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https://www.middleeastmonitor.com Il problema non è Netanyahu; è il rapporto speciale tra Stati Uniti e Israele Non è la prima volta che l'amministrazione Obama e il governo israeliano lavano i panni sporchi in pubblico. Per questo, si dice gli americani che siano lividi per l’espansione degli insediamenti illegali del primo ministro Benyamin Netanyahu a Gerusalemme. Il problema, tuttavia, va molto più in profondità. Mentre gli israeliani cercano di spiegare la crisi come una semplice cattiva chimica tra Netanyahu e Obama, al centro di esso c’è il rapporto speciale a cui gli americani si sono irrevocabilmente sposati. Le linee di faglia in questa curiosa relazione non sono mai molto al di sotto della superficie. Esse sono una fonte costante di tensione e di imbarazzo per gli americani perché non possono conciliare il suono dei loro tamburi per i diritti umani e la democrazia internazionale, con la sottomissione di Israele del popolo palestinese. Così, com’è possibile che una super-potenza dominante del mondo si trovi in questo pasticcio; dove segue ciecamente, spesso contro le sue stesse leggi e i valori proclamati, ogni capriccio di uno stato cliente che è oltraggiosamente razzista? Il mese scorso, il presidente israeliano Reuven Rivlin ha denigrato la crescente ondata di razzismo e violenza contro gli arabi israeliani nel sedicente stato ebraico. Parlando alla Bar Association israeliana nella Gerusalemme occupata, ha detto: "Noi siamo pazzi a fare tali irresponsabili dichiarazioni o a rimanere in silenzio. Appelli all’odio e a “Morte agli arabi” non sono solo vernice spray su muri trascurati nel cuore della notte, ma parlano forte e chiaro, alla luce del giorno." Sicuramente nella costituzione americana, gli autori ed i patrioti che sono morti per la sua indipendenza, avrebbero considerato tali offese come un tradimento di tutto ciò che rappresentavano. Da quando Netanyahu ha annunciato il suo piano per la costruzione di ulteriori 1.060 unità abitative a Gerusalemme, i rapporti con Washington sono andati di male in peggio. E' diventato fin troppo evidente durante la recente visita del Ministro della Sicurezza di Israele, Moshe Ya'alon, negli Stati Uniti. Nonostante gli strenui tentativi, gli sono stati negati incontri con alti funzionari degli Stati Uniti. In pubblico, entrambe le parti si sono preoccupate di limitare i danni. Mentre gli israeliani sostengono che il vero obiettivo dell’affronto non sia Yaalon in sé, ma il primo ministro Netanyahu, gli americani, da parte loro, sono stati ugualmente veloci a ricoprire la piaga. Mercoledì scorso, l'amministrazione Obama ha doverosamente preso le distanze da un rapporto dei media che ha descritto il primo ministro israeliano con uno stridente linguaggio poco diplomatico. La relazione di Jeffrey Goldberg dell’Atlantic, citava un anonimo funzionario degli Stati Uniti che avrebbe descritto Netanyahu come "un chickenshit" “merda di gallina”. Com'era prevedibile, l’addetto stampa della Casa Bianca, Josh Earnest, ha rassicurato il pubblico che tutto va bene. Pur ammettendo che attualmente esistono differenze, ha affermato che le relazioni con Israele sono più forte che mai. Invece di fare scuse in piena regola, Earnest ha negato che le opinioni dell’anonimo dipendente fossero indicative anche dell'amministrazione. Come individuo, Netanyahu poteva apparire senza spina dorsale; ha in innumerevoli occasioni assecondato le richieste dei coloni, al fine di salvare la sua carriera politica. Tuttavia, a conti fatti, va detto che i funzionari israeliani non hanno mai paura di criticare e rimproverare i funzionari degli Stati Uniti; siano essi il Segretario di Stato o il Presidente. D'altra parte, sono gli americani che hanno dimostrato un debole per l'ambiguità facendo dichiarazioni sotto la copertura dell'anonimato. In ultima analisi, Israele sarà il perdente di questo battibecco corrente. Gli americani, a quanto pare, sono sempre più stanchi e stufi del bizzarro rapporto con una scodinzolante coda di cane. Non è certamente un bene per la loro immagine, ma altamente dannoso per i loro interessi internazionali. Mentre fatica a garantire la sua quota dei mercati globali, investimenti e risorse, l'America non può permettersi di essere vista come un fornitore di ingiustizia. Per paura di essere visti come colpevoli per associazione, gli europei sono oggi in fila per riconoscere lo Stato di Palestina, nonostante l'opposizione di Stati Uniti e Israele e la retorica sul processo di pace. Danny Ayalon, il diplomatico ed ex vice ministro degli esteri israeliano ha ammesso che la crescente crisi nei rapporti con Washington sta minacciando gli interessi di Israele. Egli ha spiegato che: "Non c'è dubbio sia una cosa molto brutta ciò che accade a livello di relazioni tra Israele e gli Stati Uniti ... Quando le relazioni vanno davvero male, avranno certamente ripercussioni significative, e potrebbero scuotere l'opinione pubblica americana in disgrazia con Israele." A tempo debito, Benyamin Netanyahu lascerà l'incarico, ma i problemi dell'America con Israele persisteranno. Questo perché il suo successore sarà, quasi inevitabilmente, ancora più estremo e derisorio delle norme internazionali. Nessun presidente dopo Obama, anche se simpatico, sarà in grado di convincere il popolo americano che devono sostenere questa impresa coloniale del 21° secolo. Essa è in contrasto con le loro credenze, la loro etica e la loro storia. Inoltre, con tutto ciò che sta accadendo in Siria e in Iraq, l'ultima cosa che gli americani vogliono è di rimanere impigliati in una guerra di religione, il tipo di guerra in cui Israele li sta trascinando. Il tentativo di Israele di conquistare la Moschea di Al Aqsa, il terzo luogo più sacro musulmano, porterà a conseguenze inimmaginabili che renderebbero l'Iraq, l'Afghanistan e la Siria come un pic-nic nel parco. Un riesame onesto e spassionato del rapporto speciale potrebbe evitare che ciò accada. https://www.middleeastmonitor.com
The problem is not Netanyahu; it's the special relationship between the US and Israel Not for the first time the Obama administration and the Israeli government have been hanging out their dirty linen in public. On the face of it, the Americans are said to be livid with Prime Minister Benyamin Netanyahu's illegal settlement expansion in Jerusalem. The problem, however, runs much deeper. While the Israelis try to explain the crisis as simply bad chemistry between Netanyahu and Obama, at the heart of it is the 'special relationship' to which the Americans have irrevocably wedded themselves. The fault-lines in this curious relationship are never far below the surface. They are a constant source of tension and embarrassment for the Americans because they cannot reconcile their international drum beat for human rights and democracy with bank-rolling Israel's subjugation of the Palestinian people. So how did the world's dominant super-power find itself in this mess; where it blindly follows, often against its proclaimed laws and values, the whims of a client state that is unapologetically racist? Last month, Israel's President Reuven Rivlin decried the increasing wave of racism and violence against Arab Israelis in the self-styled Jewish state. Addressing the Israeli Bar Association in occupied Jerusalem he said: "We are fools to make such irresponsible statements or to remain silent about them. Hateful calls of 'Death to Arabs' were not spray-painted on neglected walls in the dead of night, but spoken loudly and clearly, in the light of day." Surely the authors of the American constitution, and the patriots who died for its independence, would have regarded support for such indignities as a betrayal of all that they stood for. Ever since Netanyahu announced his plan to construct an additional 1,060 housing units in Jerusalem, relations with Washington have gone from bad to worse. It became all too apparent during Israel's Security Minister Moshe Ya'alon's recent visit to the US. Despite strenuous efforts, he was denied meetings with senior US officials. In public, both sides have been at pains to limit the damage. While the Israelis claim that the real target of the snub was not Yaalon per se but Prime Minister Netanyahu, the Americans, on their part, were equally quick to plaster the sore. On Wednesday, the Obama administration dutifully distanced itself from a media report that described Israel's prime minister in stridently 'undiplomatic' language. The report by the Atlantic's Jeffrey Goldberg quoted an unnamed US official who described Netanyahu as "a chickenshit". Predictably, the White House Press Secretary Josh Earnest made the public believe all is well. While admitting that differences currently exist, he asserted that relations with Israel are "as strong as ever". Short of making a full-blown apology, Earnest denied that the unnamed official's views were indicative of those of the administration. As an individual, Netanyahu may have appeared spineless; he has on countless occasions pandered to the demands of the settlers in order to save his political career. However, on balance, it must be said that Israeli officials are never afraid to criticise and even rebuke US officials; whether they be Secretary of State or the President. On the other hand, it is the Americans who have demonstrated a penchant for ambiguity and making statements under the cover of anonymity. Ultimately, Israel will be the loser from this current spat. Americans, it seems, are growing increasingly tired and fed up with the bizarre relationship in a case of the tail wagging the dog. It is one that is certainly not good for their image, and highly detrimental to their international interests. As it struggles to secure its share of global markets, investments and resources, America can ill-afford to be seen as being a purveyor of injustice. For fear of being seen as guilty by association European countries are today lining up to recognise the state of Palestine, in spite of US-Israeli opposition and rhetoric about the peace process. Danny Ayalon, the Israeli diplomat and former deputy foreign minister admitted that the growing crisis in relations with Washington is threatening Israel's interests. He explained that: "There is no doubt that there is a very bad thing happening at the level of relations between Israel and the US... When the relations become really bad, they would certainly have significant repercussions, and could shake the American public opinion out of favour with Israel." In due course, Benyamin Netanyahu will leave office, but America's problems with Israel will persist. That is because his successor will, almost inevitably, be even more extreme and derisive of international norms. No president after Obama, however sympathetic, would be able to convince the American people that they must prop-up a 21st century colonial enterprise. It runs contrary to their beliefs, their ethos and their history. Furthermore, with all that is happening in Syria and Iraq, the last thing Americans want is to become entangled in a religious war, the type of which Israel is dragging them towards. Israel's attempt to seize Al Aqsa Mosque, the third most sacred Muslim site, will lead to unimaginable consequences that would make Iraq, Afghanistan and Syria all look like a picnic in the park. An honest and dispassionate reappraisal of the special relationship may just prevent that from happening.
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