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Bush vuole “convertire” gli ebrei? L'ex presidente partecipa alla raccolta fondi del Messianic Jewish Bible Institute, un'associazione che vuole «convincere gli ebrei ad accettare Gesù come Messia». Parla il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni
Un conto è la pretesa politica d’importare la democrazia in Medio Oriente, un conto quella religiosa di convertire gli ebrei. Entrambe belligeranti in modi e tempi diversi ma l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nel corso della sua carriera potrà asserire di averle praticate entrambe. Si terrà oggi a Dallas il banchetto per la raccolta fondi organizzato dall’Mjbi, ossia il “Messianic Jewish Bible Institute”, che avrà Bush Jr. come ospite d’onore, per «condividere la sua passione nel liberare la gente». Perché l’Mjbi altro non è se non un «gruppo di proselitismo evangelico», come l’ha definito Abraham Foxman, direttore della Anti-Defamation League. Mother Jones, la rivista americana che ha diffuso la notizia, ne spiega in dettaglio la funzione: formare personale negli Stati Uniti, in Israele e nel resto del mondo per convincere gli ebrei ad accettare Gesù come il Messia. E “ripristinare” Israele e gli ebrei, cagionando la seconda venuta di Cristo. Proposito che inevitabilmente evoca ricordi sinistri, sul quale Europa ha chiesto l’opinione del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Che ne pensa di operazioni come questa? Qual è il non-detto di questa ricerca del “dialogo”? In assoluto l’ebraismo vede con poca simpatia qualsiasi tentativo di far deviare i propri fedeli dalla fede trasmessa dai nostri padri. Ad esempio il Pentateuco usa parole molto severe contro i culti idolatrici, che all’epoca erano l’alternativa alla fede nel Dio unico. Col cristianesimo la cosa è diventata più complessa, perché è nato dall’ebraismo e si è presentato non come una deviazione ma come un suo compimento. Cosa che l’ebraismo non ha assolutamente accettato. Da qui, una storia molto complicata che dura tuttora, perché per il cristiano la diversità ebraica è un grande punto interrogativo. A cui si risponde in modi molto diversi: dal rispetto per la diversità al suo opposto, un atteggiamento invasivo se non aggressivo per convincere o imporre agli ebrei di cambiare le proprie opinioni. Oggi l’idea che il dialogo possa servire alla conversione è uno degli inciampi fondamentali. Rispetto ad essa, le varie confessioni cristiane si comportano ciascuna a modo proprio. Il gruppo che organizza la cena che avrà ospite Bush appartiene al fenomeno dell’ebraismo messianico. Fra i suoi consiglieri d’amministrazione ci sono anche due rabbini. Uno, Jonathan Bernis, sostiene che «la Bibbia abbia predetto che sarebbe arrivato il giorno in cui la cecità avrebbe abbandonato gli occhi del popolo da cui tutto cominciò». L’altro, Marty Waldman dice che quando ci saranno «abbastanza» ebrei che considereranno Gesù il loro salvatore, «ci sarà una specie d’innesco in paradiso, e il nostro padre nei cieli dirà “Ok, figliolo, è tempo di prendere moglie”». Bisogna tener presente che ci sono, tra virgolette, illustri precedenti. Del resto lo stesso cristianesimo è stato fondato da ebrei, non bisogna dimenticarlo. Ma ci sono sempre stati movimenti di ebrei messianici. Questi gruppi sono una realtà, e il fatto che si definiscano rabbini fa parte dell’ironia della cosa. Non c’è nulla di nuovo. Si lega a un altro fenomeno: negli Stati Uniti, fra gli evangelici in tempi recenti si è delineata una linea d’empatia e sostegno all’idea del ritorno degli ebrei nello stato d’Israele, anche con aiuti considerevoli. Col paradosso che l’obiettivo è portarceli per aspettare la loro conversione alla messianicità di Gesù, e realizzare i tempi futuri. Non è ovviamente la convinzione religiosa del gruppo a suscitare scandalo, quanto piuttosto l’intento di conversione, che porta con sé ombre di un passato neanche tanto remoto. In tempi più recenti parlare di conversioni forzate forse è improprio, ma c’è stata comunque una grande pressione, anche durante la Shoah. Si è scritto sugli ebrei nascosti nei conventi durante la persecuzione, alcuni dei quali hanno accettato il battesimo. Da un lato c’era l’ospitalità salvatrice, dall’altro in altri luoghi, una situazione ambientale che spingeva gli ebrei nascosti alla riconoscenza. Un altro fenomeno angosciante è quello che è successo ai bambini: molto spesso rimasti privi di genitori, hanno trovato ospitalità e alla fine della guerra non furono restituiti alle organizzazioni ebraiche perché battezzati. Su questi fatti c’è ancora molta reticenza. Oggi in Italia si parla ancora di conversione degli ebrei? Quando è stata fatta una nuova versione della preghiera degli ebrei del Venerdì Santo in latino è scoppiata una polemica: si prega perché il signore illumini il cuore degli ebrei. La cecità ritorna in questa maniera. Le discussioni successive hanno portato a un chiarimento almeno formale secondo il quale si tratta di una preghiera per i tempi futuri. Nel frattempo non è stato manifestato alcun desiderio di agire in direzione della conversione. E il papa attuale su questo argomento si è espresso molto chiaramente: non vuole fare nessun proselitismo. Un cambio di approccio? Diciamo che è più un cambio d’atmosfera, non so se anche dal punto di vista dottrinale. Comunque bisogna dare atto che sotto Benedetto non c’è stata alcuna iniziativa proselitistica da parte della Chiesa cattolica. La distinzione tra il mondo futuro e la realtà c’è. E che dire invece dell’ex presidente degli Stati Uniti? Non conosco le circostanze dettagliate di questo evento. Può trattarsi pure di uno scivolone, di un tranello che gli hanno fatto. Non ho dati per giudicarlo. Certo, se fosse un atto cosciente sarebbe, per così dire, un elemento poco simpatico.
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