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http://www.sinistrainrete.info Le guerre di aggressione terroristiche e il fallimento del pacifismo istituzionale In un mondo sconvolto da guerre di aggressione sempre più cruente e devastanti, e nel quale la vendetta del terrorismo internazionale fa strage quotidiana di vittime innocenti, occuparsi della pena di morte rischia di apparire un ozioso passatempo filosofico. La vita umana è ferocemente violata sia dalle armi di distruzione di massa, sia dalla logica sanguinaria del "terrorismo globale", in particolare nelle sue forme suicide, efficacissime e sempre più diffuse (1). L'uccisione di persone innocenti sembra accettata e normalizzata: si pensi al cinismo degli "effetti collaterali" inaugurato nel 1999 dalla NATO nella guerra di aggressione contro la Repubblica Federale Jugoslava. Il disprezzo della vita è nei fatti e lo è, ancor più, nella indiscutibile legittimità che le grandi potenze occidentali accordano allo spargimento del sangue di persone che ritengono nemiche. Mai come oggi il potere delle grandi potenze è stato legibus solutus. Oggi l'industria della morte è più che mai fiorente mentre il pacifismo sembra sempre più l'illusione di poche anime candide. Persino l'attuale pontefice romano se ne scorda, mentre non dimentica di riverire i potenti del mondo, abbiano o meno le mani insanguinate. Pochi ricordano che il 16 aprile di due anni fa l'attuale pontefice romano, Benedetto XVI, ha deciso di celebrare il suo ottantunesimo compleanno alla Casa Bianca, mani nelle mani con il presidente George Bush Junior, che gli Stati Uniti possono vantare come il più sanguinario presidente della loro storia. In una atmosfera affettuosa e familiare, attorno ad una imponente torta bianca, il pontefice ha espresso la sua totale adesione al "modello americano" e alla politica dell'amministrazione Bush, responsabile dello sterminio di decine di migliaia di persone innocenti, in particolare, ma non solo, in Iraq e in Afghanistan. "Come i vostri Padri fondatori ben sapevano - ha proclamato il pontefice -, la democrazia può fiorire soltanto quando i leader politici sono guidati dalla Verità" (2). Nulla potrebbe provare più limpidamente l'opportunismo politico della Chiesa cattolica romana, il suo abbandono dei valori evangelici, la squallida decadenza spirituale e soprattutto morale del suo clero (3). Non a caso, negli ultimi anni della sua vita, padre Ernesto Balducci aveva annunciato la fine del cattolicesimo e del cristianesimo. Nel suo ultimo libro, che aveva intitolato La terra del tramonto (4) riecheggiando la nozione di Land des Abends di Heidegger e di Nietzsche, aveva sostenuto che sia il cristianesimo che la modernità occidentale si dibattevano ormai in una agonia irreversibile. Non si trattava di riformare le strutture autoritarie e sontuose della Chiesa romana, denunciare la vacuità ridondante dei suoi riti e la lontananza della sua teologia dalle istanze più profonde del Vangelo, a cominciare dalla ricerca della pace. Occorreva dichiararne senz'altro l'imminente, provvidenziale tramonto. La pace è molto lontana. La produzione e il traffico delle armi da guerra oggi è fuori dal controllo della cosiddetta "comunità internazionale" e delle sue fallimentari istituzioni. E l'uso delle armi dipende dalla "decisione di uccidere" che attori statali e non statali prendono secondo le proprie convenienze. Sentenze di morte collettiva vengono emesse al di fuori di qualsiasi procedura legale, contro migliaia di persone non responsabili di alcun illecito, né di alcuna colpa. La morte, la mutilazione dei corpi, la tortura, il terrore, fanno parte di una cerimonia letale che non sembra più suscitare alcuna emozione. Il patibolo globale offre uno spettacolo quotidiano così monotono da essere ormai tedioso per le grandi masse televisive. Nello stesso tempo, l'uccidere in nome del potere pubblico è tornato ad essere all'interno degli Stati un ruolo nobile e ambito. Sotto l'aspetto della retribuzione, del rango sociale, del riconoscimento pubblico, i carnefici e i mercenari sono degni di rispettosa considerazione, negli Stati Uniti come in Iran, come in Cina. Nonostante il generoso ma sterile attivismo dei fautori dei diritti dell'uomo e la retorica umanitaria con la quale le grandi potenze occidentali hanno in più occasioni giustificato il loro illegale ricorso all'uso della forza - si pensi anzitutto alla guerra per il Kosovo del 1999, all'aggressione all'Afghanistan del 2001 e a quella all'Iraq del 2003 -, nel mondo globalizzato un numero crescente di persone vengono assassinate, imprigionate, torturate, rapite o ridotte in schiavitù. Le stragi sono favorite dallo sviluppo planetario di tecnologie di controllo e spionaggio elettronico e dalla produzione di armi di distruzione di massa sempre più sofisticate e micidiali. E un contributo significativo viene offerto dai contractors, le milizie mercenarie che integrano le truppe regolari nelle operazioni terrestri e finiscono per costituire delle vere e proprie forze armate ausiliarie, il cui peso relativo è più che raddoppiano in meno di vent'anni. In Afghanistan il numero dei contractors ha addirittura superato quello delle truppe statunitensi (5). Nello stesso tempo i processi di globalizzazione tendono a gerarchizzare ulteriormente i rapporti internazionali emarginando le istituzioni politiche internazionali - le Nazioni Unite, anzitutto - e ponendo al vertice della gerarchia del potere mondiale un direttorio di potenze industriali, egemonizzate dagli Stati Uniti d'America. Il fallimento del pacifismo autocratico delle Nazioni Unite e dei Tribunali penali internazionali ad hoc, che il Consiglio di Sicurezza ha creato dal nulla per volontà degli Stati Uniti, è sotto gli occhi di tutti. È sufficiente, per provarlo, una rapida rassegna delle guerre di aggressione scatenate dalle potenze occidentali - soprattutto dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna - a partire dai primi anni novanta del secolo scorso e sino alla guerra in Afghanistan, tuttora in atto per volontà del nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Si tratta di guerre di aggressione che, come vedremo, possono essere definite esse stesse "terroristiche", sia per la violenza sanguinaria con cui sono state condotte e vengono tuttora condotte dalle potenze occidentali, sia perché esse stesse sono responsabili della replica terroristica da parte dei paesi aggrediti, martoriati, militarmente occupati, in particolare i paesi islamici del Medio oriente e dell'Asia sud-occidentale. Il terrorismo di matrice islamica ha risposto alle "guerre umanitarie" e alle "guerre preventive" dell'Occidente con l'arma del martirio suicida, e si può pertanto sostenere che oggi il terrorismo è il cuore della "guerra globale" che è stata scatenata dal mondo occidentale. E il terrorismo è una delle ragioni del diffondersi nel mondo occidentale dell'insicurezza e della paura, e della crescente richiesta di protezione poliziesca e di rigore repressivo. Il tramonto dei diritti umani e della democrazia coincide con il tramonto della solidarietà, del senso comunitario, della disposizione al dialogo con i "diversi": è un tramonto globale che oscura inesorabilmente con le sue ombre il nobile ideale bobbiano della sintesi fra diritti, democrazia e pace. Negli ultimi due decenni gli eccidi hanno colpito quasi esclusivamente civili indifesi. Si è trattato di guerre di aggressione "ineguali" (6), nelle quali l'uso di armi di distruzione di massa ha reso irresistibile il potere degli aggressori e senza speranza la difesa degli aggrediti. Le aggressioni hanno comportato la devastazione terroristica della vita e dei beni di un numero elevatissimo di persone, mentre gli aggressori hanno subito perdite molto limitate. Il terrorismo degli aggressori si è autogiustificato in nome dell'ordine globale, della guerra contro il global terrorism e soprattutto della difesa dei diritti umani. In realtà, la tutela dei diritti umani è stata mistificata e tradita dalla violenza omicida degli aggressori, ai quali è stata garantita una impunità assoluta (7) La guerra del Golfo del 1991 e le guerre successive scatenate contro la Repubblica Federale Jugoslava, l'Afghanistan, l'Iraq, il Libano, la Palestina, possono essere assunte come l'archetipo della guerra di aggressione terroristica, abilmente coperta sotto le vesti della guerra umanitaria. Humanitarian intervention è stata l'etichetta usata dagli Stati Uniti e dalla NATO nella guerra di aggressione del 1999 contro la Repubblica Federale Jugoslava: una guerra motivata dal dovere etico di liberare la minoranza kosovaro-albanese dal presunto genocidio ordito in Kosovo dalla Serbia e dal suo leader Slobodan Milošević (8). Prescindendo da qualsiasi autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la guerra della NATO era continuata senza interruzioni per 78 giorni causando migliaia di vittime serbe (9). A conclusione dell'intervento gli Stati Uniti hanno costruito nel cuore del Kosovo la base militare di Camp Bondsteel, una base che oggi ospita circa 7.000 uomini ed è quasi certamente dotata di armi nucleari (10). E ad analoghe motivazioni sono ricorsi gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati per giustificare una serie di interventi militari "preventivi", non autorizzati dal Consiglio di Sicurezza: fra questi la guerra contro l'Afghanistan del 2001 e la guerra contro l'Iraq del 2003. Si è trattato anche in questi casi di conflitti asimmetrici, nei quali gli strumenti di distruzione di massa sono stati usati dalle potenze occidentali per fare strage di civili inermi, per diffondere il terrore, per distruggere le strutture civili e industriali di intere città e di interi paesi (11). Per quanto riguarda la guerra contro l'Afghanistan è doveroso ricordare che l'effetto terroristico a carico della popolazione civile è stato ottenuto dagli aggressori grazie all'uso di armi potentissime: le devastanti cluster bombs, le bombe "taglia-margherite" (daisy-cutter) di sette tonnellate di peso e il micidiale Predator, drone fornito di missili Hellfire. E occorre ricordare che il territorio afghano è tuttora infestato da circa otto milioni di mine antiuomo, in parte di produzione italiana, alle quali si sono aggiunti gli ordigni sparsi sul territorio dalle cluster bombs sganciate dagli Stati Uniti (12). A proposito della guerra "preventiva" scatenata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna contro l'Iraq nel 2003 non si possono non ricordare le falsificazioni che l'hanno motivata, l'uso massiccio di mezzi di distruzione di massa, le stragi di decine di migliaia di militari e di civili, il saccheggio delle risorse energetiche, la frammentazione del territorio, l'inaudita vergogna del carcere di Abu Ghraib, l'ignobile processo penale che ha portato all'impiccagione del dittatore Saddam Hussein, lo sterminio di civili realizzato nel novembre 2004 con l'uso del napalm e del fosforo bianco nella città di Fallujah (13). Poche righe, infine, possono bastare per mettere in luce il terrorismo bellico dello Stato di Israele. Non diversamente che in Palestina, i bombardamenti israeliani sul Libano dell'estate del 2006 hanno diffuso morte, terrore, distruzione e miseria, nella più assoluta impunità. La ferocia degli aggressori si è spinta fino a usare contro la popolazione libanese anche armi non convenzionali (14). Per quanto riguarda infine l'operazione "Piombo fuso" contro la popolazione misera, disperata e inerme della striscia di Gaza - l'operazione si è protratta dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 - si è trattato di una carneficina che solo un odio ferocemente razzista e sanguinario può aver motivato (15). Non ci sarà pace fra arabi ed israeliani e non ci sarà pace nel mondo, come hanno sostenuto l'ebreo Martin Buber e il palestinese Edwar Said, finché non ci sarà il riconoscimento reciproco della stretta connessione della loro storia e del loro destino (16). Ma occorre tenere presente, come Buber ha sostenuto qualche decennio fa, che oggi stiamo vivendo l'inizio della crisi più grave dell'umanità. Essa non è soltanto la crisi di un sistema economico e sociale che potrà essere soppiantato da un altro sistema. La crisi attuale mette in discussione l'essere dell'uomo nel mondo. Molte epoche fa, la creatura umana si è posta in cammino: sia dal punto di vista della natura, sia dal punto di vista spirituale l'uomo è una anomalia pressoché incomprensibile e forse unica. Da entrambi i punti di vista l'esistenza umana è, per sua natura, gravemente minacciata dall'esterno e dall'interno, ed è esposta ad ogni istante a crisi sempre più profonde. Tutto quello che si usa chiamare progresso del genere umano non cammina affatto su una strada sicura e aperta: deve posare un piede dopo l'altro su uno stretto crinale fra gli abissi (17). Le guerre che gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati occidentali hanno condotto nell'arco di tempo che va dalla Guerra del Golfo del 1991 all'aggressione dell'Iraq nel 2003 - con al centro l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001 - offrono una conferma sorprendente della "profezia apocalittica" annunciata da Carl Schmitt in una serie di saggi degli anni trenta e in particolare nell'opus magnum Der Nomos der Erde (18). È l'annuncio di una guerra globale sottratta a ogni controllo e limitazione giuridica, nella quale una grande potenza neo-imperiale si sarebbe schierata non solo e non tanto contro singoli Stati, quanto contro organizzazioni di "partigiani globali" che avrebbero operato su scala mondiale usando gli strumenti e perseguendo gli obiettivi di una guerra civile senza fine. La profezia schmittiana trova singolare conferma - diretta o indiretta - in una serie di circostanze che oggi sono di eccezionale rilievo. Esse riguardano la fine della "guerra moderna"; l'impotenza delle istituzioni politiche internazionali, in primis le Nazioni Unite e le Corti penali internazionali; la nullità normativa e applicativa del diritto internazionale nel suo complesso e in particolare per quanto riguarda il contenimento della violenza bellica; l'affermarsi del modello di una "guerra globale" terroristica (grazie allo sterminio intenzionale e sistematico della popolazione civile), e senza limiti di tempo (a long war); l'emergere della possibilità di una guerra spaziale alla quale si stanno preparando soprattutto gli Stati Uniti e la Cina; infine, il tramonto di una qualsiasi realistica prospettiva di pace fra i popoli. La "guerra moderna" prevedeva le dichiarazioni di guerra e i trattati di pace, definiva regole e procedure formali per la disciplina delle condotte belliche, sanciva il diritto alla neutralità degli Stati terzi, e quindi alla loro inviolabilità. Numerosi trattati bilaterali e multilaterali - sino alle Convenzioni dell'Aja del 1949 e ai successivi protocolli - avevano il fine di proteggere le vittime della guerra e in particolare i civili non combattenti e di vietare l'uso di armi inutilmente distruttive e pericolose. Nel corso del Novecento il problema del numero crescente delle vittime civili della guerra - e quello della sproporzione fra gli obiettivi militari e l'ampiezza delle stragi e delle distruzioni - si è fatto sempre più rilevante. Le conseguenze umane e sociali della guerra si sono prolungate ben oltre il conflitto armato: mutilazioni permanenti, scomposizione della vita familiare, miseria, corruzione, violenza, odio, prostituzione, devastazioni ambientali, inquinamento sono state le sempre più gravi conseguenze. Il vecchio modello della guerra terrestre fra eserciti che si affrontavano sui campi di battaglia - ancora operante nella prima e nella seconda guerra mondiale - è stato del tutto superato. La guerra fra Stati si è estesa al mare, agli oceani e al cielo, e ha fatto uso di strumenti di distruzione di massa sempre più sofisticati e micidiali. Anche lo spazio extraterrestre, come vedremo, è stato alla fine coinvolto. Le vecchie norme dello jus in bello che imponevano la discriminazione fra civili e combattenti (e la proporzione fra i vantaggi e le devastazioni della guerra) sono state sempre meno applicate sino a diventare del tutto inutili e inapplicabili. Le guerre sono diventate sempre più asimmetriche e non territoriali: finalizzate alla distruzione terroristica di un nemico incapace di difendersi e, nello stesso, orientate non alla espansione territoriale del paese vincitore ma al controllo globale delle relazioni politico-militari ed economiche. I primi attori di questo nuovo tipo di guerra - aggressiva, asimmetrica, terroristica, senza limiti di tempo - sono stati ovviamente gli Stati Uniti d'America, orientati a dominare il mondo intero, grazie alle centinaia di basi militari di cui dispongono in tutti i continenti e alla loro insuperabile potenza nucleare. In questi ultimi decenni, in altre parole, si è sviluppato un processo di transizione dalla "guerra moderna" alla "guerra terroristica globale", con al centro il ricorso da parte delle potenze occidentali alle nozioni di "guerra umanitaria" e di "guerra preventiva", concepite e praticate, in particolare dagli Stati Uniti, contro i cosiddetti rogue states e le organizzazioni del global terrorism. Il recupero dell'ideologia della "guerra giusta" come una guerra del bene contro l'"asse del male", secondo la visione provvidenzialistica ereditata dal puritanesimo e dal calvinismo, ha consentito agli Stati Uniti di motivare le stragi di persone innocenti non sulla base di interessi di parte, ma da un punto di vista superiore e imparziale, in nome di valori come la libertà, la democrazia, i diritti umani, l'economia di mercato. Questa transizione alla guerra terroristica globale non ha riguardato soltanto la morfologia bellica, e cioè la sua estensione strategica e la sua potenzialità distruttiva, che hanno assunto entrambe dimensioni planetarie. Strettamente connessa è stata una vera e propria eversione del diritto internazionale vigente, dovuta all'incompatibilità della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale generale con le guerre di aggressione e con il terrorismo. Di fronte al costante espandersi del fenomeno bellico nelle sue forme terroristiche le Nazioni Unite sono state costrette a pure funzioni adattive e di supina legittimazione a posteriori dello status quo imposto dalle grandi potenze attraverso l'uso della forza. L'affermazione del militarismo umanitario e preventivo praticato dagli Stati Uniti e dai loro più stretti alleati ha portato ad un vero e proprio collasso dell'ordinamento giuridico internazionale che è nello stesso tempo causa e conseguenza della paralisi delle Nazioni Unite. Rebus sic stantibus non è esagerato parlare di un fallimento di quel "pacifismo giuridico" che da Kant a Kelsen, a Bobbio, ad Habermas ha indicato nel diritto e nelle istituzioni internazionali gli strumenti principali - se non addirittura esclusivi - per la realizzazione della pace e per la tutela dei diritti fondamentali. Mai come oggi la formula kelseniana - peace through law - è apparsa un'illusione illuministica, con il suo ottimismo normativo e il suo ingenuo universalismo cosmopolitico (19). Dalla fine del bipolarismo ad oggi le potenze occidentali non solo hanno usato arbitrariamente la forza militare, ma hanno esplicitamente contestato l'ordinamento giuridico internazionale in nome di un loro incondizionato jus ad bellum. Ne è una prova lampante la feroce discriminazione praticata del tutto illegalmente dagli Stati Uniti nei confronti di nemici fatti prigionieri nel corso di guerre "umanitarie" o preventive. Essi non sono stati riconosciuti neppure quali "prigionieri di guerra" secondo le prescrizioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 (20) e sono stati sottoposti agli orrori delle prigioni di Guantánamo, di Abu Ghraib, di Bagram, oltre che all'uso diretto della tortura nel corso delle extraordinary renditions praticate dalla CIA. A questo bilancio fallimentare non si è sottratto il revival della giurisdizione penale internazionale, concepita ad hoc negli anni novanta secondo il "modello di Norimberga" e cioè secondo la logica della degradazione morale del nemico sconfitto e dell'esaltazione propagandistica dell'eccellenza morale dei vincitori (21). Esemplare è stato il caso del Tribunale penale internazionale dell'Aja per la ex Jugoslavia, voluto, finanziato e militarmente assistito dagli Stati Uniti, che ha operato e opera tuttora come una servile longa manus giudiziaria delle autorità politiche e militari della NATO. D'altra parte, in presenza di una concentrazione crescente del potere internazionale che sta portando a qualcosa di molto simile ad una piramide imperiale del mondo, una corte penale internazionale non può che essere uno strumento partigiano nelle mani delle grandi potenze. Non può che esercitare la "giustizia dei vincitori" per la quale, secondo la celebre formula di Radhabinod Pal "solo la guerra persa è un crimine internazionale" (22). Se un tribunale internazionale tentasse di sottrarsi a questo ruolo di subordinazione supina, come è in qualche modo accaduto nel caso della Corte penale internazionale dell'Aja, la sua funzione giurisdizionale verrebbe eo ipso ostacolata e poi annullata. Come ho accennato, si sta sempre più profilando una nuova dimensione della "guerra terroristica globale" ed è la guerra nello spazio extraterrestre. È noto che gli Stati Uniti sono sempre più impegnati nella conquista militare dello spazio. Il documento programmatico U.S. National Space Policy, sottoscritto nell'agosto 2006 dal presidente George Bush, illustra quale sarà la strategia degli Stati Uniti in materia di difesa bellica spaziale: non faranno altro che impedire l'accesso allo spazio a chiunque "sia ostile agli interessi degli Stati Uniti" (23). Il proposito è di rafforzare la leadership statunitense nello spazio e assicurarsi una piena disponibilità della dimensione extraterrestre per perseguire obiettivi di sicurezza economica, nazionale e internazionale. A questo fine gli Stati Uniti si riservano il diritto di impedire, dissuadere o negare l'uso dello spazio a chiunque essi giudichino un avversario che non asseconda i loro interessi. Il tutto è stato deciso dalla superpotenza americana unilateralmente, senza consultazioni, senza accordi internazionali e senza trattati che le leghino le mani e, naturalmente, senza il minimo riferimento alle istituzioni politiche internazionali, le Nazioni Unite incluse, e al diritto internazionale generale. È altrettanto noto che i possibili avversari al quale il documento programmatico fa implicito riferimento sono sia la Russia sia, e soprattutto, la Cina, la grande potenza emergente che ha dato prova di essere in grado di individuare e distruggere le centinaia di satelliti statunitensi, dai quali dipende gran parte della forza militare degli Stati Uniti, dalla navigazione in mare a quella aerea, dal puntamento delle artiglierie alle comunicazioni fra unità combattenti e alla guida a lunghissima distanza dei droni, aerei senza piloti provvisti di missili. La stessa aviazione militare lavora da tempo alla costruzione di centinaia di "minisatelliti killer", oltre che di un aereo ipersonico - il progetto Falcon - capace di liberarsi dall'attrazione terrestre, di orbitare e di piombare sull'obbiettivo in un'ora di volo partendo da qualsiasi punto della terra. E nello spazio ci sarebbe posto anche per veicoli senza uomini a bordo, destinati a orbitare a lungo sopra obiettivi e zone di operazione. Si tratta insomma di una vera e propria "guerra spaziale" che l'impero statunitense si prepara a vincere cosi come l'impero romano si era preparato a vincere la guerra sul mare. Queste realtà irrefutabili si compongono in uno scenario di normalizzazione della guerra di aggressione e della sua natura terroristica nelle forme più spietate e meno passibili di regolazione giuridica. E non va dimenticato che al terrorismo delle guerre di aggressione si somma la replica sanguinaria del global terrorism che molto probabilmente si estenderà prima o poi anche alla dimensione spaziale. Un panorama crudele e disarmante come questo non può che autorizzare, in nome del realismo politico, previsioni di un radicale pessimismo, se non di un disperato nichilismo politico e morale. Un progetto di pacificazione del mondo richiederebbe la costruzione di un regionalismo policentrico e multipolare e un rilancio della negoziazione multilaterale fra gli Stati come fonte normativa e legittimazione dei processi di integrazione regionale. E tutto questo richiederebbe un'impietosa riflessione autocritica sulle radici dell'orrore che l'Europa e l'Occidente si sono rivelati capaci di produrre in un recente passato - dalle guerre coloniali ai Lager nazisti e l'Olocausto, a Hiroshima e Nagasaki - e si mostrano ancora oggi capaci di produrre. E occorrerebbe una cultura politica europea orientata a un dialogo paritetico con le altre civiltà, a cominciare dal mondo arabo-islamico, in modo da fare del Mediterraneo, oggi epicentro incandescente del conflitto mondiale, un crocevia della pace. Ma aspettarsi tutto questo come possibile in un prossimo futuro è "vile ottimismo" come prova la supina dipendenza dell'Europa dagli Stati Uniti e come dimostra ormai da due decenni la volontà di dominio della superpotenza americana e la strategia terroristica che essa ha concepito e praticato e sta tuttora praticando in Afghanistan, l'area del mondo che il nuovo presidente degli Stati Uniti ha individuato come la culla del terrorismo islamico. È probabile che questa strategia bellica di natura terroristica stia raggiungendo il suo culmine in Afghanistan proprio con l'operazione militare Strike of the Sword, decisa con eccezionale tempestività ai primi di luglio del 2009 dal nuovo presidente Barack Obama. Si è trattato della più imponente operazione di invio di truppe avio-trasportate dai tempi del Vietnam. Le nuove truppe, che si sono aggiunte ai circa 9.000 soldati statunitensi appena inviati - in totale è previsto il dispiegamento di 30 mila rinforzi da aggiungere ai 130.000 uomini delle forze Isaf-Nato già impegnate nella guerra - è destinata a fare strage dei Taliban (in realtà dell'etnia Pashtun) nel profondo sud-ovest dell'Afghanistan. La politica estera del nuovo presidente sembra perfettamente coincidere con quella del suo predecessore, George Bush. Sopravvive l'ideologia del monoteismo imperiale, sostenuta dal classico assunto cosmopolitico del necessario declino delle sovranità nazionali e dell'emergere di un mondo globalizzato sotto la responsabilità e la guida di una sola superpotenza. Si pensi che, nonostante gli sia stato attribuito il premo Nobel per la Pace, il presidente Obama si è rifiutato di sottoscrivere il trattato che impegna gli Stati aderenti a non produrre e a non usare mine anti-uomo (24). E Barack Obama è corresponsabile anche dei gravissimi crimini di guerra costantemente compiuti dalle armate inviate nel sud dell'Afghanistan. I militari impediscono sistematicamente e intenzionalmente, bloccando macchine e ambulanze, che i Pashtun, anche gravemente feriti, vengano soccorsi negli ospedali di Emergency, come Gino Strada ha pubblicamente denunciato più volte, dichiarando il suo radicale pessimismo circa gli esiti della guerra. A suo parere l'intervento crescente delle truppe statunitensi in Afghanistan è destinato non portare la pace nel cuore dell'Asia, ma al contrario ad alimentare una guerra senza fine e sempre più sanguinaria (25). Nonostante lo stile accattivante del nuovo presidente e l'autentico entusiasmo che la sua apertura al mondo islamico aveva suscitato - il suo discorso tenuto al Cairo nel giugno dello scorso anno aveva infiammato mezzo mondo - resta il fatto che egli continua a dichiararsi convinto che sarà una vittoria militare a restituire la pace al popolo afghano e all'intera area mediorientale, inclusa la Palestina (26). È legittimo temere che la strada imboccata dal presidente Obama e dal Segretario di Stato Hillary Clinton sia destinata a portarci verso nuovi, pericolosissimi conflitti, coinvolgendo sia le potenze regionali emergenti nel continente asiatico, sia lo Stato di Israele e i paesi islamici, non esclusi l'Iran e la Siria. Il tramonto è globale: i diritti umani, la democrazia, la pace stanno irrimediabilmente tramontando tra le fitte nubi della globalizzazione e delle guerre terroristiche che trascina con sè, e che impediscono di intravedere il filo di luce di una possibile aurora. Trionfano la fame, il patibolo e la guerra. Il pessimismo globale è senza alternative. Il pessimismo è la saggezza degli uomini coraggiosi che amano intensamente la vita propria e la vita degli altri, guardano la morte in faccia e non sanno che farsene del paradiso. Sono cristiani senza dio. ____________________________________ Note 1. Sul tema si veda R. Pape, Dying to Win: The Strategic Logic of Suicide Terrorism, New York, Random House, 2005, trad. it. Bologna, Il Ponte, 2007. 2. Cfr. Il magistero di Benedetto XVI. 3. Secondo alcuni autori lo scandalo della diffusa pedofilia dei preti cattolici sta creando tensioni dentro la chiesa e potrebbe persino portare ad una scissione. Molti cattolici non sopportano l'arroganza della gerarchia romana. In fondo, si osserva, le condizioni che indussero Martin Lutero alla scissione non erano più gravi e più intollerabili di quelle di oggi. Lo stupro di diecine di migliaia di bambini e di bambine è assai di più della vendita delle indulgenze e della corruzione dei palazzi apostolici; cfr. Piero Ancona, Gli orchi del Papa, 27/03/2010. 4. Si veda E. Balducci, La terra del tramonto, S. Domenico di Fiesole, Cultura della pace, 1992. 5. Cfr. A. Dal Lago, Le nostre guerre. Filosofia e sociologia dei conflitti armati, Roma, Manifestolibri, 2010, pp. 150-1. 6. Si veda A. Colombo, La guerra ineguale. Pace e violenza nel tramonto della società internazionale, Bologna, il Mulino, 2006. 7. Per "guerra di aggressione" intendo un attacco militare unilaterale deciso da uno Stato (o da una alleanza fra Stati) contro la sovranità, l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di un altro Stato o di una nazione che aspiri legittimamente a diventare Stato. L'uso della forza militare non legittimato da una esplicita decisione del Consiglio di Sicurezza, e non sottoposto al suo superiore controllo, integra gli estremi di quello che il Tribunale di Norimberga aveva definito e sanzionato come "crimine internazionale supremo". Ma le grandi potenze sono riuscite a neutralizzare la nozione di "aggressione" attraverso riformulazioni interpretative ad hoc, fondate su una deliberata alterazione della nozione di "difesa" prevista dall'art. 51 della Carta della Nazioni Unite. 8. Se il potere delle armi viene usato per fare giustizia - ha proclamato solennemente il giurista statunitense Michael Glennon -, il diritto seguirà : "The higher, grander goal that has eluded humanity for centuries - the ideal of justice baked by power - should not be abandoned. If power is used for do justice, law will follow", cfr. M.J. Glennon, "The New Interventionism. The Search for a Just International Law", Foreign Affairs, 78 (1999), 3, p. 7. 9. L'aggressione ha comportato oltre diecimila missioni d'attacco da parte di circa mille aerei alleati e l'uso di oltre 23 mila ordigni esplosivi, fra missili e bombe, senza contare i proiettili all'uranio impoverito. I bombardieri A10 tank-buster, in dotazione degli Stati Uniti, hanno sganciato sul territorio jugoslavo oltre trentamila di questi proiettili altamente contaminanti e letali. Gli attacchi aerei della NATO hanno inoltre provocato centinaia di vittime civili grazie ad "effetti collaterali" del tutto volontari perché dovuti all'altissima quota dalla quale, per ragioni di "sicurezza", missili e bombe venivano sganciati dagli aerei statunitensi. 10. Sul tema mi permetto di rinviare alla mia monografia Invoking Humanity. War, Law and Global Order, London-New York, Continuum, 2002, pp. 136-41. 11. La prima Guerra del Golfo, del 1991, ha mobilitato oltre mezzo milione di uomini e di donne della forza statunitense, alla quale si sono aggiunti i reparti alleati in una spedizione militare fra le più imponenti nella storia dell'umanità. La guerra ha comportato non meno di centomila azioni di bombardamento - una ogni trenta secondi - e lo sganciamento sul territorio iracheno di oltre ottantamila tonnellate di bombe, senza contare i missili lanciati da terra, dal cielo e dal mare. È stato calcolato che nel corso dei quarantadue giorni della guerra è stata utilizzata una quantità di esplosivo superiore a quella usata dagli Alleati durante la Seconda guerra mondiale 12. La conseguenza è che, al nord come al sud del paese, l'uccisione, il ferimento, la mutilazione dei corpi - anche di bambine e di bambini - è in costante aumento, come sanno i medici e i chirurghi di Emergency. 13. È quanto è emerso da un'inchiesta di "Rainews 24", Fallujah. La strage nascosta, realizzata dal giornalista Sigfrido Ranucci, nella quale, con testimonianze di ex militari statunitensi, sono stati mostrati anche documenti filmati del bombardamento al fosforo e dei loro effetti non solo sui resistenti iracheni, ma anche su civili, donne e bambini. 14. È stato confermato da numerose testimonianze, inclusa quella del presidente libanese Emile Lahoud e di un rapporto di Human Rights Watch, che i bombardieri israeliani hanno fatto uso, oltre che delle famigerate cluster bombs, anche di bombe a implosione. Si tratta di bombe termo-bariche già usate dagli Stati Uniti nella guerra del Golfo del 1991 e in Afghanistan. Questi ordigni sono considerati quasi-nucleari poiché, a parte le radiazioni, producono gli stessi effetti di una deflagrazione nucleare di raggio limitato. 15. E anche in questo caso lo sterminio di persone innocenti è stato compiuto in un rapporto di assoluta asimmetria bellica: da una parte il più potente esercito del Medio Oriente, Tsahal, dotato di armi sofisticate e micidiali, comprese le bombe al fosforo; dall'altro lato dei combattenti impegnati nella difesa disperata della propria terra con armi leggere e razzi artigianali. E anche in questo caso si è verificata una sproporzione terroristica fra le perdite degli aggressori e quelle degli aggrediti: da una parte l'eccidio della popolazione palestinese - oltre 1400 morti, fra i quali circa 400 bambini e 150 donne - e dall'altra le esigue perdite israeliane: dieci soldati e tre civili. I bambini palestinesi sono stati uccisi mentre giocavano all'aperto, le donne e gli anziani sono stati falciati mentre cercavano cibo e acqua, o tentavano di trovare un rifugio. Medici e infermieri sono stati assassinati mentre portavano soccorso ai feriti. 16. Sul tema mi permetto di rinviare al mio saggio "La questione mediterranea", in apertura del volume F. Cassano, D. Zolo (a cura di), L'alternativa mediterranea, Milano, Feltrinelli, 2007, in particolare alle pagine 52-8. 17. Cfr. M. Buber, Pfade in Utopia, Heidelberg, Verlag Lambert Schneider, 1950, trad. it. Sentieri in Utopia, Milano, Comunità 1967, p. 163. 18. In Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum (1950), Berlin, Duncker & Humblot, 1974, trad. it. Il nomos della terra, Milano, Adelphi, 1991, Schmitt riprende sia la critica dell'universalismo wilsoniano (trad. it., pp. 390-91), sia il tema della emarginazione della "vecchia Europa" da parte dell'"emisfero occidentale" americano (ivi, pp. 368-87). Rinvio al mio saggio "La profezia della guerra globale", introduzione a C. Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra, a cura di S. Pietropaoli, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. V-XXXII. (edizione originale: C. Schmitt, Die Wendung zum diskriminierenden Kriegsbegriff (1938) Berlin, Duncker & Humblot, 2003). 19. Si veda H. Kelsen, Peace through Law, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 1944 (II ed. New York, Garland Publishing, Inc., 1973, trad. it. Torino, Giappichelli, 1990). 20. Si veda la Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei Prigionieri di Guerra, adottata il 12 agosto 1949 dalla Conferenza Diplomatica per l'instaurazione delle Convenzioni Internazionali per la protezione delle Vittime di Guerra, ed entrata in vigore (almeno formalmente) il 21 ottobre 1950. 21. Mi permetto di rinviare ancora al mio La giustizia dei vincitori, cit., pp. 140-67. 22. Cfr. R.B. Pal, "The Dissenting Opinion of the Member for India", in R.J. Pritchard, S. Magbanua Zaide (a cura di), The Tokyo War Crimes Trial: The Comprehensive Index and Guide to the Proceedings of the International Military Tribunal for the Far East, New York & London, Garlard Publishing Inc., 1987, vol. 21, p. 128 ("Quando si esaminerà a fondo la condotta delle nazioni, si scoprirà che esiste una legge per cui solo la guerra persa è un crimine internazionale"). Il corsivo è nel testo originale. 23. Si veda U.S. National Space Policy, in National Security Presidential Directives. Sul tema si vedano i commenti giornalistici: A. Flores D'Arcais, "Lo spazio è americano", La Repubblica, 19/10/2006, p. 16; V. Zucconi, "Con le 'guerre extraterrestri' Bush supera il sogno di Reagan", ivi, p. 17; F. Mini, "Quando la sicurezza diventa ossessione", La Repubblica, 24/10/2006, p. 55. 24. L'amministrazione Obama ha deciso di non firmare il Trattato internazionale che vieta la produzione di mine anti-uomo, la loro vendita e il loro uso. Il governo statunitense ha deciso di proseguire la politica di George W. Bush sulla materia. "Abbiamo deciso che la nostra politica sulle mine resti invariata", ha riferito il portavoce Ian Kelly. Oltre 150 paesi hanno invece ratificato la convenzione. Le mine anti-uomo hanno ucciso circa 1.300 persone nel mondo l'anno scorso, ferendone 4.000. 25. Si veda: "Gino Strada: crimini di guerra in Afghanistan", 03/03/2010. 26. Per una severa critica della sostanziale inerzia del presidente Obama di fronte alla tragedia palestinese si veda l'intervento di Gideon Levy, "L'America di Obama non mantiene le promesse", Haaretz , 14/08/2009.
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