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Dicembre 30 2014

Lo schiaffo, la guerra, la riconciliazione. L’anno di padre Gazzera, l'uomo che ha piegato i fucili ai banditi
di Leone Grotti

Il missionario carmelitano di 51 anni, dal 1992 in Centrafrica, racconta a tempi.it «l’opera dello Spirito Santo» in mezzo a un anno di persecuzioni e guerra civile

Lo schiaffo ricevuto da Goni, ribelle della milizia Seleka, per aver protestato contro le torture e gli arresti tra la popolazione cristiana; i vetri rotti della sua auto, spaccati dalla folla di musulmani che volevano linciarlo; lo sguardo di un musulmano e del ribelle “10/15”, che hanno impedito la sua uccisione; il modo in cui i rifugiati alla missione di Bozoum l’hanno accolto al suo ritorno, quando lo credevano morto, gettando i mantelli sotto le ruote della sua macchina, neanche fosse Gesù sull’asina alle porte di Gerusalemme. Quelli che qualunque persona definirebbe offese, rischi o scampati pericoli, padre Aurelio Gazzera li chiama «premi» o «medaglie» e questo già dice molto del carattere e della fede di questo missionario carmelitano di 51 anni, che ha lasciato Cuneo per il Centrafrica nel 1992.

UN ANNO PERICOLOSO. Durante una delle rare visite in Italia, passando dalla Spagna dove è stato insignito con un premio per la difesa dei diritti umani, padre Gazzera ha raccontato a tempi.it il suo ultimo anno di missione, anche se le sue parole corrispondono più a una riedizione africana di Un anno vissuto pericolosamente. Lo schiaffo di Goni, in realtà, riporta padre Gazzera con la memoria al 2013: il 24 marzo i mercenari provenienti da Ciad e Sudan, i ribelli islamici Seleka, avevano conquistato il Paese con un colpo di Stato al seguito del presidente Djotodia. Il 26 marzo un contingente era già arrivato a Bozoum, intraprendendo senza perdere tempo l’azione preferita dal gruppo: «Rubare, saccheggiare e terrorizzare la popolazione».

CRISTIANI TORTURATI. A Bozoum, nella parte nord-occidentale dell’ex colonia francese, dove padre Gazzera si trova dal 2003, hanno stravolto la vita dei circa 26 mila abitanti, di cui solo 6-7 mila erano musulmani. «Tra agosto e settembre, i Seleka hanno cominciato a torturare e arrestare in modo arbitrario i cristiani. Un giorno avevo appena visitato un ragazzo che aveva perso l’uso delle mani, perché gliele avevano legate troppo strette e troppo a lungo. Il giorno dopo, una donna è venuta a raccontarmi un altro caso simile e ho capito che questa cosa non poteva andare avanti».

LO SCHIAFFO DI GONI. Recatosi nel quartier generale dei ribelli, si è seduto davanti a un Seleka di nome Goni, ricevendo un’accoglienza tutt’altro che cordiale: «Gli ho detto che non potevano arrestare le persone perché non avevano alcuna autorità. Loro mi mostravano le armi e io gli dicevo che un’arma non dà l’autorità di fare qualunque cosa. La discussione si è accesa e Goni, che era un fuori di testa, ha cercato di caricare l’arma per spararmi. Per fortuna gliel’hanno impedito e allora mi ha dato uno schiaffo. Io mi sono alzato e me ne sono andato ma quello schiaffo ha permesso l’instaurarsi di un rapporto: tante persone dopo sono venute a chiedermi scusa».

CONVIVENZA DISTRUTTA. L’intervento dei Seleka ha cambiato tutto nel rapporto tra i cristiani e musulmani del Centrafrica, rovinando una convivenza da sempre pacifica. «I rapporti tra noi sono sempre stati rispettosi ma quando sono arrivati i Seleka, la comunità musulmana si è spaccata: alcuni li hanno appoggiati, arrivando anche a combattere con loro, altri sono rimasti neutrali. Ricordo quando abbiamo cercato di disarmare i ribelli che molti musulmani si sono attivati per impedirlo, per non perdere il potere che avevano acquisito approfittando della situazione».

ANTI-BALAKA. Dopo circa otto mesi di ruberie e persecuzioni ai danni dei cristiani, a gennaio l’intervento delle milizie animiste anti-balaka ha cambiato di nuovo il corso degli eventi. Per ribellarsi alle brutalità dei Seleka, «questi criminali hanno cominciato ad attaccare non solo i ribelli ma tutti i musulmani». A Bozoum hanno chiesto rinforzi, e «tra l’8 e il 9 gennaio è arrivato un contingente Seleka che ha terrorizzato ancora di più la popolazione, bruciando più di tremila case nella zona». L’unico modo per porre fine alle ostilità e alla violenza era cacciare dal Paese i Seleka e proteggere i musulmani. «Dal Ciad mi hanno chiamato, chiedendomi di aiutare a far partire i musulmani di Bozoum verso il Ciad». Un’impresa complessa, soprattutto perché padre Gazzera si convinse che «quella era l’ultima occasione buona per liberarci dei Seleka. Così ho posto la condizione che insieme ai musulmani partissero anche i ribelli».

TENTATO LINCIAGGIO. Oltre a convincere la milizia ad andarsene, bisognava parlare con gli anti-balaka, «per far loro promettere di non attaccare i convogli di camion lungo la strada». Il 13 gennaio, dopo un lungo tira e molla, padre Gazzera riuscì a far partire i Seleka con il primo convoglio, scatenando così l’ira dei musulmani. «Non potevano partire tutti nello stesso momento – spiega il missionario – e vedendo partire i Seleka, i musulmani avevano paura di restare indifesi alla mercé degli anti-balaka». Per questo hanno attaccato padre Gazzera, con colpi di kalashnikov e lanci di pietre. Fortunatamente «riuscirono a rompere solo i vetri della mia auto e non mi colpirono. Se un gruppo di musulmani e un ribelle soprannominato “10/15” non mi avessero difeso, non mi sarei salvato».

DOMENICA DELLE PALME. Tornato a casa, ricevette dalle circa seimila persone che si erano rifugiate alla missione per sfuggire alle violenze l’accoglienza più calorosa di tutta la sua vita: «Sembrava di essere alla Domenica delle Palme, la gente mi acclamava e stendeva mantelli sotto le ruote della mia macchina. È stato un bell’incoraggiamento». Ma con la partenza dei Seleka non sono finiti i problemi. C’era da sfamare seimila persone e proteggere i musulmani rimasti nella città dagli attacchi degli anti-balaka. Riuniti tutti in una strada, «sarebbero morti di fame e sete se non gli avessi portato tutti i giorni riso e acqua, comprati con i miei soldi».

DA MISSIONARIO A SINDACO. Nonostante la tensione rimanesse alta e la normalità fosse ancora di là da venire, era necessario far ripartire un’intera città che da un anno era rimasta senza prefetto e senza autorità statale. E questo, nonostante nella capitale Bangui la politica facesse il suo corso e la presidentessa ad interim Catherine Samba-Panza fosse stata nominata il 23 gennaio. È stato così che da missionario, padre Gazzera ha assunto insieme ad altri anche il ruolo di sindaco.

COMITATO CIVICO. «Insieme ad un pastore protestante e ad altre due o tre persone di alcune ong ci siamo recati tutte le mattine nella piazza centrale di Bozoum per mettere in piedi un comitato civico di mediazione. Tutte le mattine alle otto ci riunivamo e chiunque avesse bisogni particolari poteva venire ad esporli. È capitato anche che si presentassero degli anti-balaka ma noi non li abbiamo mai accettati come parte integrante del Consiglio perché non volevamo legittimare una presenza criminale che non aveva ragion d’essere».

RIPARTE LA SCUOLA. Le violenze degli anti-balaka erano in realtà diminuite di intensità perché «non c’era più niente da rubare e la gente aveva cominciato a reagire». Il problema principale era ad esempio la scuola, uno dei fiori all’occhiello dell’azione del carmelitano. «Nell’anno scolastico 2013/2014 abbiamo tenute le scuole sempre aperte, tranne due mesi. Quest’anno invece siamo riusciti a riaprire le scuole il 23 settembre». Per capirci, lo Stato le ha riaperte ufficialmente solo il 24 novembre. «Ce l’abbiamo fatta pagando 260 maestri per 15 mila studenti tra i 20 e i 30 euro al mese e procurandoci i materiali scolastici con l’aiuto di organizzazioni internazionali».

SITUAZIONE INSTABILE. Oggi la situazione del Centrafrica è ancora «molto instabile»: a Bangui la pace è un miraggio e la parte centro-settentrionale del Paese è «tuttora in mano ai Seleka». Inoltre, le missioni internazionali di Camerun, Unione Africana, Francia, Unione Europea e Nazioni Unite ancora non sono state in grado di «disarmare le parti in conflitto» e portare a termine operazioni come la «messa in sicurezza della principale arteria del paese: 600 chilometri di strada che collegano la capitale e il Camerun non sono tanti. Ma ci sono ancora i posti di blocco degli anti-balaka, forse perché i soldati non vogliono implicarsi troppo. La paura è che gruppi come Boko Haram approfittino della situazione».

PACE E RICONCILIAZIONE. Più di ogni strada o servizio, la cosa di cui il Paese ha bisogno, è la «riconciliazione»: «Ricostruire la pace è un impegno enorme – confessa padre Gazzera – e richiederà tanti anni». Ma come si costruisce la pace dopo quasi due anni di violenze? «Io ho speranza. Da una parte bisogna invitare i centrafricani a riflettere sulle cause profonde di questa guerra. Dall’altra bisogna aiutarli a tirare fuori quello che hanno dentro». Per il missionario, infatti, «il problema viene da lontano, ci sono questioni mai risolte che bisogna affrontare se si vuole che la riconciliazione abbia un seguito. Prendiamo ad esempio la scuola: lo Stato in 50 anni non ne ha mai costruita una. La corruzione in politica, poi, è la normalità ed è vista solo come possibilità di ottenere un interesse personale e mai come servizio».

IL MIRACOLO DELL’OFFERTORIO. Ma la politica non basta se nella popolazione manca «il desiderio della riconciliazione». Ed è proprio a questo riguardo che padre Gazzera ha visto un piccolo miracolo: «A Bozoum restano ancora circa 300 musulmani, soprattutto donne e bambini. Per aiutarli, ho proposto a inizio novembre un offertorio speciale. Ho lanciato questa idea ma non ho insistito perché tanti cristiani avevano perso i familiari a causa dei musulmani e non volevo offenderli. Invece i miei cristiani mi hanno stupito: hanno donato manioca, arachidi, vari prodotti e soprattutto circa 70 euro. Mentre solitamente non si raccoglie più di 20 euro». La cosa bella è che «erano fieri di farlo e di aiutare i musulmani. Questo significa che il desiderio di riconciliazione è presente nella gente ed è importante perché certe cose non le potrai mai imporre: bisogna dare a queste persone la possibilità e dei modi per soddisfare questo desiderio».

«LO SPIRITO SANTO OPERA». Anche per un missionario che nel 2007 si è guadagnato l’appellativo di “uomo che ha piegato i fucili ai banditi”, il 2014 è stato un anno intenso. Padre Gazzera, facendo un bilancio finale, sa vedere una luce anche in mezzo a una situazione drammatica: «Per noi cristiani ogni crisi è una porta che si apre. Pensiamo alla croce di Gesù, che è diventata opportunità di salvezza. Quest’anno è stato durissimo ma ha permesso di fare emergere un’esperienza di Chiesa molto bella. La gente ha apprezzato la scelta di noi missionari di non andarcene. Dal Ciad i musulmani mi chiamano dicendo che vogliono tornare. I giovani cristiani a scuola rivogliono i loro compagni musulmani». E poi quell’offertorio: «Non so come sia stato possibile. Io ho portato tutti i giorni da mangiare e bere ai musulmani di Bozoum. Forse l’esempio è servito a qualcosa. E poi c’è lo Spirito Santo che opera».

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