http://znetitaly.altervista.org Una tremenda normalità Durante gran parte della storia l’anormale è stato la norma. E’ un paradosso di cui dovremmo occuparci. Le aberrazioni, tante da creare una tremenda normalità loro propria, si abbattono su di noi con spaventosa densità. Il numero dei massacri nella storia, ad esempio, è quasi più di quanto siamo in grado di registrare. C’è stato l’Olocausto del Nuovo Mondo, consistito nello sterminio dei popoli indigeni nativi americani in tutto l’emisfero occidentale, esteso per quattro e più secoli, che continua in tempi recenti nella regione amazzonica. Ci sono stati i secoli di schiavitù spietata nelle Americhe e altrove, seguiti da un secolo intero di un’orda di linciatori e di segregazione alla Jim Crow negli Stati Uniti, e oggi ci sono i numerosi assassinii e le incarcerazioni dei giovani neri da parte delle forze dell’ordine. Non dimentichiamo lo sterminio di circa 200.000 filippini da parte dell’esercito statunitense all’inizio del ventesimo secolo, il massacro genocida di 1,5 milioni di armeni da parte dei turchi nel 1915, e gli omicidi di massa dei popoli africani da parte dei coloni occidentali, comprese le 63.000 vittime Herero nel sud-ovest tedesco dell’Africa nel 1904 e la brutalizzazione e schiavizzazione di milioni di persone nel Congo Belga a partire dai tardi anni ’80 del 1800 fino all’emancipazione nel 1960, seguite da anni di sfruttamento neocoloniale e di repressione liberomercatista in quello che fu lo Zaire di Mobutu. I colonizzatori francesi hanno ucciso circa 150.000 algerini. Successivamente diversi milioni di persone sono morte in Angola e in Mozambico assieme a una stima di altri cinque milioni nella spietata regione ora nota come la Repubblica Democratica del Congo. Il ventesimo secolo ci ha dato tra altri orrori più di sedici milioni di morti e venti milioni di feriti o mutilati nella Prima Guerra Mondiale, seguiti da cifra stimata tra i 62 milioni e i 78 milioni di uccisi nella Seconda Guerra Mondiale, compresi 24 milioni di soldati e civili sovietici, 5,8 milioni di ebrei europei e, presi insieme, molti milioni di serbi, polacchi, zingari, omosessuali e una schiera di altre nazionalità. Nei decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale molti massacri e guerre, se non tutti, sono state apertamente o segretamente patrocinati dallo stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Ciò include i due milioni circa di morti o dispersi in Vietnam, assieme ai 250.000 cambogiani, 100.000 laotiani e 58.000 statunitensi. Oggi in gran parte dell’Africa, dell’Asia Centrale e del Medio Oriente ci sono guerre “minori”, piene di atrocità di ogni sorta. L’America Centrale, la Colombia, il Ruanda è altri luoghi troppo numerosi per essere elencati tutti, hanno subito i massacri e gli stermini di centinaia di migliaia di persone ad opera delle squadre della morte, una costanza di orrori violenti. In Messico la “guerra alla droga” si è presa 70.000 vite con 8.000 dispersi. C’è stato il massacro di più di mezzo milione di socialisti o di nazionalisti democratici indonesiani da parte dell’esercito indonesiano appoggiato dagli Stati Uniti nel 1965, alla fine seguito dallo sterminio di 100.000 abitanti di Timor Est da parte dello stesso esercito sostenuto dagli USA. Si considerino i 78 giorni di distruzione area della Jugoslavia da parte della NATO, con il supplemento di uranio impoverito, e i bombardamenti e l’invasione di Panama, Grenada, Somalia, Libia, Yemen, Pakistan occidentale, Afghanistan e ora la devastante guerra d’attrito intermediata contro la Siria. E mentre scrivo (agli inizi del 2013) le sanzioni patrocinate dagli USA contro l’Iran stanno seminando gravi stenti tra la popolazione civile di quel paese. Tutto quanto precede costituisce una lista molto incompleta della violenta e orribile ingiustizia nel mondo. Un inventario completo riempirebbe volumi. Come registriamo le innumerevoli altre violenze contro la vita? I molti milioni che sopravvivono alle guerre e ai massacri, ma restano per sempre spezzati nel corpo e nello spirito, lasciati a una vita di sofferenze e di crudeli privazioni, profughi senza cibo, medicinali, acqua o strutture igieniche sufficienti in paesi come la Siria, Haiti, Sudan del Sud, Etiopia, Somalia e Mali. Si pensi ai milioni di donne e bambini in tutto il mondo e lungo i secoli che sono stati oggetto di traffici innominabili, e ai milioni e milioni intrappolati in lavori da sfruttati, che si trattasse di schiavi, servitori a contratto, o lavoratori sottopagati. Il numero degli impoveriti sta ora crescendo a un ritmo molto più rapido della crescita della popolazione mondiale. Si aggiungano a ciò gli innumerevoli atti di repressione, incarcerazione, torture e altre violenze criminali che distruggono lo spirito umano in tutto il mondo, giorno per giorno. Non trascuriamo l’onnipresente corruzione delle imprese e i grossi raggiri finanziari, il saccheggio delle risorse naturali e l’avvelenamento industriale d’intere regioni, il forzato trasferimento d’intere popolazioni, le permanenti catastrofi di Chernobyl e Fukushima e altri disastri incombenti in attesa presso numerosi reattori nucleari che invecchiano. Le orribili aberrazioni sono talmente un luogo comune e incessanti che perdono la loro tensione e noi diventiamo abituati all’orrore di tutto. “Chi oggi ricorda gli armeni?” si cita aver detto Hitler mentre complottava la sua “soluzione finale” per gli ebrei. Chi oggi ricorda gli iracheni e le morti e distruzioni causate loro su scala imponente dall’invasione statunitense del loro territorio? William Blum ci ricorda che più di metà della popolazione irachena è morta, ferita, traumatizzata, imprigionata, resa profuga o esiliata, mentre il suo ambiente è saturo di uranio impoverito (proveniente dalle armi USA) che causa orrendi difetti nei nascituri. Cosa si deve fare di tutto questo? Innanzitutto, non dobbiamo ascrivere queste aberrazioni al caso, a confusione innocente o a conseguenze non volute. Né dovrebbe credere alle solite logiche a proposito della diffusione della democrazia, della lotta al terrorismo, dei soccorsi umanitari, della protezione degli interessi nazionali statunitensi e ad altre simili proclamazioni delle élite al potere e dei loro portavoce. Le reiterate sequenze di atrocità di violenze sono tanto persistenti da indurre il sospetto che siano normalmente al servizio di interessi concreti; sono strutturali, non impreviste. Tutte queste distruzioni e questi massacri hanno fatto realizzare grandi profitti ai plutocrati che perseguono l’espansione economica, l’acquisizione di risorse, il dominio territoriale e l’accumulo finanziario. Gli interessi dominanti sono serviti bene dalla loro superiorità in potenza di fuoco e forza d’attacco. Ciò di cui stiamo parlando qui è di violenza, non semplicemente del tipo selvaggio e arbitrario, bensì del genere persistente e ben organizzato. Come risorsa politica, la violenza è lo strumento dell’autorità ultima. La violenza permette la conquista d’interi territori e delle ricchezze che essi contengono, tenendo contemporaneamente sotto frusta i lavoratori destituiti e altri schiavi. I governanti plutocrati ritengono necessario abusare di moltitudini insofferenti, o sterminarle, lasciarle morire di fame mentre i frutti della loro terra e il sudore del loro lavoro arricchiscono cricche privilegiate. Abbiamo avuto, così, un dominio imperiale mosso dal profitto che ha contribuito a scatenare la grande carestia in Cina (1876-1879) con la conseguenza di circa tredici milioni di morti. Pressappoco nella stessa epoca la carestia di Madras, in India, si prese la vita di sino a dodici milioni di persone, mentre le forze coloniali si arricchivano sempre più. E trent’anni dopo, la grande carestia delle patate in Irlanda portò a circa un milione di morti, mentre un altro milione di disperati emigrava dalla propria patria. Non c’è nulla di accidentale in ciò. Mentre gli irlandesi morivano di fame, i proprietari inglesi esportavano navi di grano e bestiame irlandese in Inghilterra e altrove con considerevoli profitti per sé. Questi eventi vanno considerati come qualcosa di più che semplici anomalie storiche fluttuanti senza scopo nello spazio e nel tempo, determinate solo da impulsi smodati o dal caso. Non è sufficiente condannare eventi mostruosi e tempi infelici, dobbiamo anche cercare di capirli. Devono essere contestualizzati nel quadro più vasto dei rapporti sociali storici. Il sistema socio-economico oggi dominante è il capitalismo del libero mercato (in tutte le sue variazioni). Assieme al suo incessante terrorismo imperiale, il capitalismo del libero mercato determina “normali anomalie” all’interno della sua stessa dinamica, che crea scarsità e surplus mal distribuiti, piena di duplicazioni, sprechi, eccessi di produzione, spaventose distruzioni dell’ambiente e molteplici crisi finanziarie, arrecando gonfi premi a pochi scelti e continui stenti alle moltitudini. Le crisi economiche non sono eccezionali; sono il modo di operare permanente del sistema capitalista. Ancora una volta l’irrazionale è la norma. Si consideri la storia del libero mercato statunitense: dopo la rivoluzione statunitense, ci furono le rivolte dei debitori dei tardi anni ’80 del 1700, il panico del 1792, la recessione del 1809 (durata molti anni), i panici del 1819 e del 1837, e le recessioni e i crolli di gran parte del resto di quel secolo. La grave recessione del 1893 proseguì per più di un decennio. Dopo la sotto-occupazione industriale da 1900 al 1915 venne la depressione agraria degli anni ’20, celata dietro quella divenne nota come “l’età del jazz”, seguita da un crollo orribile e dalla Grande Depressione del 1929-1942. Per tutto il ventesimo secolo abbiamo avuto guerre, recessioni, inflazione, lotte sindacali, alta disoccupazione, a malapena un anno che si potesse considerare “normale” in qualsiasi senso gradevole. Un esteso periodo normale sarebbe stato esso stesso un’anomalia. Il libero mercato è, per progetto, intrinsecamente instabile in ogni aspetto, salvo l’accumulazione della ricchezza per pochi eletti. Ciò cui stiamo assistendo non è il prodotto irrazionale di una società fondamentalmente razionale, bensì il contrario: il prodotto “razionale” (da attendersi) di un sistema fondamentalmente irrazionale. Ciò significa che questi orrori sono inevitabili? No, non sono il prodotto di forze soprannaturali. Sono il prodotto dell’avidità e dell’inganno dei plutocrati. Così se l’aberrazione è la norma e l’orrore è cronico, allora noi, nel nostro contrattacco, dovremmo prestare meno attenzione a ciò che è strano e più a ciò che è sistemico. Le guerre, i massacri e le recessioni contribuiscono ad accrescere la concentrazione del capitale, a monopolizzare i mercati e le risorse naturali, e a distruggere le organizzazioni sindacali e la resistenza popolare trasformativa. Le stravaganze incivili della plutocrazia non sono il prodotto di particolari personalità, bensì di interessi sistemici. Il presidente George W. Bush è stato messo in ridicolo per il suo uso improprio del vocabolario, ma la sua costruzione dell’impero e la sua cancellazione dei servizi e dei regolamenti governativi rivelavano un’astuta devozione agli interessi della classe dominante. Analogamente il presidente Obama non è privo di spina dorsale. E’ ipocrita, ma non confuso. E’ (per sua stessa descrizione) un ex “Repubblicano liberale” o, come direi io, un servo fedele dell’industria statunitense. I nostri diversi leader sono ben informati, non illusi. Provengono da regioni diverse e da famiglie diverse, e hanno personalità diverse, ma tuttavia perseguono praticamente le stesse politiche per conto della stessa plutocrazia. Perciò non è sufficiente denunciare le atrocità e le guerre; dobbiamo anche capire chi le propaga e chi se ne avvantaggia. Dobbiamo chiederci perché la violenza e l’inganno sono ingredienti costanti. Conseguenze indesiderate e altre stranezze si verificano, in effetti, negli affari mondani, ma dobbiamo anche tener conto delle intenzioni razionali mosse dall’interesse. Più spesso che no, le aberrazioni che si tratti di guerre, di crolli del mercato, di carestie, di assassinii individuali o di stragi di massa prendono forma perché quelli al vertice stanno perseguendo espropriazioni redditizie. Molti possono soffrire e morire, ma qualcuno, da qualche parte, ne beneficia infinitamente. Conoscere i propri nemici e cosa sono capaci di fare è il primo passo verso un’opposizione efficace. Il mondo diventa meno un caos orrendo. Possiamo contrastare questi colpevoli globali (e locali) soltanto quando capiamo chi sono e cosa stanno facendo a noi e al nostro sacro ambiente. Le vittorie democratiche, per quanto limitate e parziali siano, vanno abbracciate. Ma non ci si deve accontentare dei favori luccicanti offerti da leader raffinati. Dobbiamo batterci in ogni modo possibile per il dispiegarsi della rivoluzione, una rivoluzione di una consapevolezza organizzata che attacchi l’impero al suo cuore con tutta la forza della democrazia, il genere di rivolta irresistibile che sembra venire dal nulla e che spinge ogni cosa davanti a sé. Michael Parenti è autore di ‘The Face of Imperialim’ [Il volto dell’imperialismo] e di numerosi altri libri. Per ulteriori informazioni visitare www.michaelparenti.org Da Z Net Lo spirito della resistenza è vivo Fonte: http://www.zcommunications.org/a-terrible-normality-by-michael-parenti |
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