http://www.asianews.it/ 27/10/2016
Ninive, il patriarca Sako nei villaggi liberati dall’Isis: “Queste terre sono cristiane”
Una visita di 12 ore, in sei villaggi e per oltre 200 km, fonte di “tristezza e sofferenza”, ma anche di “grande speranza”. L’obiettivo è la “ricostruzione” dei villaggi e il ritorno dei rifugiati. Ma prima è essenziale la messa in sicurezza. Il ringraziamento per i generali e i soldati che conducono l’offensiva. Il nuovo appello alla pace e all’unità. Una visita carica di “tristezza e sofferenza” per le distruzioni compiute dallo Stato islamico (SI), ma anche una “grande speranza” e un sentimento di “attesa” per un ritorno imminente e l’inizio di una “nuova ricostruzione”. È quanto racconta ad AsiaNews il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, dopo aver visitato i villaggi della piana di Ninive attorno a Mosul liberati nei giorni scorsi dall’esercito irakeno e dalle milizie Peshmerga curde. In alcuni di questi, per la prima volta dopo oltre due anni, sono tornate a risuonare le campane delle chiese. Per il primate caldeo, la visita è anche un “segnale importante” rivolto ai fedeli, al Paese e alla comunità internazionale: “Queste sono le nostre terre - afferma - le terre e i villaggi cristiani. A questi luoghi è legata la nostra presenza, e qui torneremo appena le condizioni lo renderanno possibile”. Ed è anche per questo che “è importante non emigrare, ma restare qui nella nostra terra”. Il patriarca caldeo, assieme al vescovo ausiliare di Baghdad mons. Basilio Yaldo e un gruppo di sacerdoti e fedeli ha visitato ieri alcune cittadine cristiane della piana di Ninive, liberate nei giorni scorsi nel contesto della offensiva per la riconquista di Mosul, roccaforte jihadista in Iraq. La delegazione ha fatto tappa a Bartella, Karmles, Qaraqosh, Teskof, Baqofa e Btnaya. Gli abitanti hanno dovuto abbandonare queste terre in tutta fretta nell’estate del 2014, e con i soli vestiti addosso, davanti all’avanzata e alle minacce dei jihadisti che hanno tenuto per oltre due anni sotto scacco l’area. La maggioranza dei rifugiati vive nei centri di accoglienza e in case prese in affitto dall’arcidiocesi di Erbil, nel Kurdistan irakeno; tuttavia, la speranza comune è poter rientrare a breve nei villaggi. Un viaggio “durato oltre 12 ore e che ha toccato sei villaggi” racconta mar Sako ad AsiaNews, e che si è spinto “sino a due chilometri da Telkief” dove sono tuttora in corso combattimenti per la liberazione dell’area. “Abbiamo pregato in ogni chiesa per la pace e la stabilità della regione” e “incontrato i generali” che stanno guidando la campagna militare contro lo Stato islamico”. “Abbiamo detto loro - aggiunge - che sono stati bravi”. Sono stati proprio i vertici dell’esercito irakeno e delle milizie Peshmerga “a ristabilire le croci sulle chiese” devastate in questi due anni dai jihadisti di Daesh [acronimo arabo per lo SI] e “lo hanno fatto con orgoglio”. Si tratta di militari sunniti, sciiti, arabi e curdi che “hanno definito un onore la mia visita” nella zona, che è anche “fonte di speranza”. Da parte mia, aggiunge, “li voglio ringraziare per il lavoro che stanno facendo” e “auguro loro ancora molte vittorie e la liberazione finale di Mosul”. I militari, prosegue il primate caldeo, “ci hanno accompagnato lungo un tragitto di oltre 200 km”, in cui “abbiamo percorso strade distrutte” e affrontato anche “grandi rischi”. “Sono consapevole del fatto che abbiamo compiuto un passo molto pericoloso - sottolinea - ma l’essere pastore richiede anche coraggio. Il messaggio che ho voluto inviare è… Queste sono ‘le nostre terre’ e noi siamo pronti a tornare. Abbiamo voluto ricordare a tutti la nostra presenza e spero che, in un futuro prossimo, anche altri vescovi vadano a visitare la zona”.
Mar Sako afferma di non aver provato paura durante la visita, ma profonda “tristezza e sofferenza” per i bombardamenti, le devastazioni, la distruzione dei centri e delle case e “la profanazione delle chiese da parte dello Stato islamico”. I jihadisti “hanno bruciato tutto, demolito croci e lasciato scritte ingiuriose e minacce contro i cristiani”. I danni provocati dalle bombe sono vecchi, aggiunge il patriarca caldeo, ma i danni ai luoghi di culto “molto più recenti, probabilmente sono stati fatti poco prima di fuggire”. Resta però “la speranza e la voglia - conferma il prelato - di ricostruire una vita e una comunità” che da millenni vive nell’area. Un elemento che ha “impressionato” mar Sako sono “i molti tunnel scavati sotto il terreno”, alcuni dei quali “attraversano anche le chiese”. “Si tratta di chilometri di tunnel - riferisce stupito - e mi chiedo quanti soldi e quanto lavoro ci siano voluti per fare tutto questo… e che senso ha avuto”. A conclusione della visita, il patriarca caldeo rinnova l’appello già lanciato nel recente passato per l’opera di bonifica di terre, campi e case dalle mine e dagli ordigni disseminati dai jihadisti prima di abbandonare l’area. “Non abbiamo potuto visitare alcuni settore - spiega - perché sono ancora disseminati di ordigni. Per questo è molto importante ripulire i terreni, è un elemento di base perché possa riprendere la vita”. I successi militari, aggiunge mar Sako, sono “molto importanti” e sono stati accolti “con gioia e trepidazione” dalla comunità cristiana irakena, in particolare dagli sfollati a Erbil e nel Kurdistan irakeno, che “ho incontrato anche in questi giorni”. Le vittorie “sono un segno di unità fra irakeni, e speriamo che questa unità di intenti rimanga anche dopo la completa liberazione di Mosul e di tutta la piana di Ninive. L’unità è essenziale per il nostro futuro”.
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