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8/1/2014

Il radicalismo salafita in Africa proviene dall’Arabia Saudita
Traduzione di Elisa Proserpio

Alimentato dall’enorme ricchezza petrolifera dell’Arabia Saudita, il radicalismo fondamentalista islamico si sta rapidamente diffondendo in tutta l’Africa. I gruppi radicali salafiti e wahhabiti, dai nomi quali Boko Haram, Seleka e Uamsha, sconosciuti un decennio fa, massacrano i cristiani durante le assemblee eucaristiche, radono al suolo i loro villaggi e assassinano i religiosi islamici moderati. Certo, questo caos proveniente dai sauditi è una manna per il Commando degli Stati Uniti in Africa (Africom), che può indicare la diffusione in Africa del terrorismo legato ad “al-Qaeda” come ragione per aumentare la presenza militare americana nel continente, aggiungendo muscoli armati alla ricerca, da parte dello Zio Sam, di petrolio, gas naturale e risorse minerarie dell’Africa…

Mentre i leader statunitensi, come il presidente Barack Obama, il Segretario di Stato John Kerry, il Segretario della Difesa Chuck Hagel e altri, continuano a prostrarsi davanti ai misogini principucoli dell’Arabia Saudita – tra cui il capo dell’intelligence, il principe Bandar bin Sultan –, a New York la Corte d’Appello del Secondo Circuito degli Stati Uniti ha decretato che le famiglie delle vittime dell’attacco dell’11 settembre possono perseguire il governo dell’Arabia Saudita per aver fornito aiuto materiale agli attentatori. Nel 2005, un giudice federale aveva respinto le accuse dei querelanti contro l’Arabia Saudita, sentenziando che il paese godeva dell’immunità da tali accuse in base alla legge sull’immunità delle sovranità estere (Fsia). La decisione non era stata ribaltata dalla corte d’appello federale.

La sentenza della corte è arrivata poco dopo che l’ex senatore della Florida Bob Graham, all’epoca degli attacchi dell’11 settembre capo della Commissione Investigativa del Senato degli Stati Uniti sull’Intelligence, si era nuovamente appellato in favore della declassificazione di 28 delle 800 pagine dell’“Inchiesta congiunta sulle attività del coordinamento di intelligence prima e dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001”, pubblicata dalle commissioni di vigilanza del Senato e della Camera nel 2002. Le 28 pagine oscurate attribuiscono la responsabilità del peggiore attacco terroristico su suolo americano a entità molto vicine al regno saudita, in particolare il principe Bandar e la sua ambasciata a Washington.

Il principe Bandar e sua moglie avrebbero pagato Osama Bassnan, l’agente di San Diego di due degli attentatori, tramite un conto presso la Riggs Bank di Washington. Attualmente al Congresso vengono fatti appelli bipartisan affinché le 28 pagine vengano declassificate. Ma i sauditi, che hanno stretti legami con l’oligarchia dei Bush e con gli israeliani, possono usare la loro influenza per occultare la “pistola fumante” delle prove dell’intelligence statunitense contro di loro.

Inoltre, per lo “stato nello stato” americano è necessario permettere ai sauditi di continuare il loro sostegno al terrorismo, poiché ciò dà all’esercito degli Stati Uniti e al coordinamento di intelligence Usa il casus belli per continui interventi militari in Africa, Medioriente e Sud-est asiatico.

Vengono trovate sempre più tracce wahhabite saudite dietro le attività coordinate in Africa dei gruppi salafiti anti-cristiani e anti-occidentali. Il gruppo salafita nigeriano Boko Haram, che ha attaccato i villaggi cristiani e le moschee dell’Islam moderato per tutta la Nigeria, massacrando uomini, donne e bambini cristiani e musulmani moderati, ha fatto fronte comune con un altro gruppo salafita in Mali, Ansar Dine, e attaccato i tuareg moderati che avevano preso il controllo del Mali settentrionale, dopo che un colpo di stato militare aveva deposto la classe dirigente civile del paese. Boko Haram, Ansar Dine e al-Qaeda nel Maghreb hanno iniziato a distruggere sistematicamente gli antichi templi protetti dall’Unesco dei santi sufi musulmani, a Timbuktu e in altre città del Mali. Ansar Dine ha decretato i templi “haram” o proibili, secondo il dogma salafita.

Boko Haram è anche comparso sulle scene nella Repubblica Centrafricana, dove i guerriglieri musulmani di Seleka hanno aiutato a rovesciare il governo del presidente François Bozize, installandone uno proprio con Michel Djotodia al potere, in un paese dove i musulmani costituiscono solo il 15% della popolazione. Djotodia non aveva ancora consolidato la presa sul governo nella capitale Bangui, che i guerriglieri Seleka avevano già cominciato ad attaccare i cristiani per tutto il paese, saccheggiando i loro villaggi. I lealisti di Bozize hanno organizzato degli “anti-Balaka”, cioè “anti-machete”, perché molti dei salafiti Seleka brandivano dei machete per uccidere i cristiani, compresi le donne e i bambini. L’arrivo delle truppe francesi a Bangui nel 2000 ha fatto poco per placare le paure della maggioranza cristiana nel paese. Anche i sauditi sono appassionati dell’omicidio con le armi da taglio. Il metodo preferito dal governo saudita per l’esecuzione dei criminali condannati consiste in una spada sferrata dietro la nuca nella famigerata piazza Deera a Riad, anche nota come “piazza zac-zac”.

Attratto dal boom petrolifero della nazione, un grande afflusso di musulmani è migrato dall’estero in Angola, per lavorare nell’industria petrolifera. Quando, alla fine del novembre 2013, le autorità angolane hanno richiesto dei requisiti alle moschee costruite in fretta e furia, per ottemperare alle leggi di registrazione degli edifici del paese, i salafiti hanno diffuso la voce che l’Angola stava bandendo l’Islam e chiudendo le moscheee indiscriminatamente. Il governo angolano ha negato le accuse, ma l’annuncio potrebbe essere arrivato un po’ troppo in ritardo per gli angolani, gli altri passeggeri e i sei membri dell’equipaggio a bordo del volo TM470 della Mozambique Airlines che si è schiantato in Namibia sulla rotta da Maputo, in Mozambico, a Luanda, la capitale angolana. Gli investigatori hanno concluso che il capitano dell’Embraer 190, Herminio dos Santos Fernandes, ha manomesso il pilota automatico dell’aereo in modo da schiantarlo deliberatamente a terra. Gli investigatori non sono riusciti a valutare quanti salafiti hanno deciso di dichiarare guerra all’Angola dopo che sono state diffuse le voci false sul fatto che l’Angola avesse “proibito l’Islam”.

L’episodio dell’EgyptAir 990 schiantatosi nel 1999 sulla rotta da New York al Cairo potrebbe essere correlato. Pare che il capitano del Boeing 767 della EgyptAir abbia fatto schiantare deliberatamente il suo aereo nell’Atlantico in un atto di terrorismo suicida, uccidendo tutte le 217 persone a bordo. Ma molti credono che l’aereo fosse stato manomesso e usato come una prova dell’attacco dell’11 settembre di due anni dopo. Sembra che il co-pilota dell’aereo, Gameel Al-Batouti, abbia sequestrato i comandi per commettere un omicidio-suicidio di massa, allo stesso modo in cui il capitano della Mozambique Airlines Fernandes avrebbe fatto con il suo volo, sulla rotta per Luanda.

Con la Commissione Intelligence del Senato Usa, molti membri del Congresso e un giudice federale che indicano l’Arabia Saudita come il colpevole dietro il terrorismo aereo dell’11 settembre, la mano saudita non può essere esclusa dal coinvolgimento negli “incidenti suicidi” di EgyptAir 990 e Mozambique Airlines 470.

A Zanzibar, i salafiti supportati dai sauditi hanno intrapreso un percorso diverso. I religiosi locali, finanziati dai sauditi, hanno formato Uamsho, che ha rivendicato gli attacchi con l’acido a turisti stranieri, così come quello commesso lo scorso agosto ai danni di due insegnanti britanniche diciottenni. Uamsho, che in Swahili significa “Risveglio”, ha anche rivendicato i brutali attacchi con l’acido a religiosi cristiani e musulmani moderati.

I salafiti supportati dai sauditi hanno anche attaccato i cristiani in altre parti dell’Africa, in particolare Egitto, Kenya ed Etiopia. Le fonti riportano che Bandar, capo dell’intelligence saudita, ha avvertito la Russia che l’Arabia Saudita non esiterà a rilasciare ceceni e altri salafiti alle Olimpiadi invernali di Sochi, se la Russia non smetterà di aiutare il governo di Bashar al-Assad in Siria.

La mano saudita è stata vista anche negli attentati salafiti alle chiese cattoliche di Santa Teresa fuori Abuja, in Nigeria, di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad e della Chiesa di Tutti i Santi ad Alessandria d’Egitto. Nel caso dell’attentato ad Alessandria, anche l’intelligence israeliana è stata accusata di aver attaccato con i sauditi; un’insidiosa alleanza, con la quale gli investigatori legali dell’11 settembre sono diventati fin troppo familiari.

L’Arabia Saudita non può sfuggire alla responsabilità degli attacchi a cristiani, musulmani moderati, sciiti, ahmaditi, sikh, indù, buddisti e altri gruppi nel mondo. Uno dei consiglieri di gabinetto del re saudita Abdullah è il Gran Mufti salafita, lo Sceicco Abdulaziz ibn Abdullah Aal al-Sheikh. Il “sant’uomo” ha esortato i suoi seguaci a far esplodere le chiese al di fuori dell’Arabia Saudita.

Il presidente Obama e i suoi massimi ufficiali, compreso il direttore della Cia John Brennan, hanno fatto molti sforzi per placare il terrorismo saudita. Se gli Stati Uniti vogliono realmente intaccare il terrorismo internazionale, specialmente in Africa, un paio da missili cruise Usa ben piazzati su Riad e Jedda dovrebbero servire allo scopo.

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