da Repubblica

5 maggio 2014

 

Internet per ricchi

di Federico Rampini

 

Una rete a due velocità: da una parte i colossi come Google e la Disney, che avranno accesso esclusivo alle “autostrade” più veloci del web, dall’altra gli utenti comuni. In America si è aperta la battaglia, ma c’è già chi si chiede: è davvero la fine dell’éra della neutralità digitale?

 

Immaginate un’autostrada con la corsia di sorpasso riservata ai soli proprietari di Mercedes e Bmw. Perché nel prezzo d’acquisto delle loro auto è incluso quel privilegio. Oppure, forse peggio ancora, la corsia veloce riservata a un paio di società multinazionali che gestiscono flotte di Tir, e hanno comprato quel diritto a farli circolare molto più in fretta di voi. Questo può accadere ben presto per la più importante di tutte le autostrade: Internet. La Rete da cui transita l’informazione, la comunicazione, ormai quasi ogni servizio essenziale, avrà qualità e servizi diversi. Due velocità, per ricchi e poveri.

 

È questa la conseguenza di una nuova normativa che sta per prendere forma qui negli Stati Uniti, la nazione che ha dato al mondo l’infrastruttura portante dell’èra digitale. Le associazioni dei consumatori americani sono in rivolta, il mondo dei media è dalla loro parte nel denunciare la fine imminente di un principio che sembrava sacro: la Net Neutrality , la neutralità della Rete. Da un quarto di secolo, dalla nascita di Internet e poi con la sua diffusione in ogni interstizio della nostra vita quotidiana, l’èra digitale aveva avuto una sua ideologia egualitaria, l’idea cioè che Internet fosse potenzialmente “il grande livellatore”, che l’accesso alla conoscenza potesse abbattere barriere e diseguaglianze. Ora il principio stesso che siamo tutti uguali quando ci colleghiamo online, sta vacillando.

 

La novità non sarà visibile a occhio nudo, anzi sarà ben nascosta per l’utente medio. Qui infatti non si parla di tariffe differenziate per chi vuole accesso alla banda larga, a una connessione Internet più veloce e potente a casa sua. Questi dislivelli nell’utenza finale esistono già, ma non hanno veramente differenziato “l’esperienza Internet” che miliardi di persone vivono quotidianamente. Inoltre con la diffusione del wi-fi e soprattutto con il ruolo sempre più dominante degli smartphone come strumento di accesso a Internet, quelle differenziazioni degli utenti finali diventano più sfumate, e meno rilevanti.

 

No, la battaglia che si è aperta riguarda l’altra estremità della Rete: i colossi che l’alimentano di contenuti, e gli altri colossi che gestiscono l’infrastruttura stessa. La battaglia qui in America — che avrà conseguenze a cascata sul mondo intero — è partita appunto da uno scontro tra titani. Da una parte ci sono le telecom (Comcast, Verizon, AT&T, TimeWarner) che quasi sempre sono anche i gestori della cable-tv e degli accessi Internet. Dall’altra ci sono Google con la sua filiale YouTube, il numero uno dei servizi di videostreaming Netflix, la Walt Disney, Microsoft con Skype, Apple con iTunes: queste sono le società “che possiedono i Tir”, per riprendere l’analogia dell’autostrada. Sono questi ultimi i colossi che distribuiscono contenuti: informazione, comunicazione, spettacolo, musica. La Santa Alleanza delle telecom preme da anni sulle authority Usa, per spuntare il diritto a far pagare di più questi maxiutenti.

 

L’argomento ha una sua logica: se Google con YouTube “occupa” una parte consistente della banda larga, chi gestisce l’infrastruttura vuole fargli pagare questo volume di traffico da smaltire ad alta velocità. La posizione delle telecom ha fatto breccia, prima in due sentenze dei tribunali federali, poi al vertice della Federal Communications Commission (Fcc) che definisce le regole. Da fine aprile questa svolta viene data per certa dalla stampa americana. «La Fcc volta pagina, presto avremo le corsìe veloci per il traffico online», intitola il New York Times .

 

Fin qui sembra una contesa tra i big del capitalismo americano, la posta in gioco in apparenza è solo una redistribuzione di guadagni fra di loro. Ma non la pensa affatto così un paladino degli utenti online, Todd O’Boyle, che di- rige la Common Cause’s Media and Democracy Reform Initiative. Secondo O’Boyle «agli americani fu promesso fin dalle origini un Internet senza caselli né pedaggi atostradali, senza corsie preferenziali, senza censure statali o private; se passano queste nuove regole la promessa sarà tradita». È dello stesso parere un altro difensore dei consumatori, Michael Weinberg dell’associazione Public Knowledge: «Si va verso una discriminazione commerciale, l’opposto della neutralità di Internet che si fonda sulla non discriminazione».

 

In che modo sarebbero colpiti i consumatori, gli utenti finali? Anzitutto, se vince la lobby delle telecom e quindi conquista il diritto di prelevare tariffe diverse da Google e Amazon, non c’è da illudersi su chi pagherà il conto: sempre noi, perché ovviamente grandi gruppi come Google e Amazon scaricheranno il sovrapprezzo sull’utente finale. Altre conseguenze dannose sono più subdole. È ovvio che in cambio della tariffa superiore, i big dell’economia digitale avranno diritto a un servizio migliore. È una distorsione piena di pericoli. Anzitutto perché noi stessi non ci accorgeremo, quando navighiamo in Rete, che alcuni giguati ganti del commercio online o “aggregatori d’informazione” arrivano a noi molto più velocemente coi loro contenuti. Crederemo di andare su Internet in cerca di qualcosa, in realtà sarà “qualcosa” a trovare noi molto a scapito di altri contenuti forse migliori e più utili.

 

Infine una minaccia enorme incombe sui piccoli operatori: aziende locali, startup, giovani con idee innovative, creatori di contenuto originale (filmati, musiche, informazione, e-book). Per i loro siti l’accesso al pubblico finale sarà tutto in salita, perché verranno confinati nelle corsie lente, superati dalle colonne di Tir che trasportano i servizi di YouTube, Amazon, Netflix, Skype, Ebay, Disney. «Le nuove regole — ribadisce Weinberg — imporranno un prezzo d’ingresso e quindi una barriera d’entrata contro l’innovazione». Se fosse esistito un Internet a due velocità fin dalle origini, forse Microsoft avrebbe impedito l’emergere di rivali come Apple? Una delle forze della Silicon Valley è stata la “distruzione creatrice” che sconvolge periodicamente le gerarchie di potere, con dei ventenni che inventano una nuova azienda e sfidano i giganti già esistenti. Finita la Net neutrality , in una Rete a due velocità vinceranno sempre gli stessi?

 

Uno scontro simile si sta riproducendo in Europa. L’inglese Vodafone e la tedesca Deutsche Telekom imitano le loro sorelle americane: vogliono spuntare il diritto di far pagare Google e Netflix una tariffa superiore per l’uso intenso delle infrastrutture, inondate di videostreaming. L’argomento usato da questi big delle telecom europee è insidioso: sostengono che in mancanza di ade- aumenti tariffari, loro non hanno incentivi a investire per modernizzare la Rete, e questa sarebbe una ragione per cui l’Europa perde terreno rispetto a Stati Uniti e Asia.

 

Un altro argomento chiama in causa la trasparenza. Secondo alcuni critici della Net Neutrality, le “corsie preferenziali” di fatto esistono già, perché gli operatori di telefonìa e Internet favoriscono più o meno occultamente l’accesso alle proprie consociate e filiali: per esempio boicottando Skype in Europa; oppure rallentando vistosamente i film di Netflix per chi cerca di scaricarli dalla rete TimeWarner che ha la sua offerta di videonoleggio concorrente. Sancire l’esistenza della “corsia veloce” alla luce del sole, renderebbe le cose più trasparenti e regolate? Finora la Commissione Ue e l’Europarlamento hanno scelto di difendere la neutralità di Internet, ma non è detta l’ultima parola. Per il giurista americano Tim Wu, uno dei massimi teorici della Net Neutrality, «se abbandoniamo questo principio, anche Internet diventerà omologato ad ogni altro aspetto della società americana: sarà diseguale, e per ciò stesso una minaccia alla nostra prosperità nel lungo termine».

 

top