Middle East Monitor 30/10/2015 http://arabpress.eu 1 novembre 2015
Non è colpa della religione di Soumaya Ghannouchi esperta di politica mediorientale, collabora con importanti testate internazionali Traduzione e sintesi Ismahan Hassen
Il più delle volte, i conflitti intorno a noi assumono una connotazione religiosa pur avendo radice in fattori socio-politici
Dalla questione irlandese ai conflitti in Medio Oriente, anche se a tutti quelli che sono ai ferri corti capita di appartenere a confessioni diverse (cattolici e protestanti, ebrei, musulmani e cristiani), essi non sono “venuti alle mani” a causa della loro appartenenza religiosa. I loro conflitti sono fondamentalmente politici, anche se si nascondono sotto le spoglie della religione. Prendete l’orgia di sangue confessionale che infuria in Iraq da oltre un decennio, per esempio. Sunniti e sciiti si uccidono a vicenda a decine ogni giorno. Ma perché lo fanno quando non lo hanno fatto per anni? Perché erano in grado di coesistere prima ed è impossibile farlo oggi? Per secoli l’Iraq è stato uno dei luoghi con più diversità nel mondo, un vero e proprio mosaico di religioni, etnie, sette e confessioni religiose: musulmani (sunniti e sciiti), cristiani, sabei, yazidi, curdi, turcomanni… tutti hanno pacificamente condiviso lo stesso spazio. Questo non è l’Iraq di oggi. Dall’invasione americana/inglese e da quando l’autorità di transizione di Bremer ha distrutto ordine politico nel Paese, sostituendolo con settarismo e faziosità etnica, l’identità nazionale è stata fatta a pezzi. Non sono l’Ebraismo, il Cristianesimo o l’Islam i responsabili del conflitto in Medio Oriente. Palestinesi e israeliani invocano simboli e riferimenti alla religione nella loro razionalizzazione della controversia, in uno spazio carico di significati sacri per entrambe le parti. Ma la verità è che non si tratta di un conflitto per una moschea, una chiesa o un tempio, anche se il tutto è stato identificato da tali luoghi. Più che il Corano o l’Antico Testamento, è la Dichiarazione Balfour e le strategie delle grandi potenze nella regione, a generare e dettare il corso di questo dramma lungo e doloroso. La religione non è né la radice di tutte le virtù, né la causa di ogni male. Questo non vuol dire, come Marx aveva ipotizzato, che la religione è un illusione superflua. Si tratta di una parte integrante della memoria collettiva e della coscienza dei gruppi e degli individui. Attraverso di essa si attribuiscono significati alle proprie esperienze e giustificazioni alle loro azioni. La religione è un foglio bianco, che funziona silenziosamente e inosservata quando vive in un contesto di stabilità e di calma, ma che può diventare esplosiva in periodi di crisi e di turbolenza. Non c’è alcuna religione intrinsecamente pacifica né alcuna religione intrinsecamente aggressiva. Gli esseri umani e le società in cui essi vivono non sono pagine bianche, ma i portatori di un profondo patrimonio culturale, simbolico e storico, attraverso il quale comunicano il senso della realtà. Questo patrimonio integrato di valori, immagini e riferimenti, viene inevitabilmente chiamato in causa e invocato in pace come in guerra, da sempre. Proprio in guerra poi, ancora di più che in tempo di pace, le tensioni, le identità culturali, religiose e nazionali vengono risvegliate, attivate e intensificate. In breve, faremmo bene a evitare di scrutare la realtà attraverso il prisma delle idee e delle dottrine. Gli esseri umani camminano sui loro piedi, non sulle loro teste.
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