Originale: TomDispatch.com http://znetitaly.altervista.org/ 6 aprile 2015
La guerra afgana reale di Anand Gopal Traduzione di Maria Chiara Starace
Questo saggio è tratto dal capitolo quinto del libro di Anand Gopal’s No Good Men Among the Living: America, the Taliban, and the War Through Afghan Eyes [Nessun uomo buono tra i viventi: l’America, i talebani e la guerra vista con occhi afgani ed è pubblicato su TomDispatch.com con il gentile permesso di Metropolitan Books.
Nel cielo si erano addensate nuvole grigio e venti freddi soffiavano forte mentre gli uomini si accalcavano presso un vecchio distributore sul ciglio della strada. Era l’alba, a Band-i-Timor, ai primi di dicembre del 2001, e centinaia di contadini con il turbante erano seduti pensierosi, ponderando la scelta che avevano di fronte. Una volta erano stati la spina dorsale dell’appoggio ai talebani; il movimento era sorto non lontano da lì, e molti avevano mandato i loro figli a combattere in prima linea. Nel 2000, però, il Mullah Omar aveva decretato che la coltivazione dell’oppio era non-islamica, e la polizia che “brandiva” la frusta si assicurava che la produzione venisse fermata quasi da un giorno all’altro. Band-i-Timor era stata una zona di papaveri a memoria di tutti, ma ora i campi erano incolti e i bambini avevano fame. Dato che i giorni dei talebani erano contati dopo l’invasione degli Stati Uniti, l’umore e era maturo per un cambiamento. Si potevano però fidare degli americani? Oppure di Hamid Karzai? Un anziano oramai indebolito, Hajji Burget Khan, si alzò per parlare. Leggendario eroe di guerra e capo della tribù Ishaqzai, forte di milioni di persone, Burget Khan incuteva un rispetto con il quale pochi dei presenti potevano rivaleggiare. “Era un leader ispiratore,” mi fa detto poi un anziano della tribù, “puro come la pioggia che cade dal cielo.” Era anche un pragmatista abilissimo, avendo costruito alleanze nel corso degli anni, in tutto lo spettro politico, anche con i talebani. Ora stava esaltando le virtù dell’imminente ordine americano. Diceva che ci sarebbero stati posti di lavoro, e sviluppo. E, cosa più importante, i contadini sarebbero stati lasciati in pace a fare il lavoro che avevano sempre fatto. Un secondo anziano si è poi rivolto ai presenti. Più giovane di una generazione e con un giro vita un po’ più grande di Burget Khan, Hajji Bashar era un leader della tribù Noorzai, politicamente importante, un magnate della frontiera che aveva guadagnato milioni con il contrabbando di oppio. Come Burget Khan, aveva il talento per appoggiare la persona che avrebbe avuto successo – è stato uno dei primi finanziatori dei talebani – e ora insisteva che avendo dalla loro parte la ricchezza e il potere dell’America, il futuro non era mai stato più luminoso. Per la prima volta da anni, la speranza si è impadronita dei poveri contadini di Band-i-Timor. Il locale consiglio talebano di ecclesiastici religiosi è stato dichiarato nullo, e al suo posto i partecipanti all’incontro hanno formato un consiglio composto di rappresentanti di tutte le tribù del distretto di Maiwand. Hajji Bashar è stato eletto governatore del distretto, spingendo quindi l’ex governatore e il capo della polizia a scappare durante la notte. In effetti era un colpo di stato incruento, con il quale l’autorità dei talebani è stati sostituita da un’amministrazione favorevole all’America. Anche se il distretto di Maiwand avrebbe avuto molti governi nel decennio a seguire, questo soltanto, avrebbero detto i contadini per anni e anni dopo, apparteneva realmente a loro. Il riarso deserto di Maiwand cominciava a mostrare segni di vita. Scuole e ambulatori, per lungo tempo ignorati e abbandonati dai talebani, riaprirono le loro porte. I volontari arrivarono per riparare i canali idrici e i sistemi di irrigazione. A poco a poco gli anziani lavoravano per aiutare il governo alle prime armi a stare in piedi da solo. Hajji Burget Khan ha persuaso centinaia di ex soldati talebani a dichiarare la loro lealtà al governo di Karzai. Era una mossa vecchia quanto le guerre stesse: proprio come questi uomini una volta si erano uniti ai talebani, ora, per pura sopravvivenza, usavano la loro influenza per appoggiare il nuovo potere. Hajji Bashar ha inviato al governatore di Kandahar 15 camion carichi di armi, compresi centinaia di lanciarazzi e di missili antiaerei che aveva raccolto da ex talebani. Bashar, in effetti nascondeva ambizioni di diventare un protagonista nazionale e in fretta ha trovato la sua strada per arrivare agli americani. Aveva iniziato a prendere contatti già nel novembre 2001 – quando i talebani erano ancora al potere – per mezzo di incontri clandestini con funzionari americani. Poi, nel gennaio 2002, è comparso in una base americana e ha passato alcuni giorni a dire agli ufficiali tutto quello che sapeva riguardo ai talebani. Il suo massimo risultato è arrivato il mese successivo, quando ha aiutato a convincere il precedente ministro degli esteri talebano e nativo del Maiwand, il Mullah Mutawakkil ad arrendersi alle forze statunitensi, facendo di questo uno dei talebani di più alta posizione in custodia degli americani.
I talebani si arrendono Ineffettila defezionedi Mutawakkil è stata soltanto la più recente in una corsa di funzionari talebani che cercavano di cambiare lealtà. A un mese dal loro crollo militare, il movimento talebano aveva cessato di esistere. Quando gli ecclesiastici in Pakistan hanno dato il via a una campagna raccolta di fondi per far tornare i talebani e intraprendere la “jihad” contro gli americani, è stata apertamente rifiutata dalla dirigenza talebana. “Vogliamo dire alla gente che il sistema talebano non esiste più,” Agha Jan Mutassim, ministro delle finanze del regime decaduto e confidente del Mullah Omar, ha detto ai giornalisti. “Non dovrebbero dare alcuna donazione in nome dei talebani.” Ha aggiunto: “Se viene installato in Afghanistan un governo islamico stabile, non intendiamo dare inizio ad alcuna azione contro di esso.” Khalid Pashtoon, portavoce del nuovo governo di Kandahar, ha dichiarato: “I ministri dei talebani e i talebani importanti verranno uno per uno ad arrendersi e a unirsi a noi.” L’elenco comprendeva i ministri talebani della difesa, della giustizia, dell’interno, del vizio e della virtù, dell’informazione, della sanità, del commercio, dell’industria e della finanza – praticamente l’intero governo talebano; i principali comandanti militari e governatori importanti, diplomatici e i massimi funzionari che avevano operato con il Mullah Omar. La valanga di defezioni non conosceva limiti di ideologia: i capi della famigerata polizia religiosa che aveva sempre in mano la frusta sono stati tra i primi a disertare. Un gruppo di ex funzionari talebani ha anche annunciato che avrebbero formato un partito politico per partecipare alle future elezioni democratiche. “Daremo consigli ad Hamid Karzai,” ha detto il capo. “Lo sosteniamo.” Arrendendosi, i talebani seguivano il modello che aveva caratterizzato la politica afgana nei due decenni precedenti. Dopo il ritiro dei Sovietici, molti comunisti afgani si erano dati la nuova etichetta di islamisti e si erano uniti ai mujahedeen. Durante la guerra civile, le fazioni hanno spostato la loro lealtà basata soltanto su esplicito pragmatismo. Quando i talebani sono entrati in scena, i signori della guerra in tutta la zona Pashtun si erano o ritirati erano fuggiti o si erano uniti a loro. Ora toccava ai talebani e quando i membri del movimento, uno dopo l’altro si sottomettevano all’autorità dell’amministrazione Karzai, emergeva la possibilità di un ordine politico realmente inclusivo. Da molto tempo Karzai desiderava radunare una loya jirga, cioè una grande assemblea di anziani per eleggere un governo di transizione. L’idea prese piede in tutto il paese. Nello stadio di calcio di Kandahar (già usato dai talebani come luogo di esecuzione), migliaia di contadini e di dignitari gremivano le gradinate per partecipare alla jirga. I delegati dovevano essere presi da ognuno degli oltre 300 distretti. Nel Maiwand, come era prevedibile, il rispettato Hajji Burget Khan è stato eletto malgrado la sua età avanzata. “Avevamo la sensazione di essere nati di nuovo,” ricordava Kala Khan, un anziano della tribù. “Non c’era nulla che non potessimo ottenere.”
Gli americani attaccano La primavera inondava Band-i-Timor e le acacie erano in fiore e i frutteti di melagrane erano folti, e per la prima volta dopo molti anni i campi erano pieni di papaveri color lavanda acceso. Non lontano dal fiume principale, prospiciente a quei campi, c’era un grande quadrilatero di edifici di fango, con macchine e jeep parcheggiate tra la gente e moltissimi contadini che gironzolavano. Era la residenza di Hajji Burget Khan, che era impegnato giorno e notte a ricevere gli uomini della tribù Ishaqzai di altri distretti, altre province, e addirittura fino dal Pakistan. Venivano a porgere i loro rispetti al capo ottuagenario, e di solito, Abdullah, l’autista della famiglia, veniva mandato alla stazione degli autobus per prendere le persone e accompagnarle lì. In una calda notte di maggio, Abdullah stava dormendo nel cortile, quando un’esplosione fragorosa lo ha scosso e lo fatto svegliare. Guardando in alto ha visto una luce bianca accecante nello spazio dove c’era stato il cancello. Figure di cui si vedeva il profilo si precipitavano verso di lui. E’ corso verso l’alberghetto urlando che la casa era sotto attacco. All’interno, Hajji Burget Khan era già sveglio; aveva bevuto il tè con dei visitatori prima della preghiera dell’alba. La sua guardia del corpo, Akhtar Muhammad è corso nel cortile, sparando alla cieca con il suo fucile. Prima di rendersene conto, è stato sbattuto per terra. Due o tre uomini erano sopra di lui. E’ stato ammanettato e bendato, ed è stato preso a calci ripetutamente. Sentiva urlare in una lingua che non riusciva a capire. Hajji Burget Khan e Hajji Tor Khan, padre di Akhtar Muhammad, sono corsi nel cortile con altri ospiti, diretto alla casa principale. E’ stato allora, quando la prima luce del mattino ha fatto distinguere l’insieme di edifici, che hanno visto uomini armati in piedi sui muretti di fango con uniformi mimetiche, occhiali protettivi e caschi. Soldati americani. Sono esplosi colpi di arma da fuoco e Hajji Tor Khan è caduto. Prima che Hajji Burget Khan potesse reagire, è stato colpito anche lui. Lì vicino le donne si stringevano nelle loro stanze, ascoltando. Mai prima d’ora degli estranei avevano violato la loro casa – non durante l’occupazione russa o durante la guerra civile, o sotto i talebani. Una dona ha raccolto un’arma e si è diretta nel cortile per difendere la sua famiglia, ma i soldati gliela hanno strappata dalle mani. Poi è comparso un soldato con un traduttore afgano e ha ordinato alle donne di andare fuori. Era la prima volta che uscivano di casa senza un mahrem (parente). Le hanno ammanettate con cinghiette di plastica e hanno legato i piedi con delle catene e alcune sono state imbavagliate con pezzi di stoffa dei turbanti. Il gruppo è stato poi radunato in un pozzo asciutto dietro il gruppo di edifici. Mentre si faceva giorno e i contadini dei villaggi uscivano all’aria dell’alba, gli strilli delle donne risuonavano forte attraverso i campi e le case di fango e non sarebbero stati mai dimenticati. I soldati sono stati là per ore. Casa per casa in tutto il villaggio gli uomini venivano tirati fuori e fatti marciare fino a un campo aperto. Là, giaceva Burget Khan che si aggrappava alla vita. Poi lui e gli altri – 55 in tutto, quasi l’intera popolazione adulta del villaggio – sono stai caricati su elicotteri e camion e portati via.
Creare una Blackwater afgana La tesi centrale del fallimento americano in Afghanistan – quello che sentirete dai politici e dai sapientoni e anche dagli studiosi – è stata proposta in poche parole dal Vice Segretario di Stato Richard Armitage: “La guerra in Iraq ha prosciugato risorse dall’Afghanistan prima che le cose fossero sotto controllo.” In base a questa considerazione, l’invasione americana dell’Iraq è diventata una distrazione decisiva dagli sforzi di stabilizzazione in Afghanistan, e nel conseguente vuoto della sicurezza, i talebani si sono riaffermati. Nella sua parte centrale, l’argomento poggia su una premessa fondamentale: che il terrorismo jihadista potrebbe essere sconfitto per mezzo dell’occupazione militare di un paese. Quella formulazione è sembrata sufficientemente naturale subito dopo l’11 settembre. Ma viaggiate attraverso la campagna dell’Afghanistan meridionale e sentirete un’interpretazione molto diversa di che cosa è accaduto. Arriva a frammenti e a sprazzi, nelle storie che vi raccontano le persone e nei loro ricordi dell’epoca e indica una contraddizione sepolta in profondità nella premessa fondamentale della guerra. Si può trovare questa contraddizione rappresentata in un mucchio che si espande di hangar ricoperti di polvere, di caserme, e di Burger Kings, di strutture di filo spinato, di uomini armati, e di gabbie di detenzione: il campo di aviazione di Kandahar, o KAF (Kandahar Air Field) come è stato chiamato, il centro nevralgico delle operazioni americane nell’Afghanistan meridionale, sede delle unità di élite come i Navy Seals (Forze Speciali della Marina degli Stati Uniti) e i Green Berrets. Una base militare in un paese come l’Afghanistan è anche una rete di rapporti, un centro per l’economia locale, e un protagonista nell’ecosistema politico. Chiaritevi in che modo si è creata questa base e comincerete a capire come la guerra è tornata nei campi di Maiwand. Nel dicembre del 2001, un’unità delle Forze americane per le Operazioni Speciali, è entrata in una vecchia base militare sovietica alla periferia della città di Kandahar. Erano accompagnati da una squadra di miliziani afgani e dal loro comandante, un umo cordiale come un orso grizzly di che si chiamava Gul Agha Sherzai. Signore della guerra ostile ai talebani, Sherzai era arrivato alla notorietà negli anni 90, in seguito alla morte del suo illustre padre, Hajji Latif, un volta bandito trasformatosi in mujaheedin e noto come “il Leone di Kandahar.” (Quando ha ereditato il manto di suo padre, Gul Agha si era ribattezzato Sherzai, Figlio del Leone. Tra partentesi, il suo primo nome, si traduce grosso modo come “Rispettabile Mr Flower). Con l’appoggio degli americani, Sherzai si è preso il campo d’aviazione, allora in rovine, e successivamente si è installato nella dimora del governatore locale – un’iniziativa che ha fatto imbestialire molte persone, tra le quali Karzai. Tuttavia Sherzai ha portato un certo stile nell’ufficio, attirando presto l’attenzione per i suoi discorsi durante i quali batteva i pugni, per i suoi soliloqui lacrimosi e gli scoppi di incontrollabili risate, il tutto talvolta in una sola conversazione. Forse Sherzai non ha avuto molta esperienza nel governo, tranne per un breve mandato come “governatore” di Kandahar durante il periodo di anarchia a metà degli anni ’90, ma riconosceva una buona occasione di affari quando ne vedeva una. La base aerea dove gli americani erano acquartierati era abbandonata e piena di erbacce, cosparsa di mobili fatti a pezzi e seminata di mine di terra dell’epoca sovietica. All’inizio, uno dei luogotenenti di Sherzai, ha incontrato il Sergente Maggiore Perry Toomer, un ufficiale statunitense responsabile della logistica e degli appalti. “Ho cominciato a parlare con lui,” ha detto Toomer, “e ho scoperto che sapevano in che modo far partire questo posto.” Dopo aver fatto il giro delle strutture, gli americani hanno effettuato il loro primo ordine: 325 $ in contanti per due pompe idrauliche Honda. Questo avrebbe segnato l’inizio di una lunga e fruttuosa partnership. Grazie ai servizi di Sherzai, la pista d’atterraggio spaccata e piena di crateri, è “sbocciata” trasformandosi in un’enorme ed estesa base militare estesa, dove si trova di uno dei più trafficati aeroporti del mondo. Il campo di aviazione di Kandahar sarebbe diventato un centro cruciale nella guerra globale di Washington al terrore, dove avevano sede le stanze di comando delle operazioni di massima segretezza e grosse gabbie di rete metallica per i sospettati di terrorismo in viaggio per la prigione americana della Baia di Guantanamo, a Cuba. Per Sherzai, il KAF sarebbe stato soltanto l’inizio. Con pochi rapidi colpi ha fatto fiorire il deserto con installazioni americane e nel corso di questa attività ha ricavato un profitto esagerato. Ha rubato della terra e l’ha affittata alle forze americane alla bellezza di milioni di dollari. Durante il conseguente boom delle costruzioni, ha preso delle cave di ghiaia, facendo pagare 100 $ un carico che normalmente sarebbe stata una faccenda di 8$ a carico. Ha rifornito le truppe americane di combustibile per i loro camion e di operai per i loro progetti, accumulando il denaro delle commissioni e allo stesso tempo facendo da agenzia ufficiosa temporanea per gli uomini della sua tribù. Con questi guadagni inattesi, diversificava la sua attività in: distribuzione di benzina e acqua, beni immobili, servizi di taxi, attività estrattiva, e, più redditizio di tutti, l’oppio. Non più soltanto un governatore, era adesso uno degli uomini più potenti dell’Afghanistan. Ogni mattina, file di supplicanti si raggomitolavano fuori della dimora del governatore. Mentre cresceva la sua rete di cliente ha cominciato a fornire gli americani di armi noleggiate, di solito provenienti dalla sua stessa tribù Barakzai – rendendolo, sostanzialmente, un appaltatore per la sicurezza privata, una Blackwater afgana. (http://it.wikipedia.org/wiki/Blackwater_Worldwide). E come gli impiegati di quella famigerata ditta americana, gli uomini armati di Sherzai vivevano in gran parte fuori dalla giurisdizione di qualsiasi governo. Anche quando Washington pompava finanziamenti per creare un esercito e una polizia afgani, le forze armate statunitensi hanno sovvenzionato i mercenari di Sherzai che dovevano lealtà soltanto al governatore e alle forze speciali. Era possibile anche vedere alcune delle sue unità vestiti con le uniformi americane, mentre guidavano camion con i pianali pieni di armi pesanti nelle strade di Kandahar.
Come combattere una guerra al terrore senza un avversario Naturalmente, anche nel nuovo Afghanistan nessuno dava niente per niente. In cambio dell’accesso privilegiato ai dollari americani, Sherazi ha offerto l’unica cosa che le forze armate americane pensavano di aver maggiormente bisogno: l’intelligence. I suoi uomini divennero gli occhi e le orecchie degli Americani nella loro spinta a sradicare i talebani e al-Qaida da Kandahar. Tuttavia qui stava la contraddizione. In seguito al crollo dei talebani, il gruppo di al-Qaida era fuggito dal paese, trasferendosi nelle regioni tribali del Pakistan e in Iran. Nell’aprile 2002 il gruppo non si trovava più a Kandahar o in nessun altro posto dell’Afghanistan. Nel frattempo i talebani avevano cessato di esistere, dato che i suoi membri si erano ritirati nelle loro case e avevano consegnato le loro armi. Tranne che per degli attacchi di pochi lupi solitari, nel 2002 le forze statunitensi a Kandahar non dovevano affrontare alcuna resistenza. I terroristi se ne erano andati tutti o avevano abbandonato la causa, tuttavia le forze speciali americaneerano sul suolo afgano con un chiaro mandato politico: sconfiggere il terrorismo. Come si combatte una guerra senza un avversario? Ecco a voi Gul Agha Sherzai e uomini come lui in tutto il paese. Desideroso di sopravvivere e prosperare, Sherzai e i suoi comandanti hanno seguito la della presenza americana fino alla sua ovvia conclusione. Avrebbero creato dei nemici dove non ce n’era nessuno, sfruttando il perverso meccanismo di incentivi che gli Americani avevano introdotto, senza però neanche realizzarlo. I nemici di Sherzai divennero i nemici dell’America, le sue battaglie divennero le battaglie degli Stati Uniti. Le sue faide e le sue gelosie personali sono state rappresentate sotto la nuova forma di “controterrorismo,” i suoi interessi commerciali come quelli di Washington. E quando le rivalità non erano sufficienti, bastava la prospettiva di ulteriori profitti. (Un volantino lanciato sulla zona da un aereo, diceva: “Ottenete ricchezza e potere al di là dei vostri sogni. Aiutate le forze anti-talebani a liberare l’Afghanistan dagli assassini e dai terroristi”). Per varie ore al giorno in un piccolo ufficio di Kandahar, forze speciali e ufficiali della CIA leggevano attentamente i rapporti di intelligence dal campo, quasi tutti provenienti dalla rete di Sherzai. Lavoravano a stretto contatto con il capo della locale agenzia di spionaggio, un ‘compare’ di Sherzai che si chiamava Hajji Gulalai. Era un ex mujaheedin ed era stato torturato così orribilmente dai comunisti, che la sua pelle era in condizioni tali che un aiutante doveva di continuo grattargli e massaggiargli la schiena. Data una storia di questo tipo, la lista dei nemici si allungava, e gli Americani lo sapevano. Secondo ex soldati delle forze speciali le due parti avevano un patto informale. “Sherazi ci dava le informazioni segrete,” ha spiegato uno di loro, “e poi gli lasciavamo far qualsiasi cosa voleva.” Un gruppo di soldati di un distaccamento delle forze speciali ha scritto in un memoriale collettivo che durante le operazioni, gli uomini di Gulam “potevano entrare nei posti ed esigere un rimborso per qualcosa che non aveva nulla a che fare con la loro missione.” Hanno aggiunto: “E’ accaduto poche volte. Il distaccamento aveva un accordo con lui.” Qualunque cosa fossero stati prima, Sherzai e i suoi uomini erano ora creature di un mondo dove, come aveva proclamato l’amministrazione Bush, si era o con noi o contro di noi. La rete di Sherzai forniva le informazioni segrete– che in assenza di un vero nemico erano quasi tutte false – agli Americani e raccoglieva i compensi: un impero commerciale esteso nel deserto, ville vistose all’estero e controllo senza restrizioni della politica dell’Afghanistan meridionale. Gli Americani, a loro volta, portavano a termine attacchi contro un nemico fantasma, completando felicemente il loro mandato avuto da Washington. Tra tutta questa abbondanza, gli agenti di Sherzai si dirigevano in un posto in particolare: un distretto non lontano dalla città di Kandahar che avevano soprannominato “Dubai,” un riferimento alla metropoli portuale di centri commerciali e palme che rappresentavano, per gli abitanti di Kandhar, un’oasi di ricchezza sfrenata e di opportunità. Per gli uomini di Sherzai, la loro nuova terra di opportunità, la loro nuova Dubai, non era altro che il distretto desertico e impoverito di Maiwand.
“Successo” a Maiwand Hajji Burget Khan e gli altri prigionieri sono stati portati al KAF e depositati in gabbie di metallo sistemate una accanto all’altra all’aria aperta e inondate da intensa luce bianca. Sono stati costretti a stare in ginocchio lì, per ore, con le mani legate dietro. Alcuni sono svenuti per il dolore. Alcuni hanno perduto la sensibilità delle mani e dei piedi. Sono poi stati fatti entrare in fila in una stanza e li hanno fatta spogliare e stare in piedi davanti ai soldati americani per essere esaminati, sottoponendoli a un’umiliazione che, secondo l’etica Pashtun era difficile anche soltanto immaginare. “Quando ci hanno fatto camminare nudi di fronte a tutti quegli Americani,” ha detto in seguito a un giornalista Abdul Wahid, “pregavo Dio di farmi morire. Se qualcuno mi avesse venduto una compressa avvelenata per 100.000 dollari, l’avrei comprata.” Come u atto finale di umiliazione della loro virilità, sono comparsi i soldati con delle forbici. Una alla volta le barbe dei prigionieri sono state tagliate e molti di loro sono scoppiati in lacrime. Ad alcuni che cercavano di opporsi, sono state tolte anche le sopracciglia. Hajji Burget Khan leader tribale ed eroe di guerra, non sarebbe stato più visto vivo. La verità di quanto è accaduto nelle sue ultime ore di vita forse non si potrà mai conoscere. Secondo un resoconto, è morto mentre era diretto al KAF per la sua ferita da arma da fuoco. Un’altra versione, un dispaccio confidenziale della Task Force Congiunta Canadese 2, parte della squadra di forze speciali che hanno compiuto l’assalto, afferma che “un anziano padre è morto mentre era in custodia” al campo di aviazione di Kandahar, “presumibilmente per un colpo ricevuto in testa con il calcio del fucile, cosa che ha provocato molto dolore e angoscia nel villaggio.” I prigionieri sono stati interrogati per giorni. “Non sappiamo chio abbiamo qui, ma speriamo di avere qui qualche vecchio talebano o almeno qualche talebano,” ha detto ai giornalisti il Luogotenente Jim Yonts, portavoce del Comando Centrale Statunitense. Tuttavia è diventato subito evidente che i prigionieri avevano tutti seguito Burget Khan nell’aderire al nuovo ordine americano. Dopo 5 giorni, sono stati portati nello stadio di calcio di Kandahar e rilasciati. Una folla di migliaia di persone, che era arrivata da Mawand, era lì a salutarli. Pochi mesi prima, molti di questi contadini avevano riempito le gradinate dello stadio agitando la nuova bandiera afgana e scandendo slogan a favore della nuova loya jirga. Ora, per la prima volta, slogan anti-americani riempivano l’aria. “Se abbiamo commesso qualsiasi crimine, devono punirci,” urlava Amir Sayed Wali, un anziano del villaggio. “Se siamo innocenti, ci vendicheremo per questo oltraggio.” L’anziano di una tribù, Lala Khan, ha domandato: “”C’è una legge? C’è una responsabilità? Chi sono i nostri capi? Gli anziani, o gli Americani?” L’assalto avrebbe lasciato segni durevoli a molti livelli. “Se toccano di nuovo le nostre donne dobbiamo chiederci perché siamo vivi,” ha dichiarato un abitante del villaggio, Sher Muhammad Ustad. Non avremo altra scelta se non combattere.” Al villaggio si è sentita una donna che gridava contro i suoi parenti maschi: “Voi avete in testa grossi turbanti” (uno dei capi di abbigliamento tipico della virilità Pashtun) “ma che cosa avete fatto? Siete dei vigliacchi! Non sapete neanche proteggerci. Vi chiamate uomini?” Il figlio di Hajji Burget Khan, ferito nell’assalto è costretto su una sedia a rotelle. Tor Khan, amico intimo di Burget Khan, al quale avevano sparato quattro volte, è morto dopo una lenta agonia. Gli abitanti del villaggio non lo hanno portato in ospedale per quasi 24 ore, temendo che gli Americani lo avrebbero trovato e avrebbero completato l’opera. Zharguna, 6 anni, che dormiva profondamente quando i soldati sono arrivati, si è svegliata nel panico e, cercando i suoi genitori, è caduta nel condotto di un pozzo. I genitori ci hanno messo ore a trovare il suo corpo. “Era la risata della casa,” ha detto sua madre. Gli ufficiali americani hanno dichiarato la missione “senz’altro un successo.” Come ha spiegato il Maggiore A.C. Roper, “E’ tutto uno sforzo della coalizione per tentare di liberare questo paese dalle persone che si oppongono alla pace e alla stabilità.” La fiducia di Roper era basata sulle informazioni segrete che indicavano che Hajji Burget Khan si era incontrato con gli anziani leader talebani. E’ venuto fuori che quell’accusa fosse vera, ma soltanto nel senso più letterale: aveva cercato di convincere i talebani ad appoggiare il governo di Karzai. Le informazioni contro di lui erano stato scritto quasi interamente in base alle accuse di Sherzai e dei suoi alleati. “Burget Khan era troppo indipendente,” ha detto Hajji Ehsan, un membro del governo di Kandahar. Era popolare e indipendente e Sherzai lo ha considerato una minaccia.” Nelle settimane successive alle uccisioni, gli uomini della tribù Ishaqzai di tutto il paese, sono scesi a Maiwand a porgere i loro rispetti. La vasta comunità Ishaqzai in Pakistan ha organizzato proteste piene di rabbia. Negli anni successivi, migliaia di persone sarebbero state uccise da entrambe le parti, ma sarebbe stato il ricordo dell’uccisione di Hjji Burget Khan che gli abitanti del villaggio non avrebbero mai abbandonato.
Far risorgere i talebani Gli uomini di Band-i-Timor non erano nuovi alla tragedia, e quando è arrivata l’estate Sono tornati nei campi, radunandosi nella moschea il venerdì per parlare del lavoro, delle piogge e del futuro. Poi, una mattina d’agosto, tre mesi dopo la morte di Burget Khan, hanno appreso che le forze statunitensi avevano attaccato di nuovo Maiwand, e che questa volta avevano arrestato l’intera forza di polizia – 95 poliziotti – in un solo distretto. Il governo ha annunciato che i prigionieri erano “talebani di al-Qaida.” I locali erano disorientati. “Facevano parte del governo,” ha detto il capo della polizia di una stazione vicina. “Il governo pagava il loro stipendi e il cibo. Non capisco come possano aver fatto questo.” I poliziotti, infatti, erano stati nominati da Hajji Bashar, l’anziano della tribù Noorzai che aveva operato così assiduamente per ottenere l’appoggio al nuovo governo. A pochi giorni dagli arresti, una nuova unità di polizia è subentrata nel distretto – tutti uomini di Sherzai. Nel frattempo, i poliziotti catturati e in custodia degli americani, sono stati picchiati, ad alcuni di loro hanno rotto le costole, li hanno dei loro averi per essere poi rilasciati alla fine, mentre il portavoce del governo ammetteva che “i funzionari non avevano mai avuto prove” di un collegamento con i militanti. Invece, il portavoce ha riconosciuto che “queste persone erano tutti uomini della tribù di Hajji Bashar e molto leali verso di lui.” L’umore a Band-i-Timor continuava a diventare più severo. Se il governo poteva fare questo “alla propria gente,” diceva Amanullah, un negoziante, “allora non c’è garanzia che non vengano a cercare la gente normale. Nessuno può essere sicuro da questo.” Alcune settimane dopo, le forze statunitensi hanno ancora una volta attaccato Band-i-Timor, arrestando questa volta Hajji Nasro, un capo locale e sostenitore di Hajji Bashar che era stato anche egli alleato del nuovo governo. Il cappio si stava stringendo attorno ad Hajji Bashar stesso. All’inizio si era incontrato regolarmente con i funzionari militari e dell’intelligence statunitensi. L’obiettivo, ha detto in seguito a un giornalista, “era di rendere stabile la situazione e anche di aiutare gli Americani a negoziare con i membri moderati dei talebani per riconciliarsi con il governo.” Ma oramai non potevano continuare: gli Americani non stavano affatto combattendo una guerra contro il terrore, stavano semplicemente prendendo di mira coloro che non facevano parte delle reti di Sherzai e Karzai. Bashar è fuggito con la sua famiglia in Pakistan per aspettare che le acque si calmino. La storia di Bashar sarebbe potuta finire qui, se non fosse stato per la sua ambizione inesauribile di ottenere un incarico nel governo afgano. Nel 2005 avrebbe riavviato i contatti con gli Americani, questa volta tramite una compagnia privata che lavorava con l’FBI (Federal Bureau of Investigation). Mentre prendeva il tè durante una serie di incontri a Dubai e in Pakistan, ha parlato apertamente di alcune delle sue attività commerciali nella speranza di ottenere l’appoggio dell’Occidente per le sue aspirazioni politiche. Tuttavia. i funzionari statunitensi avevano altri piani. I funzionari dell’amministrazione Bush avevano redatto una lista dei più ricercati baroni internazionali della droga che costituivano una minaccia agli interessi degli Stati Uniti. Quando il vice Segretario di Stato Bobby Charles, l’ha vista, ha chiesto: “Perché non abbiamo nessun signore della droga afgano su questa lista?” Questo infatti era un problema spinoso, perché alcuni dei più grossi capi afgani nel campo dei narcotici - Gul Agha Sherzai e Ahmed Wali Karzai, fratello del presidente, il capo fra loro – erano alleati con Washington e in alcuni casi anche pagati dagli Americani. Alla fine, i funzionari statunitensi si sono accordati su un nome: Hajji Bashar. Era un personaggio da quattro soldi su una lista di pezzi da novanta, e potenzialmente prezioso per Washington come mediatore per la pace, ma la convenienza politica ha segnato il suo destino. Bashar è stato attirato con lusinghe ad andare a uno degli alberghi Embassy Suites a New York. Per giorni ha parlato con i funzionari della DEA statunitense (Drug Enforcement Agency) su problemi di intelligence, condividendo con loro i pasti e il tè. Quando hanno finito, con suo grande stupore, è stato ammanettato e gli hanno letto i suoi diritti. E’ seguito un processo in seguito a denuncia per droga, e ora sta scontando l’ergastolo al Centro Metropolitano di detenzione a Brooklyn. I Noorzai e gli Ishaqzai, le due più grosse popolazioni tribali del Maiwand, avevano perduto i loro leader principali, entrambi “ponti” verso gli Americani, e ora le comunità si sentono lasciati alla deriva. “Ci siamo sentiti decapitati,” ha detto l’anziano Kala Khan. “Come potevamo convincere la nostra gente che gli Americani erano nostri alleati dopo questo?” Mentre le stagioni si avvicendavano, gli assalti continuavano. Band-i-Timor era anche residenza di Aktar Muhammad Mansur, ex capo della forza aerea dei talebani, che si era ritirato e che aveva offerto il suo appoggio al nuovo governo. Vedendo dispiegarsi la violenza, avvicinava ripetutamente i funzionari di governo, promettendo il suo sostegno a chiunque volesse ascoltare. Infine, avendo appreso che era su una lista americana di obiettivi da colpire, anche lui è scappato in Pakistan. Tuttavia, al contrario di Hajji Bashar, ha abbandonato la riconciliazione. Anni dopo, sarebbe diventato uno dei capi dell’insorgenza talebana. Per gli Americani, la “intelligence” di Sherzai sembrava vera perché le tribù che abitavano il Maiwand avevano appoggiato i talebani quando il movimento è comparso per la prima volta. Le urgenze della guerra al terrore, però, volevano dire che le forze degli Stati Uniti non erano in grado di riconoscere quando quelle stesse tribù avevano dichiarato lealtà a un’altra parte nel 2001 – ciò che è esattamente quello che, aveva reso il Maiwand così redditizio agli occhi di Sherzai. C’erano armi da requisire, anziani delle tribù da far cadere, denaro per le ricompense da raccogliere – profitti illimitati da raccogliere. Per Sherzai e i suoi alleati, era davvero la Nuova Dubai. Una volta, quando i soldati avevano attraversato Band-i-Timor, i locali sorridevano e li salutavano, ma ora osservavano soltanto, in silenzio. La gente ricominciava a portare le armi. Gli assalti continuavano e gli abitanti dei villaggi cominciavano a reagire ed questo significava che delle persone erano state prese in mezzo. Presto, per molti non c’è stata nessuna scelta se non andarsene. Interi villaggi se ne sono andati in Pakistan, abbandonando i loro campi e tornando nei campi profughi. Era una svolta che i funzionari a Kandahar non potevano ignorare, ma insistevano che era un male necessario nella lotta contro il terrore. “Talvolta, il modo migliore di prendere un pesce è prosciugare lo stagno,” diceva Khan Muhammad, un funzionario di alto livello della sicurezza. Però, che succederebbe se, all’inizio, non ci fosse nessun pesce?
Anand Gopal che collabora regolarmente con TomDispatch, è autore di: No Good Men Among the Living: America, the Taliban, and the War Through Afghan Eyes [Nessun uomo buono tra i viventi: l’America, i talebani e la guerra vista con occhi afgani] da cui è preso stralcio. Ha fatto servizi giornalistici sulla Guerra Afgana per il Wall Street Journal e per il Christian Science Monitor. No Good Men Among the Living è stato finalista per il National Book Award, ed è finalista per il Premio per l’Eccellenza nel giornalismo Helen Bernstein della Biblioteca Pubblica di New York. E’ il vincitore di quest’anno del Premio di Ridenhour Book. Potete seguire Gopal su Twitter @Ananand_Gopal_.
Tratto da: No Good Men Among the Living: America, the Taliban, and the War Through Afghan Eyes, di Anand Gopal, pubblicato da Metropolitan Books, stampato da Henry Holt and Company, LLC.
Questo articolo è apparso per la prima volta su TomDispatch.com, un sitoblog del Nation Institute che offre un flusso continuo di fonti alternative, notizie e opinioni curato da Tom Engelhardt, da lungo tempo direttore editoriale, co-fondatore dell’American Empire Project, e autore di: The End of Victory Culture [La fine della cultura della vittoria] e anche di un romanzo: The Last Days of Publishing [Gli ultimi giorni dell’editoria].Il suo libro più recente è: Shadow Government: Surveillance, Secret Wars, and a Global Security State in a Single-Superpower World (Haymarket Books). [Il governo ombra: sorveglianza, guerre segrete, e uno stato di sicurezza globale in un mondo con un’unica super potenza].
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/the-real-afghan-war |
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