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Iran, Siria, Libano: un unico campo di battaglia a sfondo confessionale Il duplice attentato suicida compiuto contro l’ambasciata iraniana nella capitale libanese costringe ancora una volta gli analisti a considerare le battaglie in corso in medio oriente come parte di un unico teatro di guerra Una striscia di fuoco e sangue collega Beirut e Baghdad passando per Damasco, Homs e Dayr az Zawr. Il duplice attentato suicida compiuto contro l’ambasciata iraniana nella capitale libanese (almeno 23 morti e 150 feriti) costringe ancora una volta gli analisti a considerare le battaglie in corso in Iraq, Siria e Libano come parte di un unico teatro di guerra che si estende dalla costa Mediterranea e si bagna sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate. L’attentato è stato rivendicato da un gruppo libanese che si presenta come vicino ad al Qaida. Chiunque sia stato a dare l’ordine di pianificare ed eseguire l’attacco a uno dei simboli della Repubblica islamica mai presa di mira a Beirut da attentatori suicidi, nemmeno durante gli anni della guerra civile (1975-90) ha voluto mandare un segnale forte e chiaro a Teheran e ai suoi alleati: il vostro coinvolgimento nella guerra siriana ha un prezzo. Già nell’agosto scorso, un’autobomba aveva scosso la periferia sud di Beirut, roccaforte degli Hezbollah, il movimento sciita filo-iraniano le cui milizie sono presenti in forze nei teatri siriani a sostegno delle forze fedeli al presidente Bashar al-Assad. Poco dopo, era stato il turno di due moschee sunnite di Tripoli. In una di queste predicava un noto shaykh vicino al fronte anti-Damasco. Per quest’ultimo crimine è stato di recente accusato, con prove circostanziate, uno degli agenti in Libano dei servizi di sicurezza di Damasco. E da più parti sono stati sollevati sospetti finora rimasti tali sul fatto che anche l’attentato agostano contro Hezbollah potesse essere opera degli uomini di Assad, intenzionati a facilitare il contagio siriano in Libano. Ma la guerra di Siria non basta a leggere la striscia di violenze libanesi degli ultimi mesi. Per come si è trasformata negli ultimi due anni e mezzo, la lotta siriana ha ormai assunto delle dimensioni internazionali che si sono affiancate alla dimensione interna. E nel quadro regionale, quel che accade tra Damasco e Dayr az-Zawr è solo un momento di quel che da circa dieci anni dalla caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003 seguita all’invasione anglo-americana avviene a Baghdad e in altre località irachene. Nelle province a maggioranza araba dell’Iraq centro-meridionale l’influenza iraniana è assicurata a più livelli, in contrasto con gli interessi delle altre due potenze regionali, l’Arabia Saudita e la Turchia. La politica regionale di Teheran negli ultimi dieci anni ha assicurato alla Repubblica islamica anche importanti conquiste in terra siriana: a partire dall’economia con importanti contratti e commesse affidate dal regime di Damasco a società iraniane, passando per il rinnovo di accordi chiave nel settore militare-strategico tra i due Paesi. Il tutto, sotto la patina della valorizzazione dei luoghi santi sciiti e del potenziamento delle vie del pellegrinaggio in tutto il Medio Oriente arabo. Così, quando l’anno scorso i vertici di Hezbollah hanno dovuto ammettere che loro miliziani sono presenti in Siria hanno usato e usano ancora oggi l’argomento della necessità di proteggere i mausolei sciiti minacciati dai fondamentalisti islamici e da al-Qaida. Analogamente, numerosi pasdaran iraniani uccisi in Siria sono stati descritti dai media iraniani come ex militari in pensione che erano andati a Damasco o in altre località siriane a godersi il meritato diritto al pellegrinaggio. Da anni, nei circoli delle opposizioni siriane in esilio e in patria vicine a gruppi religiosi sunniti si fa riferimento alla “sciizzazione” o “iranizzazione” della Siria. Al di là delle percezioni di alcuni gruppi siriani, espressione di élite da decenni spodestate del loro potere politico ed economico, è un fatto che il presidente al-Assad sin dai primi anni 2000 ha di fatto spalancato le porte all’alleato iraniano consentendogli di penetrare come non mai nei gangli del sistema di potere politico-economico. In questo quadro, la guerra siriana ha soltanto concesso nuovi spazi al ciclo di violenza a sfondo confessionale in corso da anni tra il Mediterraneo e la Mesopotamia. E ai tentativi di rafforzare e difendere l’influenza iraniana nella regione, risponde ora il variegato fronte dei movimenti politici del sunnismo più radicale: in Siria, Iraq e in Libano. |
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