa 2,5 miliardi di persone sulla terra, e nel corso del XX secolo, circa 10 miliardi di vite sono state vissute, il che significa che 100-200 milioni di decessi connessi alle guerre del secolo, che sommati raggiungono solo l’1 o il 2 per cento della popolazione del pianeta. Se avete avuto la fortuna di nascere nel XX° secolo in paesi industrializzati, è stato, in media, 10 volte meno probabie morire violentemente, o dalle conseguenze della violenza, che se foste nati nella società della pietra.

Questa può essere una statistica sorprendente, ma la spiegazione è ancora più sorprendente. Ciò che ha reso il mondo molto più sicuro è la guerra stessa. Il modo in cui questo ha funzionato è che, all’inizio, circa 10.000 anni fa in alcune parti del mondo, per poi diffondersi in tutto il pianeta, i vincitori delle guerre incorporavano i perdenti in società più grandi. L'unico modo per rendere funzionanti queste società più grandi era, per i loro governanti, sviluppare governi più forti, e una delle prime cose con cui questi governi avevano a che fare, se volevano restare al potere, era sopprimere la violenza all'interno della società.

Gli uomini che gestivano questi governi non perseguivano quasi mai politiche di pacificazione per pura bontà dei loro cuori. Reprimevano le uccisioni, perché i soggetti ben educati erano più facili da governare e fiscalizzare, di altri micidiali arrabbiati e violenti. La conseguenza non voluta, però, era che i tassi di morte violenta diminuirono del 90 per cento tra l'età della pietra e il XX° secolo.

Il processo non era abbastanza. Che si trattasse di Romani in Gran Bretagna o di inglesi in India, i pacificatori potrebbero essere altrettanto brutali della ferocia che hanno represso. Non è stato un processo uniforme: per brevi periodi, in luoghi particolari, la morte violenta potevae tornare ai livelli dell'età della pietra. Tra il 1914 e il 1918, per esempio, quasi un serbo su sei è morto di morte violenta, per malattia, o per fame. E, naturalmente, non tutti i governi sono stati altrettanto bravi ad esprimere la pace.

Le democrazie possono essere disordinate, ma raramente divorano i loro figli; dittature fanno le cose, ma tendono a sparare, affamare, e gasare un sacco di gente. Eppure, nonostante tutte le variazioni, le qualifiche, ed le eccezioni, durante il lungo periodo di 10.000 anni, la guerra ha fatto i governi, e i governi hanno fatto la pace.

La seconda affermazione è che mentre la guerra è il modo peggiore immaginabile per creare grandi società più pacifiche, è praticamente l'unico modo che gli esseri umani hanno trovato. "Dio sa che ci deve essere un modo migliore", ha cantato Edwin Starr, ma a quanto pare non c’è. Se l'impero romano avesse potuto essere stato creato senza uccidere milioni di Galli e di Greci, se gli Stati Uniti avessero potuto essere costruiti senza uccidere milioni di Nativi Americani, in questi casi e innumerevoli altri, se i conflitti avessero potuto essere risolti con la discussione invece che con la forza, l'umanità avrebbe potuto accedere ai benefici delle società più grandi senza pagare un prezzo così alto. Ma questo non è accaduto. Si tratta di un pensiero deprimente, ma l'evidenza sembra ancora chiara. La gente non rinuncia quasi mai alla propria libertà, compresi il diritto di uccidere e di impoverire l'altro, se non sono costretti a farlo, e praticamente l'unica forza abbastanza forte per ottenere questo risultato è stata sconfitta in guerra, o dalla paura che una tale sconfitta sia imminente.

La mia terza conclusione è che oltre a rendere le persone più sicure, le società più grandi create dalla guerra di nuovo, nel lungo periodo fatto, ci hanno resi ricchi. La pace ha creato le condizioni per la crescita economica e l'aumento del tenore di vita. Anche questo processo è stato disordinato e irregolare: i vincitori delle guerre praticano regolarmente la furia dello stupro e del saccheggio, la vendita di migliaia di sopravvissuti in schiavitù e il furto della loro terra. I perdenti possono essere lasciati impoverire per generazioni. Si tratta di un gran brutto affare. Eppure, con il passare del tempo forse decenni, o anche secoli, la creazione di una società più grande tende a rendere tutti, i discendenti di vincitori e dei vinti simili e migliori. Il modello a lungo termine è di nuovo inequivocabile. Con la creazione di società più grandi, di governi più forti, e di una maggiore sicurezza, la guerra ha arricchito il mondo.

Quando abbiamo messo insieme queste tre affermazioni, una sola conclusione era possibile. La guerra ha prodotto le società più grandi, governate da governi più forti, che hanno imposto la pace e creato i presupposti per la prosperità. Diecimila anni fa, c'erano solo circa 6 milioni di persone sulla terra. In media hanno vissuto circa 30 anni e si sono sostenuti con l'equivalente di meno di due moderni dollari americani al giorno. Ora il numero degli esseri umani supera di mille volte quello di allora, 7 miliardi in realtà, che vivono più di due volte più a lungo di allora, la media mondiale è di 67 anni, e guadagnano di più di una dozzina di volte tanto qunato allora, oggi la media globale è $ 25 al giorno.

La guerra, poi, è stata quindi un bene in qualche modo, tanto che il mio quarto argomento è che la guerra ora sia ormai fuori mercato. Per millenni, la guerra ha creato la pace, e la distruzione ha creato ricchezza, ma nella nostra era l’umanità è diventata così abile a combattere, le nostre armi così distruttive, le nostre organizzazioni così efficienti, che la guerra sta cominciando a fare ulteriori guerre di tipo impossibile. Se gli eventi fossero andati diversamente quella notte, nel 1983, Petrov fosse caduto in preda al panico, il segretario generale avesse effettivamente premuto il pulsante, e un miliardo di noi fossero rimasti uccisi nel corso di poche settimane, la morte violenta nel ventesimo secolo sarebbe sprofondata di nuovo nel territorio dell’età della pietra, ed avrebbe ricevuto l'eredità tossica di tutte quelle testate così terribili come alcuni scienziati temono, e oggi non ci sarebbe rimasto nessun essere umano sulla terra.

***

Le tendenze attuali suggeriscono che i robot potranno cominciare a prendere il nostro posto nei combattimenti del 2040, appena dietro l’angolo del tempo, le tendenze suggeriscono anche che gli Stati Uniti, i globocop del mondo, perderanno il controllo dell'ordine internazionale. Nel 1910, la combinazione di un globocop indebolito, la Gran Bretagna, e le nuove rivoluzionarie macchine da combattimento, corazzate, mitragliatrici, aerei, artiglieria a tiro rapido, motori a combustione interna, chiusero un secolo di piccole, meno sanguinose guerre e scatenarono una tempesta di acciaio. Il 2040 promette una combinazione simile. I prossimi 40 anni potrebbero essere i più pericolosi della storia.

Siamo già, secondo il politologo Paul Bracken, entrando in una seconda Era Nucleare. La prima è stata quella del confronto sovietico-americano dal 1940 agli anni '80, era spaventoso, ma semplice, perché la mutua distruzione assicurata, prodouceva un certo tipo di stabilità. La seconda Era Nucleare, al contrario, per il momento non è così spaventosa, perché il numero di testate è tanto inferiore, ma è tutt'altro che semplice. Ha più giocatori rispetto alla Guerra Fredda, con forze più piccole che seguono pochi eventuali norme concordate. La distruzione reciproca assicurata non si applica più, perché l'India, il Pakistan e Israele, se e quando l'Iran, sanno che un primo attacco contro il loro rivale regionale, concettualmente, potrebbe eliminare la sua capacità del secondo colpo. Finora, le difese antimissile e le garanzie del globocop hanno mantenuto l'ordine. Ma se il globocop perde credibilità negli anni 2030 e dopo, la corsa agli armamenti, la proliferazione nucleare e persino gli attacchi preventivi potrebbero iniziare ad avere un senso.

Se la grande guerra arriva nel 2040 o '50, c'è una buona possibilità che non inizi con una quarantena, una battaglia high-tech tra i computer delle grandi potenze, tra stazioni spaziali e robot, ma con guerre nucleari nel Sud, Sud-Ovest, o in Asia orientale per espandersi e coinvolgere in tutti gli altri. Una terza guerra mondiale sarà probabilmente disordinataa e furiosa come le prime due, e molto, molto più sanguinosa. Dovremmo aspettarci un massiccio attacco nucleare lanciato contro gli scudi digitali del cyber-spazio, e la difesa robotica antimissile del nemico, come spadoni futuristici che fracassano una corazza e quando, alla fine, le crepe avranno la meglio sull’armatura, ci saranno tempeste di fuoco, radiazioni chimiche, e le malattie si riverseranno sui corpi indifesi dell'altro campo. Molto probabilmente, come in tante battaglie del passato, nessuna delle due parti saprà davvero se ha vinto o perso fino a quando il disastro non li raggiungerà, improvvisamente, oppure coglierà il nemico o entrambi contemporaneamente.

Eppure, la storia a lungo termine ci dà anche motivo di ottimismo. Non siamo riusciti a desiderare la guerra fuori dalla storia, ma solo perché non può essere fatto. Siamo, tuttavia, stati molto bravi nel rispondere al mutare degli incentivi del gioco della morte. Per la maggior parte del nostro tempo sulla terra, siamo stati aggressivi, violenti come animali, perché l'aggressione e la violenza hanno ripagato. Ma nei 10.000 produttivi anni, da quando abbiamo inventato la guerra, ci siamo evoluti culturalmente a divenuti meno violenti, perché la nonviolenza ci compensa ancora meglio. E, dal momento che le armi nucleari sono venute al mondo nel 1945, gli incentivi del gioco sono cambiati più velocemente che mai, e le nostre reazioni hanno accelerato con loro. Come risultato, la persona media di oggi ha circa 20 volte meno probabilità di morire in maniera violenta che la persona media nell'età della pietra.

Mentre i ritorni alla violenza diminuivano, abbiamo trovato nuovi modi per risolvere i nostri problemi senza innescare un Armageddon.


Ian Morris insegna storia e archeologia presso la Stanford University. Questo post è tratto dal nuovo libro di Ian Morris, “Guerra! A Che cosa serve?”, Edito da Farrar , Straus and Giroux 2014.


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Apr 11 2014

The Slaughter Bench of History
By Ian Morris

How war created civilization over the past 10,000 years—and threatens to destroy it in the next 40.

I was 23 when I almost died in battle.

It was September 26, 1983, around 9:30 in the evening. I was hunched over a manual typewriter in a rented room in Cambridge, England, pounding out the first chapter of my Ph.D. thesis in archaeology. I had just come back from four months of fieldwork in the Greek islands. My work was going well. I was in love. Life was good.

I had no idea that 2,000 miles away, Stanislav Petrov was deciding whether to kill me.

Petrov was the deputy chief for combat algorithms at Serpukhov-15, the nerve center of the Soviet Union’s early-warning system. He was a methodical man, an engineer, a writer of computer code—and not, fortunately for me, a man given to panic. But when the siren went off a little after midnight (Moscow time), even Petrov leaped out of his chair. A red bulb blinked into life on the giant map of the Northern Hemisphere that filled one wall of the control room. It signaled that a missile had been launched from Montana.

Above the map, red letters came to life, spelling out the worst word Petrov knew: “LAUNCH.”

Computers checked and double-checked their data. Again the red lights flashed, this time with more certainty: “LAUNCH—HIGH RELIABILITY.”

You may not be very interested in war, Trotsky is supposed to have said, but war is very interested in you. Cambridge was—and still is—a sleepy university town, far from the seats of power. In 1983, though, it was ringed by air-force bases high on Moscow’s list of targets. If the Soviet General Staff had believed Petrov’s algorithms, I would have been dead within 15 minutes, vaporized in a fireball hotter than the surface of the sun. King’s College and its choir, the cows grazing as punts drifted by, the scholars in their gowns passing the port at High Table—all would have been blasted into radioactive dust.

If the Soviets had launched only the missiles that they were pointing at military targets (what strategists called a counterforce attack), and if the United States had responded in kind, I would have been one of roughly a hundred million people blown apart, burned up, and poisoned on the first day of the war. But that is probably not what would have happened. Just three months before Petrov’s moment of truth, the U.S. Strategic Concepts Development Center had run a war game to see how the opening stages of a nuclear exchange might go. They found that no player managed to draw the line at counterforce attacks. In every case, they escalated to countervalue attacks, firing on cities as well as silos. And when that happened, the first few days’ death toll rose to around half a billion, with fallout, starvation, and further fighting killing another half billion in the weeks and months that followed.

Back in the real world, however, Petrov did draw a line. He later admitted to having been so scared that his legs gave way under him, but he still trusted his instincts over his algorithms. Going with his gut, he told the duty officer that this was a false alarm. The missile-attack message was stopped before it worked its way up the chain of command. Twelve thousand Soviet warheads stayed in their silos; a billion of us lived to fight another day.

A world like this—in which Armageddon hung on shoddy engineering and the snap judgments of computer programmers—had surely gone mad. People cried out for answers, and on both sides of the Iron Curtain the young turned away from aging, compromised politicians toward louder voices. Speaking for a new post-baby-boom generation, Bruce Springsteen took the greatest of the Vietnam-era protest songs—Edwin Starr’s Motown classic “War”—and sent a supercharged cover version back into the top 10:

War!

Huh, good God.

What is it good for?

Absolutely nothing....

War!

Friend only to the undertaker....

***

War is mass murder, and yet, in perhaps the greatest paradox in history, war has nevertheless been the undertaker’s worst enemy. Contrary to what the song says, war has been good for something: over the long run, it has made humanity safer and richer.

There are four parts to the case I will make. The first is that by fighting wars, people have created larger, more organized societies that have reduced the risk that their members will die violently.

This observation rests on one of the major findings of archaeologists and anthropologists over the last century: that Stone Age societies were typically tiny. Chiefly because of the challenges of finding food, people lived in bands of a few dozen, villages of a few hundred, or (very occasionally) towns of a few thousand members. These communities did not need much in the way of internal organization and tended to live on terms of suspicion or even hostility with outsiders.

People generally worked out their differences peacefully, but if someone decided to use force, there were far fewer constraints on him—or, occasionally, her—than the citizens of modern states are used to. Most of the killing was on a small scale, in vendettas and incessant raiding, although once in a while violence might disrupt an entire band or village so badly that disease and starvation wiped all its members out. But because populations were also small, the steady drip of low-level violence took an appalling toll. By most estimates, 10 to 20 percent of all the people who lived in Stone Age societies died at the hands of other humans.

The twentieth century forms a sharp contrast. It saw two world wars, a string of genocides, and multiple government-induced famines, killing a staggering total of somewhere between 100 million and 200 million people. The atomic bombs dropped on Hiroshima and Nagasaki killed more than 150,000 people—probably more people than had lived in the entire world in 50,000 B.C. But in 1945, there were about 2.5 billion people on earth, and over the course of the twentieth century roughly 10 billion lives were lived—meaning that the century’s 100–200 million war-related deaths added up to just 1 to 2 percent of our planet’s population. If you were lucky enough to be born in the industrialized twentieth century, you were on average 10 times less likely to die violently (or from violence’s consequences) than if you were born in a Stone Age society.

This may be a surprising statistic, but the explanation for it is more surprising still. What has made the world so much safer is war itself. The way this worked was that beginning about 10,000 years ago in some parts of the world, then spreading across the planet, the winners of wars incorporated the losers into larger societies. The only way to make these larger societies work was for their rulers to develop stronger governments, and one of the first things these governments had to do, if they wanted to stay in power, was suppress violence within the society.

The men who ran these governments hardly ever pursued policies of peacemaking purely out of the goodness of their hearts. They cracked down on killing because well-behaved subjects were easier to govern and tax than angry, murderous ones. The unintended consequence, though, was that rates of violent death fell by 90 percent between Stone Age times and the twentieth century.

The process was not pretty. Whether it was the Romans in Britain or the British in India, pacifiers could be just as brutal as the savagery they stamped out. Nor was the process smooth: for short periods in particular places, violent death could spike back up to Stone Age levels. Between 1914 and 1918, for instance, nearly one Serb in six died from violence, disease, or starvation. And, of course, not all governments were equally good at delivering peace. Democracies may be messy, but they rarely devour their children; dictatorships get things done, but they tend to shoot, starve, and gas a lot of people. And yet despite all the variations, qualifications, and exceptions, over the 10,000-year-long run, war made governments, and governments made peace.

My second claim is that while war is the worst imaginable way to create larger, more peaceful societies, it is pretty much the only way humans have found. “Lord knows, there’s got to be a better way,” Edwin Starr sang, but apparently there isn’t. If the Roman Empire could have been created without killing millions of Gauls and Greeks, if the United States could have been built without killing millions of Native Americans—in these cases and countless others, if conflicts could have been resolved by discussion instead of force, humanity could have had the benefits of larger societies without paying such a high cost. But that did not happen. It is a depressing thought, but the evidence again seems clear. People hardly ever give up their freedom, including their rights to kill and impoverish each other, unless forced to do so, and virtually the only force strong enough to bring this about has been defeat in war or fear that such a defeat is imminent.

My third conclusion is that as well as making people safer, the larger societies created by war have also—again, over the long run—made us richer. Peace created the conditions for economic growth and rising living standards. This process too has been messy and uneven: the winners of wars regularly go on rampages of rape and plunder, selling thousands of survivors into slavery and stealing their land. The losers may be left impoverished for generations. It is a terrible, ugly business. And yet, with the passage of time—maybe decades, maybe centuries—the creation of a bigger society tends to make everyone, the descendants of victors and vanquished alike, better off. The long-term pattern is again unmistakable. By creating larger societies, stronger governments, and greater security, war has enriched the world.

When we put these three claims together, only one conclusion is possible. War has produced bigger societies, ruled by stronger governments, which have imposed peace and created the preconditions for prosperity. Ten thousand years ago, there were only about 6 million people on earth. On average they lived about 30 years and supported themselves on the equivalent of less than two modern American dollars per day. Now there are more than a thousand times as many of us (7 billion, in fact), living more than twice as long (the global average is 67 years), and earning more than a dozen times as much (today the global average is $25 per day).

War, then, has been good for something—so good, in fact, that my fourth argument is that war is now putting itself out of business. For millennia, war has created peace, and destruction has created wealth, but in our own age humanity has gotten so good at fighting—our weapons so destructive, our organizations so efficient—that war is beginning to make further war of this kind impossible. Had events gone differently that night in 1983—had Petrov panicked, had the general secretary actually pushed the button, and had a billion of us been killed over the next few weeks—the twentieth century’s rate of violent death would have soared back into Stone Age territory, and had the toxic legacy of all those warheads been as terrible as some scientists feared, by now there might have been no humans left at all.

***

Current trends suggest that robots will begin taking over our fighting in the 2040s—just around the time, the trends also suggest, that the United States, the world’s globocop, will be losing control of the international order. In the 1910s, the combination of a weakening globocop (Britain) and revolutionary new fighting machines (dreadnoughts, machine guns, aircraft, quick-firing artillery, internal combustion engines) ended a century of smaller, less bloody wars and set off a storm of steel. The 2040s promise a similar combination. The next 40 years could be the most dangerous in history.

We are already, according to the political scientist Paul Bracken, moving into a Second Nuclear Age. The First Nuclear Age—the Soviet-American confrontation of the 1940s–80s— was scary but simple, because mutual assured destruction produced stability (of a kind). The Second Age, by contrast, is for the moment not quite so scary, because the number of warheads is so much smaller, but it is very far from simple. It has more players than the Cold War, using smaller forces and following few if any agreed-on rules. Mutual assured destruction no longer applies, because India, Pakistan, and Israel (if or when Iran goes nuclear) know that a first strike against their regional rival could conceivably take out its second-strike capability. So far, antimissile defenses and the globocop’s guarantees have kept order. But if the globocop does lose credibility in the 2030s and after, nuclear proliferation, arms races, and even preemptive attacks may start to make sense.

If major war comes in the 2040s or ’50s, there is a very good chance that it will begin not with a quarantined, high-tech battle between the great powers’ computers, space stations, and robots but with nuclear wars in South, Southwest, or East Asia that expand to draw in everyone else. A Third World War will probably be as messy and furious as the first two, and much, much bloodier. We should expect massive cyber, space, robotic, chemical, and nuclear onslaughts, hurled against the enemy’s digital and antimissile shields like futuristic broadswords smashing at a suit of armor, and when the armor cracks, as it eventually will, storms of fire, radiation, and disease will pour through onto the defenseless bodies on the other side. Quite possibly, as in so many battles in the past, neither side will really know whether it is winning or losing until disaster suddenly overtakes it or the enemy— or both at once.

And yet, long-term history also gives us cause for optimism. We have not managed to wish war out of existence, but that is because it cannot be done. We have, however, been extremely good at responding to changing incentives in the game of death. For most of our time on earth, we have been aggressive, violent animals, because aggression and violence have paid off. But in the 10,000 years since we invented productive war, we have evolved culturally to become less violent—because that pays off even better. And since nuclear weapons came into the world in 1945, the incentives in the game have changed faster than ever before, and our reactions have accelerated along with them. As a result, the average person is now roughly 20 times less likely to die violently than the average person was in the Stone Age.

As the returns to violence have declined, we have found ways to solve our problems without bringing on Armageddon.


Ian Morris teaches classics, history, and archaeology at Stanford University. This post is adapted from Ian Morris’s new book, War! What Is It Good For?, to be published April 15 by Farrar, Straus and Giroux publishers.

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