Papa Francesco e Mons. Filippo Santoro |
http://chiesa.espresso.repubblica.it/ 1 ottobre 2013
Quando Bergoglio sconfisse i teologi della liberazione di Sandro Magister
Un vescovo che fu testimone diretto dello scontro ne racconta lo svolgimento e la posta in gioco. Se poi Francesco fu eletto papa, lo si deve anche a ciò che accadde nel 2007 ad Aparecida
Tra i pochi dirigenti di curia sinora confermati da papa Francesco alla testa dei dicasteri vaticani c'è l'arcivescovo tedesco Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede.
Müller è discepolo e amico del peruviano Gustavo Gutiérrez, fondatore della teologia della liberazione, col quale ha anche scritto nel 2004 un piccolo libro, recentemente riedito in Italia.
Ciò ha indotto molti – tra i quali "L'Osservatore Romano" – a concludere sbrigativamente che con la teologia della liberazione il magistero della Chiesa si è riconciliato, e ad associare papa Francesco a questa ritrovata pace.
Ma le cose non stanno affatto così. E www.chiesa ha spiegato perché:
> Pace fatta tra Müller e Gutiérrez. Ma Bergoglio non ci sta
In realtà, uno dei critici più severi di questa corrente teologica è stato l'attuale papa.
Anche in anni recenti – ad esempio nell'interrogatorio cui fu sottoposto dalla magistratura argentina l'8 novembre 2010, integralmente pubblicato in questi giorni nel libro "La lista di Bergoglio" – l'allora arcivescovo di Buenos Aires non ha mancato di criticare nella teologia della liberazione "l'uso di una ermeneutica marxista".
Ma la sua critica non si limitava a questo. Andava più a fondo. Riguardava il primato della fede nel giudicare la realtà e nell'ispirare la prassi conseguente.
Nel 2007, in Brasile, nel santuario mariano dell'Aparecida, i vescovi latinoamericani discussero e si scontrarono proprio su questo. E l'arcivescovo Jorge Mario Bergoglio fu decisivo nel far prevalere il primato della fede rispetto a quello assegnato al povero in nome di una lettura "ideologizzata" della realtà.
Da papa, Bergoglio non si è dimenticato di quello scontro. Anzi, durante il suo viaggio a Rio de Janeiro, nel rivolgersi il 28 luglio ai rappresentanti delle conferenze episcopali latinoamericane, li ha avvertiti che il "riduzionismo socializzante" sconfitto ad Aparecida continua a tentare anche oggi la Chiesa.
Ad Aparecida, nel 2007, Bergoglio fu il presidente della commissione che scrisse le conclusioni della conferenza.
Il ruolo da lui svolto in quell'occasione fu così autorevole e determinante da influire, sei anni dopo, sulla sua elezione a papa di "una Chiesa povera e per i poveri".
A lavorare al suo fianco nella stesura del documento finale, quell'anno, c'era il vescovo della diocesi brasiliana di Petrópolis, Filippo Santoro, di nazionalità italiana ma arrivato in Brasile nel 1984 come missionario "fidei donum" e responsabile di Comunione e Liberazione, poi divenuto docente di teologia e vescovo ausiliare a Rio de Janeiro.
Il 21 novembre 2011 Benedetto XVI ha richiamato Santoro in Italia, nominandolo arcivescovo di Taranto.
Ed è sua la nota riprodotta qui di seguito, che ricostruisce i termini reali della controversia sulla teologia della liberazione, proprio alla luce di quanto accadde ad Aparecida nel 2007 con protagonista il futuro papa Francesco.
Il quale ritiene tuttora di capitale importanza quel documento di Aparecida non solo per l'America latina ma per la Chiesa universale.
L'arcivescovo Santoro ha pubblicato questa sua nota sabato 28 settembre sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire": |
top |