Originale: Truthout
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13 settembre 2017
11 settembre: l’inizio della fine
di Dahr Jamail
Traduzione di Maria Chiara Starace
Sono passati 16 anni dagli eventi dell’11 settembre negli Stati Uniti. Quasi 3.000 persone morirono negli attacchi e oltre 6.000 furono ferite nella impressionante violenza a New York, in Pennsylvania e a Washington, D.C.
L’amministrazione Bush/Cheney ha usato questi terribili eventi per giustificare il proiettare l’impero statunitense ancora più in profondità in Medio Oriente, invadendo l’Iraq e anche lanciandosi nell’Afghanistan devastato dalla guerra. Hanno anche usato l’opportunità di far approvare il cosiddetto Patriot Act, una legge federale statunitense che equivaleva a un attacco violento contro le libertà civili e i diritti umani in patria.
Qualsiasi pretesa che gli Stati Uniti intendevano cercare la giustizia o aumentare la stabilità mondiale per mezzo della loro cosiddetta Guerra al Terrore, è stata terribilmente messa in ombra da un accresciuto risentimento globale verso gli Stati Uniti che di fatto ha provocato altri attacchi terroristici in tutto il mondo.
E’ precisamente questa eredità che continua oggi: la continua violenza militare degli Stati Unti all’estero, l’accresciuta sorveglianza e repressione in patria, e un mondo più violento e meno sicuro per tutti.
I numeri
Avendo fatto il corrispondente dall’Iraq, a intermittenza, tra il 2003 e il 2013, sono stato testimone diretto delle devastazioni dell’imperialismo statunitense all’estero.
Quando facevo servizi giornalistici da Fallujah durante l’assedio delle forze armate statunitensi di quella città, nell’aprile 2004, ho osservato donne, bambini e anziani
che venivano portati, morti o vivi, in un piccolo ambulatorio improvvisato. La maggior parte di loro era stata colpita dai cecchini dell’esercito americano, mentre i droni ronzavano in aria e gli aerei da guerra statunitensi rombavano in lontananza.
Quando le forze armate statunitensi non sono riuscite a prendere la città in aprile,
è stata dichiarata una tregua perché gli Stati Uniti aspettavano che Bush venisse rieletto in un momento successivo di quell’anno. Pochi giorni dopo l’elezione le forze armate americane hanno messo sotto assedio quella città, commettendo crimini di guerra e allo stesso tempo massacrando migliaia di civili.
Sei mesi dopo, insieme a Jonathan Steele ho scritto un pezzo per il giornale The Guardian e ho definito Fallujah un “monumento alla brutalità” dell’impero statunitense. Abbiamo scritto che “Negli anni ’30, la città spagnola di Guernica divenne un simbolo e della distruzione.” “Negli anni ’90 Grozny fu crudelmente rasa al suolo dai Russi ed è ancora in rovine. Il monumento alla brutalità e all’eccesso di potenza distruttiva in questo decennio che non si può dimenticare, è Fallujah, un caso da manuale di come non gestire un’insurrezione e un promemoria che le occupazioni impopolari degenereranno sempre nella disperazione e nella atrocità.”
Dato che l’occupazione dell’Iraq andava per le lunghe, il numero dei civili uccisi dalle forze armate statunitensi, e altra violenza che dilaniava il paese raggiunsero totali apocalittici.
Gli autori di un rapporto intitolato: “Body Count: Casualty Figures After 10 Years of the ‘War on Terror,’” [Conta delle vittime: cifre dei morti dopo 10 anni della ‘Guerra al terrore,”’hanno detto a Truthout che il numero dei morti in Iraq e in altri paesi contro i quali gli Stati Uniti avevano dichiarato guerra fin dagli eventi dell’11 settembre, avevano raggiunto “dimensioni di genocidio” e “potevano anche essere in eccesso di 2 milioni, mentre una cifra al di sotto di 1 milione è estremamente “improbabile.”
Nel solo Afghanistan ben oltre 31.000 civili sono morti di morte violenta a causa della guerra e innumerevoli altri hanno sofferto e continuano a soffrire per le ferite e impatti sulla salute e per essere incapaci di ottenere cure o assistenza.
L’Afghanistan, un paese già devastato dalla guerra, è stato reso un paese ancora più difficile per viverci, dalla occupazione americana che gli Stati Uniti hanno proprio aumentato di nuovo inviando quasi 4.000 altri soldati. I problemi come la mancanza di servizi igienici, la povertà estrema, la mancanza di elementare assistenza sanitaria, l’inquinamento e la malnutrizione sono tutte peggiorate, non migliorate con la presenza degli Stati Uniti lì.
Tornando agli Stati Uniti, le stime di 6 anni fa hanno fissato l’etichetta del prezzo della cosiddetta Guerra al Terrore a una cifra compresa tra i 3 e i 4,4 trilioni di dollari quando si calcolano i costi diretti e indiretti, e quella cifra continua ad aumentare ogni giorno. Uno studio fatto nel 2016 ha aumentato il totale a circa 5 trilioni di dollari.
Intangibili
Mentre l’allora presidente Bush vedeva un aumento temporaneo dei suo indici di gradimento lanciando gli Stati Uniti in guerre all’estero, questi sono crollati e in gran parte sono rimasi bassi fino alla fine della sua amministrazione.
Mentre il Presidente Obama cavalcava questa onda di sentimento anti-Bush e anti-Impero americano, nella sua carica, promettendo “speranza” e “cambiamento”, non ha messo fine a nessuna di queste guerre.
Obama ha semplicemente seguito la politica dell’amministrazione Bush, facendo un lento ritiro dall’Iraq mantenendovi allo stesso tempo una presenza americana sotto forma di “consiglieri”, sorveglianza, attacchi aerei, artiglieria, droni e, in seguito, soldati. Tutto questo continua con l’amministrazione Trump, man con più truppe sul terreno.
L’occupazione degli Stati Uniti ha svolto un enorme ruolo nella radicalizzazione della gioventù irachena e ha spinto molti di loro nell’ISIS (nota anche come Daesh) che continua ad affliggere zone dell’Iraq devastato dalla guerra.
Anche l’occupazione statunitense e la distruzione dello stato iracheno hanno svolto un ruolo fondamentale nel destabilizzare la Siria che è ora un altro stato fallito*, con centinaia di migliaia di morti e milioni di rifugiati che si moltiplicano dato che il bagno di sangue continua.
Nel frattempo, un completo ritiro dall’Afghanistan non è mai stato discusso seriamente.
Dato che l’invasione e l’occupazione dell’Iraq hanno riguardato, almeno in parte, la conquista del controllo del petrolio di quel paese, l’occupazione statunitense è fallita anche su quel fronte. Mentre la Exxon Mobil possedeva uno delle più vaste aree petrolifere dell’Iraq subito dopo l’occupazione, la Cina senza schierare neanche un soldato o sparare un colpo, si è mossa lentamente ma metodicamente nel miscuglio e ha cercato di ottenere ulteriore controllo del petrolio iracheno, oltre a esserne il maggiore consumatore di questo.
Denise Natali, un’esperta di Medio Oriente presso Università Nazionale di Difesa a Washington DC, nel 2013 ha detto al New York Times: “I cinesi sono i maggiori beneficiari di questo boom del petrolio in Iraq nel dopo-Saddam.”
Anche prima dell’11 settembre, l’amministrazione Bush veniva pesantemente criticata in tutto il mondo per le posizioni del governo statunitense sia su problemi interni che internazionali. Le politiche degli Stati Uniti che stavano promuovendo la
povertà, la disuguaglianza, il conflitto geopolitico, il degrado ambientale e la globalizzazione, erano tutti argomenti sensibili che sono stati esacerbati dalla reazione degli Stati Uniti all’11 settembre.
Negli Stati Uniti, Amnesty International ha anche sostenuto che la cosiddetta Guerra al Terrore, “lungi dall’aver reso il mondo un luogo più sicuro, lo ha reso più pericoloso riducendo i diritti umani, indebolendo il ruolo della legge internazionale e proteggendo i governi da accertamenti. Ha aumentato le divisioni tra persone di diverse fedi e origini, spargendo i semi di un ulteriore conflitto. L’impatto enorme di tutto questo è un’autentica paura tra le persone facoltose e anche tra i poveri.”
L’Osservatorio per i Diritti Umani, nel rapporto del 2004, intitolato “Al di sopra della legge: il potere esecutivo negli Stati Uniti dopo l’11 Settembre,” affermava: “Le pratiche di antiterrorismo dell’amministrazione Bush, rappresentano un attacco sorprendente ai principi fondamentali della giustizia, alla responsabilità del governo e al ruolo dei tribunali.”
Nel frattempo, le forze armate statunitensi mantengono grosso modo 300.000 persone dello staff militare attivo, in oltre 150 paesi e in quasi 800 basi su scala globale.
E quindi, la cosiddetta Guerra al Terrore è riuscita?
Anche se prendiamo sul serio i criteri con i quali è stata venduta in maniera propagandista al pubblico statunitense, e anche al resto del mondo, la risposta deve essere un fragoroso “no.” L’indice del terrorismo globale ha rivelato che, nel 2014, c’era stato un aumento quintuplo delle vittime del terrorismo globale fin dall’11 settembre.
Un’altra conseguenza di queste politiche seguite all’11 settembre, è stato il declino dell’impero degli Stati Uniti. Il potere degli Stati Uniti nel mondo e il giorno in cui era l’unica superpotenza, stavano già declinando quando si verificò l’evento dell’11 settembre. Oggi, specialmente con l’amministrazione del Presidente Donald J. Trump, qualunque residua traccia del progetto dell’Impero Americano sta venendo sommariamente “bruciata”.
Chiaramente non c’è alcun merito nel salvaguardare l’impero americano. La domanda principale con la quale rimaniamo, allora, è: quante altre persone moriranno mentre questo impero combatte una battaglia persa per mantenere il suo dominio?
*https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_fallito
Dahr Jamail, reporter dello staff di Truthout, è l’autore di: The Will to Resist: Soldiers Who Refuse to Fight in Iraq and Afghanistan (Haymarket Books, 2009), Beyond the Green Zone: Dispatches From an Unembedded Journalist in Occupied Iraq (Haymarket Books, 2007). Jamail ha fatto servizi giornalistici dall’ Iraq per più di un anno, e anche da Libano, Siria, Giordania e Turchia negli ultimi 10 anni; ha vinto il premio per il Giornalismo di inchiesta, intitolato a Martha Gellhorn, oltre ad altri riconoscimenti.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/911-the-beginning-of-the-end |