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La carneficina di Boko Haram, il sangue dei cristiani perseguitati e noi cattolici tiepidi che ci stiamo adeguando Gli hashtag di Michelle Obama per le ragazze rapite dai terroristi africani sono meglio di niente. Ma dalla Nigeria al Pakistan, gli odiati e perseguitati a motivo di Cristo sono un giudizio e una domanda che ci riguarda Sono almeno tre anni che le bande Boko Haram (che significa “l’educazione è peccato”, curioso appellativo per un’organizzazione terroristica, no?) scorrazzano per la Nigeria settentrionale praticamente indisturbate, assaltando chiese, scuole, villaggi, trucidano cristiani senza disdegnare l’assassinio di musulmani, compiono stragi alla cieca in una escalation di terrore senza altro apparente obiettivo che la destabilizzazione tout court del paese più popoloso e ricco di petrolio del continente africano. Boko Haram è responsabile di una carneficina che, ad oggi, secondo i dati ufficiali, viene quantificata in circa 4 mila morti e in decine di migliaia di feriti, sfollati, senza tetto. Fino a ieri tale disastro era derubricato a “conflitto etnico-religioso”. E veniva registrato dalle agenzie di informazione internazionale quasi come certi cecchini annotano le loro vittime scolpendo tacche sui fucili. Improvvisamente, dopo il sequestro, la riduzione in schiavitù e la conversione forzata all’islam di trecento studentesse, la tragedia nigeriana fa capolino nel mondo e provoca lo sdegno dell’Occidente. Non è singolare che i potenti e, dunque, i media internazionali, si sveglino solo ora? E come si svegliano se non esprimendo indignazione e mettendosi in “movimento digitale” come già accaduto con le primavere arabe e iraniane, con la piazza di Kiev e quella di Istanbul, “sognando” di risolvere le tragedie con un hashtag di Michelle Obama? Per carità, meglio tardi e con qualsiasi strumento di sensibilizzazione piuttosto che niente e piuttosto che mai. Però è evidente, finché è solo la Chiesa a presidiare il campo di battaglia e a gridare l’sos per una catastrofe umanitaria, tutto il bel mondo virtuale volge la sua virtuosa chioma di “diritti umani” in altre storie. E possibilmente storie che includano la stigmatizzazione della stessa Chiesa cattolica. Ma vogliamo ricordare anche Asia Bibi e lo scempio di cristiani in Pakistan? Vogliamo fare l’elenco delle chiese distrutte, dei villaggi rasi al suolo, dei torturati e crocifissi in piazza dai tagliagole qaedisti (“ribelli” o “militanti” li chiama la lingua orwelliana dell’informazione planetaria), finanziati e supportati (almeno inizialmente) da armi e tweet democratici? Vogliamo discutere dei boicottaggi delle aziende scoperte a far lavorare minorenni nelle fabbriche asiatiche piuttosto che delle mozioni anticattoliche in sede di parlamento europeo, mentre non pare disturbare alcun traffico commerciale il fatto che a Islamabad la cristianofobia sia all’ordine delle condanne a morte, a Nuova Delhi la vita di un paria cristiano non valga un cent, a Pechino meglio allevare panda per gli zoo di Bruxelles piuttosto che nascere bambine, battezzarsi e non interessare a nessuno del mondo dei cosiddetti “diritti civili”? I lettori di Tempi sanno come questo settimanale e il suo quotidiano web offrano informazione puntuale di questo furore anticristiano che divampa in ogni dove nel globo. Furore adeguatamente sponsorizzato dai governi dei “paesi canaglia” e da quell’“odio di sé”, secondo la formula ratzingeriana, idealmente benedetto dalle élite e dalla propaganda occidentali che raccomandano il disprezzo del cristianesimo. Com’è vero quanto ha recentemente affermato l’ambasciatore israeliano all’Onu: «I cristiani sono i nuovi ebrei», costantemente esposti a violenza e persecuzione, sia pur in diverse forme e gradazioni, in ogni angolo della terra. C’è del mistero in tutto ciò e c’è anche l’origine di una presenza incandescente che è proprio l’opposto del tiepido accomodamento a cui noi cristiani “perbene” ci stiamo adeguando. «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia (…). Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,18-20). Dunque gli odiati e perseguitati a motivo di Cristo sono un giudizio e una domanda che ci riguarda. Infatti, chi siamo noi, i “non perseguitati”, battezzati cristiani, attivi in parrocchia, nelle associazioni, nei movimenti noi avvolti come in un torpore di ottusità, tiepidume, sentimentalismo, assimilazione e omologazione alla mentalità di questo mondo?
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