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Recensioni:


L'Ultimatum del terzo Mondo - Famiglia Cristiana

La Politica Nata dal Fiume in Piena della Memoria - Il Manifesto

Grandi Preoccupazioni - Slow Food

"l'Odio per l'Occidente"
di Jean Ziegler

Alcuni Estratti:

Da pagina 9. Prefazione all'edizione italiana

La giornata era fredda, solo un timido sole trapelava fra le nubi. Pennsylvania Avenue era gremita di gente. Davanti alla facciata occidentale del Campidoglio era stato eretto un podio addobbato con i colori della bandiera americana.
Un uomo di quarantotto anni, slanciato, dal volto scuro e lo sguardo limpido che indossava un cappotto blu, e' avanzato verso il centro del podio.
Il presidente della Corte suprema ha letto la formula del giuramento.
Barack Obama l'ha ripetuta.
Al suo fianco, la moglie Michelle e le sue due bambine, Sasha e Malia.
Il bisavolo di Michelle si chiamava Dolphus Shields. Era nato schiavo in una piantagione di cotone della Carolina del Sud nel 1859.
Tra l'immensa folla che si accalcava davanti al Campidoglio e lungo tutta Pennsylvania Avenue, molti avevano le lacrime agli occhi.
Era mercoledi' 20 gennaio 2009.
Nel 2009, l'elezione di Barak Obama a 44esimo presidente degli Stati Uniti costituisce di certo l'evento piu' stupefacente che ha avuto luogo sul nostro pianeta. Frutto, per prima cosa, del risveglio e della mobilitazione della memoria ferita di milioni di persone, i discendenti degli africani deportati e gli appartenenti ad altre minoranze, questa vittoria ha fatto nascere ovunque nel mondo, ma soprattutto nell'emisfero Sud, un'immensa speranza.
Una speranza oggi in frantumi.
Nella piu' grande prigione militare del mondo, a Bagram, in Afghanistan, gli agenti dei servizi di sicurezza americani continuano a torturare i loro prigionieri. Le "Commissioni militari" sono rimaste al loro posto, e ai detenuti, "combattenti ostili" o semplici sospetti, non si applicano le Convenzioni di Ginevra.
L'avvocata newyorkese Tina Forster, che a Bagram si occupa, per conto dell'International Justice Network, di tre detenuti, due yemeniti e un tunisino, afferma: "Non c'e' alcuna differenza tra l'amministrazione Obama e l'amministrazione Bush".
Obama porta avanti due guerre... e riceve il Nobel per la Pace!
Alla fine di novembre 2009, quattro giorni prima della cerimonia solenne durante la quale avrebbe ritirato, a Oslo, il riconoscimento, il presidente degli Stati Uniti ha deciso di intensificare la guerra in Afghanistan annunciando l'invio di altri trentamila soldati. D'ora in avanti i bombardieri americani saranno ufficialmente autorizzati a operare nelle zone tribali del Pakistan occidentale, dichiarate aree di ripiegamento e di rifornimento dei talebani. Sono soprattutto gli aerei telecomandati da una base militare sotterranea del Nevada, i droni, a compiere i massacri piu' terribili tra la popolazione civile di quella regione. Gli attacchi dei droni sulle citta' e i villaggi pashtun sono destinati ad aumentare considerevolmente.
Com'era prevedibile, il 3 dicembre, a Roma, il governo Berlusconi ha subito annunciato l'invio di rinforzi: mille soldati italiani supplementari partiranno per la guerra nel 2010. Ma per tenere buona l'opinione pubblica, Berlusconi ha contemporaneamente diffuso la notizie del "probabile" ritiro delle truppe italiane nel 2013.
Nel ghetto di Gaza, dove, su una superficie di soli 365 km2, sono ammassati un milione e mezzo di palestinesi, la sottoalimentazione e le epidemie fanno stragi.
Il blocco di Israele priva gli ospedali di medicinali. Dopo i massacri e i bombardamenti israeliani del gennaio 2009, nessuna ricostruzione e' possibile perche' la punizione collettiva inflitta alla popolazione civile assediata impedisce l'arrivo di materiali da costruzione. Nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est, il furto di terre, acqua e case palestinesi continua senza alcun ostacolo.
Su mandato delle Nazioni Unite, il giudice sudafricano Richard Goldstone ha condotto per sei mesi un'inchiesta sull'aggressione israeliana contro il ghetto di Gaza del gennaio 2009: 1.400 morti palestinesi, piu' di seimila mutilati e ustionati, tra cui numerose donne e bambini. La conclusione: crimini di guerra commessi dal governo israeliano (ma anche da Hamas). Il giudice ha chiesto che i colpevoli vengano giudicati dalla Corte penale internazionale. Ma al Consiglio di sicurezza e al Consiglio per i diritti umani dell'Onu, gli Stati Uniti hanno preso vigorosamente posizione contro il suo rapporto.
Tra gli alleati strategici degli Stati Uniti continuano a figurare alcuni stati - Uzbekistan, Arabia Saudita, Israele, Nigeria, Colombia, Kuwait - che, in base all'elenco stilato da Amnesty International, risultano fra coloro che violano in maniera costante i diritti dell'uomo.
Il "Washington Post" scrive: "Il punto debole di Obama sono i diritti umani".
Perche' questo fallimento?
Barack Obama e' costretto a piegarsi alla legge dell'impero. Nonostante una popolazione relativamente ridotta - trecento milioni di persone -, gli Stati Uniti restano ancora oggi la nazione industrializzata di gran lunga piu' creativa, competente e dinamica del mondo. Nel 2009, il 25 per cento circa di tutti i beni industriali prodotti in un anno sulla terra provenivano da imprese americane.
La principale materia prima di questa gigantesca macchina industriale e' il petrolio. Gli Stati Uniti ne utilizzano circa venti milioni di barili al giorno, ma quelli estratti tra l'Alaska e il Texas sono meno di otto milioni. Il 61 per cento, ovvero poco piu' di dodici milioni di barili al giorno, viene importato dall'estero. E, cosa ancora piu' importante, da territori stranieri generalmente ostili, dove i conflitti sono accesi: Medioriente, Asia centrale, Delta del Niger.
Conseguenza? Gli Stati Uniti devono mantenere forze armate straordinariamente numerose e costose.
Nel 2008, per la prima volta nella storia, le spese per gli armamenti degli stati membri dell'Onu hanno superato i mille miliardi di dollari all'anno. Gli Stati Uniti ne hanno spesi il 41 per cento, la Cina, seconda potenza militare mondiale, l'undici per cento.
L'imperativo petrolifero - e militare - obbliga cosi' il governo di Washington a stringere in tutto il mondo alleanze strategiche con alcuni degli stati che maggiormente calpestano i diritti dei popoli che governano.
Siamo dunque di fronte a questo paradosso.
Dopo l'elezione alla presidenza degli Stati Uniti di un afroamericano, l'odio dei popoli del Sud per l'Occidente e' cresciuto ulteriormente.
Regis Debray scrive: "Oggi piu' che mai la memoria e' rivoluzionaria". Il secondo fenomeno importante che si e' potuto osservare in quest'ultimo anno e' il rapido progresso e il consolidamento della rivoluzione degli indios nelle Ande.
Sulle immense e aride cordigliere, nel fondo delle vallate, tra le foreste lussureggianti delle terre basse dell'Amazzonia, la memoria ferita dei popoli indigeni sta vivendo una folgorante rinascita.
Questa memoria diventa coscienza politica, volonta' di insurrezione, forza di resistenza e indomabile movimento sociale.
Maggio 2009: gli indios dell'Amazzonia peruviana si sollevano. Il governo di Lima ha appena accordato ad alcune societa' petrolifere occidentali i diritti di trivellazione che minacciano di distruggere le terre e i corsi d'acqua delle comunita' autoctone. Sotto la direzione dell'Aidesep (l'Associazione interetnica per lo sviluppo dell'Amazzonia peruviana), le comunita' organizzano la resistenza, bloccano le strade e i fiumi della regione. Corrotto dalle societa' straniere, il presidente Alan Garcia decreta lo stato d'emergenza. La repressione si abbatte sulle comunita'. Molti indios vengono assassinati. A Bagua, l'esercito apre il fuoco sui manifestanti uccidendone 34, tra cui donne e bambini, ma la resistenza non si indebolisce.
Mercoledi' 17 giugno 2009, Alan Garcia si presenta davanti al Congresso a Lima. Chiede l'annullamento dei decreti che prevedono l'esproprio delle terre amazzoniche.
In Bolivia, la rivoluzione silenziosa iniziata con l'ingresso al palazzo Quemado di Evo Morales Ayma, primo presidente indigeno eletto in Sudamerica nel corso di cinquecento anni, prosegue nella tormenta.
I contratti negoziati con piu' di duecento societa' straniere attive in ambito minerario, petrolifero e del gas, contratti che le trasformano in semplici societa' di servizi, procurano allo stato boliviano, anno dopo anno, decine di miliardi di dollari di entrate. Evo Morales utilizza questa manna per trasformare radicalmente la situazione materiale delle classi piu' povere. Lentamente, il popolo boliviano esce dalla sua secolare miseria. Dal 2009, ogni persona anziana di piu' di sessant'anni priva di reddito riceve duecento boliviani al mese.
Il Bono madre-nino e' un'altra riforma generalizzata nel 2009. Da' diritto al controllo medico gratuito durante la gravidanza. Il neonato beneficia dello stesso servizio. Durante la gravidanza e fino a quando il bambino non ha compiuto due anni, la madre riceve duecento boliviani al mese. Un altro Bono mira a evitare che i bambini delle famiglie piu' povere lascino la scuola. Alla fine del quinto anno scolastico, la famiglia riceve un premio di duecento boliviani, equivalenti a trenta dollari circa. Questa somma puo' sembrare ridicolmente bassa, ma spesso le famiglie hanno da sei a otto bambini.
La lotta contro il lavoro schiavistico prosegue. Nell'Alto Parapeti, dipartimento di Santa Cruz, gli agenti dell'Inra hanno scoperto, nel 2009, dieci latifundios concentrati nelle mani di solo cinque famiglie ed estesi su una superficie complessiva di 36.000 ettari. Parecchie centinaia di famiglie guarani' erano costrette a vivere e lavorare su questi latifondi, senza ricevere alcun salario e senza nessun altro tipo di compenso. Le terre su cui lavoravano questi schiavi sono state allora espropriate. Il 14 marzo 2009, Evo Morales si e' recato di persona nell'Alto Parapeti per consegnare agli Anziani delle comunita' guarani' i loro titoli di proprieta'.
Ma il nemico non demorde e periodicamente hanno luogo dei massacri di contadini. Leopoldo Fernandez, governatore nel 2009 del dipartimento di Pando, nella regione dell'Oriente amazzonico al confine con il Brasile, e' complice e amico dei grandi proprietari terrieri della regione. I suoi gendarmi e le sue milizie private vanno a caccia degli agenti dell'Inra, degli agronomi inviati da La Paz e dei geometri incaricati di predisporre la riforma agraria. In segno di protesta, migliaia di contadini senza terra, accompagnati da donne e bambini, hanno organizzato una marcia in direzione del capoluogo dipartimentale. All'altezza del villaggio di Catchuela-Esperanza, i pistoleros di Fernandez hanno teso loro un'imboscata. Diciassette partecipanti, uomini donne e bambini, sono stati uccisi; piu' di seicento i feriti; decine di persone risultano disperse. Nelle loro testimonianze, alcuni sopravvissuti hanno dichiarato che parecchi degli aggressori non parlavano spagnolo e si esprimevano in una lingua "sconosciuta".
Nell'aprile del 2009 si e' riunita, a Trinidad e Tobago, stato caraibico al largo del Venezuela, la quinta Cumbre de las Americas, il summit dei capi di stato delle Americhe.
Barack Obama vi ha incontrato per la prima volta Evo Morales.
La loro conversazione e' durata poco.
Nel frattempo, la campagna di sabotaggio condotta contro il governo legittimo della Bolivia da parte dell'oligarchia di Santa Cruz e dei suoi mercenari croati, sotto la direzione degli agenti dei servizi segreti americani, e' proseguita con estrema violenza.
Due giorni dopo la stretta di mano di Trinidad, le unita' speciali della polizia boliviana hanno circondato, a Santa Cruz, l'hotel Las Americas.
Al quarto piano dell'edificio, cinque veterani delle guerre dei Balcani di origine croata e ungherese avevano un vero e proprio deposito d'armi e di esplosivi.
L'assalto e' cominciato alle cinque del mattino. Secondo gli appunti trovati sul posto, i mercenari avevano previsto di assassinare Evo Morales, il vicepresidente Garcia Linera e quattro dei principali ministri del governo. Tre mercenari sono stati uccisi e due fatti prigionieri durante l'attacco.
I complotti per organizzare omicidi e atti di sabotaggio non sono i soli pericoli che minacciano la rivoluzione silenziosa della Bolivia. L'albero della nuova Bolivia, che cresce lentamente, ha anche rami deboli o marci. Santos Ramirez, cofondatore del Mas (Movimiento al socialismo) che ha portato Morales al potere, per esempio. Era il terzo uomo piu' potente dello stato dopo Evo Morales e Garcia Linera. Ex avvocato dei sindacati contadini, era diventato direttore generale dell'Ypfb, la societa' petrolifera nazionale. La polizia lo ha arrestato presso il suo domicilio nel febbraio del 2009.
In casa sua sono stati trovati 450.000 dollari in contanti, un "regalo" - secondo il giudice istruttore - della societa' americana Catler Uniservice.
Quest'ultima ha ottenuto dall'Ypfb l'appalto per la costruzione di un nuovo impianto per la liquefazione del gas naturale.
Evo Morales ha cacciato Ramirez e al suo posto ha messo Carlos Villega... sesto direttore generale dell'Ypfb dall'entrata in funzione del presidente!
Ma ne' gli intrighi internazionali, ne' la diffamazione da parte della stampa europea, ne' i sabotaggi sono riusciti finora a spezzare il forte movimento identitario indio, a fermare la costruzione dello stato nazionale e la rivoluzione silenziosa perseguita dal Mas. La nuova Costituzione e' stata democraticamente adottata e il 6 dicembre 2009 Evo Morales Ayma e' stato trionfalmente rieletto presidente della Repubblica con piu' del 63 per cento dei suffragi. Il suo movimento, il Mas, ha ottenuto la maggioranza in entrambe le camere.
Terza nuova circostanza nell'ultimo anno: nell'autunno del 2008 uno tsunami finanziario si e' abbattuto sul pianeta; con le loro speculazioni dementi e la loro avidita' ossessiva i predatori del capitale finanziario globale hanno distrutto in pochi mesi migliaia di miliardi di valore patrimoniale.
Alphonse Allais scrive: "Quando i ricchi dimagriscono, i poveri muoiono". Il banditismo bancario ha prodotto in Occidente milioni di disoccupati, ma nei paesi del Sud uccide. Secondo la Banca mondiale, dallo scoppio della crisi delle borse parecchie centinaia di milioni di persone sono precipitate nell'abisso della poverta' estrema e della fame.
Il 22 ottobre 2008 al palazzo dell'Eliseo, a Parigi, si sono riuniti i 15 capi di stato e di governo dei paesi dell'euro. Erano presenti, tra gli altri, Jose' Luis Zapatero, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. In base alle loro decisioni gli stati della zona euro hanno stanziato 1.700 miliardi al fine di rimettere in moto il credito interbancario e sostenere l'aumento di capitale delle banche.
Durante i due mesi successivi alla riunione di Parigi, i paesi industrializzati hanno ridotto considerevolmente i versamenti alle agenzie internazionali di aiuto umanitario e i crediti destinati ai paesi piu' poveri.
Incaricato di garantire l'aiuto alimentare d'emergenza, il Pam (il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite) ha un budget ordinario di sei miliardi di dollari. Nel 2008 si occupava di 71 milioni di persone, vittime di guerre, catastrofi naturali, migrazioni forzate. Oggi, i fondi a sua disposizione si sono ridotti a quattro miliardi di dollari. In pochi mesi il Pam ha perso insomma un terzo del budget a sua disposizione. Con quali effetti?
In Bangladesh ha dovuto annullare le mense scolastiche per un milione di bambini sottoalimentati. Nei campi profughi del Kenya, trecentomila rifugiati somali ricevono oggi una razione giornaliera di cibo pari a sole 1.500 calorie. L'Organizzazione mondiale della sanita' ha stabilito che il minimo vitale per un adulto e' di 2.200 calorie al giorno. In questi campi, sui quali sventola la bandiera bianca e blu dell'Onu, le Nazioni Unite organizzano cosi' direttamente la sottoalimentazione degli esseri umani a loro affidati conducendoli all'agonia e alla morte.
Dov'e' la speranza?
Nella costruzione, da parte dei popoli del Sud, di nazioni sovrane, plurietniche, democratiche, padrone delle ricchezze delle loro terre e del sottosuolo, stati di diritto capaci di negoziare da pari a pari con le potenze occidentali.
Nel 1799, all'eta' di sedici anni, Simon Bolivar arrivo' per la prima volta a Parigi. Lo spettacolo dei rivolgimenti rivoluzionari alimento' in lui il rifiuto del dispotismo spagnolo nelle Americhe. Le idee di Robespierre e di Saint-Just stimolarono anche altri giovani che ben presto si sarebbero messi alla testa degli eserciti di liberazione nelle Ande.
Antonio Jose' Sucre, Jose' San Martin, Bernardo O'Higgins e molti altri insorti hanno tratto la loro ispirazione dagli scritti e dalle lotte dei rivoluzionari francesi.
Ma oggi la guida non viene dall'Europa.
Maurice Duverger ha previsto la degenerazione delle nazioni europee. Dotate di un modo di produzione estremamente dinamico, ma soggiogate dalla volonta' di conquista delle loro classi dirigenti, dall'ossessione del guadagno finanziario immediato, hanno lasciato morire i Lumi che avevano presieduto alla loro nascita.
Gli stati occidentali applicano cio' che Duverger chiama "fascismo esterno". All'interno dei loro territori costituiscono autentiche democrazie, ma i valori democratici che sono a fondamento delle loro Costituzioni si arrestano alle frontiere.
Nei confronti dei popoli del Sud praticano la legge della giungla, la legge del piu' forte, e schiacciano chiunque faccia resistenza. L'ossessione patologica del profitto delle loro rispettive oligarchie e' inoltre alla base della politica estera portata avanti dagli stati occidentali.
Insensibile alle sofferenze dei popoli del Sud, alle loro memorie ferite, alle loro richieste di scuse e di riparazione, l'Occidente resta cieco e sordo, chiuso nel proprio etnocentrismo.
In Europa, la volonta' di giustizia e la speranza in un'avventura collettiva portatrice di senso sembrano ormai scomparse. Il veleno dell'individualismo edonista, distillato con cura dai signori del capitale finanziario globalizzato, ha fatto il suo lavoro, e anche solo la parola "rivolta" provoca sarcasmo. Il cancro capitalista corrode l'Occidente. Sulla soglia del nuovo millennio la speranza viene dalle foreste amazzoniche dell'Ecuador e del Peru', dagli altipiani della Bolivia, dai Llanos del Venezuela e, in misura minore, dalle megalopoli del Brasile.
Abbonato a vari giornali rivoluzionari e in particolare, dal luglio del 1789, a "L'Ami du Peuple", Immanuel Kant seguiva da Koenigsberg gli eventi di Parigi. Contrariamente ai suoi colleghi Johann Wolfgang Goethe e Friedrich Schiller - che pure sono considerati "poeti della liberta'" -, comprese subito in maniera intuitiva e profonda il senso di quella "frattura", la sua grandezza, il suo significato universale. Con gli amici della locanda Zum Ewigen Frieden (Per la pace perpetua), commentava quotidianamente e con passione le contraddizioni, i soprassalti e le illuminazioni della rivoluzione in corso.
Nel 1798, poco dopo il terrore e la scomparsa di Saint-Just e di Robespierre, Kant scrive: "... l'apparire di qualcosa del genere nella storia umana non si dimentica piu', perche' ha svelato una capacita' e una disposizione della natura umana al meglio quali nessun uomo politico, anche arrovellandosi, avrebbe desunto dal corso della storia passata...".
Anche se il fine atteso da questo avvenimento non venisse ora raggiunto quella predizione filosofica non perderebbe nulla della sua forza. Quell'avvenimento e' infatti troppo grande, troppo intrecciato all'interesse dell'umanita' e, per la sua influenza, troppo esteso a ogni parte del mondo per non tornare, in un qualsiasi ricorrere di circostanze favorevoli, alla memoria dei popoli e per non essere evocato allo scopo di ripetere tentativi del genere.
Tra le mani degli occidentali, colpiti da una tragica debolezza, la fiaccola della Rivoluzione si e' spenta. Oggi la rivolta dell'uomo a cui e' negata la dignita' si e' spostata nei Llanos, nel cuore delle Ande. Sono i popoli del Sudamerica e dei Caraibi ad aver riattizzato la fiamma che forse presto avvampera' in tutto il mondo.
Il grande movimento di emancipazione dell'essere umano e di umanizzazione graduale della storia progredisce rapidamente in tutto l'emisfero Sud, in particolare tra le popolazioni musulmane, indios e chollos.
Ma nel cuore stesso di questa straordinaria rinascita identitaria, del desiderio di vivere insieme - nell'uguaglianza, nella liberta' e nella fraternita' - che e' alla base di ogni costruzione nazionale, si insinua un pericolo mortale, un veleno: la tentazione permanente del ripiegamento tribale, del fanatismo identitario, della singolarita', che diventano rifiuto dell'altro, razzismo e odio patologico.
Felipe Quispe, Ollanta Humala e i profeti della Raza cobriza incarnano questo pericolo nelle Ande, i salafiti e i talebani nel mondo musulmano.
Se l'Occidente persistera' nel suo accecamento, i profeti razzisti, i fanatici tribalisti avranno la meglio. Distruggeranno il movimento di emancipazione e con esso la speranza di una vittoria sull'attuale ordine cannibale del mondo.
La nascita di un mondo piu' vivibile, piu' degno, votato all'equita' e alla ragione, dipende dalla nostra solidarieta' di occidentali con le nuove nazioni sovrane dell'America latina e di altri luoghi dell'emisfero Sud.
*
Da pagina 21. Introduzione

"Abito una ferita sacra
abito antenati immaginari
abito un volere oscuro
abito un lungo silenzio
abito una sete irrimediabile
abito un viaggio di mille anni
abito una guerra di trecento anni..."
(Aime' Cesaire, Io, laminaria...)
Gli acquazzoni di marzo si abbattevano sugli alberi centenari del Chemin de l'Ermitage a Ginevra. Un sottile manto di neve bagnata ricopriva i rosseggianti cespugli di magnolia, il rosa dei ciliegi del Giappone e i rami dorati delle forsizie.
Era quasi mezzanotte e faceva un freddo polare.
Camminavo a fianco di una donna elegante che indossava un sari bianco e ocra sotto un cappotto di lana. Era Sarala Fernando, l'ambasciatrice dello Sri Lanka presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Avevamo appena partecipato a una cena di diplomatici europei, asiatici e africani organizzata nella residenza dell'ambasciatore d'Irlanda, Paul Kavanagh. Per tutta la serata avevamo discusso sulle possibili misure da prendere per fermare lo spaventoso genocidio messo in atto, fin dal gennaio del 2003, dal dittatore del Sudan, il generale Omar al-Bashir, fra le montagne e le savane del Darfur.
Uomini, donne e bambini massalit, fur e zaghawa muoiono a migliaia sotto i bombardamenti degli Antonov o trafitti dalle lance delle milizie a cavallo arabe, i janjawid. Simili a cavalieri dell'Apocalisse questi assassini piombano sui villaggi africani stuprando, mutilando, sgozzando donne e ragazze, gettando bambini ancora vivi nelle capanne in fiamme, trucidando uomini, adolescenti e vecchi.
I janjawid uccidono per ordine dei generali al potere a Khartum, a loro volta pilotati a distanza dai "pensatori" del Fronte islamico di salvezza.
Era martedi' 20 marzo 2007.
Quattro giorni prima, nella sala XIV del Palazzo delle nazioni a Ginevra, la presidente della commissione d'inchiesta sul Darfur, il premio Nobel per la pace Jody Williams, aveva presentato il suo rapporto al Consiglio per i diritti umani dell'Onu.
Le sue erano constatazioni inconfutabili, fondate su prove precise. Nell'arco di quattro anni, il genocidio ha provocato piu' di duecentomila morti, centinaia di migliaia di mutilati e quasi due milioni di rifugiati e di persone costrette a lasciare la loro terra.
La cena, organizzata da Paul Kavanagh e dalla moglie, aveva lo scopo di preparare la redazione di una risoluzione di compromesso da sottoporre entro la settimana ai rappresentanti dei 47 Stati membri del Consiglio.
Dal 2007 il Consiglio per i diritti umani svolge, sul piano internazionale, un ruolo cruciale. Dopo l'Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza, e' la terza istituzione dell'Onu per importanza. Contrariamente a cio' che succede nel Consiglio di sicurezza, nel Consiglio per i diritti umani non esiste diritto di veto e le grandi potenze sono costrette a piegarsi alla legge della maggioranza, a sua volta orientata da un'alleanza tra gli Stati che fanno parte dell'Oci (Organizzazione della conferenza islamica) e gli Stati membri del Non Aligned Movement (Nam, Movimento dei non-allineati). Sempre piu' spesso - e in particolare nel caso del Darfur - il Consiglio per i diritti umani acquisisce lo statuto di un anti-Consiglio di sicurezza.
Il progetto di risoluzione prevedeva l'apertura, a partire dal Ciad, di corridoi umanitari per l'invio di cibo, acqua e medicinali alle vittime e la chiusura dello spazio aereo del Darfur a qualsiasi apparecchio non autorizzato dall'Onu.
Nel vento gelato Sarala Fernando avanzava con difficolta'. E' una donna di eta' matura, dai begli occhi neri, di intelligenza acuta, che gode di notevole prestigio e influenza tra i diplomatici asiatici accreditati a Ginevra.
A un tratto si fermo'.
"Perche' ci attaccano di continuo?... Siamo persone civili... Ma a volte facciamo fatica a controllarci, a non dire chiaramente, apertamente la nostra opinione...".
Sarala Fernando teneva a stento a freno la collera. La proposta, avanzata dai rappresentanti dell'Unione Europea, di condannare con una dura risoluzione il regime islamico del Sudan la mandava fuori di se'. A casa dell'ambasciatore dell'Irlanda aveva taciuto, ora esplodeva.
"E i tedeschi non hanno fatto la stessa cosa non molto tempo fa?", aggiunse. L'allusione al diplomatico tedesco Michael Steiner, che in quel mese di marzo 2007 presiedeva il gruppo di ambasciatori dell'Unione Europea, era chiara.
"E gli inglesi? Se lo ricorda cosa hanno fatto ai tessitori indiani? Per distruggere le industrie tessili indiane e imporre il loro monopolio hanno tagliato le dita dei tessitori, uomini, donne e bambini... E da noi, nello Sri Lanka, quando sono arrivati hanno dichiarato waste lands - terre senza padrone - centinaia di migliaia di ettari di terre coltivabili in cui lavoravano e vivevano i nostri contadini. I contadini sono stati scacciati e la fame ne ha sterminati centinaia di migliaia. La terra su cui sono cresciute le piantagioni di te' inglesi e' piena dei loro cadaveri".
Nella notte gelida, restai paralizzato dalla sorpresa. Questa intellettuale di origini buddhiste, colta e perfettamente informata sugli orrori del Darfur, prendeva ogni condanna degli occidentali nei confronti della dittatura di Omar al-Bashir come un insopportabile attacco contro i popoli dell'emisfero Sud.
Certamente, Sarala Fernando e' ben consapevole delle sofferenze inflitte alle popolazioni delle tre province del Sudan occidentale e come ogni essere umano e' sconvolta dagli stupri su larga scala delle donne africane, dalle mutilazioni dei bambini, dall'uccisione dei padri sotto gli occhi dei familiari, opera dei janjawid.
Rifiuta tuttavia ogni forma di collaborazione con gli Stati europei membri del Consiglio per i diritti umani.
Questo rifiuto ha delle conseguenze. Per evacuare i feriti, seppellire degnamente i morti e proteggere la popolazione ancora in vita, bisogna mettere in atto il meccanismo, proprio dell'Onu, noto come Responsibility to protect ("responsabilita' di proteggere"), che non puo' funzionare senza l'appoggio dei principali Stati membri delle Nazioni Unite - e dunque anche dei paesi del Sud.
A New York, il 6 ottobre 2006, il Consiglio di sicurezza aveva votato una risoluzione che prevedeva l'invio di ventimila Caschi blu incaricati di mettere fine all'annientamento delle popolazioni africane del Darfur. Ma l'attuazione di questa risoluzione era possibile, in virtu' della Responsibility to protect, solo con il sostegno dei principali Stati. Rifiutare di collaborare con gli occidentali, in questo caso, significava lasciare liberta' d'azione ai responsabili del genocidio.
Sarala Fernando e' l'archetipo del diplomatico che si e' formato nell'emisfero Sud. Considerati i crimini presenti e passati commessi dall'Occidente, ritiene assolutamente indecente che un ambasciatore occidentale invochi il rispetto dei diritti umani - e questo in qualsiasi circostanza.
A New York, a Ginevra, la grande maggioranza dei suoi colleghi algerini, filippini, senegalesi, egiziani, pachistani, bengalesi, congolesi, eccetera, la pensa esattamente come lei.
Nella loro memoria sono impresse le stesse ferite. Anche loro abitano "la ferita sacra" di cui parla Aime' Cesaire.
*
Da pagina 25

L'odio per l'Occidente, questa passione irriducibile, e' un sentimento provato oggi dalla grande maggioranza dei popoli del Sud e che agisce come una potente forza di mobilitazione. Questo odio non e' assolutamente patologico; ispira, al contrario, un discorso strutturato e razionale. E paralizza le Nazioni Unite. Bloccando la negoziazione internazionale, lascia privi di soluzione conflitti e gravi problemi che possono a volte riguardare la stessa sopravvivenza della specie.
L'Occidente, da parte sua, resta sordo, cieco e muto di fronte a queste manifestazioni identitarie, fondate su un profondo desiderio di emancipazione e di giustizia, che provengono dai popoli del Sud, e non capisce nulla di questo odio.
La memoria dell'Occidente in effetti e' una memoria dominatrice, impermeabile al dubbio, mentre quella dei popoli del Sud e' una memoria ferita. L'Occidente ignora la profondita' e la gravita' di queste ferite.
Ecco le parole di Regis Debray: "Chi non riesce a capire che oggi all'interno del genere umano vivono, fianco a fianco, due specie diverse, coloro che umiliano e gli umiliati, e che l'una non riesce a vedere l'altra, non capira' mai nulla del XXI secolo... La difficolta' e' legata al fatto che gli umilianti non vedono se stessi nell'atto di umiliare gli altri. Amano imbracciare le armi, non incrociare lo sguardo degli umiliati. Hanno tolto il casco - continua Debray - ma, sotto, la testa rimane coloniale?".
Nell'articolo, "Histoire, memoire et mondialisation", Bertrand Le Gendre e Gaidz Minassian constatano da parte loro: "Il Sud non elemosina piu' l'aiuto del Nord. Esige delle riparazioni, se non addirittura un atto di contrizione... L'intero continente [africano] chiede giustizia... Gli europei minimizzano le devastazioni della schiavitu', preferiscono esaltare la sua abolizione... come Francois Mitterrand che nel 1981, il giorno della sua investitura, ha portato dei fiori alla tomba di Victor Schoelcher al Pantheon... I discendenti degli schiavi reclamano una riparazione e affermano di subire ancora oggi le conseguenze di queste deportazioni".
Sui tre continenti, ormai, queste richieste di giustizia e di pentimento si moltiplicano.
Le Gendre e Minassian continuano: "Per la loro molteplicita' e la loro ampiezza, le contestazioni memoriali coincidono troppo nel tempo per essere il frutto del caso".
Obiettivo del mio libro e' riportare alla luce le radici di questo odio ed esplorare le possibili vie di un suo superamento.
In che modo deve essere interpretata l'improvvisa irruzione, nella contemporanea societa' planetaria, dell'odio nei confronti dell'Occidente? Vedo due spiegazioni.
La prima risiede nella brusca riapparizione della memoria ferita del Sud. I ricordi, a lungo sepolti, le umiliazioni subite durante i tre secoli della tratta e dell'occupazione coloniale, riaffiorano alla coscienza, e la memoria ferita e' una potente forza storica.
Dedichero' la prima parte del mio libro all'analisi delle sue caratteristiche.
La seconda spiegazione e' legata a una contraddizione intollerabile tra demografia e potere: da piu' di cinquecento anni gli occidentali dominano il pianeta, ma i bianchi non hanno mai rappresentato piu' del 23,8 per cento della popolazione mondiale e oggi sono appena il 13 per cento.
Ecco perche', agli occhi della maggior parte delle donne e degli uomini che vivono nell'emisfero Sud, l'attuale ordine economico del mondo imposto dalle oligarchie del capitale finanziario occidentale ha cominciato ad apparire come il prodotto dei sistemi di oppressione anteriori e in particolare della tratta e dello sfruttamento coloniale. Questo ordine del mondo genera indicibili sofferenze e nuove umiliazioni per un gran numero di uomini, donne e bambini del Sud nutrendo, a sua volta, l'odio per l'Occidente.
La seconda parte del libro esamina gli aspetti fondamentali di questo ordine cannibale e i suoi effetti sulla coscienza.
Da secoli l'Occidente tenta di requisire la parola "umanita'" per utilizzarla a proprio esclusivo profitto. Nella sua opera fondamentale, La retorica del potere. Critica dell'universalismo europeo, Immanuel Wallerstein ripercorre le tappe storiche della costituzione di questa "umanita' etnocentrica".
L'Occidente, afferma Wallerstein, e' un potentato che si ignora e il cui passatempo preferito consiste nel dare lezioni di morale al mondo intero. La sua e' una memoria pietrificata, che si confonde con i suoi interessi economici.
Da tempo l'Occidente non si rende piu' conto del rifiuto che suscita; l'arroganza lo acceca.
Il fatto e' che quando si tratta di disarmo, di diritti umani, di non proliferazione nucleare, di giustizia sociale planetaria, il linguaggio occidentale e' sempre ambivalente.
E il Sud risponde con una viscerale diffidenza perche' vede nell'Occidente uno schizofrenico che proclama valori costantemente smentiti dal suo stesso modo di procedere.
La strategia del doppio linguaggio paralizza la negoziazione internazionale rendendo tra l'altro impossibile la difesa collettiva contro i pericoli mortali che minacciano sia i paesi del Sud che l'Occidente.
Basata su molti esempi, la terza parte di questo libro affrontera' l'analisi di questi pericoli e le motivazioni del comportamento schizofrenico dell'Occidente.
Nella quarta parte verra' esplorato il destino sintomatico della Nigeria. Nel paese piu' popoloso del continente africano, e uno dei piu' ricchi del mondo, la popolazione e' costretta a subire privazioni estreme a causa del predominio dei signori occidentali della guerra economica mondiale.
Primo produttore di petrolio in Africa e ottavo piu' importante del mondo, dal 1965 la Nigeria e' stata sempre governata da giunte militari. Il paese di fatto non ha mai goduto di una reale sovranita'. Oggi e' preda impotente di Shell, Bp, Total, Exxon, Texaco e di altri predatori, mentre il settanta per cento dei suoi abitanti sopravvive in una miseria abissale. E' su questa realta', naturalmente, che prospera l'odio per l'Occidente.
 
Da pagina 28

Dal gennaio del 2006, in Bolivia, Evo Morales Ayma, un contadino aymara, occupa il palazzo Quemado. E' il primo presidente indio di un paese del Sudamerica dopo la devastazione spagnola del XV secolo.
Morales ha provocato un terremoto nell'ordine del mondo e ha inflitto all'Occidente una grave sconfitta. La resurrezione identitaria delle popolazioni aymara, quechua, moxo, guarani' mette in circolazione inaudite energie di lotta, di resistenza e di creazione. Nella quinta parte verranno analizzati gli effetti della rinascita boliviana a livello continentale. Si trattera' di prenderne l'esatta misura: la valorizzazione permanente della politica e della cultura indigene, effetto dell'odio per l'Occidente, e' compatibile con i principi universali del diritto?
Stretta in una morsa tra la doppiezza del linguaggio dell'Occidente e l'odio dei popoli del Sud, la comunita' internazionale non riesce a imporsi, le Nazioni Unite sono allo sfascio e l'assenza di dialogo getta il pianeta in un pericolo mortale.
Da 42 anni, dunque, la Conferenza sul disarmo risulta paralizzata, la proliferazione di armi nucleari sempre piu' micidiali continua.
Nel settembre del 2000, 192 capi di Stato e di governo si sono riuniti a New York e hanno fissato gli "obiettivi del Millennio" (Millenium goals), volti a eliminare gradualmente la sottoalimentazione e la fame, le epidemie e la miseria estrema in cui vivono due miliardi di esseri umani. Ma a tutt'oggi non e' stato fatto alcun progresso in questa direzione.
All'inizio del nuovo millennio, su un pianeta che trabocca di ricchezze, ogni cinque secondi un bambino di meno di dieci anni muore di malattia o di fame.
Ovunque infuria la guerra economica.
L'umiliazione, l'esclusione, l'angoscia per il futuro sono il destino di centinaia di milioni di esseri umani, soprattutto nell'emisfero Sud. Per loro la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Carta delle Nazioni Unite sono solo parole vuote.
In che modo si puo' responsabilizzare l'Occidente e obbligarlo a rispettare i propri stessi valori? Come si puo' disinnescare l'odio del Sud? In quali condizioni concrete si puo' avviare un dialogo?
Che cosa si puo' fare per costruire una societa' planetaria riconciliata, giusta, rispettosa delle identita', delle memorie e del diritto di ognuno alla vita?
Il mio libro vorrebbe mettere in moto forze in grado di dare un contributo alla soluzione di questi problemi per tentare di porre fine alla tragedia.
*
Da pagina 99. In India, in Cina

A questo punto sorge un'obiezione.
Potenti oligarchie finanziarie si sono imposte nel Sud del mondo. Oligarchie che praticano un capitalismo imitativo spietato accumulando ricchezze astronomiche. I loro fondi di investimento controllano quote importanti della Societe' generale in Francia, dell'Ubs in Svizzera e di molte altre grandi banche d'affari occidentali.
La nascita di queste oligarchie del Sud non contraddice allora la tesi del sistema di sfruttamento globalizzato dominato dall'Occidente? Come si fa a parlare di onnipotenza dell'Occidente quando India e Cina, per esempio, registrano una crescita annuale del loro prodotto interno lordo pari, per la prima, al 9,8 per cento, e per la seconda al 12 per cento?
L'obiezione non regge.
La multipolarita' del capitalismo finanziario globalizzato e' un inganno. Ovunque siano all'opera oligarchie capitalistiche si ritrovano gli stessi metodi: massimizzazione e monopolizzazione del profitto, distruzione delle leggi statali, iper-sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro umano, e questo anche quando le oligarchie sono attraversate da conflitti e tra esse domina una concorrenza estrema.
Ecco perche', del resto, i popoli del Sud odiano le oligarchie locali allo stesso titolo e per le stesse ragioni per le quali odiano l'Occidente. Per quanto potenti siano, le oligarchie del Sud riproducono, in effetti, il sistema mondiale di dominio e di sfruttamento introdotto dagli occidentali.
I piu' potenti oligarchi del Sud abitano a Londra, Parigi, New York o Ginevra. Nell'aprile del 2008, la stampa finanziaria britannica ha pubblicato la lista dei cento residenti piu' ricchi del Regno Unito. Il primo inglese compare solo al ventunesimo posto. Un magnate indiano dell'acciaio occupa il primo.
L'influenza delle oligarchie del Sud nel sistema capitalista mondiale cresce costantemente. Nello spazio di sette anni (2001-2008), a livello mondiale, la percentuale delle imprese multinazionali originarie del Sud tra le prime mille societa' quotate in borsa e' passata dal 5 al 19 per cento.
Esaminiamo il caso dell'India, e in particolare quello di Hyderabad, nel Sud del paese. Nelle immediate vicinanze di questa stupenda citta', rumorosa, sudicia e millenaria, il governo dell'Andhra Pradesh ha fatto costruire cinque "zone di espansione economica". Viali interminabili a sei corsie, palazzi di vetro e di cemento, parchi sontuosi, hotel di lusso mai visti prima. Il primo edificio di "Cyberabad" e' stato costruito nel 2000.
Microsoft ha fatto di "Cyberabad" il suo secondo centro mondiale di sviluppo. A fianco del suo palazzo sorgono le sedi di Dell, Ibm, Google, Oracle, Capgemini, ma anche potenti societa' indiane come Satyam, Infoys, Wipro e Tata si sono istallate nell'una o nell'altra delle cinque zone.
Le grandi banche internazionali hanno seguito i giganti delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Tic). L'Ubs impiega qui duemilaquattrocento persone, l'Hsbc ancora di piu'. All'inizio del 2008, piu' di 1.500 societa' di proporzioni mondiali hanno aperto una sede a Hyderabad e il loro numero e' in continua crescita.
I privilegi concessi dal governo dell'Andhra Pradesh ai signori mondiali dell'elettronica e delle banche non sono disprezzabili: terreni gratuiti, franchigia fiscale per dieci anni, soppressione delle imposte doganali sul materiale d'importazione, esenzione dalle imposte o dalle tasse sui salari dei dipendenti stranieri, fornitura di energia elettrica a una tariffa prossima allo zero, ispezione del lavoro ridotta al minimo.
Nell'aeroporto intercontinentale della citta' atterrano voli diretti provenienti da Londra.
In base ai dati del 2008, piu' di centomila persone lavorano a Hyderabad, la maggior parte delle quali per un salario incredibilmente basso. Mentre l'Indian School of Business, fondata nel 2002, si classifica gia' al ventesimo posto nella lista delle migliori scuole di economia del mondo.
Nelle corti scalcinate della citta' vecchia o nei terreni incolti che circondano le "zone di espansione economica" spuntano fragili tende, i ripari di plastica dei poveri dove decine di migliaia di famiglie vegetano nella piu' totale poverta'. L'aria e' satura del fumo acre dei fuochi su cui bolle una magra zuppa, arricchita con i resti di cibo raggranellati nei bidoni delle immondizie delle "zone".
Quasi la meta' delle persone piu' gravemente (e permanentemente) sottoalimentate del pianeta vive nelle bidonville di Mumbay, Calcutta, Nuova Delhi, nelle tribal areas o nelle campagne dell'Orissa, dell'Uttar Pradesh o del Bengala. In tutto 382 milioni di persone, su un totale mondiale di 854 milioni, soffrono in queste regioni per la mancanza di cibo regolare e sufficiente.
I terreni impoveriti esigono sempre piu' concimi, il clima e' duro, gli insetti minacciano continuamente di distruggere gli scarsi raccolti. E' necessario il ricorso ai pesticidi.
L'Unione Indiana non si occupa in nessun modo di questa agricoltura di sussistenza. Di fatto non esiste alcun sistema di sovvenzioni per facilitare l'acquisto di concimi e pesticidi. I contadini dunque devono pagare il prezzo (esorbitante per la maggior parte di loro) imposto dalle societa' transcontinentali dell'agrochimica.
Per ottenere i prestiti non possono che rivolgersi all'usuraio del villaggio.
Danilo Ramos, Segretario generale filippino dell'Asian Peasant Coalition (Apc, la Coalizione asiatica dei contadini), scrive, in una comunicazione ufficiale all'Omc, Organizzazione mondiale del commercio: "Tra il 2001 e il 2007, 125mila contadini indiani impoveriti dalla liberalizzazione dell'agricoltura si sono suicidati".
Il suicidio e' preceduto da uno strano rituale.
Per diversi giorni il contadino si isola dalla famiglia e non lascia piu' la sua capanna. Non parla piu', non mangia piu'.
La moglie e i figli non possono fare altro che assistere al crollo, angosciati e impotenti.
Poi, un mattino, al levar del sole, si alza, esce e inghiotte del pesticida. Come se volesse perire per effetto della sostanza che lo ha rovinato. Muore lentamente e tra grandi sofferenze.
I contadini sopportano queste sofferenze come per punirsi per non essere stati capaci di nutrire i figli, la moglie, i genitori. E' la vergogna a ucciderli.
Molti contadini si suicidano anche nella speranza di liberare la propria famiglia dalla schiavitu' del debito, ma nella maggior parte dei casi questa speranza e' vana: l'usuraio fa ben presto requisire il piccolo appezzamento di terra, i pozzi e la capanna. La vedova e i figli ne verranno espulsi e andranno a raggiungere l'esercito dei morti di fame degli slum di Calcutta, Mumbay o Delhi.
Nel 2007 l'India figurava al 128esimo posto nella lista stilata dal Pnus in base all'indice di sviluppo umano.
Spostiamoci ora in Cina.
Nel 1983, il primo ministro Deng Xiaoping decreto' l'integrazione della Cina nel sistema capitalista occidentale, apri' il paese agli investimenti stranieri, liberalizzo' i prezzi, privatizzo' decine di migliaia di fabbriche e imprese di servizi, aboli' gradualmente la protezione sociale dei lavoratori.
La popolazione resistette. Nel maggio del 1989, migliaia di operai e studenti eressero delle barricate su piazza Tienanmen, nel cuore di Pechino, reclamando il rispetto dei diritti democratici. All'alba del 4 giugno i blindati distrussero le barricate e aprirono il fuoco sulla folla. Si contarono quasi settemila morti e migliaia di feriti; Deng Xiaoping proclamo' la legge marziale. In tutto il paese venne in seguito organizzata una vera e propria caccia all'uomo, seguita da decine di migliaia di esecuzioni.
Oggi, l'oligarchia finanziaria cinese e' reclutata quasi esclusivamente tra le famiglie regnanti del Partito comunista, non esistono sindacati indipendenti e lo sciopero e' considerato un "crimine economico".
Come ci si puo' dunque stupire che da allora piu' di cento milioni di cinesi non abbiano un lavoro fisso ne' un salario decente? Sono per la maggior parte migranti originari delle regioni interne, senza alcuna possibilita' di accedere ai servizi sanitari e alla scolarizzazione. Fanno parte di quella che il governo definisce "popolazione fluttuante".
In Cina le rivolte sociali vengono duramente represse. I poliziotti appartenenti a un corpo di polizia speciale, noti come Chengguan, imperversano nelle campagne e sono famosi per la loro brutalita'.
A seguito di una protesta di contadini della provincia di Hubei contro i danni provocati da una discarica a cielo aperto, i Chengguan hanno massacrato uomini, donne e bambini.
Un coraggioso cittadino di nome Wei Wenhua ha filmato la scena e diffuso clandestinamente le immagini: il 7 gennaio 2008 e' morto a seguito delle percosse subite da parte dei Chengguan.
Nelle fabbriche cinesi e in particolare in quelle situate nelle "zone industriali di esportazione", le condizioni di lavoro sono spesso inumane e la protezione delle lavoratrici e dei lavoratori praticamente inesistente. Per sostenere la competizione con altre "zone industriali di esportazione" (in Corea del Sud, a Taiwan, in Thailandia, nel Bangladesh, eccetera), il governo cinese mantiene i salari vicino al minimo vitale (subsistence level secondo il "New York Times").
L'eta' minima per lavorare in fabbrica e' sedici anni e una giornata di lavoro dura 14-16 ore.
Molte fabbriche che lavorano per societa' multinazionali straniere si sono concentrate nel delta del fiume delle Perle, nella provincia del Guangdong, non lontano da Hong Kong. David Barboza, del "New York Times", che ha condotto un'inchiesta nella regione, scrive: "Sono quarantamila le dita dei lavoratori schiacciate o recise ogni anno in queste fabbriche!".
La Cina detiene anche il record mondiale delle esecuzioni capitali.
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Da pagina 114

Prendiamo il caso di Karima Abu Dalal, trentaquattro anni, madre di cinque figli, malata di un cancro (linfoma di Hodgkin) diagnosticato nel 2006. Prima della chiusura del confine, nel giugno del 2007, aveva potuto beneficiare di un trapianto di midollo osseo e di un trattamento di chemio e di radioterapia in Egitto. In agosto la sua salute era migliorata a seguito di due cicli intensivi di chemioterapia a Nablus, in Cisgiordania. Il pesante trattamento avrebbe dovuto proseguire in novembre, ma le sue domande di autorizzazione a lasciare Gaza sono state respinte dalle autorita' militari israeliane. Nel suo caso, l'Alta corte di giustizia israeliana ha rifiutato anche una richiesta avanzata dalla sezione israeliana dell'Ong Physicians for Human Rights (Medici per i diritti umani). I giudici dell'Alta corte hanno ritenuto che non vi fosse "alcuna ragione di intervenire".
Questo tipo di giudizio puo' costare la vita, oltre a Karima Abu Dalal, a un gran numero di altri malati che non possono essere curati a Gaza in stato d'assedio.
Il governo di Tel Aviv sostiene che il blocco e' giustificato dai tiri di razzi Qassam nel sud di Israele da parte della resistenza palestinese. Ma chi puo' ignorare che la punizione collettiva di una popolazione civile e' vietata dal diritto internazionale? E chi puo' ignorare che l'odio per l'Occidente trova sempre nuovo alimento in queste pratiche?
Il Consiglio per i diritti umani convoca dunque una sessione straordinaria per il 23 e il 24 gennaio 2008. La sua presidenza prevede la turnazione, e tra il giugno 2007 e il giugno 2008 il presidente era l'ambasciatore rumeno Doni Romulus Costea.
Costea e' stato l'interprete ufficiale di Nicolae Ceausescu. Alla caduta del dittatore si e' miracolosamente convertito alla democrazia. Come molti suoi colleghi diplomatici venuti dall'Est, Costea e' anche un fedele servitore del Dipartimento di Stato di Washington.
Dal 23 al 27 gennaio 2008, si riuniva a Davos il Forum economico mondiale. Il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, vi si sarebbe recato il 24. Ma il 23 era ancora a Ginevra.
Per dare maggiore visibilita' e peso diplomatico alla sessione straordinaria del Consiglio per i diritti umani, i membri del Movimento dei non-allineati chiesero a Costea di invitare il Segretario generale.
La risposta di Costea e' no. "Non e' il caso che il Segretario generale conferisca [con la sua presenza] una qualche credibilita' a questa riunione". Come dire che l'Occidente non sollevava alcuna obiezione contro la punizione collettiva inflitta ai palestinesi.
Gli ambasciatori dell'Unione Europea si rifiutarono, in effetti, di condannare il blocco.
Per quanto riguarda poi Sua Eccellenza l'elegante Warren W. Tichenor, ambasciatore degli Stati Uniti e proprietario di un'emittente televisiva nel sud del Texas, boicotto' semplicemente la sessione.
La mattina di lunedi' 3 marzo 2008, il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha aperto la sua settima sessione ordinaria nella grande sala dell'Assemblea al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.
Sugli schermi televisivi passavano immagini insopportabili provenienti da Gaza, bombardata dall'aviazione e dall'artiglieria israeliane. Bambini dilaniati, donne uccise, il numero di morti e feriti gravi non faceva che crescere di ora in ora. Il ministro israeliano della difesa aveva previsto, per i giorni successivi, un'importante operazione militare a Gaza annunciando la propria intenzione di dividere il territorio in tre parti.
Vista la densita' della popolazione in quell'area, e date le condizioni dell'assedio, una simile operazione costituisce una pura e semplice violazione del diritto umanitario nei termini della IV Convenzione di Ginevra. Il pretesto per organizzare l'operazione era stato un tiro di razzi Qassam da parte dei resistenti palestinesi.
La Mezzaluna Rossa palestinese e l'Unwra (l'agenzia Onu per l'aiuto ai profughi palestinesi) contarono 162 palestinesi uccisi, tra cui 58 bambini di meno di dodici anni, molte donne e tre neonati. Piu' di quattrocento persone dovettero subire un'amputazione delle braccia o delle gambe a causa delle bombe e degli obici.
Elegante ed eloquente nel suo tailleur nero, la segretaria di Stato francese per i diritti umani, Rama Yade, prese la parola verso le 16 tenendo un lungo discorso sulla Dichiarazione universale dei diritti umani e la vocazione della Francia. Secondo Rama Yade, la Francia ha inventato i diritti umani, deve dunque farsene garante ovunque nel mondo, ma sui bombardamenti a Gaza, sui bambini morti bruciati, non dice una sola parola.
Bisogna qui rendere omaggio al ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, che gode a giusto titolo di un prestigio personale e di una credibilita' internazionale notevoli. Nel governo di Francois Fillon, occupa, come si sa, una posizione a parte. Saggiamente, rifiuto' di partecipare alla commedia occidentale del 3 marzo a Ginevra. Arrivato in mattinata, si accontento' di pranzare discretamente con Ban Ki-moon all'hotel Intercontinental prima di ripartire per Parigi.
Nel corso del suo intervento, Rama Yade affronto' inoltre la questione dei fatti accaduti durante la Conferenza internazionale contro il razzismo a Durban, nel 2001, denunciando "le derive e gli eccessi" che avevano segnato quel vertice.
Al discorso della segretaria di Stato segui' una conferenza stampa. Ai giornalisti che le chiedevano quali fossero le "derive" a cui si riferiva, disse, con un candore disarmante: "Non posso rispondervi, non ero a Durban".
Qualche minuto dopo, Jamil Jade, corrispondente dell' Estado de Sao Paulo, gli chiese se avrebbe incontrato Micheline Calmy-Rey. Risposta di Rama Yade: "Chi e'?". Pazientemente un giornalista le spiego': "Micheline Calmy-Rey e' ministro degli Esteri della Svizzera, lo stato che ospita il Consiglio per i diritti umani".
Presso le Nazioni Unite a Ginevra, la Francia ha una delegazione diplomatica folta e competente. Di fronte alle altre delegazioni e alla stampa, i suoi diplomatici tentarono di correggere la disastrosa impressione prodotta da Rama Yade sostenendo che se non aveva fatto cenno ai massacri israeliani era perche' in ogni caso la Francia era impotente di fronte alle azioni del governo di Tel Aviv.
Falso! L'articolo 2 dell'accordo di libero scambio tra l'Unione Europea e Israele, firmato nel giugno del 2000, prevede che il rispetto dei diritti umani sia la condizione preliminare alla sua entrata in vigore. Piu' del 65 per cento delle esportazioni israeliane sono dirette in uno dei 27 Stati dell'Unione Europea. In altre parole, di fronte alla flagrante violazione dei diritti umani da parte di Tel Aviv, la Francia avrebbe potuto senza problemi chiedere la sospensione di queste importazioni.
Due settimane di sospensione... e i generali israeliani sarebbero senz'altro stati ricondotti alla ragione.
Dal 27 dicembre 2008 al 20 gennaio 2009, l'aviazione, la marina, i blindati e l'artiglieria israeliani hanno bombardato il ghetto sovrappopolato di Gaza. Risultato: piu' di 1.400 morti e oltre seimila mutilati, ustionati e amputati, in maggioranza donne, bambini e uomini anziani. Amnesty International, il Comitato internazionale della Croce rossa e le Nazioni Unite hanno segnalato numerose esecuzioni di civili, tiri contro le ambulanze e altri crimini di guerra commessi dalle forze armate istraeliane.
Dall'interno di Israele anche alcuni coraggiosi intellettuali come Michel Warschawski, Ilan Pappe, Gideon Levy e Lea Tsemel hanno denunciato bombardamenti contro scuole e ospedali.
Israele e' il quarto esportatore di armi da guerra al mondo. Come contro il Libano nell'estate del 2006, Israele ha testato le sue armi piu' recenti sui palestinesi di Gaza. Per molti osservatori la scelta di sperimentare le nuove armi sulle popolazioni civili e' una delle cause principali anche dell'aggressione contro Gaza.
Un'arma in particolare, che porta il nome di Dime (Dense Insert Metal Explosive), e' stata utilizzata contro i campi di rifugiati densamente popolati. Si tratta di un obice pieno di piccole palline metalliche contenenti cobalto, tungsteno, nichel e ferro. La forza esplosiva del Dime e' dirompente. Lanciato dall'artiglieria o da un aereo l'obice si disintegra a circa dieci metri dal suolo.
Un medico norvegese dell'ospedale al-Shifa dichiaro' al quotidiano "Le Monde" del 13 gennaio 2009: "Se l'esplosione avviene a due metri dal suolo le particelle liberate tagliano il corpo umano a meta'; se invece fuoriescono a otto metri di altezza sono le gambe e le braccia ad essere colpite. La vittima ha l'impressione di essere investita da migliaia di aghi arroventati".
A Gaza, l'aviazione e l'artiglieria israeliane hanno sperimentato inoltre nuovi obici e bombe che liberano fosforo bianco provocando spaventose ustioni su donne, bambini e uomini palestinesi.
Ben presto, ne sono certo, tutte queste nuove armi "miracolose" verranno pubblicizzate dai prospetti di vendita di Tel Aviv.
Il 12 gennaio 2009 il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha convocato una sessione straordinaria.
Richard Falk, relatore speciale per i territori occupati e professore di diritto internazionale dell'Universita' di Princeton, noto e rispettato in tutto il mondo, ha presentato un rapporto dettagliato sui crimini di guerra e i crimini contro l'umanita' commessi da Israele.
La risoluzione del Consiglio ha chiesto la fine immediata dei massacri e condannato allo stesso tempo il lancio di razzi su Israele da parte di Hamas.
Le ambasciatrici e gli ambasciatori occidentali - compresi quelli italiani - si sono rifiutati di votare la risoluzione.
Un pomeriggio di marzo, mi trovavo all'ottavo piano dell'edificio di vetro scuro e cemento che ospita, a Ginevra, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e discutevo con l'alto commissario Antonio Gutierrez.
Fuori nevicava. Sull'avenue de France, il ghiaccio paralizzava il traffico.
Parlavamo dell'impasse in cui si trovava il Consiglio per i diritti umani che in quel momento teneva la sua terza sessione ordinaria al Palazzo delle Nazioni, a pochi metri dall'Alto commissariato.
Chiesi a Gutierrez: "Perche' tanti rappresentanti colti e intelligenti dei paesi del Sud rifiutano di collaborare con gli occidentali in materia di diritti umani?".
Ex primo ministro del Portogallo, ed ex presidente dell'Internazionale socialista, cattolico praticante, Antonio Gutierrez e' un uomo di grande indipendenza di spirito, affabile e intelligente. Il suo sguardo indugio' sul Palazzo delle Nazioni poi mi disse: "E' il conto che ci presentano per l'Iraq e la Palestina".
 

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