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L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità "autentica, adeguata e totale" sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso. |
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Secondo Bauman, nella modernità la morale è la regolazione coercitiva dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole (la razionalità è caratteristica della modernità) può sottrarsi. Non si può invece parlare della morale post-moderna, perché la fine delle "grandi narrazioni" del Novecento, cioè le ideologie, ha reso impossibile la pretesa di verità assolute, e quindi ci possono essere tante morali. Bauman propone un tipo di morale: la morale nasce come (ed è sostanzialmente) il consegnarsi totalmente dell’io al tu (ovvero di me all’altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero. Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione sia morale oppure no, non c’è più società, la quale necessita sempre di almeno tre persone. Ma come si traduce questa definizione individuale nella concreta pratica sociale? Bauman specifica che questa libertà di donarsi è sempre dentro a certi vincoli e costruzioni dati da una struttura che è, appunto, la società. L’impulso ad essere per l’altro, a donarsi all’altro, indipendentemente da come l’altro si atteggia nei suoi confronti (questo impulso è stato formulato da Emmanuel Lévinas, filosofo ebreo francese contemporaneo) non è razionale; per questo per Bauman la morale (originata da tale impulso) è del tutto irrazionale. L’origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un io (è la mia decisione), mai un noi (non è un atto collettivo, né l’esito di un accordo, perché è sempre la scelta del singolo di atteggiarsi in un certo modo nei confronti dell’altro). Se non c’è l’io l’atto morale non c’è. La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce da una scelta etica individuale, l’atto etico individuale va fatto da me e non da altri, e però crea un vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. Per Bauman solitamente si incontra l’altro "non come persona": Bauman usa il termine “persona” nel senso in cui viene usato dall’interazionismo simbolico, per cui il concetto di persona è inteso nel senso di una maschera che ricopre un ruolo. L’identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che copre, per questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità e non nel ruolo. Con l’atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l’atto morale è l’antitesi del potere o della sua logica, che è forza) perché riconosco all’altro la possibilità di comandarmi, accetto di consegnarmi a lui. Il paradosso della morale per Bauman è che da un lato crea disordine, dall'altro è necessario come atto fondante della società (senza l'impulso di aprirsi all'altro non ci sarebbero le relazioni sociali). Tuttavia, essendo l'impulso della morale irrazionale e libero, è in antitesi all'ordine sociale, e pertanto la morale rischia di non avere molto spazio in una società sempre più complessa che ha bisogno di regole sempre più sofisticate. Bauman non risolve questo paradosso del ruolo della morale, pur essendo cruciale nella sua visione. |
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