english version below
Fonte: http://johnpilger.com
www.thelivingspirits.net
http://coscienzeinrete.net
14 Gennaio 2015
Giornalisti, propaganda e guerra mediatica. E' ora che la gente sappia la verità
di John Pilger
giornalista free lance
Traduzione Cristina Bassi
"serve un giornalismo che monitori, smonti e controbatta la propaganda e che insegni ai giovani ad essere agenti per la gente, non per il potere".
Traduzione di un illuminante pezzo "riassuntivo", di questo giornalista australiano (che negli anni '60 ha tentato anche una avventura free lance in Italia) su dove siamo e siamo andati nella informazione in Occidente, ovvero sul suo ruolo preminente come "propaganda del potere" e quindi... sulla falsità e faziosità del giornalismo mainstream, votato non alla verità e all'informazione ma a servire le agende del potere. Questo anche in relazioni alle grandi guerre...come quella che stanno preparando.
Perché così tanto giornalismo si è arreso alla propaganda? Perché censura e distorsione sono diventate una pratica standard? Perché la BBC è cosi spesso portavoce di un potere rapace? Perché il New York Times e il Washington Post ingannano i loro lettori? Perché ai giovani giornalisti non viene insegnato a comprendere le finalità dei media e a sfidare le affermazioni eclatanti e le basse intenzioni di una oggettività fasulla?
E perché a loro non si insegna che l'essenza di gran parte di ciò che definiamo media mainstream non è informazione, ma potere?Queste sono domande urgenti. Il mondo si trova di fronte all'eventualità di una grande guerra, forse addirittura nucleare - con gli Stati Uniti chiaramente determinati ad isolare e provocare la Russia e poi la Cina. Questa verità viene capovolta e messa sottosopra dai giornalisti, inclusi quelli che promossero le menzogne che portarono al bagno di sangue in Iraq nel 2003.
I tempi in cui viviamo sono così pericolosi e distorti nella pubblica percezione, che la propaganda non è più, come Edward Bernays la definì, un "governo invisibile", ma è il governo stesso, che governa direttamente senza timore di essere contraddetto; il suo scopo principale è conquistare noi, il nostro senso del mondo, la nostra capacità di separare la verità dalle menzogne.
L'era dell'informazione è in realtà un'era mediatica. Abbiamo guerre mediatiche; censura mediatica; demonizzazione mediatica; punizione mediatica; deviazioni mediatiche: una surreale linea di assemblaggio di obbedienti luoghi comuni e false supposizioni.
Questo potere di creare una nuova "realtà" è in corso da lungo tempo. Quarantacinque anni fa, un libro intitolato "The Greening of America" fece scalpore. La copertina riportava queste parole: "E' in arrivo una rivoluzione. Non sarà come le rivoluzioni del passato. Avrà origine dall'individuo..."
In quel periodo facevo il corrispondente negli Stati Uniti, e mi ricordo che l'autore, da un giorno all'altro, divenne un guru. Era un giovane accademico dell'Università di Yale: Charles Reich. Il suo messaggio era che il dire la verità e l'azione politica avevano fallito e che solo "cultura" e introspezione avrebbero potuto cambiare il mondo.
Spinto dalle forze del profitto, nel giro di pochi anni l'ideologia del "me-stesso" (me-ismo) avrebbe sopraffatto il nostro senso di azione comune, di giustizia sociale e di internazionalismo. Si separarono classe, genere e razza. Il personale divenne politico e i media divennero il messaggio. Sulla scia della guerra fredda, l'invezione di nuove "minacce" completò il disorientamento politico di coloro che, 20 anni prima, avrebbero formato una veemente opposizione.
Nel 2003 filmai un'intervista a Washington con Charles Lewis, l'illustre giornalista investigativo americano. Discutemmo sull'invasione dell'Iraq pochi mesi prima che avvenne.
Gli chiesi: "Cosa sarebbe successo se i media più liberi del mondo avessero seriamente sfidato George Bush e Donald Rumsfeld, indagando sulle loro affermazioni, anziché veicolare ciò che poi si rivelò essere rozza propaganda?".
Rispose che, se noi giornalisti avessimo fatto il nostro lavoro, "ci sarebbe stata una grandissima probabilità che non saremmo andati a fare la guerra in Iraq."
Questa shockante affermazione, che fu anche sostenuta da altri giornalisti famosi a cui feci la stessa domanda. Dan Rather, ex di CBS, mi diede la stessa risposta. David Rose dell'Observer e altri giornalisti di lunga esperienza e produttori della BBC, che vollero restare anonimi, mi diedero la stessa risposta.
In altre parole, se i giornalisti avessero fatto il loro mestiere, se avessero indagato e messo in discussione la propaganda invece di amplificarla, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini potrebbero essere vivi oggi; milioni di persone non avrebbero dovuto abbandonare le loro case; la guerra settaria tra sunniti e sciiti avrebbe potuto non essere scatenata e il famigerato Stato islamico forse ora non esisterebbe.
Persino ora, nonostante i milioni di persone che sono scesi in piazza in segno di protesta, la piu' parte del pubblico nei paesi occidentali ha una scarsissima idea della vastità del crimine commesso dai nostri governi in Iraq. Ancora meno persone sono consapevoli del fatto che, nei 12 anni prima dell'invasione, i governi statunitense e britannico avevano messo in moto un olocausto negando alla popolazione civile dell'Iraq i mezzi per la sopravvivenza.
Queste sono parole del funzionario britannico responsabile per le sanzioni contro l'Iraq negli anni '90: un assedio medievale che ha causato la morte di mezzo milione di bambini sotto i cinque anni, come riferito dall'Unicef Il nome del funzionario è Carne Ross. All'Ufficio Esteri di Londra era conosciuto come "Mr Iraq". Oggi ha deciso di dire la verità su come i governi ingannano e su come i giornalisti volontariamente si prestano a diffondere l'inganno. "Davamo in pasto ai giornalisti presunti fatti di intelligence edulcorata", mi ha riferito, "oppure li tenevamo fuori."
Il "whistelblower" (che spiffera la notizia) principale durante questo terribile periodo di silenzio è stato Denis Halliday. Allora Assistente Segretario Generale delle Nazioni Unite e alto funzionario delle Nazioni Unite in Iraq, Halliday si dimise piuttosto di attuare politiche da lui stesso ritenute da genocidio. Ha stimato che le sanzioni uccisero più di un milione di iracheni.
Cosa successe poi ad Halliday è piuttosto istruttivo. Quando le sue affermazioni non venivano ritoccate, veniva diffamato. Durante il programma "Newsnight" della BBC, il presentatore Jeremy Paxman gli gridò: "Non sei forse solo un difensore di Saddam Hussein?" The Guardian ha recentemente descritto questo come uno dei "momenti memorabili" di Paxman. La scorsa settimana, Paxman ha siglato una trattativa da 1.000.000 di sterline per un libro.
Le ancelle della soppressione (dei fatti) hanno fatto bene il loro lavoro. Consideriamo gli effetti. Nel 2013, un sondaggio di ComRes, rivelò che la maggioranza del pubblico britannico credeva che il bilancio delle vittime in Iraq fosse 10.000: una piccola frazione della verità. La scia di sangue che va dall'Iraq a Londra è stata quasi del tutto ripulita.
Rupert Murdoch si dice sia il padrino della mafia mediatica e nessuno dovrebbe dubitare dello strapotere dei suoi giornali - 127 in tutto – con una tiratura congiunta di 40 milioni, e della sua rete, la Fox. Ma l'influenza dell'impero di Murdoch non supera di riflesso i media più ampi.
La propaganda più efficace non si trova su The Sun o su Fox News, piuttosto sotto un' aura "liberale". Quando il New York Times pubblico' le affermazioni sul fatto che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa, si credette a questa falsa evidenza, perché non provenivano da Fox News, ma dal New York Times.
Lo stesso vale per il Washington Post e per il Guardian, entrambi i quali hanno svolto un ruolo fondamentale nel condizionare i loro lettori ad accettare una nuova e pericolosa guerra fredda. Tutti e tre i giornali liberali hanno travisato gli eventi in Ucraina, presentandoli come atto malvagio da parte della Russia, quando, in realtà, il colpo di stato guidato dai fascisti in Ucraina è stato il lavoro degli Stati Uniti, aiutati dalla Germania e dalla Nato.
Questo capovolgere la realtà è fatto cosi pervasivo, che l'accerchiamento militare di Washington e l'intimidazione della Russia non sono neanche presi in considerazione. Non fanno neppure notizia, ma sono soppressi dietro una campagna diffamatoria e di paura, come quella con cui sono cresciuto durante la prima guerra fredda.
Ancora una volta, l'impero del male è venuto a prenderci, guidato da un altro Stalin o, perversamente , da un nuovo Hitler. Dai un nome al tuo demone e sguinzaglialo. (No, non lo sguinzagliare, guardalo e fagli amorevolmente capire chi comanda, NDR)
La soppressione della verità sui fatti in Ucraina è uno dei piu' completi blackout di notizie che io ricordi. Il più grande potenziamento militare occidentale nel Caucaso e in Europa orientale, dalla seconda guerra mondiale, è stato occultato. Gli aiuti segreti di Washington a Kiev e alle sue brigate neonaziste responsabili di crimini di guerra contro la popolazione dell'Ucraina orientale, è occultato. Le prove che contraddicono la propaganda che sia la Russia ad essere responsabile per l'abbattimento di un aereo di linea della Malesia, sono tenute nascoste.
E, per di più, sono proprio i media che si presumono liberali, ad essere i censori. Senza citare alcun fatto, senza alcuna prova, un giornalista ha individuato un leader filo-russo in Ucraina, come l'uomo che ha abbattuto l'aereo di linea. Quest'uomo, scrive il giornalista, era conosciuto come The Demon. Era un uomo spaventoso che impauriva il giornalista: ecco, questa era la prova.
Molti degli addetti nei media occidentali hanno lavorato alacremente per presentare la popolazione di etnia russa dell'Ucraina, come straniera in patria propria, quasi mai come ucraini alla ricerca di una federazione all'interno dell'Ucraina e come cittadini ucraini che resistono ad un colpo di stato orchestrato da stranieri contro il governo da loro eletto.
Quello che il presidente russo ha da dire è irrilevante; non è che un cattivo da pantomima teatrale, che può essere abusato impunemente. Un generale americano che guida la Nato e che sembra essere uscito direttamente dal film "Il Dottor Stranamore" - un certo gen. Breedlove - sostiene abitualmente la tesi delle invasioni russe, senza uno straccio di prova visiva. La sua imitazione del generale Jack D. Ripper del film di Stanley Kubrick è perfetta.
Quarantamila russi stavano ammassandosi al confine, secondo Breedlove. È bastata questa affermazione per il New York Times, il Washington Post e The Observer - quest'ultimo si era già distinto in precedenza con menzogne e invenzioni che avevano sostenuto l'invasione di Blair in Iraq, come il suo ex reporter, David Rose, ha poi rivelato.
Si respira quasi lo spirito gioioso di una riunione di classe. I suonatori di tamburi del Washington Post sono gli stessi editorialisti che dichiararono che l'esistenza di armi di distruzione di massa di Saddam, è un "dato di fatto".
Lo scrittore investigativo americano Robert Parry scrisse: "Se vi stupite su come il mondo possa finire dentro una terza guerra mondiale, così come ha fatto nella guerra mondiale di un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla pazzia che praticamente ha avvolto l'intera struttura politica e mediatica degli Stati Uniti, sulla questione Ucraina, dove una falsa narrativa di colletti bianchi opposta a quelli neri, ha preso piede dall'inizio e si rende impermeabile a fatti o a alla ragione".
Parry, il giornalista che ha rivelato lo scandalo Iran-Contra, è uno dei pochi che indaga sul ruolo centrale dei mezzi di comunicazione in questo "gioco dei polli", come il Ministro degli Esteri russo lo ha chiamato. Ma si tratta veramente di un gioco? Mentre scrivo, il Congresso degli Stati Uniti sta votando la Risoluzione 758, che, in poche parole, dice: "Prepariamoci per la guerra contro la Russia."
Nel 19° secolo, lo scrittore Alexander Herzen descrisse il liberalismo laico come "la religione finale, sebbene la sua chiesa non sia dell'altro mondo, ma di questo". Oggi, questo diritto divino è molto più violento e pericoloso di ogni altra cosa che il mondo musulmano possa escogitare, anche se forse il suo più grande trionfo è l'illusione di una informazione libera e aperta.
Dai notiziari, interi paesi sono fatti sparire. L'Arabia Saudita, la fonte di estremismo e terrore sostenuto dall'occidente, non fa storia, tranne quando spinge verso il basso il prezzo del petrolio. Lo Yemen ha subito dodici anni di attacchi di droni americani. Chi lo sa? A chi importa?
Nel 2009, l'Università del West of England pubblicò i risultati di uno studio decennale sulla copertura mediatica della BBC per quanto riguardava il Venezuela. Di 304 reportage trasmessi, solo tre parlarono delle politiche positive introdotte dal governo di Hugo Chavez. Il più grande programma di alfabetizzazione nella storia umana, ricevette appena un accenno.
In Europa e negli Stati Uniti, milioni di lettori e spettatori non sanno quasi nulla dei notevoli, vivificanti cambiamenti avvenuti in America Latina, molti dei quali ispirati da Chavez. Come per la BBC, le inchieste del New York Times, del Washington Post, del Guardian e del resto dei media occidentali rispettabili, erano notoriamente in malafede. Chavez venne deriso persino sul letto di morte. Come viene spiegato questo, mi chiedo, nelle scuole di giornalismo?
Perché milioni di persone in Gran Bretagna sono convinte che una punizione collettiva chiamata "austerity", è necessaria?
A seguito del crollo economico del 2008, un sistema marcio è venuto alla luce. Per una frazione di secondo le banche sono state messe in fila come truffatori con obblighi verso il pubblico che avevano tradito. Ma nel giro di pochi mesi – a parte alcune pietre gettate contro eccessivi "bonus" aziendali – il messaggio cambiò. Le foto segnaletiche dei banchieri colpevoli sono sparite dai giornali e qualcosa chiamato "austerity" ha iniziato a pesare su milioni di persone normali. C'è mai stato un gioco di prestigio più palese?
Oggi, molti dei presupposti della vita della "civiltà" inglese, in Gran Bretagna sono in fase di smantellamento, questo per ripagare un debito fraudolento , ovvero il debito di truffatori. I tagli dell'"austerity" si dice che siano di 83 miliardi di sterline. Questo è quasi esattamente l'importo delle tasse non pagate dalle stesse banche e da multinazionali come Amazon e Murdoch News UK.
Inoltre, le banche truffaldine ricevono una sovvenzione annua di 100 miliardi di sterline in assicurazione gratuita e garanzie - una cifra che potrebbe finanziare l'intero servizio sanitario nazionale (NHS).
La crisi economica è propaganda pura. Politiche estreme ora governano la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, gran parte dell'Europa, il Canada e l'Australia. Chi difende la maggioranza della gente? Chi ci racconta la loro storia? Chi ci dice le cose come stanno? Non è questo ciò che i giornalisti dovrebbero fare?
Nel 1977, Carl Bernstein, famoso per l'indagine sul caso Watergate, rivelò che più di 400 giornalisti e direttori di notiziari lavoravano per la CIA. Tra questi, giornalisti del New York Times, Time e di reti televisive. Nel 1991, Richard Norton Taylor del Guardian rivelò qualcosa di simile in questo paese (la Gran Bretagna, appunto n.d.t.).
Oggi niente di tutto questo è necessario. Dubito che qualcuno abbia pagato il Washington Post e molti altri media per accusare Edward Snowden di fiancheggiare il terrorismo. Dubito che qualcuno paghi chi di routine infanga Julian Assange - anche se ci sono molte altre possibili ricompense.
Mi è chiaro che il motivo principale per cui Assange ha attirato tutto quel veleno, quelle ripicche e gelosie, è perché WikiLeaks ha buttato giù la facciata di una élite politica corrotta, sostenuta dai giornalisti. Nel proclamare un'era straordinaria di rilevazioni, Assange si è fatto nemici illuminando e svergognando i guardiani dei media, non da ultimo il giornale che pubblicò e fece proprio il grande scoop di Assange, che non solo divenne un bersaglio, ma anche una gallina dalle uova d'oro.
Si son fatti affari lucrativi per libri e film hollywoodiani, si sono lanciate carriere mediatiche o sono partite sulla pelle di Wikileaks e del suo fondatore. La gente ha fatto un sacco di soldi, mentre WikiLeaks è in lotta per la sopravvivenza.
Niente di tutto ciò è stato ricordato a Stoccolma il 1° dicembre scorso [2014], quando il direttore del Guardian, Alan Rusbridger, ha condiviso con Edward Snowden il "Right Livelihood Award", noto come premio Nobel Alternativo per la pace. La cosa più shockante in questo evento è stata che Assange e WikiLeaks sono stati cancellati. Non esistevano, erano non-persone. Nessuno parlò per l'uomo che fece da pioniere alla "denuncia spifferata" in forma digitale. Così è stato consegnando al Guardian uno dei più grandi scoop della storia. Sia detto che è stato Assange, con il suo team di WikiLeaks che con efficacia e brillantemente ha salvato Edward Snowden in Hong Kong e lo ha messo al sicuro. Ma su questo non una parola.
Ma ciò che ha reso questa censura per omissione così ironicamente beffarda e scandalosa, che la cerimonia si è svolta nel Parlamento svedese - il cui vile silenzio sul caso Assange ha cospirato con il grottesco aborto giudiziario di Stoccolma.
"Quando la verità è sostituita dal silenzio", diceva il dissidente sovietico Yevtushenko, "il silenzio è una menzogna."
È questo tipo di silenzio che noi giornalisti dobbiamo rompere. Dobbiamo guardare nello specchio. Dobbiamo far render conto ai media irresponsabili che servono il potere ed una psicosi che minaccia una guerra mondiale.
Nel 18° secolo, Edmund Burke descrisse il ruolo della stampa come Quarto Stato (nel senso di Ceto Sociale,ndt) che controlla il potente. È mai stato vero? Se... certamente non piu' oggidì. Ciò di cui abbiamo bisogno è di un Quinto Stato: un giornalismo che monitori, smonti e controbatta la propaganda e che insegni ai giovani ad essere agenti per la gente, non il potere. Abbiamo bisogno di ciò che i russi chiamarono perestroika: una insurrezione dalla conoscenza soggiogata. Io lo chiamerei vero giornalismo.
Sono trascorsi 100 anni dalla prima guerra mondiale. A quei tempi i reporter vennero premiati e fatti cavalieri per il loro silenzio e la loro collusione. Al culmine della strage, il primo ministro britannico David Lloyd George confidò a C.P. Scott, direttore del Manchester Guardian: "Se la gente sapesse [la verità] la guerra verrebbe interrotta domani, ma ovviamente non sa, e non può sapere."
È ora che la sappiano.
John Pilger
http://johnpilger.com
5 December 2014
War by media and the triumph of propaganda
By John Pilger
Why has so much journalism succumbed to propaganda? Why are censorship and distortion standard practice? Why is the BBC so often a mouthpiece of rapacious power? Why do the New York Times and the Washington Post deceive their readers?
Why are young journalists not taught to understand media agendas and to challenge the high claims and low purpose of fake objectivity? And why are they not taught that the essence of so much of what's called the mainstream media is not information, but power?
These are urgent questions. The world is facing the prospect of major war, perhaps nuclear war - with the United States clearly determined to isolate and provoke Russia and eventually China. This truth is being turned upside down and inside out by journalists, including those who promoted the lies that led to the bloodbath in Iraq in 2003.
The times we live in are so dangerous and so distorted in public perception that propaganda is no longer, as Edward Bernays called it, an "invisible government". It is the government. It rules directly without fear of contradiction and its principal aim is the conquest of us: our sense of the world, our ability to separate truth from lies.
The information age is actually a media age. We have war by media; censorship by media; demonology by media; retribution by media; diversion by media - a surreal assembly line of obedient clichés and false assumptions.
This power to create a new "reality" has building for a long time. Forty-five years ago, a book entitled The Greening of America caused a sensation. On the cover were these words: "There is a revolution coming. It will not be like revolutions of the past. It will originate with the individual."
I was a correspondent in the United States at the time and recall the overnight elevation to guru status of the author, a young Yale academic, Charles Reich. His message was that truth-telling and political action had failed and only "culture" and introspection could change the world.
Within a few years, driven by the forces of profit, the cult of "me-ism" had all but overwhelmed our sense of acting together, our sense of social justice and internationalism. Class, gender and race were separated. The personal was the political, and the media was the message.
In the wake of the cold war, the fabrication of new "threats" completed the political disorientation of those who, 20 years earlier, would have formed a vehement opposition.
In 2003, I filmed an interview in Washington with Charles Lewis, the distinguished American investigative journalist. We discussed the invasion of Iraq a few months earlier. I asked him, "What if the freest media in the world had seriously challenged George Bush and Donald Rumsfeld and investigated their claims, instead of channeling what turned out to be crude propaganda?"
He replied that if we journalists had done our job "there is a very, very good chance we would have not gone to war in Iraq."
That's a shocking statement, and one supported by other famous journalists to whom I put the same question. Dan Rather, formerly of CBS, gave me the same answer. David Rose of the Observer and senior journalists and producers in the BBC, who wished to remain anonymous, gave me the same answer.
In other words, had journalists done their job, had they questioned and investigated the propaganda instead of amplifying it, hundreds of thousands of men, women and children might be alive today; and millions might not have fled their homes; the sectarian war between Sunni and Shia might not have ignited, and the infamous Islamic State might not now exist.
Even now, despite the millions who took to the streets in protest, most of the public in western countries have little idea of the sheer scale of the crime committed by our governments in Iraq. Even fewer are aware that, in the 12 years before the invasion, the US and British governments set in motion a holocaust by denying the civilian population of Iraq a means to live.
Those are the words of the senior British official responsible for sanctions on Iraq in the 1990s - a medieval siege that caused the deaths of half a million children under the age of five, reported Unicef. The official's name is Carne Ross. In the Foreign Office in London, he was known as "Mr. Iraq". Today, he is a truth-teller of how governments deceive and how journalists willingly spread the deception. "We would feed journalists factoids of sanitised intelligence," he told me, "or we'd freeze them out."
The main whistleblower during this terrible, silent period was Denis Halliday. Then Assistant Secretary General of the United Nations and the senior UN official in Iraq, Halliday resigned rather than implement policies he described as genocidal. He estimates that sanctions killed more than a million Iraqis.
What then happened to Halliday was instructive. He was airbrushed. Or he was vilified. On the BBC's Newsnight programme, the presenter Jeremy Paxman shouted at him: "Aren't you just an apologist for Saddam Hussein?" The Guardian recently described this as one of Paxman's "memorable moments". Last week, Paxman signed a £1 million book deal.
The handmaidens of suppression have done their job well. Consider the effects. In 2013, a ComRes poll found that a majority of the British public believed the casualty toll in Iraq was less than 10,000 - a tiny fraction of the truth. A trail of blood that goes from Iraq to London has been scrubbed almost clean.
Rupert Murdoch is said to be the godfather of the media mob, and no one should doubt the augmented power of his newspapers - all 127 of them, with a combined circulation of 40 million, and his Fox network. But the influence of Murdoch's empire is no greater than its reflection of the wider media.
The most effective propaganda is found not in the Sun or on Fox News - but beneath a liberal halo. When the New York Times published claims that Saddam Hussein had weapons of mass destruction, its fake evidence was believed, because it wasn't Fox News; it was the New York Times.
The same is true of the Washington Post and the Guardian, both of which have played a critical role in conditioning their readers to accept a new and dangerous cold war. All three liberal newspapers have misrepresented events in Ukraine as a malign act by Russia - when, in fact, the fascist led coup in Ukraine was the work of the United States, aided by Germany and Nato.
This inversion of reality is so pervasive that Washington's military encirclement and intimidation of Russia is not contentious. It's not even news, but suppressed behind a smear and scare campaign of the kind I grew up with during the first cold war.
Once again, the evil empire is coming to get us, led by another Stalin or, perversely, a new Hitler. Name your demon and let rip.
The suppression of the truth about Ukraine is one of the most complete news blackouts I can remember. The biggest Western military build-up in the Caucasus and eastern Europe since world war two is blacked out. Washington's secret aid to Kiev and its neo-Nazi brigades responsible for war crimes against the population of eastern Ukraine is blacked out. Evidence that contradicts propaganda that Russia was responsible for the shooting down of a Malaysian airliner is blacked out.
And again, supposedly liberal media are the censors. Citing no facts, no evidence, one journalist identified a pro-Russian leader in Ukraine as the man who shot down the airliner. This man, he wrote, was known as The Demon. He was a scary man who frightened the journalist. That was the evidence.
Many in the western media haves worked hard to present the ethnic Russian population of Ukraine as outsiders in their own country, almost never as Ukrainians seeking a federation within Ukraine and as Ukrainian citizens resisting a foreign-orchestrated coup against their elected government.
What the Russian president has to say is of no consequence; he is a pantomime villain who can be abused with impunity. An American general who heads Nato and is straight out of Dr. Strangelove - one General Breedlove - routinely claims Russian invasions without a shred of visual evidence. His impersonation of Stanley Kubrick's General Jack D. Ripper is pitch perfect.
Forty thousand Ruskies were massing on the border, according to Breedlove. That was good enough for the New York Times, the Washington Post and the Observer - the latter having previously distinguished itself with lies and fabrications that backed Blair's invasion of Iraq, as its former reporter, David Rose, revealed.
There is almost the joi d'esprit of a class reunion. The drum-beaters of the Washington Post are the very same editorial writers who declared the existence of Saddam's weapons of mass destruction to be "hard facts".
"If you wonder," wrote Robert Parry, "how the world could stumble into world war three - much as it did into world war one a century ago - all you need to do is look at the madness that has enveloped virtually the entire US political/media structure over Ukraine where a false narrative of white hats versus black hats took hold early and has proved impervious to facts or reason."
Parry, the journalist who revealed Iran-Contra, is one of the few who investigate the central role of the media in this "game of chicken", as the Russian foreign minister called it. But is it a game? As I write this, the US Congress votes on Resolution 758 which, in a nutshell, says: "Let's get ready for war with Russia."
In the 19th century, the writer Alexander Herzen described secular liberalism as "the final religion, though its church is not of the other world but of this". Today, this divine right is far more violent and dangerous than anything the Muslim world throws up, though perhaps its greatest triumph is the illusion of free and open information.
In the news, whole countries are made to disappear. Saudi Arabia, the source of extremism and western-backed terror, is not a story, except when it drives down the price of oil. Yemen has endured twelve years of American drone attacks. Who knows? Who cares?
In 2009, the University of the West of England published the results of a ten-year study of the BBC's coverage of Venezuela. Of 304 broadcast reports, only three mentioned any of the positive policies introduced by the government of Hugo Chavez. The greatest literacy programme in human history received barely a passing reference.
In Europe and the United States, millions of readers and viewers know next to nothing about the remarkable, life-giving changes implemented in Latin America, many of them inspired by Chavez. Like the BBC, the reports of the New York Times, the Washington Post, the Guardian and the rest of the respectable western media were notoriously in bad faith. Chavez was mocked even on his deathbed. How is this explained, I wonder, in schools of journalism?
Why are millions of people in Britain are persuaded that a collective punishment called "austerity" is necessary?
Following the economic crash in 2008, a rotten system was exposed. For a split second the banks were lined up as crooks with obligations to the public they had betrayed.
But within a few months - apart from a few stones lobbed over excessive corporate "bonuses" - the message changed. The mugshots of guilty bankers vanished from the tabloids and something called "austerity" became the burden of millions of ordinary people. Was there ever a sleight of hand as brazen?
Today, many of the premises of civilised life in Britain are being dismantled in order to pay back a fraudulent debt - the debt of crooks. The "austerity" cuts are said to be £83 billion. That's almost exactly the amount of tax avoided by the same banks and by corporations like Amazon and Murdoch's News UK. Moreover, the crooked banks are given an annual subsidy of £100bn in free insurance and guarantees - a figure that would fund the entire National Health Service.
The economic crisis is pure propaganda. Extreme policies now rule Britain, the United States, much of Europe, Canada and Australia. Who is standing up for the majority? Who is telling their story? Who's keeping record straight? Isn't that what journalists are meant to do?
In 1977, Carl Bernstein, of Watergate fame, revealed that more than 400 journalists and news executives worked for the CIA. They included journalists from the New York Times, Time and the TV networks. In 1991, Richard Norton Taylor of the Guardian revealed something similar in this country.
None of this is necessary today. I doubt that anyone paid the Washington Post and many other media outlets to accuse Edward Snowden of aiding terrorism. I doubt that anyone pays those who routinely smear Julian Assange - though other rewards can be plentiful.
It's clear to me that the main reason Assange has attracted such venom, spite and jealously is that WikiLeaks tore down the facade of a corrupt political elite held aloft by journalists. In heralding an extraordinary era of disclosure, Assange made enemies by illuminating and shaming the media's gatekeepers, not least on the newspaper that published and appropriated his great scoop. He became not only a target, but a golden goose.
Lucrative book and Hollywood movie deals were struck and media careers launched or kick-started on the back of WikiLeaks and its founder. People have made big money, while WikiLeaks has struggled to survive.
None of this was mentioned in Stockholm on 1 December when the editor of the Guardian, Alan Rusbridger, shared with Edward Snowden the Right Livelihood Award, known as the alternative Nobel Peace Prize. What was shocking about this event was that Assange and WikiLeaks were airbrushed. They didn't exist. They were unpeople. No one spoke up for the man who pioneered digital whistleblowing and handed the Guardian one of the greatest scoops in history. Moreover, it was Assange and his WikiLeaks team who effectively - and brilliantly - rescued Edward Snowden in Hong Kong and sped him to safety. Not a word.
What made this censorship by omission so ironic and poignant and disgraceful was that the ceremony was held in the Swedish parliament - whose craven silence on the Assange case has colluded with a grotesque miscarriage of justice in Stockholm.
"When the truth is replaced by silence," said the Soviet dissident Yevtushenko, "the silence is a lie."
It's this kind of silence we journalists need to break. We need to look in the mirror. We need to call to account an unaccountable media that services power and a psychosis that threatens world war.
In the 18th century, Edmund Burke described the role of the press as a Fourth Estate checking the powerful. Was that ever true? It certainly doesn't wash any more. What we need is a Fifth Estate: a journalism that monitors, deconstructs and counters propaganda and teaches the young to be agents of people, not power. We need what the Russians called perestroika - an insurrection of subjugated knowledge. I would call it real journalism.
It's 100 years since the First World War. Reporters then were rewarded and knighted for their silence and collusion. At the height of the slaughter, British prime minister David Lloyd George confided in C.P. Scott, editor of the Manchester Guardian: "If people really knew [the truth] the war would be stopped tomorrow, but of course they don't know and can't know."
It's time they knew.
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