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http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/A-mass-expression-of-outrage-against-injustice
02/25/2011 16:15

Un'espressione di indignazione di massa contro l'ingiustizia
By David Horovitz

Lo storico Bernard Lewis identifica le cause fondamentali dell’esplosione di protesta nella regione, e respinge le nozioni occidentali di soluzione rapida.

Bernard Lewis, il noto studioso di islamismo, ritiene che alla base delle proteste che imperversani in tutta la nostra regione ci sia il diffuso senso di ingiustizia dei popoli arabi. "Il tipo di regimi autoritari, persino dittatoriali, che governano la maggior parte dei paesi del moderno Medio Oriente islamico, sono una creazione moderna", osserva. "I regimi pre-moderni erano molto più aperti, più tolleranti."

Lewis considera il precipitare verso elezioni di tipo occidentale, lungi dal rappresentare una soluzione alle difficoltà della regione, in quanto costituisce un aggravamento pericoloso del problema, e teme che i movimenti islamici radicali sarebbero nella posizione migliore per sfruttare in modo maldestro l’opportunità elettorale. Molto meglio, dice, sarebbe incoraggiare lo sviluppo graduale di istituzioni, di autogoverno locale, in conformità con la tradizione islamica della "consultazione".

Lewis ritiene inoltre che non è un caso che i disordini in corso siano scoppiata prima in Tunisia, l'unico paese arabo, egli osserva, dove le donne svolgono un ruolo significativo nella vita pubblica. Il ruolo delle donne nel determinare il futuro del mondo arabo, dice, sarà fondamentale.

Una volta descritto come il più influente storico del dopoguerra dell'Islam e del Medio Oriente, Lewis, 94 anni, espone il suo pensiero sull’attuale fermento Mediorientale, in una conversazione con me prima di affrontare il pubblico di invitati a casa dell'Ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, James Cunningham, pochi giorni fa.

Estratti:

L’attuale ondata di proteste nella regione indica che, in realtà, le masse arabe vogliono la democrazia? Ed è ciò a cui stiamo assistendo dispiegarsi oggi?

Le masse arabe sicuramente vogliono il cambiamento. E vogliono migliorare. Ma quando dici che vogliono la democrazia, è una domanda più difficile a cui rispondere. Che cosa significa democrazia? E' una parola che viene usata con significati molto diversi, anche in diverse parti del mondo occidentale. Ed è un concetto politico che non ha storia nel mondo arabo islamico.

In Occidente, si tende a preoccuparsi eccessivamente delle elezioni, per quanto riguarda il loro svolgimento, come la più pura espressione della democrazia, il culmine del processo di democratizzazione. Beh, può essere vero il culmine del processo. Ma il processo può essere lungo e difficile. Si consideri, per esempio, che la democrazia era abbastanza nuova in Germania nel periodo tra le due guerre e Hitler è salito al potere con elezioni libere ed eque.

Noi, nel mondo occidentale in particolare, pensiamo alla democrazia nei nostri termini, che è naturale e normale, le elezioni periodiche nel nostro stile hanno un senso. Ma penso che sia un grande errore cercare di pensare al Medio Oriente in questi termini perchè può solo portare a risultati disastrosi, come avete già visto in vari luoghi. Essi non sono semplicemente pronti per elezioni libere ed eque.

Una delle esperienze più emozionanti della mia vita è stato nel 1950, che ho trascorso in Turchia per la maggior parte. Quello era il momento in cui il governo turco tenne un’elezione libera e veramente leale, le elezioni del 1950, in cui il governo fu sconfitto, e ancora più notevole il governo allora, in silenzio e dignitosamente, si ritirò dal potere e lo consegnò all'opposizione vittoriosa.

Posso solo descrivere quello che seguì come catastrofico. Adnan Menderes, il leader del partito che vinse le elezioni, e salì al potere, disse subito chiaramente che non aveva alcuna intenzione di lasciare per la stessa strada da cui era venuto, che egli considerava questo come un cambiamento di regime, e che non aveva alcun rispetto per il processo elettorale.

E la gente in Turchia cominciò a realizzare questo. Ricordo vividamente, che ero seduto un giorno, nel salone di facoltà presso la Facoltà di Scienze Politiche di Ankara. Questo sarebbe stato dopo diversi anni di regime Menderes. Eravamo seduti nel salotto della facoltà con alcuni dei professori che parlavano della storia di diverse istituzioni e forme politiche. E uno di loro disse improvvisamente, con grande stupore di tutti: "Beh , il padre della democrazia in Turchia è Adnan Menderes."

Gli altri si guardarono intorno smarriti. Dissero: "Adnan Menderes, il padre della democrazia turca? Che cosa vuoi dire?" Bene, disse quel professore "ha stuprato la madre della democrazia." Suona molto meglio in turco ...

Questo è successo ancora e ancora e ancora. Si vincono le elezioni perché sono obbligatorie nel paese. Ma è vista come una strada a senso unico. La maggior parte dei paesi della regione non sono ancora pronti per le elezioni.

Eppure, in Egitto, ora, ad esempio, l'ipotesi è che stiamo procedendo verso le elezioni di settembre, che sembra essere quello che l'Occidente è incline ad incoraggiare.

Lo vedrei con diffidenza e apprensione. Se c'è un'elezione veramente libera, supponendo che una tale cosa possa accadere, i partiti religiosi ne avranno un vantaggio immediato. In primo luogo, essi hanno una rete di comunicazione attraverso i predicatori e le moschee, che nessun altra organizzazione politica può sperare di eguagliare. In secondo luogo, essi usano un linguaggio familiare. Il linguaggio della democrazia occidentale è per la maggior parte tradotto di recente e non comprensibile per le grandi masse.

In elezioni veramente libere, è molto probabile che vincano i partiti musulmani e credo che sarebbe un disastro. Molto meglio sarebbe un graduale sviluppo della democrazia, non con le elezioni generali, ma piuttosto attraverso le istituzioni di autogoverno locale. Per questo, vi è una vera tradizione nella regione.

Se si guarda alla storia del Medio Oriente nel periodo islamico, e si indaga la loro letteratura politica, si scopre che è totalmente contro un governo autoritario o assolutista. La parola su cui insistono di più è consultazione. Questa non è solo una questione teorica. C'è un notevole passaggio, per esempio, nella relazione di un ambasciatore francese al sultano di Turchia, pochi anni prima della rivoluzione francese.

L'ambasciatore francese era incaricato dal suo governo di premere sul governo turco in alcune trattative in cui stava facendo progressi molto lenti. Parigi disse con rabbia: "Perché non fai qualcosa?"

L'ambasciatore rispose che "si deve capire che qui le cose non sono come sono in Francia, dove il re è l’unico padrone e fa come gli pare. Qui, il sultano deve consultarsi con i titolari di alti incarichi. Egli deve consultarsi con i pensionati ex titolari di alti incarichi. Egli deve consultarsi con i commercianti, le corporazioni artigiane e ogni sorta di altri gruppi."

Questo è assolutamente vero. Si tratta di un passaggio estremamente rivelatore e informativo, e il punto viene fuori ancora e ancora attraverso il 19° e il 20° secolo.

Hai questo sistema tradizionale di consultazione con i gruppi, che non sono democratici nel senso occidentale di questa parola, ma che hanno una fonte di autorità diversa da quella statale, autorità che deriva dall'interno del gruppo, che si tratti della nobiltà terriera o del servizio civile, degli scribi o di qualsiasi altra cosa. Questo è molto importante. E quella forma di consultazione potrebbe essere una base molto migliore per lo sviluppo di un governo libero e civile.

E quindi, per un Occidente ansioso che sta cercando di capire quali sono i segnali che dovrebbe inviare e quali processi dovrebbe incoraggiare, quale opportunità l'America e il mondo libero hanno di influenzare questo processo?

Preferisco prenderla dal lato opposto e dire quali segnali non dovrebbe essere inviati. E di non premere per le elezioni. Questa idea che le elezioni generali, in stile occidentale, sia una soluzione a tutti i problemi, mi sembra un errore pericoloso che può portare solo al disastro. Penso che dovremmo lasciarli fare a modo loro con gruppi consultivi. Ce ne sono vari tipi. Ci sono tutta una serie di possibilità. Sta accadendo ora in Iraq, per esempio.

Eppure il senso che si ha è che le persone nelle strade, in Egitto, per esempio, vogliono le elezioni in fretta e hanno una nuova leadership. Questo è il segnale che stanno mandando. Non sarà altezzoso e arrogante cercare di fuorviarli?

Sono tutti d'accordo che vogliono liberarsi della presente guida, ma non credo che siano d'accordo su quello che vogliono al suo posto. Ad esempio, otteniamo cifre molto, molto diverse per quanto riguarda il probabile supporto ai Fratelli Musulmani .

Sì, abbiamo visto 20, 30, 40 per cento e abbiamo visto atteggiamenti da quel sondaggio Pew, di un paio di mesi fa, che erano molto estreme.

Questo è il mio punto. Ed è molto difficile fare affidamento su queste cose. Le persone non dicono la verità quando sono chiamate a rispondere.

In linea generale, la nozione dei Fratelli Musulmani, che è molto contestata, dall’essere percepita come essenzialmente benigna, non minacciosa, anche laica, secondo un’osservazione poi corretta, di James Clapper, Director of US National Intelligence, per essere percepita come una radicale e terribile minaccia. Come giudica questo?

Dire che sono laici avrebbe mostrato una sorprendente ignoranza del lessico inglese. Non credo che i Fratelli Musulmani in Egitto, siano in ogni senso benigni. Penso che sia un movimento islamico radicale molto pericoloso. Se ottenessero il potere, le conseguenze sarebbero disastrose per l'Egitto.

Io sono uno storico. La mia attività è il passato, non il futuro. Ma posso immaginare una situazione in cui i Fratelli Musulmani e altre organizzazioni dello stesso genere ottengono il controllo di gran parte del mondo arabo. Non è impossibile. Non direi che sia probabile, ma non è improbabile.

E se questo accadesse, li vedremmo nuovamente affondare nello squallore medievale. Si ricordi che in base alle loro statistiche, le esportazioni totali di tutto il mondo arabo, diverse dai combustibili fossili, sono inferiori rispetto a quelle della Finlandia, un piccolo paese europeo. Prima o poi l'era del petrolio arriverà al termine. Il petrolio si esaurirà o verrà superato come fonte di energia e quindi non gli rimarrà praticamente nulla. In questo caso è facile immaginare una situazione in cui l'Africa a nord del Sahara diventi non dissimile dall'Africa a sud del Sahara.

Se guardiamo a questa regione in fermento, come definirebbe quello che si sta svolgendo in questo momento? Possiamo generalizzare le rivolte che sono in eruzione nei vari paesi? C'è un tema comune?

C'è un tema comune di rabbia e risentimento. E la rabbia e il risentimento sono universali e ben fondate. Provengono da una serie di cose. Prima di tutto, c'è la più ovvia, la maggiore consapevolezza che essi hanno, grazie ai media e ai moderni mezzi di comunicazione, della differenza tra la loro situazione e la situazione in altre parti del mondo. Voglio dire, essendo miseramente poveri è già abbastanza grave. Ma quando tutti gli altri intorno a te sono abbastanza lontani dall’essere vergognosamente poveri, allora diventa abbastanza intollerabile.

Un'altra cosa è l'aspetto sessuale. Si deve ricordare che nel mondo musulmano, il sesso occasionale, di tipo occidentale, non esiste. Se un giovane vuole fare sesso, ci sono solo due possibilità, il matrimonio e il bordello. Esiste questo enorme numero di giovani che crescono senza denaro, ne per il bordello ne per il matrimonio, con il desiderio sessuale che infuria dentro di loro. Da un lato, può portare all'attentatore suicida, che è attratto dalle vergini del paradiso, le uniche a sua disposizione. Dall'altra parte, rimane frustrazione pura.

Quindi abbiamo questa esplosione, che regimi diversi stanno gestendo in modi molto diversi. Ti ha sorpreso la facilità con cui, in Tunisia e in Egitto, i leader autocratici sono stati estromessi ? Vede altri paesi in cui un processo simile rischia di svolgersi?

Mi aspettavo una ondata di tali movimenti. Non pensavo che sarebbe stato così rapido e facile come in Egitto. Mi aspetto che la storia si ripeta. Possiamo vedere tanti paesi, i cui regimi sono già gravemente in pericolo.

In Siria non si è visto, finora, un grande sforzo di espressione del potere del popolo. Si tratta di un regime più spietato. In Iran, la posta in gioco è molto più alta. Uscire per la strada richiede molto più coraggio, mentre il regime è presumibilmente pronto per andare per mantenere il potere a lungo. Crede possibile che processi simili prendano piede in regimi più repressivi e spietati?

Per quanto si può giudicare, questi movimenti di opposizione sono molto forti, anche in Iran, per esempio. Ora, come dici tu, il regime iraniano è molto repressivo. Tuttavia, ci sono modi in cui le persone possono comunicare, in particolare per telefono, e-mail e tutto il resto, ed i messaggi provenienti dall'Iran sono inequivocabili. Si chiarisce che il regime è estremamente impopolare. Ci sono due opposizioni, l'opposizione al regime e l’opposizione all'interno del regime. Io penso che con un piccolo aiuto da fuori  sarebbe possibile fare qualcosa. Come dice il proverbio, "Non si può battere qualcosa con niente."

Un piccolo aiuto dal di fuori? E' un processo delicato. Se l'aiuto è evidente, può essere usato dal regime in Iran, ad esempio, per suggerire l'influenza ingiustificata e insostenibile dell’occidente. Come si fa a dare aiuto alle persone che cercano il rovesciamento di questi regimi?

Un metodo è la guerra politica, facendo una sorta di campagna di propaganda contro il regime. Ciò non sarebbe difficile. C'è una vasta popolazione iraniana oggi nel mondo occidentale, in particolare negli Stati Uniti, che sono sicuro sarebbe disposta ad aiutare in questo, e grazie ai moderni mezzi di comunicazione, non sarebbe troppo difficile far passare il messaggio. I messaggi provenienti dall’Iran rendono tutto molto chiaro. Avrete sentito quando le forze americane entrarono in Iraq, molti iraniani scrissero e-mail o telefonarono, dicendo: "Avreste dovuto affrontare i vostri problemi fin dall’inizio."

Ci dica di più sulla natura delle masse arabe, il loro senso della propria religione, l’agenda che l'Islam prevede per loro.

Beh, vedi, due cose sono successe. Una è che la loro posizione nel complesso è sempre peggiorata. La secondo, che è molto più importante, è che la loro consapevolezza è sempre maggiore. Come ho detto prima, grazie ai moderni mezzi di comunicazione, possono ora confrontare la propria situazione con quella di altri paesi. E non c'è bisogno di guardare molto lontano per farlo. Mi sono seduto con amici in paesi arabi, a guardare la televisione israeliana, e le loro reazioni sono state sconvolgenti.

Che cosa li sbalordisce?

Un caso particolare che mi ricordo: C'era un ragazzino arabo il cui braccio era stato rotto da un poliziotto israeliano durante una manifestazione ed apparve il giorno dopo sulla televisione israeliana con una fasciatura al braccio, denunciando la brutalità israeliana. Ero in Amman, al momento, a guardare questo fatto in TV. E seduto accanto a me c’era un iracheno, che aveva lasciato l'Iraq di Saddam Hussein, e guardava questo fatto con la bocca aperta, e disse: "Sarei felice che Saddam Hussein mi rompesse entrambe le braccia ed entrambe le gambe se mi lasciasse parlare come quello in una televisione irachena."

Portaci un po' più in profondità in questa mentalità. Aiutaci a conciliare la discordia in Egitto, per esempio, tra centinaia e migliaia di persone che escono per le strade e chiedendo di liberarsi di una leadership dittatoriale, con la maggior parte delle persone in Occidente che l’hanno interpretata come una spinta alla libertà e alla democrazia in stile occidentale, allo stesso tempo, come si leggono i sondaggi che mostrano proporzioni schiaccianti di egiziani che hanno opinioni molto fosche su alcuni aspetti dei diritti umani, e sostengono punizioni terribili per l’adulterio, e gli atteggiamenti ottenebrati di omosessualità e così via.

Non è facile definire per cosa lottano. E' molto più facile definire quello a cui si oppongono. Sono contro le attuali tirannie che, per come la vedono loro, non solo li opprimono, ma disonorano il loro nome, la loro religione, la loro nazionalità. Vogliono vedere qualcosa di meglio al posto di quella tirannia. Ora quel qualcosa di meglio viene definito in modo diverso. Non sono abituati a parlare in termini di democrazia parlamentare e di elezioni libere e così via. Che non sono parte del discorso comune. Per i diversi gruppi significa cose diverse. Ma di solito, quel qualcosa di meglio è religiosamente definito. Questo non significa necessariamente che sia il tipo di religione dei Fratelli musulmani. Vi è anche una tradizione islamica, che non è così, come ho detto in precedenza, la tradizione della consultazione. Si tratta di una forma di governo.

Se abbiamo diversi percorsi islamici potenziali che questi popoli potrebbero seguire, quanto forte è una tradizione musulmana più moderata? Quante probabilità ci sono che possa prevalere? Vi chiedo ciò a causa della sua caratterizzazione desolante dei Fratelli Musulmani, che, ancora una volta, alcuni esperti di diritto descrivono come relativamente benigna.

Io non so come si potrebbe avere l'impressione che la Fratellanza Musulmana sia relativamente benigna se non vuoi dire relativamente rispetto al partito nazista.

Ci sono altre tendenze all'interno del mondo islamico, che guardano indietro ai loro propri gloriosi percorsi e pensano in altri termini. Si fa un gran parlare al giorno d'oggi della consultazione. Che è parte integrante della loro tradizione.

Il tipo di regimi autoritari, persino dittatoriali, che governano la maggior parte dei paesi del moderno Medio Oriente islamico, sono una creazione moderna. Essi sono il risultato della modernizzazione. I regimi pre-moderni erano molto più aperti, più tolleranti. Si può vedere questo da un certo numero di descrizioni contemporanee. E il ricordo di quella tradizione è ancora viva.

E' stato un ufficiale della marina inglese di nome Slade, che ne ha scritto molto bene.  Paragonando il vecchio ordine con il nuovo ordine, creato dalla modernizzazione. Ha scritto che "nel vecchio ordine, la nobiltà viveva sulle loro terre. Nel nuovo ordine, lo stato è il latifondo della nuova nobiltà." Penso che lo descriva mirabilmente.

Sta dicendo che il dipanarsi di questi regimi, non consultivi moderni ci potrebbe riportare ad una vera e propria, potenzialmente più ampia, partnership tra il mondo musulmano e l'Occidente? E se sì, come possiamo fare per raggiungere tale risultato?

L'unico momento in cui hanno cominciato a guardare con favore le alleanze esterne è quando si vedono affrontare un pericolo ancora maggiore. Sadat non ha fatto la pace perché era improvvisamente convinto della fondatezza della causa sionista. Sadat ha fatto la pace, perché l'Egitto stava diventando una colonia sovietica. Si rese conto che sulla migliore stima del potere di Israele e la peggiore stima delle intenzioni di Israele, Israele era, in quel momento, molto meno un pericolo per l'Egitto che l'Unione Sovietica. È per questo che si mise al lavoro per fare la pace, e lui aveva certo ragione.

Si fanno calcoli simili più tardi. Si consideri, ad esempio, la battaglia tra le forze israeliane e Hezbollah nel 2006. Era abbastanza chiaro che i governi arabi facevano tranquillamente il tifo gli israeliani, sperando che avrebbero finito il lavoro e sono rimasti molto delusi quando il lavoro non è stato finito. Il modo migliore di raggiungere l'amicizia è di affrontare un nemico ancora più pericoloso. Ci sono stati diversi di questi nemici in Medio Oriente e ce ne sono diversi al momento attuale. Mi sembra la migliore speranza di comprensione tra gli arabi da una parte e l'Occidente o gli israeliani, dall'altra.

La gente parla di imperialismo americano come di un pericolo. Che è una sciocchezza assoluta. Persone che parlano di imperialismo americano in Medio Oriente e non sanno nulla di America o non sanno nulla di imperialismo. L'imperialismo americano è un termine che potrebbe giustamente essere utilizzato per descrivere alcuni dei processi che dai 13 stati originali ha portato ai 50 di oggi. Ma, come applicarlo alla politica americana in Medio Oriente, al momento attuale è sbagliato al limite dell'assurdo. Prendete gli esempi classici di imperialismo: quando i romani sono andati in Gran Bretagna 2.000 anni fa, ovvero quando gli inglesi sono andati in India 300 anni fa, una strategia di uscita non era predominante nelle loro menti.

Quando si guarda alla regione, chi sono i potenziali nemici che possono essere considerati come la più grande minaccia?

Al momento, principalmente la rivoluzione iraniana. Da una parte hanno paura di quello che si potrebbe chiamare l'imperialismo iraniano, e dall'altro lato della rivoluzione iraniana sciita.

La questione sunnita-sciita è ovviamente diversa in base a quale sia il paese in cui ci si trova, in un paese come l'Iraq o la Siria, dove si dispone sia di sunniti che di sciiti, la distinzione tra sunniti e sciiti, gli scontri tra di loro, sono molto importanti. In un paese come l'Egitto, dove non ci sono sciiti, che è al 100% sunnita, non è una questione importante. Non vedono la minaccia sciita come un problema.

C'è un altro gruppo di persone che penso si dovrebbe tenere a mente quando si considera il futuro del Medio Oriente, ed è la donna. Il caso è esiste, e penso che ci sia qualche forza in esso, la ragione principale per la relativa arretratezza del mondo islamico paragonato all'Occidente sia il trattamento delle donne. Per quanto ne so, il tema è stato sollevato per la prima volta da uno scrittore turco chiamato Namik Kemal nel 1880 circa. A quel tempo un dibattito agonizzante si è prolungato per più di un secolo: Cosa è andato storto? Perché restiamo indietro l'Occidente?

Egli disse: "La risposta è molto chiara. Siamo caduti dietro l'Occidente a causa del modo in cui trattiamo le nostre donne. Con il modo in cui trattiamo le nostre donne ci priviamo dei talenti e dei servizi della metà della popolazione. E sottoponiamo la prima educazione dell'altra metà a madri ignoranti ed oppresse."

Si va oltre. Un bambino che cresce in una famiglia musulmana tradizionale è abituato al governo autoritario e autocratico fin dall'inizio. Penso che la posizione delle donne sia di cruciale importanza.

È per questo che sto osservando con grande interesse la Tunisia. La Tunisia è il solo paese arabo che ha davvero fatto qualcosa per le donne. In Tunisia vi è l'istruzione obbligatoria per le ragazze, fin dalla scuola primaria. In Tunisia, le donne si trovano nelle professioni. Ci sono medici, avvocati, giornalisti, politici e così via. Le donne svolgono un ruolo significativo nella vita pubblica in Tunisia. Penso che questo possa avere un impatto enorme. E' già la sta avendo e lo si può vedere in vari modi. E, certamente si diffondersà ad altre parti del mondo islamico.

Altrove, la questione delle donne e il ruolo delle donne è di cruciale importanza per il futuro del mondo musulmano in generale.

Un paese chiave che non è ancora stato coinvolto in queste rivolte è l'Arabia Saudita. Perché pensi che sia ancora estranea alle rivolte? Ed eventualmente che cosa potrebbe cambiare cambiare?

Non c'è molta prospettiva della sua evoluzione, per il momento. Ma prima o poi il petrolio sarà esaurito o superato, e poi, naturalmente, il cambiamento sarà drammatico.

E che dire di altri nostri vicini in Giordania e tra i palestinesi. Da un punto di vista della sicurezza, Israele è preoccupato per ciò che potrebbe svolgersi ...

Con buona ragione ... Fino a poco fa avrei detto che il regno hashemita è abbastanza sicuro. Di solito andavo in Giordania ogni anno per molti anni e non c'era alcun dubbio sulla popolarità del regime. I membri della famiglia reale viaggiavano da soli, guidavano la propria auto aperta a due posti in tutta la città, senza sentire il minimo pericolo, venivano persino accolti con applausi e abbracci ogni volta che passavano. Ancora una volta, anche questo potrebbe cambiare.

Il re sembra essere al di sopra della mischia ...

Sì.

E cambiando il suo governo, ha disinnescato almeno una parte della protesta?

E' troppo presto per dirlo.

E sul fronte palestinese, quello che ha detto prima circa l'assunzione esagerata che le elezioni siano la panacea, sembra essere quello che si è svolto con i palestinesi. C'era poco per le elezioni, quando le uniche scelte erano tra Fatah e Hamas. Non vedo gente protestare contro il regime a Gaza, ma in Cisgiordania ci potrebbe essere qualche replica di quello che è successo in Egitto, diretta contro Israele?

Non vedo le elezioni, in stile occidentale, come la risposta al problema. Lo vedo piuttosto come un aggravamento pericoloso di un problema. L'elezione di tipo occidentale è parte di un sistema politico tipicamente occidentale, che non ha alcuna rilevanza per la situazione nella maggior parte dei paesi del Medio Oriente. Può solo portare in una direzione, come ha fatto in Germania, per esempio.

Due settimane fa, ho intervistato Natan Sharansky. Ha dato un approvazione entusiasta della spinta per la libertà. Ma l’avvertimento era: non hanno questo senso delle elezioni e della democrazia. Pertanto, la sua ricetta è stata: andare più lentamente. Ma lui sembrava ancora voler spingere in direzione della democratica occidentale. Stava dicendo, è necessario prendere tempo, è necessario creare un clima in cui i partiti siano in grado di organizzare un’opposizione, che ci siano altre parti capaci di organizzarsi, in modo da non avere solo dei Fratelli musulmani, è necessario disporre di un ambiente mediatico nel quale il loro messaggio possa essere abbastanza segnalato, e quindi le persone devono essere sicure di poter fare le loro scelte senza timore di essere perseguitate. Che suona molto intelligente per me, ma suona anche molto occidentale. Pensi che potrebbe essere un percorso realistico o che non riesce a capire le differenze tra l'Occidente e il mondo musulmano?

Si deve capire, che le differenze tra i due non sono come differenze nel discorso politico. Nel mondo occidentale, si parla per tutto il tempo della libertà. Nel mondo islamico, la libertà non è un termine politico. E' un termine giuridico: libertà iè n opposizione alla schiavitù. Questa era una società in cui la schiavitù era un'istituzione accettata esistente in tutto il mondo musulmano. Eri libero se non eri schiavo. E' sempre stato un termine legale e sociale  senza alcuna connotazione politica di sorta. Si può vedere nel dibattito in corso in Arabo e in altre lingue la perplessità con cui l'uso del termine libertà viene percepito.

Essi semplicemente non lo capiscono. Voglio dire, che cosa ha a che fare con la politica o il governo? Alla fine, hanno ottenuto il messaggio. Ma è ancora estraneo per loro. In termini musulmani, l'obiettivo del buon governo è la giustizia.

Il contrasto principale non è tra libertà e tirannia, tra libertà e servitù, ma tra la giustizia e l'oppressione. Oppure, se ti piace di più, tra giustizia e ingiustizia. Se si seguisse questo particolare discorso nel mondo arabo musulmano e anche più in generale, sarebbe più illuminante.

Così, mentre noi guardiamo a queste proteste come la richiesta di una maggiore quota di autogoverno e di una spinta per quello che noi consideriamo essere libertà, quello che stai diagnosticando è che sia indignazione contro l'ingiustizia?

Giusto.

E come è che la domanda viene soddisfatta?

La corruzione e l'oppressione sono corruzione e oppressione in qualunque sistema si definiscano allo stesso modo. Non c'è molta differenza tra la loro definizione di corruzione e la nostra.

Quindi, se le leadership in questi paesi non sono corrotte e sono state giuste, non si dorebbero affrontare disordini? E' che non hanno governato in modo equo?

Sì.

Mi rammenta quello che è successo in Iran. Ci sono state le elezioni ed i risultati sono stati annunciati prima che i voti erano venissero contati ...

Le persone sentivano di essere state truffate.

Al centro c’è il senso di ingiustizia?

Sì. Penso che si dovrebbe osservare in termini di giustizia e di ingiustizia, piuttosto che attraverso la libertà e l'oppressione. Penso che renderebbe molto più facile capire la mentalità e quindi i processi politici nel mondo islamico.

E così siamo alla domanda se Israele, come tutti gli altri, è stata presa completamente di sorpresa. Come dovrebbe essere risponde a queste proteste?

Osservare con attenzione, tacere, fare i preparativi necessari.

E stendere la mano. Questa è una possibilità reale al giorno d'oggi. Ci sono un numero crescente di persone nel mondo arabo che guardano con, oserei dire, con stupore a quello che vedono in Israele, al funzionamento di una società libera e aperta. Ho letto un articolo poco tempo fa di un arabo palestinese che non voglio mettere in pericolo nominandolo, in cui scriveva che "come stanno le cose nel mondo in questo momento, la migliore speranza che ha un arabo per il suo futuro è di essere un cittadino di seconda classe di uno stato ebraico." una dichiarazione piuttosto straordinaria, se proveniente da un portavoce arabo. Ma se ci pensate, non è lontano dal vero. L'alternativa, vivendo in uno stato arabo, è molto peggio. Certamente si sta meglio come cittadini di seconda classe dello stato ebraico. C'è una crescente consapevolezza di questo. La gente parlerebbe molto più apertamente se fosse sicura di farlo, il che ovviamente non è.

Ci sono due cose che mi sembrano utili ad una migliore comprensione tra gli arabi e Israele. Uno di queste è ben nota, si tratta della percezione di un pericolo maggiore, di cui ho parlato prima. Sadat si rivolse a Israele, perché vide che l'Egitto stava diventando una colonia russa. La stessa cosa è accaduta di nuovo in una serie di occasioni. Ora vedono Israele come una barriera contro la minaccia iraniana.

L'altra, che è meno facile da definire, ma nel lungo periodo è probabilmente più importante è, per quanto riguarda Israele, come un modello di governo democratico. Un modello di una società libera e aperta con diritti per le donne, un punto sempre più importante, soprattutto nella percezione delle donne.

In entrambi questi aspetti, penso che ci siano alcuni segnali di speranza per il futuro.


http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/A-mass-expression-of-outrage-against-injustice
02/25/2011 16:15

A mass expression of outrage against injustice
By David Horovitz

Historian Bernard Lewis diagnoses the fundamental cause of the region-wide explosion of protest, and dismisses Western notions of a quick fix.

Bernard Lewis, the renowned Islamic scholar, believes that at the root of the protests sweeping across our region is the Arab peoples’ widespread sense of injustice. “The sort of authoritarian, even dictatorial regimes, that rule most of the countries in the modern Islamic Middle East, are a modern creation,” he notes. “The pre-modern regimes were much more open, much more tolerant.”

But Lewis regards a dash toward Western-style elections, far from representing a solution to the region’s difficulties, as constituting “a dangerous aggravation” of the problem, and fears that radical Islamic movements would be best placed to exploit so misguided a move. A much better course, he says, would be to encourage the gradual development of local, self-governing institutions, in accordance with the Islamic tradition of “consultation.”

Lewis also believes that it was no coincidence that the current unrest erupted first in Tunisia, the one Arab country, he notes, where women play a significant part in public life. The role of women in determining the future of the Arab world, he says, will be crucial.

Once described as the most influential post-war historian of Islam and the Middle East, Lewis, 94, set out his thinking on the current Middle East ferment in a conversation with me before an invited audience at the home of the US Ambassador to Israel, James Cunningham, a few days ago. Excerpts:

Does the current wave of protest in the region indicate that, in fact, the Arab masses do want democracy? And is that what we’re going to see unfolding now?

The Arab masses certainly want change. And they want improvement. But when you say do they want democracy, that’s a more difficult question to answer. What does “democracy” mean? It’s a word that’s used with very different meanings, even in different parts of the Western world. And it’s a political concept that has no history, no record whatever in the Arab, Islamic world.

In the West, we tend to get excessively concerned with elections, regarding the holding of elections as the purest expression of democracy, as the climax of the process of democratization. Well, the second may be true – the climax of the process. But the process can be a long and difficult one. Consider, for example, that democracy was fairly new in Germany in the inter-war period and Hitler came to power in a free and fair election.

We, in the Western world particularly, tend to think of democracy in our own terms – that’s natural and normal – to mean periodic elections in our style. But I think it’s a great mistake to try and think of the Middle East in those terms and that can only lead to disastrous results, as you’ve already seen in various places. They are simply not ready for free and fair elections.

One of the most moving experiences of my life was in the year 1950, most of which I spent in Turkey. That was the time when the Turkish government held a free and genuinely fair election – the election of 1950 – in which that government was defeated, and even more remarkably the government then quietly and decently withdrew from power and handed over power to the victorious opposition.

What followed I can only describe as catastrophic. Adnan Menderes, the leader of the party which won the election, which came to power by their success in the election, soon made it perfectly clear that he had no intention whatever of leaving by the same route by which he had come, that he regarded this as a change of regime, and that he had no respect at all for the electoral process.

And people in Turkey began to realize this. I remember vividly sitting one day in the faculty lounge at the school of political sciences in Ankara. This would have been after several years of the Menderes regime. We were sitting in the faculty lounge with some of the professors discussing the history of different political institutions and forms. And one of them suddenly said, to everyone’s astonishment, “Well, the father of democracy in Turkey is Adnan Menderes.”

The others looked around in bewilderment. They said, “Adnan Menderes, the father of Turkish democracy? What do you mean?” Well, said this professor, “he raped the mother of democracy.” It sounds much better in Turkish...

This happened again and again and again. You win an election because an election is forced on the country. But it is seen as a one-way street. Most of the countries in the region are not yet ready for elections.

Yet in Egypt now, for example, the assumption is that we’re proceeding toward elections in September and that seems to be what the West is inclined to encourage.

I would view that with mistrust and apprehension. If there’s a genuinely free election – assuming that such a thing could happen – the religious parties have an immediate advantage. First, they have a network of communication through the preacher and the mosque which no other political tendency can hope to equal. Second, they use familiar language. The language of Western democracy is for the most part newly translated and not intelligible to the great masses.

In genuinely fair and free elections, [the Muslim parties] are very likely to win and I think that would be a disaster. A much better course would be a gradual development of democracy, not through general elections, but rather through local self-governing institutions. For that, there is a real tradition in the region.

If you look at the history of the Middle East in the Islamic period, and if you look at their own political literature, it is totally against authoritarian or absolutist rule. The word they always insist on is consultation. This is not just a matter of theory. There’s a remarkable passage, for example, in the report of a French ambassador to the sultan of Turkey a few years before the French Revolution.

The French ambassador was instructed by his government to press the Turkish government in certain negotiations and was making very slow progress. Paris said angrily, “Why don’t you do something?”

The ambassador replied that “you must understand that here things are not as they are in France, where the king is sole master and does as he pleases. Here, the sultan has to consult with the holders of high office. He has to consult with the retired former holders of high office. He has to consult with the merchants, the craft guilds and all sorts of other groups.”

This is absolutely true. It’s an extraordinarily revealing and informative passage and the point comes up again and again through the 19th and 20th centuries.

You have this traditional system of consultation with groups which are not democratic as we use that word in the Western world, but which have a source of authority other than the state – authority which derives from within the group, whether it be the landed gentry or the civil service, or the scribes or whatever. That’s very important. And that form of consultation could be a much better basis for the development of free and civilized government.

And therefore, for an anxious West which is trying to work out what signals it should be sending and what processes it should be encouraging, what opportunity does America and the free world have to influence this process?

I’d rather take it from the other side and say what signals you should not be sending. And that is not pressing for elections. This idea that a general election, Western-style, is a solution to all these problems, seems to me a dangerous fallacy which can only lead to disaster. I think we should let them do it their way by consultative groups. There are various kinds. There are all sorts of possibilities.

It’s happening now in Iraq, for example.

Yet the sense one gets is that the people in the streets, in Egypt, for example, want to have elections quickly and have a new leadership. That is the signal that they’re sending. Won’t it be supercilious and arrogant of the West to try to talk them out of it?

They’re all agreed that they want to get rid of the present leadership, but I don’t think they’re agreed on what they want in its place. For example, we get very, very different figures as to the probable support for the Muslim Brothers.

Yes, we’ve seen 20, 30, 40 percent and we’ve seen attitudes from that Pew Poll, from a couple of months ago, that were very extreme.

This is my point. And it’s very difficult to rely on these things. People don’t tell the truth when they’re being asked questions.

Broadly speaking, the notion of the Muslim Brotherhood, which is much disputed – from being perceived as essentially benign, unthreatening, even secular, according to one remark (later corrected, by US National Intelligence Director James Clapper), to being perceived as a radical and terrible threat. How would you judge it?

To say that they’re secular would show an astonishing ignorance of the English lexicon. I don’t think [the Muslim Brotherhood in Egypt] is in any sense benign. I think it is a very dangerous, radical Islamic movement. If they obtain power, the consequences would be disastrous for Egypt.

I’m an historian. My business is the past, not the future. But I can imagine a situation in which the Muslim Brotherhood and other organizations of the same kind obtain control of much of the Arab world. It’s not impossible. I wouldn’t say it’s likely, but it’s not unlikely.

And if that happens, they would gradually sink back into medieval squalor.

Remember that according to their own statistics, the total exports of the entire Arab world other than fossil fuels amount to less than those of Finland, one small European country. Sooner or later the oil age will come to an end. Oil will be either exhausted or superseded as a source of energy and then they have virtually nothing. In that case it’s easy to imagine a situation in which Africa north of the Sahara becomes not unlike Africa south of the Sahara.

As we look at this region in ferment, how would you characterize what is unfolding now? Can we generalize about the uprisings that are erupting in the various countries? Is there a common theme?

There’s a common theme of anger and resentment. And the anger and resentment are universal and well-grounded. They come from a number of things. First of all, there’s the obvious one – the greater awareness that they have, thanks to modern media and modern communications, of the difference between their situation and the situation in other parts of the world. I mean, being abjectly poor is bad enough. But when everybody else around you is pretty far from abjectly poor, then it becomes pretty intolerable.

Another thing is the sexual aspect of it. One has to remember that in the Muslim world, casual sex, Western-style, doesn’t exist. If a young man wants sex, there are only two possibilities – marriage and the brothel. You have these vast numbers of young men growing up without the money, either for the brothel or the brideprice, with raging sexual desire. On the one hand, it can lead to the suicide bomber, who is attracted by the virgins of paradise – the only ones available to him. On the other hand, sheer frustration.

So you have this explosion, which different regimes are handling in very different ways. Were you surprised with the ease with which, in Tunisia and Egypt, autocratic leaders were ousted? Do you see other countries where a similar process is likely to unfold?

I was expecting a wave of such movements. I didn’t think it would be as quick and easy as it was in Egypt. But I expect that there will be more. We can see in so many countries, the regimes are already gravely in danger.

In Syria we don’t see, so far, any major expression of an effort at people power. It’s a more ruthless regime. In Iran, the stakes are much higher. It requires much more courage to go out on the street when the regime is presumably prepared to go to greater lengths to hold onto power. Do you see these kinds of processes taking hold in the more repressive and ruthless regimes?

As far as one can judge, these movements of opposition are very strong, even in Iran for example. Now, as you say, the Iranian regime is very repressive. Nevertheless, there are ways in which people can communicate, notably by telephone, e-mail and the rest, and the messages coming out of Iran are unequivocal. It makes it clear that the regime is extremely unpopular. There are two oppositions, opposition to the regime, and opposition within the regime. I think that with even a little help from outside it would be possible to do something. As the saying goes, “You can’t beat something with nothing.”

A little help from outside? It’s a subtle process. If the help is overt, it can be used by the regime in Iran, for example, to suggest unwarranted and untenable Western influence. How do you give help to people seeking the overthrow of these regimes?

One method is by political warfare, by having some sort of propaganda campaign against the regime. This would not be difficult. There’s a vast Iranian population now in the Western world, particularly in the United States, who I’m sure would be willing to help in this, and thanks to modern communications, it would not be too difficult to get the message across. The messages coming out of Iran make this very clear. You must have heard when the American forces went into Iraq, lots of Iranians wrote e-mails or telephoned, saying, “You should have tackled your problems in alphabetical order.”

Tell us more about the nature of the Arab masses, their sense of their own religion, their sense of the agenda that Islam sets out for them.

Well, you see, two things have happened. One is that their position on the whole has been getting worse. The second, which is much more important, is that their awareness of that is getting much greater. As I said before, thanks to modern communications, they can now compare their own position with that in other countries. And they don’t have to look very far to do that. I have sat with friends in Arab countries, watching Israeli television, and their responses to that are mindboggling.

What is so striking to them?

One particular instance that I remember: There was a little Arab boy whose arm was broken by an Israeli policeman during a demonstration and he appeared the next day on Israeli television with a bandage on his arm, denouncing Israeli brutality. I was in Amman at the time, watching this. And sitting next to me was an Iraqi, who had fled Saddam Hussein’s Iraq, and he looked at this with his jaw dropping and he said, “I would gladly let Saddam Hussein break both my arms and both my legs if he would let me talk like that on Iraqi television.”

Take us a little deeper into the mindset. Help us reconcile the discord in Egypt, for example, between hundreds and thousands of people coming out onto the streets and demanding to be rid of a dictatorial leadership, which most people in the West have interpreted as a push for freedoms and Westernstyle democracy, at the same time as we read opinion surveys which show overwhelming proportions of Egyptians taking very bleak views on some aspects of human rights, supporting terrible punishments for adultery, benighted attitudes to homosexuality and so on.

It’s not easy to define what they are for. It’s much easier to define what they are against. They are against the present tyrannies, which as they see it, not only oppress them, but dishonor their name, their religion, their nationality. They want to see something better in its place. Now what that something better would be is differently defined. They are not usually talking in terms of parliamentary democracy and free elections and so on. That’s not part of the common discourse. For different groups it means different things. But usually, it’s religiously defined. That doesn’t necessarily mean the Muslim Brothers’ type of religion. There is also an Islamic tradition which is not like that – as I referred to earlier, the tradition of consultation. It is a form of government.

If we have different potential Islamic paths that these peoples could now go down, how strong is a more moderate Muslim tradition? How likely is it that that would prevail? I ask you that because of your bleak characterization of the Muslim Brotherhood which, again, some experts claim is relatively benign.

I don’t know how one could get the impression that the Muslim Brotherhood is relatively benign unless you mean relatively as compared with the Nazi party.

There are other trends within the Islamic world which look back to their own glorious paths and think in other terms. There is a great deal of talk nowadays about consultation. That is very much part of the tradition.

The sort of authoritarian, even dictatorial regimes, that rule most of the countries in the modern Islamic Middle East, are a modern creation. They are a result of modernization. The pre-modern regimes were much more open, much more tolerant. You can see this from a number of contemporary descriptions. And the memory of that is still living.

It was a British naval officer called Slade who put it very well. He was comparing the old order with the new order, created by modernization. He said that “in the old order, the nobility lived on their estates. In the new order, the state is the estate of the new nobility.” I think that puts it admirably.

Are you leading toward the possibility that the unraveling of these modern, non-consultative regimes could return us to a genuine, potential, wider peopleto- people partnership between the Muslim world and the West? And if so, how do we go about achieving that?

The only time when they began to look favorably on outside alliances is when they see themselves as confronting a still greater danger. Sadat didn’t make peace because he was suddenly convinced of the merits of the Zionist case. Sadat made peace because Egypt was becoming a Soviet colony. He realized that on the best estimate of Israel’s power and on the worst estimate of Israel’s intentions, Israel was much less of a danger to Egypt than the Soviet Union at that time. That is why he set to work to make peace, and he was of course, right.

One sees similar calculations later than that. Consider for example, the battle between the Israeli forces and Hezbollah in 2006. It was quite clear that the Arab governments were quietly cheering the Israelis and hoping that they would finish the job and were very disappointed when they failed to finish the job. The best way of attaining friendship is by confronting a yet more dangerous enemy. There have been several such [enemies] in the Middle East and there are several at the present time. That seems to me the best hope of understanding between the Arabs on the one hand and either the West or the Israelis on the other hand.

People talk about American imperialism as a danger. That is absolute nonsense.

People who talk about American imperialism in the Middle East either know nothing about America or know nothing about imperialism. American imperialism is a term which might justly be used to describe some of the processes by which the original 13 states increased to the present 50. But as applied to American policy in the Middle East at the present time, it is wrong to the point of absurdity. Take the classical examples of imperialism: When the Romans went to Britain 2,000 years ago, or when the British went to India 300 years ago, an exit strategy was not uppermost in their minds.

When you look around the region, which are the potential enemies which may be regarded as the greater threat?

At the moment, principally the Iranian revolution. On the one hand they’re afraid of what you might call Iranian imperialism, and on the other hand of the Iranian Shi’ite revolution.

The Sunni-Shi’ite question is obviously different according to which country you’re in. In a country like Iraq or Syria, where you have both Sunnis and Shia, the distinction between Sunni and Shia, the clashes between them, are very important. In a country like Egypt where there are no Shia, which is 100% Sunni, it’s not an important issue. They don’t see the Shia threat as an issue.

There’s one other group of people that I think one should bear in mind when considering the future of the Middle East, and that is women. The case has been made, and I think there is some force in it, that the main reason for the relative backwardness of the Islamic world compared to the West is the treatment of women. As far as I know, it was first made by a Turkish writer called Namik Kemal in about 1880. At that time an agonizing debate had been going on for more than a century: What went wrong? Why did we fall behind the West?

He said, “The answer is very clear. We fell behind the West because of the way we treat our women. By the way we treat our women we deprive ourselves of the talents and services of half the population. And we submit the early education of the other half to ignorant and downtrodden mothers.”

It goes further than that. A child who grows up in a traditional Muslim household is accustomed to authoritarian, autocratic rule from the start. I think the position of women is of crucial importance.

That is why I am looking with great interest at Tunisia. Tunisia is the one Arab country that has really done something about women. In Tunisia there is compulsory education for girls, from primary school, right through. In Tunisia, women are to be found in the professions. There are doctors, lawyers, journalists, politicians and so on. Women play a significant part in public life in Tunisia. I think that is going to have an enormous impact. It’s already having this in Tunisia and you can see that in various ways. But this will certainly spread to other parts of the world.

Elsewhere, the question of women and the role of the women is of crucial importance for the future of the Muslim world in general.

A key country which has not been enveloped in these uprisings yet is Saudi Arabia. Why do you think that is? Is that going to change?

There’s not much prospect of its changing for the time being. But sooner or later oil will be either exhausted or superseded, and then of course the change will be dramatic.

And what of our other immediate neighbors in Jordan and among the Palestinians. From a security point of view, Israel is worried about what might unfold...

With good reason... Until recently I would have said that the Hashemite kingdom is fairly safe. I used to go to Jordan every year for many years and there was no doubting the popularity of the regime. Members of the royal family would travel alone, driving their own open two-seater cars across the city, without feeling in the slightest degree endangered, and even be greeted with cheers and kisses whenever they passed. That again could change.

The king would appear to be above the fray...

Yes.

And by changing his government, has defused at least some of the protest?

It’s too early to say.

And on the Palestinian front, what you said before about the overstated assumption that elections are the panacea, that seems to be what unfolded with the Palestinians. There was a dash for elections, when the only choices were between Fatah and Hamas. I don’t see people-protests [against the regime] in Gaza, but in the West Bank could there be some replication of what happened in Egypt, directed against Israel?

I don’t see elections, Western-style, as the answer to the problem. I see it rather as a dangerous aggravation of a problem. The Western-style election is part of a very distinctively Western political system, which has no relevance at all to the situation in most Middle Eastern countries. It can only lead to one direction, as it did in Germany, for example.

Two weeks ago, I interviewed Natan Sharansky. He gave an enthusiastic endorsement of the push for freedom. But a caveat was: Don’t have this sense that elections equals democracy. Therefore, his recipe was: Go slower. But he still seemed to be pushing in the Western, democratic direction. He was saying, you need to take time; you need to create a climate in which opposition parties can organize, other parties can organize, so you don’t only have the Muslim Brotherhood; you need to have a media environment in which their message can be fairly reported; and then people have to be confident that they can make their choices without fear of persecution. That sounds very smart to me, but it also sounds very Western. Are you suggesting that might be a path or that it fails to understand the differences between the West and the Muslim world?

One has to understand not so much the differences between the two as the differences in the political discourse. In the Western world, we talk all the time about freedom. In the Islamic world, freedom is not a political term. It’s a legal term: Freedom as opposed to slavery. This was a society in which slavery was an accepted institution existing all over the Muslim world. You were free if you were not a slave. It was entirely a legal and social term, with no political connotation whatsoever. You can see in the ongoing debate in Arabic and other languages the puzzlement with which the use of the term freedom was first perceived.

They just didn’t understand it. I mean, what does this have to do with politics or government? Eventually, they got the message. But it’s still alien to them. In Muslim terms, the aim of good government is justice.

The major contrast is not between freedom and tyranny, between freedom and servitude, but between justice and oppression. Or if you like, between justice and injustice. If one follows that particular discourse in the Arab and more generally the Muslim world, it would be more illuminating.

So while we look at these protests as a demand for a greater stake in self-government and a push for what we consider to be freedoms, what you’re diagnosing here is outrage against injustice?

Right.

And how is that demand met?

Corruption and oppression are corruption and oppression by whichever system you define them. There’s not much difference between their definition of corruption and our definition of corruption.

So, if the leaderships in these countries were not corrupt and were just, they would not have been confronted? It’s that they’ve not governed fairly?

Yes.

That resonates with what happened in Iran. You had elections and the results were announced before the votes had been counted...

The people felt they were being cheated.

It’s the sense of injustice at the core?

Yes. I think one should look at it in terms of justice and injustice, rather than freedom and oppression. I think that would make it much easier to understand the mental and therefore the political processes in the Islamic world.

And so to the Israel question. Israel, like everybody else, was taken completely by surprise. How should Israel be responding to these protests?

Watch carefully, keep silent, make the necessary preparations.

And reach out. Reach out. This is a real possibility nowadays. There are increasing numbers of people in the Arab world who look with, I would even say, with wonderment at what they see in Israel, at the functioning of a free and open society. I read an article quite recently by a Palestinian Arab whom I will not endanger by naming, in which he said that “as things stand in the world at the present time, the best hope that an Arab has for his future is as a second class citizen of a Jewish state.” A rather extraordinary statement coming from an Arab spokesman. But if you think about it, he’s not far wrong. The alternative, being in an Arab state, is very much worse. They certainly do better as second class citizens of the Jewish state. There’s a growing realization of that. People would speak much more openly about that if it were safe to do so, which it obviously isn’t.

There are two things which I think are helpful towards a better understanding between the Arabs and Israel. One of them is the well-known one, of the perception of a greater danger, which I mentioned before. Sadat turned to Israel because he saw that Egypt was becoming a Russian colony. The same thing has happened again on a number of occasions. Now they see Israel as a barrier against the Iranian threat.

The other one, which is less easy to define but in the long run is probably more important, is [regarding Israel] as a model of democratic government. A model of a free and open society with rights for women – an increasingly important point, especially in the perception of women.

In both of these respects I think that there are some hopeful signs for the future.

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