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Quale liberazione? di Joseph Ratzinger
Della Istruzione-bis (1987), firmata dal cardinal Ratzinger, i capitoli più interessanti sono il I e il V, intitolati, rispettivamente:
La condizione della libertà nel mondo contemporaneo e La dottrina sociale della Chiesa per una prassi cristiana di liberazione.
Il loro contenuto infatti non è così squisitamente "religioso" come gli altri, ma - essendo la chiesa sempre più costretta al confronto con le istanze del mondo moderno - di tipo diciamo più "laico" e "politico".
Lo scopo dell'Istruzione non è semplicemente quello di ribadire la precedente ed esplicita condanna della Teologia della liberazione, ma è anche quello di proporre una certa "umanizzazione" del capitalismo contemporaneo, onde evitare che sulla scia di una evidente e progressiva conflittualità si sviluppino e si maturino i movimenti d'ispirazione marxista. In questo senso il cap. I altro non è che una grande premessa al cap. V. Con questa Istruzione la chiesa romana cerca in sostanza di recuperare il terreno che, dall'interno, il movimento considerato più pericoloso - appunto la Teologia della liberazione - le ha fatto perdere negli anni '70. Accortasi che con l'attacco frontale del documento precedente i risultati ottenuti erano stati abbastanza deludenti, anzi controproducenti, ora, con maggior diplomazia, essa scende sul terreno delle concessioni (formali) per cercare un qualche compromesso con questo movimento filosocialista (vedi anche le cosiddette "comunità di base", la "chiesa popolare", i "cristiani per il socialismo"). Lo sforzo è stato notevole, ai limiti della dissociazione mentale: da un lato infatti la chiesa, legata agli interessi del capitalismo mondiale, deve necessariamente sostenere un ruolo conservatore (pur mascherato dall'ideologia della "terza via"); dall'altro essa si rende sempre più conto di non poter recidere il cordone ombelicale che la lega ai milioni e milioni di cattolici che nel Terzo mondo lottano contro i regimi collusi col polo imperialistico.
Ma ora vediamo il I capitolo. Ratzinger esordisce dicendo che essendo aumentati i "rischi e le deviazioni" in ordine alla comprensione del messaggio evangelico di liberazione, i richiami della Congregazione per la dottrina della fede "appaiono ogni giorno più opportuni e pertinenti". Infatti, con sempre maggiore determinazione le masse oppresse - prosegue l'Istruzione - pretendono di separare gli ideali rivoluzionari dalle radici cristiane delle loro tradizioni e culture. Il processo emancipativo è iniziato col rinascimento, è proseguito lungo tutto l'illuminismo e il liberalismo economico, ed è sfociato nel socialismo del movimento operaio. Senonché - si precisa al par. 5 - senza un palese riferimento al Vangelo, "la storia dei secoli recenti in Occidente resta incomprensibile": e proprio perché tutte le istanze moderne di rivendicazione sociale, culturale e politica avrebbero la loro origine nel Vangelo.
Questa l'analisi storica di Ratzinger. Egli riconosce i meriti dell'ideologia laica e progressista nei campi del dominio della natura, delle conquiste socio-politiche, della libertà del pensiero e della volontà. Tuttavia si affretta anche a rilevare - senza però impegnarsi in un'analisi economica vera e propria - che le moderne conquiste hanno procurato "nuove schiavitù, minacce e terrori". La rivoluzione tecnologica ha permesso all'uomo di dominare la natura ma lo ha sottoposto alla macchina, e ha pure permesso ai detentori della scienza di schiavizzare molti altri uomini (par. 11, 12). Dal canto suo l'ideologia individualista del liberal-illuminismo "ha favorito la diseguale ripartizione delle ricchezze" e quindi, indirettamente, la nascita del movimento operaio, il quale però - essendo ateistico - "ha condotto a nuove forme di asservimento".
Se non ci fosse stata la rivoluzione tecnologica - sospira un po' risentito il prelato - non ci sarebbero stati gli odierni "sistemi totalitari", che di quella rivoluzione si sono serviti. Purtroppo - al dire di Ratzinger - il mondo moderno ha generato "amari disinganni", anzi una "mortale ambiguità", tanto che "il riconoscimento di un ordine giuridico [... ] s'indebolisce ogni giorno di più" (par. 15). Scienza, tecnica, lavoro, economia e politica potranno essere veramente efficaci e umani solo se "religiosamente ispirati" (par. 24). Perché questo? Semplicemente perché l'uomo è debole, limitato, incapace di bene, votato anzi al male se si concepisce - alla stregua dei movimenti di liberazione nazionali - in modo autonomo e quindi ateistico (par. 19). I "poveri" capiscono meglio il senso della "libertà religiosa" (par. 22), che vuol dire appunto "libertà dal male e dal peccato" (par. 23). E ora il cap. V. I principi fondamentali, in positivo, della dottrina sociale della chiesa vengono riconfermati anche dall'Istruzione: solidarietà (contro l'individualismo borghese) e sussidiarietà (contro il collettivismo socialista, nel senso cioè che lo Stato deve avere una funzione marginale, sussidiaria, rispetto alla società civile).
Al par. 74 Ratzinger spiega i criteri di giudizio socio-politico cui la chiesa deve attenersi nelle diverse situazioni in cui vive: "Si può parlare di strutture segnate dal peccato, ma non si possono condannare le strutture in quanto tali". Una considerazione, questa che - per quanto volutamente generica (o forse proprio per questo) - potrebbe anche essere condivisa se solo fosse riferita, senza riserva alcuna, agli atteggiamenti che la chiesa ha (o dovrebbe avere) nei confronti sia del capitalismo che del socialismo. Può infatti non essere giusto - e per me non lo è - pretendere che una gerarchia ecclesiastica si pronunci chiaramente a favore o contro un determinato sistema di governo in base a valutazioni di tipo politico: questa è semmai una responsabilità che i credenti si assumeranno in quanto cittadini e lavoratori. I fatti però dimostrano, e la seconda considerazione di merito - che adesso vedremo - lo conferma, che ogniqualvolta si scende su un terreno più concreto, la chiesa cattolica (specie nei suoi livelli gerarchici più alti) è solita usare due pesi e due misure. E' solita cioè uscire dal suo "neutralismo" per schierarsi apertamente dalla parte del capitale.
Dice infatti Ratzinger, a chiare lettere: Non si può condannare lo "Stato di diritto". Cosa egli intenda con questo termine è fin troppo evidente: trattasi dello Stato borghese, essendo "totalitario" unicamente quello socialista. Le strutture che "in quanto tali" non si possono condannare sono appunto quelle del capitalismo, per le quali ci si deve limitare a una critica puramente "morale". Al par. 75 Ratzinger è ancora più categorico. Laddove esistono gruppi o movimenti che desiderano il comunismo, essi vanno fermati: "Non si possono accettare passivamente e, tanto meno, appoggiare attivamente gruppi che, con la forza oppure con la manipolazione dell'opinione pubblica, s'impadroniscono dell'apparato dello Stato e impongono abusivamente alla collettività un'ideologia importata" (da dove non viene detto, ma è chiaro il riferimento). Detto altrimenti: nei confronti della guerriglia comunista o delle forze rivoluzionarie di sinistra l'opposizione deve essere "attiva". La lotta di classe, quella armata e la rivoluzione in genere vanno decisamente rifiutate (par. 77-79). Al loro posto la chiesa raccomanda la collaborazione fra le classi, il riformismo e la resistenza passiva ai regimi dittatoriali (qui addirittura si sconfessa apertamente la Populorum progressio di Paolo VI, la quale prevedeva la resistenza armata come rimedio in extremis alla violenza sanguinaria di certi governi).
C'è da aggiungere, a questo proposito, che nella conferenza stampa fatta per presentare il documento, padre Macchi del Centro San Fedele ha sottolineato che l'esempio delle Filippine vale appunto come "applicazione pratica della resistenza passiva". In realtà, come tutti sanno, il governo di Marcos non è stato affatto sconfitto con una resistenza del genere. A parte l'impegno politico del partito comunista e delle forze democratiche, nonché la lotta armata della guerriglia, le Filippine sono state fatte oggetto di continue ingerenze e pressioni americane. Interessati a conservare la più grande base dell'aeronautica in Asia e la base navale di Subik Bay con le quali controllano l'uscita dall'oceano Indiano nel Pacifico, gli Usa, pronti a sostituire con dei governi parlamentari di tipo occidentale i propri fantocci che nei paesi emergenti si sono rivelati scomodi, non hanno avuto scrupoli, nelle Filippine, a servirsi per i loro scopi dell'influenza che sulle masse ha la chiesa cattolica, alleata dei latifondisti e della grande borghesia.
Ma torniamo al documento. Poco chiaro è il par. 80. Con esso sembra che Ratzinger abbia voluto mettere sull'avviso, senza esporsi troppo, quanti pretendono di separare la fede dalla politica, sposando idee laiche non ortodosse. Su questo la chiesa, sin dall'unità d'Italia, ha sempre assunto posizioni contraddittorie. Da un lato infatti essa accetta la suddetta separazione perché pensa che tenendosi fuori dalle rivalità dei partiti riesca meglio a conservare l'egemonia sulle masse cattoliche; dall'altro però si rende conto che se le masse operaie e i movimenti laici spingono la società verso il socialismo, attirando a sé anche i cattolici, un suo impegno più diretto in campo politico diventa indispensabile. Di qui l'ambiguità dell'affermazione seguente: "Bisognerà evitare [d'ora in avanti] che la differenza di opzioni [politiche] nuoccia al senso della collaborazione [fra le classi] o produca confusione [nella concezione religiosa] del popolo cristiano".
I par. 84-90 riprendono in toto le argomentazioni trattate nelle encicliche cosiddette "sociali" di Wojtyla: priorità del lavoro sul capitale, universale destinazione dei beni materiali, solidarietà fra paesi ricchi e paesi poveri, fra nord e sud ecc. Sembra, in particolare, che la chiesa voglia rivolgere un accorato appello al mondo capitalistico, al fine di scongiurare che da un egoismo spropositato giunga tosto la rovina, ovvero che dai superprofitti si sviluppino indirettamente le rivoluzioni proletarie. "La priorità del lavoro sul capitale impone agli imprenditori il dovere di giustizia di considerare il bene dei lavoratori prima dell'aumento dei loro profitti". Questo pressante invito lo si può trovare anche nella lettera dei vescovi Usa presentata in Italia da monsignor Weakland. In essa si chiede più programmazione e pianificazione economica e una maggiore attenzione dello Stato alle fasce più povere e deboli, ma nel contempo si abbandona l'equidistanza tra socialismo e capitalismo, lasciando intendere che solo in quest'ultimo c'è la possibilità di un processo riformatore.
La chiesa insomma si atteggia a consorte preoccupata del burbero e avido capitalismo. Lo mette in guardia, lo riprende, lo esorta vivamente a non considerare "il diritto alla proprietà privata senza doveri rispetto al bene comune". Gli imprenditori "hanno l'obbligo morale", ammonisce Ratzinger, "di non mantenere dei capitali improduttivi e, negli investimenti, di mirare anzitutto al bene comune". "Questa dottrina deve ispirare le riforma prima che sia troppo tardi".
La chiesa qui sembra annaspare nel buio: continua a sciorinare i soliti predicozzi moralistici a chi non sa far altro che dimenticarseli. Già più di 100 anni fa, con maggior rigore etico, Marx evitava accuratamente di criminalizzare i singoli capitalisti, non ritenendoli responsabili di rapporti da cui socialmente provengono, pure se soggettivamente possono innalzarsi al di sopra di essi. Il che appunto stava a significa che il capitalista pensa al profitto proprio in quanto "capitalista" e non certo perché capitalista "cattivo" o "egoista". Semmai è l'operaio che non perché "operaio" è tenuto ad avere una coscienza rivoluzionaria.
Insomma, la chiesa potrà parlare sino alla fine dei tempi di superiorità del lavoro sul capitale, del bene comune sulla proprietà privata, del salario sul profitto, ma se non vengono ribaltati i rapporti produttivi, di proprietà, che determinano nei fatti il senso delle parole, nessuna intenzione soggettiva, per quanto umanitaria sia, potrà mai sperare di realizzarsi.
La chiesa cattolica non si nasconde affatto che il suo destino è strettamente legato a quello del capitalismo: là dove esiste una resistenza allo sfruttamento economico, ne esiste pure una all'indottrinamento religioso. E ciò di cui essa in questo momento ha più timore è che nel Terzo mondo possa scoppiare la gigantesca protesta di coloro che "costituiscono la parte preponderante dei poveri": i contadini. L'Istruzione è chiara in tal senso. L'impegno della chiesa, volto a scongiurare tale pericolo, dovrà essere massimo: sul piano economico resta, è vero, indiretto, mediante la morale; ma sul piano culturale, sociale e politico sarà sempre più diretto, attraverso le scuole private (per le quali si pretende un "pubblico riconoscimento" e quindi un finanziamento statale), le varie associazioni laicali e le famiglie. E' con questi mezzi ch'essa s'impegna a "evangelizzare tutte le culture" (par. 96): "Non è infatti nelle competenze dell'autorità pubblica determinare la cultura" (par. 93). Per concludere. Questa Istruzione ancora una volta ha dimostrato che se c'è una cosa che la chiesa romana non accetterà mai (spontaneamente) è l'idea di doversi limitare a un ruolo storico privo di poteri politici ed economici. Vien quasi da pensare che se in una società socialista si garantisse a questa chiesa, in cambio di un privilegio concesso all'ateismo, la rinuncia al regime di separazione, essa accetterebbe assai più volentieri che non nel caso opposto. L'ipotesi tuttavia non ha senso poiché in un società democratica non si possono fare privilegi neppure all'ateismo.
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