http://znetitaly.altervista.org Contro l’anima religiosa degli arabi la “Primavera” degenera in controrivoluzione settaria La furia cieca che ha scatenato una guerra alle moschee, alle chiese e ai tempi religiosi è diventata un moderno marchio di fabbrica del fenomeno arabo, da quando quella che i media occidentali hanno chiamato la “Primavera Araba” ha travolto le strade arabe. La furia settaria sta spazzando via con la sua violenza tesori culturali archeologici e storici, colpendo duramente le fondamenta stesse dell’identità araba e islamica nella regione, ma, cosa più importante, tormentando le anime dei credenti arabi mussulmani e cristiani che impotenti vedono i rifugi sicuri dei loro luoghi di preghiera dissacrati, saccheggiati, bombardati, rasi al suolo e trasformati invece in trappole di morte e in monumenti alla distruzione da parte di “attentatori suicidi” che gridano “Dio è grande!” Il solo precedente regionale di distruzione di luoghi di venerazione su scala simile è stato la distruzione di quasi un migliaio di moschee dopo la creazione dello stato d’Israele nel 1948. Una ricerca del professore israeliano Ayal Banbanetchi Rapaport ha rilevato che dopo il 1948 restavano nell’area solo 160 moschee. Negli anni seguenti tale numero si è ridotto a 40, cioè ne sono state distrutte 120. I palestinesi della Striscia di Gaza hanno documentato i nomi e le località di 47 moschee distrutte e di altre 107 parzialmente danneggiate dai bombardamenti israeliani nel corso dell’Operazione Piombo Fuso del 2008. Forse perché tali crimini sono rimasti impuniti, l’opinione pubblica occidentale fa finta di non vedere il nuovo fenomeno arabo. Molto probabilmente i dirigenti del movimento fondamentalista israeliano ebraico “Fedeli del Monte del Tempio e della Terra d’Israele” sta osservando con attenzione e si sta chiedendo se l’attuale distruzione di moschee ad opera degli stessi mussulmani non sarebbe una giustificazione sufficiente per attuare le pubbliche minacce del movimento di costruire il “terzo tempio” sulle macerie della Moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo più sacro dell’Islam, a Gerusalemme. E’ degno di nota che questo fenomeno distruttivo ha fatto parte della “Primavera Araba”, che sinora ha deposto due presidenti in Egitto e tre altri in Tunisia, Yemen e Libia, ma che è stata contenuta con successo nelle monarchie marocchina e giordana. Tuttavia il contenimento sinora non è riuscito nel regno del Bahrain, dove le continue proteste di massa contro il governo infuriano tuttora incontenibili al punto che il minuscolo regno isolano è stato costretto a chiamare un contingente saudita della “Forza di scudo della penisola” del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) affinché accorresse in aiuto. Ciò nonostante fonti dell’opposizione e il Centro per i Diritti Umani del Bahrain hanno riferito attacchi “documentati” del “regime al governo” contro 37 moschee, con la distruzione di 27 di esse, alcune vecchie di un millennio. La copia islamista dell’Inquisizione cristiana La “Primavera Araba” ha preso ottimisticamente il nome da una stagione della natura in cui rinasce la vita e doveva promettere un rinnovamento della stagnante vita politica, economica e sociale del mondo arabo, ma sfortunatamente si è trasformata invece in una stagione settaria di assassinii, morte e distruzione ad opera di forze controrivoluzionarie nutrite finanziariamente, logisticamente, militarmente e politicamente dai più conservatori tra i regimi arabi al governo nella Penisola Arabica e dai loro patroni e sostenitori occidentali guidati dagli Stati Uniti. La pulizia settaria in Iraq e in Siria attuata da fanatici settari esclusionisti è diventata la copia moderna dell’Inquisizione nell’Europa cristiana del Medioevo, con la differenza che quella europea antica fu più sistematica e organizzata dal Vaticano e dagli stati a esso alleati mentre nel moderno caso arabo è perpetrata da bande di terroristi sporadiche e confuse. Il fatto che questo fenomeno orribile sia sorto solo con l’invasione e l’occupazione dell’Iraq guidata dagli USA nel 2003 e sia esacerbato dalla campagna statunitense documentata per un “cambiamento di regime” in Siria può solo essere interpretato come il risultato di una politica premeditata di divide et impera. Lo scorso 24 agosto il patriarca maronita Bechara Boutros al-Rai’e ha dichiarato alla Radio Vaticana: “C’è un piano per distruggere il mondo arabo per interessi politici ed economici e per promuovere conflitti interreligiosi tra sunniti e sciiti”, aggiungendo: “Stiamo assistendo alla distruzione totale di ciò che i cristiani sono riusciti a costruire in 1.400 anni” in termini di coabitazione e coesistenza pacifiche con i mussulmani. Questa interpretazione è convalidata, per esempio, dal fatto che sia gli antagonisti settari dominanti, che sono stati portati al potere in Iraq dalle forze d’invasione statunitensi, sia i protagonisti collegati ad al-Qaeda, la cui presenza in Iraq è coincisa con l’occupazione statunitense del paese e che stanno scatenando una guerra settaria per cacciarli dal potere, sono combattenti formati dagli Stati Uniti, i primi come “opposizione democratica” alla “dittatura” nazionale del defunto Saddam Hussein e i secondi come “combattenti della libertà” contro l’occupazione militare dell’Afghanistan da parte dell’ex “impero del male” dell’Unione Sovietica, per usare la terminologia della propaganda statunitense. In Iraq l’Agence France Press (AFP) ha riferito il 20 maggio scorso che una “guerra contro le moschee” ancora “infuria”. Sette anni prima, l’attentato alla cupola della moschea sciita di Al Askari a Samarra, o Moschea d’Oro, è stato seguito da attacchi contro più di 200 moschee sciite nel giro di due giorni, secondo la missione ONU nel paese. Questa è in effetti una guerra civile, ma i suoi semi sono stati gettati nel corso dell’Operazione statunitense ‘Furia Fantasma’ nel 2004 contro quella che gli iracheni chiamano “la città delle moschee”, Fallujah, dove schiere di moschee sono state distrutte completamente o danneggiate dagli statunitensi. Fuorviante isolare la situazione dei cristiani Fuorvianti o no, i media convenzionali occidentali stanno isolando le sofferenze degli arabi cristiani in questa furia cieca, anche se le loro sofferenze non sono paragonabili a quelle dei loro compatrioti mussulmani né in numero né in portata del fenomeno né nelle conseguenti perdite umane, sociali, culturali, politiche e materiali. Scrivendo su Gulf News l’11 del corrente mese di settembre, il dottor Joseph A. Kechichian ha affermato: “E’ stato impossibile separare il destino degli arabi cristiani da quello dei loro fratelli mussulmani, un termine usato qui nel senso di ‘compatrioti’, non necessariamente di un rapporto di fratellanza. In effetti quando le chiese irachene, egiziane e ora siriane sono state/sono distrutte è necessario notare anche che le moschee sunnite e sciite sono state e sono bombardate regolarmente”. In Iraq, ad esempio, dopo l’invasione statunitense del 2003 sono state attaccate più di sessanta chiese, ma sono state prese di mira più di quattrocento moschee mussulmane. Un numero stimato in due terzi degli 1,5 milioni di cristiani è stato costretto a fuggire da paese, ma quattro milioni di mussulmani iracheni sono diventati profughi all’estero e alcuni milioni di altri sono sfollati in patria in conseguenza della campagna settaria di pulizia di massa. Il patriarca al-Rai’e ha accusato la comunità internazionale di ‘silenzio totale’ a proposito dell’Iraq. Comunque, in proporzione, i cristiani arabi sono oggi una specie minacciata. Scrivendo su Foreign Affairs il 13 di questo settembre Reza Aslan si è aspettato “nessuna significativa presenza cristiana in Medio Oriente tra una generazione o due” perché “ciò cui stiamo assistendo non è nulla di meno che una pulizia religiosa regionale che presto si dimostrerà un disastro storico sia per i cristiani sia per i mussulmani”. Il 16 corrente nella cittadina di Mezda, a sud di Tripoli, la tomba e il minareto della moschea dello sceicco Ahmad al-Sunni sono stati bombardati, un cimitero è stato rivoltato. Nella capitale, Tripoli, esplosivi sono stati fatti esplodere con un telecomando alla fine dello scorso marzo nell’antico santuario mussulmano sciita di Sidi Mohammed al-Andalosi. Questi “incidenti” sono stati la furia settaria più recente. L’anno scorso il New York Times ha riferito il 25 agosto l’abbattimento con i bulldozer di una moschea contenente tombe mussulmane sufi, “in piena luce del giorno” nel “centro” della capitale libica. La biblioteca di una moschea era stata incendiata il giorno prima. Una moltitudine di attacchi simili dopo che la “rivoluzione” ha rovesciato il regime di Muammar Gheddafi alla fine del 2011, tra cui uno contro la tomba dello studioso mussulmano del quindicesimo secolo Abdel Salam al-Asmar, ha indotto l’UNESCO ha sollecitare la “fine degli attacchi contro le moschee libiche sufi”. La direttrice generale dell’UNESCO, Irina Bokova, ha avvertito che gli attacchi “devono essere fermati se si vuole che la società libica completi la sua transizione alla democrazia”. Nel gennaio di quest’anno il governo “rivoluzionario” della Tunisia ha annunciato un piano di “emergenza” per proteggere i mausolei sufi da simili vandalismi settari, tra cui due contro i più noti santuari sufi di Saida Manoubia e Sidi Abdel Aziz. L’appello dell’UNESCO alle “autorità tunisine ad assumere misure urgenti per proteggere i siti dell’eredità culturale, che rappresentano la ricchezza storica e culturale del paese” non ha fermato la furia settaria. Nel febbraio di quest’anno l’Unione delle Fratellanze Sufi in Tunisia ha riferito che almeno trentaquattro santuari erano stati attaccati dopo che la rivoluzione aveva costretto all’esilio in Arabia Saudita nel 2011 il presidente Zine El Abidine Ben Ali; il numero è più elevato, secondo altre notizie e gli attacchi proseguono. In Egitto il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon ha definito “inaccettabili” i recenti attacchi contro moschee e chiese. Appena il 14 agosto sostenitori del primo presidente egiziano eletto e leader della Fratellanza Mussulmana Mohammad Morsi, che è stato rimosso dal potere il 3 luglio, hanno occupato Delga, una cittadina remota di 120.000 abitanti nella provincia di Minya nell’Egitto centrale, in un’ondata di attacchi di rappresaglia contro dozzine di stazioni di polizia, con personale prevalentemente di egiziani mussulmani, e contro almeno 42 chiese cristiane, di cui 37 sono state incendiate e saccheggiate. Il britannico The Guardian ha scritto il 16 settembre: “Secondo i cristiani di Delga, enormi folle armate di machete e armi da fuoco hanno attaccato dozzine di proprietà copte, tra cui il monastero, vecchio di 1.600 anni, della Vergine Maria e di Abramo”, hanno appiccato il fuoco a cinque chiese della cittadina, saccheggiando ogni cosa, uccidendo alcuni compatrioti copti, costringendo una schiera di famiglie cristiane a fuggire dalla cittadina e quelli che erano rimasti sono stati costretti a pagare il “pizzo”. Dopo più di due mesi le autorità hanno riconquistato la scorsa settimana la cittadina ponendo fine al loro calvario. La storia di Delga non è né la più recente né la più lunga, più orribile o più vasta delle atrocità settarie; cercandone, gli osservatori scopriranno una quantità di continue manifestazioni quotidiane di queste atrocità in Iraq e in Siria dove infuriano ancora alla grande e dove il controllo delle autorità nessuno lo può dire per un tempo imprevedibile, con la minaccia di estensione ai paesi arabi confinanti del Libano e della Giordania e al membro della NATO non arabo della Turchia. Culla di diversità e coesistenza Il degrado politico della “Primavera Araba” in una controrivoluzione settaria ha il suo esempio migliore in Siria. L’ex Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, in un recente articolo per l’UPI, ha descritto l’attuale conflitto nel paese come una “rivoluzione confessionale sunnita” contro un regime al governo appoggiato da altre minoranze religiose. Kissinger non è stato corretto. La maggioranza dei mussulmani sunniti nelle principali città di Damasco e Aleppo che, insieme, sono la residenza di metà della popolazione, sono contro la “rivoluzione” settaria guidata da al-Qaeda e dalla Fratellanza Mussulmana, che non sono considerate rappresentative dell’Islam o dei mussulmani ortodossi. Lo scorso 30 agosto l’UNESCO ha avvertito che una ricca eredità culturale è devastata dal conflitto, attualmente al suo terzo anno, dalla Moschea Umayyad di Aleppo al castello Crac des Chevaliers che data dalle crociate del tredicesimo secolo. La BBC, il 23 aprile scorso, ha citato il patriarca cattolico greco melchita della chiesa di Antiochia, Gregorio III Laham che ha recentemente detto che più di mille cristiani erano stati uccisi: “Interi villaggi … svuotati dei loro abitanti cristiani”, e più di quaranta città e centri cristiani sono stati danneggiati e distrutti . Ha riferito che 450.000 dei due milioni di cristiani della Siria sono stati trasformati in profughi. Tuttavia la dimensione del calvario dei cristiani siriani arabi dovrebbe essere vista nel contesto del più vasto disastro che ha colpito la maggioranza mussulmana nel suo complesso. Più di centomila siriani risultano uccisi sinora, centinaia di moschee “sunnite” sono state prese di mira, un terzo dei 23 milioni di siriani, prevalentemente mussulmani di tutte le sette, è oggi costituito da profughi all’estero o sfollati in patria. E’ un disastro nazionale e non solo cristiano. Il papa cattolico Francesco ha dichiarato il 7 settembre giornata mondiale di digiuno e preghiera per la pace in Siria e la sua dichiarazione è stata ricevuta positivamente dalle altre chiese cristiane e anche dall’opinione pubblica araba mussulmana tradizionale. Due giorni prima della “giornata”, i controrivoluzionari settari islamisti dei ribelli collegati ad al-Qaeda, specialmente Jabhat Al Nusra e il più estremista Ahrar Al Sham, ha attaccato quella che Wadie el-Khazen, presidente del Consiglio Generale Maronita, ha descritto come “la roccaforte cristiana più importante della Siria e del Medio Oriente”, cioè la cittadina siriana di Maloula, che “ha conservato la sua eredità aramaica sin da quando Cristo parlava l’aramaico” e ha molti dei più antichi monasteri e delle chiese più antiche, compresa Mar Thecla, antecedente al Consiglio di Nicea del 325 a.C. Gridando “Dio è grande!” hanno dichiarato di aver “conquistato la città dei crociati”, che nel giro di ore è diventata una “città fantasma”. E’ stato un chiaro messaggio di rappresaglia a papa Francesco per non aver benedetto la loro continua controrivoluzione settaria. Molto prima che gli statunitensi del “nuovo mondo” iniziassero ad atteggiarsi ad apostoli che le predicano e di cui impartiscono lezioni, la Siria è stata la più antica culla della diversità e della coesistenza religiosa ed etnica. E’ per questo che la controrivoluzione settaria sta ora combattendo in Siria la sua battaglia più sanguinosa, il risultato della quale deciderà il corso della marea per molto tempo a venire. Da Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://www.zcommunications.org/tormenting-the-souls-of-religious-arabs-arab-spring-degrades-into-sectarian-counterrevolution-by-nicola-nasser.html
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