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Venerdì 17 luglio 2015
Legno rosso sangue
di Marco Simoncelli
Un rapporto di Global witness evidenzia come l’industria forestale abbia alimentato la guerra civile centrafricana finanziando i due gruppi attivi nel conflitto. Il rapporto stima che imprese europee e cinesi abbiano pagato quasi 3,4 milioni di euro nel 2013 ai ribelli di Seleka, mentre nel 2014 abbiano versato circa 127.800 euro alle milizie cristiane anti-balaka.
Quando in gioco ci sono gli affari e tanto denaro, non importa chi è l’interlocutore né di cosa si occupa: basta lucrare. Questa è una regola tristemente nota nel continente africano. Dal 2013 la Repubblica Centrafricana (Rca), uno stato senza sbocchi sul mare con una popolazione di 4,6 milioni di abitanti, è sconvolto dal conflitto più sanguinoso della sua storia. Più di 5mila persone sono morte e più di 1 milione sono invece quelle rifugiate oltre confine o sfollate all’interno del paese.
In questo contesto, le aziende dell’industria del legname che lavorano nel paese hanno finanziato entrambe le fazioni attive nel conflitto – prima i Seleka e poi gli anti-Balaka – pur di poter continuare a esportare risorse, contribuendo così a creare i mezzi finanziari necessari a perpetrare la feroce campagna di violenza contro la popolazione del paese. La denuncia arriva da un rapporto intitolato “Blood timber” (Legno insanguinato) pubblicato dalla Global Witness (Gw), organizzazione britannica che si batte contro la corruzione e la devastazione dell’ambiente.
Le compagnie coinvolte
Nonostante la scoppio della guerra, tre compagnie multinazionali del legno francesi, cinesi e libanesi hanno continuato a lavorare nella foresta pluviale centrafricana pagando i ribelli. Secondo le stime della Gw, l’industria forestale ha pagato quasi 3,4 milioni di euro nel 2013 ai ribelli della coalizione Seleka e, dopo la disfatta di questo gruppo nel 2014, ha continuato a contribuire all’instabilità del paese pagando almeno 127.864 euro alle milizie anti-Balaka, che avevano preso il controllo delle zone boschive. Secondo la Gw, continuerebbe anche oggi il supporto finanziario alle milizie armate da parte delle compagnie di sfruttamento delle foreste.
Le compagnie in esame sono la francese Industrie forestière de Batalimo (Ifb), la più grande in attività, e di proprietà libanese, Société d’exploitation forestière centrafricaine (Sefca) e il gruppo cinese Vicwood. Queste controllano una superficie di foresta duecento volte più grande di Parigi, e insieme forniscono il 99% delle esportazioni di legname dalla Rca. Tutte avrebbero fatto frequenti pagamenti a favore di Seleka sotto forma di tangenti, per superare i blocchi stradali, per la scorta armata e per la tutela delle loro aree di sfruttamento, inclusa una singola transazione di quasi 381mila euro fatta dalla Sefca ai Seleka.
Che la loro attività non si sia mai fermata nonostante lo scoppio del conflitto, lo testimonia il fatto che la produzione è calata solo del 6,1%. Il valore delle esportazioni totali dalla Rca equivale a circa 45 milioni di euro. Il 62% della produzione totale è della Sefca, la Vicwood produce il 26% e l’11% la Ifb. Non male come affare se si fa la differenza fra ricavi (sopracitati 45 mln) e spese per “tener buoni” i ribelli di turno (3,5 mln).
Complicità europea
L’Europa ha svolto un ruolo significativo in questo giro d’affari sotto diversi aspetti. Il vecchio continente è il primo mercato di destinazione del legname proveniente dalla Rca; ciò significa che gli stati membri dell'Ue stanno infrangendo la legge che vieta l’introduzione del legname illegale sui mercati continentali (la Eu Timber Regulation, Eutr). I dati ufficiali della Rca dimostrano che il 59% delle esportazioni illegali di legname del paese finisce in Europa, principalmente in Germania (32% delle esportazioni totali), in Francia (20%) e Regno Unito (5%). L'Asia segue con il 39% delle esportazioni totali, la maggior parte dei quali (32%) destinata alla Cina.
È evidente che sono mancati i controlli nel far applicare le leggi europee. Le autorità nazionali, secondo Gw, sapevano di importare legname centrafricano, ma o per incapacità o per semplice disinteresse (più probabile la seconda) non sono riusciti a far rispettare le regole.
Le aziende europee che hanno continuato ad acquistare legno dalla Rca sono state la Tropica-Bois (Francese), la Johann D Voss (Germania), la F. Jammes (Francia), la Bois des Trois Porte (Francia) e la Peltier Bois (Francia). La più attiva è stata la Tropica-Bois, che ha registrato profitti record nel 2013, in crescita del 247% rispetto al 2010. Non a caso questa società è controllata al 50% dalla Sefca. Quando è stato intervistato da un infiltrato della Gw, un rappresentante della compagnia ha espresso la sua indifferenza sulle attività commerciali in tempo di guerra. «È l'Africa. [La guerra] è così frequente che non vi prestiamo attenzione... Non è una guerra in cui attaccano i bianchi. Non è una guerra che possiamo evitare», ha detto, senza sapere che era stato registrato.
Comunità internazionale in silenzio
Se le multinazionali hanno potuto continuare a lavorare durante la crisi è stato anche grazie al fatto che il mercato del legno centrafricano è rimasto aperto. La comunità internazionale si è mossa per impedire che il conflitto venisse alimentato dallo sfruttamento delle risorse naturali vendute ed esportate all’estero. Lo ha fatto nel maggio 2013 con i diamanti attuando le regole stabilite dal Kimberly process (per altro con scarso successo), e con le armi, istituendo l’embargo con una risoluzione Onu nel dicembre 2013. Ma nulla è stato fatto per il commercio del legno pregiato delle foreste centrafricane che è divenuto la principale risorsa d’esportazione. (circa il 15% del territorio della Rca è coperto dalla foresta pluviale del bacino del fiume Congo n.d.r)
Paradosso francese
Un ruolo particolare è quello della Francia e la Gw lo sottolinea. Il secondo principale acquirente di legno centrafricano, ha addirittura supportato le compagnie del legno operanti nel paese, convinta che in questo modo si potesse gestire in maniera sostenibile lo sfruttamento delle foreste. L'Agenzia francese per lo sviluppo ha infatti pagato milioni a favore delle società, di cui 1,4 milioni di euro alla Sefca, per sviluppare un programma legale di “gestione forestale” che l'azienda non ha mai rispettato.
Parigi è intervenuta nel conflitto della sua ex-colonia, sia militarmente (ora è sul posto la missione Sangaris), sia con aiuti umanitari. Ecco che allora sorge il paradosso per cui i cittadini e contribuenti francesi finiscono col pagare tre volte: la missione militare, gli aiuti per fermare le violenze e aiutare la popolazione, e le parti in conflitto con il commercio del legno, alimentando la guerra che si cerca di far cessare. Il ciclo senza fine dei conflitti africani.