http://www.linkiesta.it/ 22 Nov1963
Cronaca di un giorno passato alla Storia di Andrea Coccia
Tutto o quasi ciò che accadde il 22 novembre di 50 anni fa, assassinio di JFK compreso
Quando giovedì 21 novembre 1963, intorno alle 11 di sera, il presidente americano John Fitzgerald Kennedy arriva con la moglie Jacqueline al Texas Hotel di Fort Worth ha già preso tre volte l'aereo, e per tre volte è salito sulla macchina presidenziale, sulla quale ha percorso molti chilometri. È il primo di tre giorni impegnativi. Il presidente non è tranquillo ed è anche un po' stanco. È stato il suo vice Lyndon Johnson a convincerlo ad andare in Texas e a organizzare il viaggio. All'interno del Partito democratico c'è malumore. Il presidente è li per metterci una pezza. All'incirca nelle stesse ore, a poche centinaia di metri dalla Hollywood Sign, al numero 6233 della Mulholland Highway di Los Angeles, un altro uomo si sta addormentando per l'ultima volta. Ma lui, a differenza di Kennedy, forse lo immagina. Si chiama Aldous Huxley ed è uno scrittore, un pacifista e un visionario. Due anni prima aveva detto, durante una conferenza, che «ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici». Probabilmente stava pensando all'LSD. Huxley ora è allo stadio terminale di un cancro alla laringe e a un certo punto di quella notte faticosa si addormenta grazie a un'iniezione di Dilaudid, un derivato molto potente della morfina, iniettatagli dalla seconda moglie, la torinese Laura Archera. Intorno a mezzanotte, nella suite numero 850, la suite presidenziale, Kennedy si addormenta senza immaginare che quella sarebbe stata la sua ultima notte. Sopra la sua testa, appeso alla parete, c'è una riproduzione di un paesaggio di Vincent Van Gogh.
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Mentre Huxley sogna per l'ultima volta, a Dallas fa quasi giorno. Sono le 6 e 30 del mattino, e mentre il Presidente dorme ancora a Fort Worth, a Dallas suona una sveglia. È quella di Buell Wesley Frazier, un ragazzo di 19 anni che lavora al deposito dei libri in città. Quando il sole sorge su Dallas sono le 7 e 4 minuti, è venerdì. Frazier si sta vestendo in fretta. Deve accompagnare un suo collega a lavoro ed è un po' in ritardo. Il collega che deve accompagnare si chiama Lee Harvey Oswald e la sua, di sveglia, in quel momento sta suonando da esattamente 4 minuti. Sono le 7 e 10 quando Oswald si alza a forza dal letto spinto dalla moglie Marina, che ancora mezza addormentata è stufa di ascoltare la sveglia che suona a vuoto. Oswald allora si alza e va in cucina a bere un caffé. Poi si veste, la saluta sbrigativamente ed esce in strada. Si trova al numero 2515 della Quinta Strada Ovest, deve percorrere mezzo isolato per arrivare da Frazier. Con la mano destra tiene una borsa. Dentro c'è un fucile smontato che presto sparerà.
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L'ultima giornata di John F. Kennedy inizia alle 8 e 45 del mattino. Secondo il programma presidenziale, minuzioso e preciso, è a quell'ora che Kennedy deve presenziare a una colazione alla Camera di commercio di Fort Worth. Le prime parole del discorso che rivolge all'uditorio, quella mattina, sono «There are no faint hearts in Fort Worth», a Fort Worth non ci sono deboli di cuore. Presto saranno messi alla prova.
All'incirca nello stesso momento, ma a due ore di fuso orario di distanza, si sveglia dal torpore della morfina anche Aldous Huxley. Sono le 6 e 45, orario di Los Angeles. La sua ultima notte è stata difficile, decisamente la peggiore. Non riesce praticamente più a parlare, ma qualche parola alla moglie riesce a dirla. «Move me», dice, «Move my legs», «Move my arms», «Move my bed». Fa una fatica pazzesca. La moglie lo asseconda, schiaccia i bottoni del letto automatizzato, su e giù, su e giù. Sembra dargli respiro, almeno per un po'.
Intorno alle 9, a Dallas, all'angolo tra Commerce street e Akard street, l'avvocato Richard Nixon, in città per una visita a un cliente, la Pepsi, esce dal Baker Hotel e sale su una macchina. Va a prendere l'aereo all'aereoporto di Love Field, dove tutti già aspettano l'arrivo dell'Air Force One e dell'Air Force Two, con a bordo, rispettivamente, il presidente Kennedy e il suo vice, Lyndon Johnson.
A Wall Street intanto manca ancora un'oretta alla pausa pranzo e John Giorno si distrae qualche minuto dal suo lavoro come broker per fare una telefonata. Non è la prima di quella mattina, e non sarà l'ultima. Dall'altra parte del ricevitore c'è sempre la stessa persona, un amico, un amante. È Andy Warhol, che è a casa sua, in Lexington Avenue.
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Intanto a Oxford, in Inghilterra, sono le 17. È l'ora del té, ma il professor C. S. Lewis non ci sta pensando, probabilmente ha in testa solo Dio. Da quando il suo amico J. R. R. Tolkien lo ha introdotto al cristianesimo sono passati 30 anni, ma mai come in questi giorni Lewis sente il bisogno di rivolgersi al cielo. Una settimana prima le sue condizioni di salute si sono notevolmente aggravate e ora i suoi reni hanno smesso di funzionare. Probabilmente sa che non arriverà a festeggiare il suo 65esimo compleanno, una settimana dopo, il 29 novembre.
A Dallas sono le 11.15. Il presidente Kennedy è atteso all'aeroporto, ma è in ritardo.
Nel frattempo C. S. Lewis ha avuto un collasso. Sono le 17.15. L'ultimo respiro lo esala 5 minuti dopo. Se avesse avuto la televisione, la colonna sonora della sua morte sarebbe stata la sigla del primo episodio di una serie televisiva di fantascienza che avrebbe avuto un discreto successo, il Doctor Who.
Sempre in Inghilterra, ma molti chilometri a nord rispetto alla stanza in cui sta morendo il professor Lewis, diverse centinaia di ragazzine scatenate e urlanti sono appostate davanti al Globe Cinema di Stockton-on-Tees. Proprio in quel momento, lì davanti si ferma una Rolls Royce. Quando la portiera si apre scendono di corsa quattro ragazzi di vent'anni che quella sera devono suonare. Proprio quel giorno è uscito il loro secondo attesissimo album. Si intitola With the Beatles e quei quattro ragazzi di Liverpool sono già i Fab Four.
Nel magazzino dei libri dove lavorano Oswald e Frazier è ora di pausa pranzo. Vanno tutti a mangiare, tranne Oswald, che rimane da solo al sesto piano del palazzo.
Intanto a Los Angeles sono le 10 del mattino. Nella villetta bianca a poche centinaia di metri dalla Hollywood Sign, Laura Archera Huxley si sforza per sentire le parole del marito morente, che ormai non riesce quasi più a parlare. Per la prima volta intuisce che la fine è molto più vicina di quanto pensasse, e ora l'ha capito anche lui. Le scrive su un foglietto sei lettere, tre parole pesantissime: «If I die». Laura, che mezz'ora prima ha avuto una telefonata con il dottor Sidney Cohen, esperto di LSD, vuole fare qualcosa per alleviare le sue sofferenze. Lui si sforza ancora e le fa capire di volerle scrivere un messaggio. Con la voce non ce la fa più. Prende la penna e scrive quattro parole «Try LSD 100 intramuscular».
A Stockton-on-Tees, il cinema Globe è stracolmo. Sono le 18.15 in punto, i quattro ragazzi di Liverpool attaccano con il primo pezzo. Si intitola I Saw Her Standing There ed è la canzone di apertura del loro primo disco Please, Please Me. Il pubblico impazzisce. Quella sera sono previsti due spettacoli di circa mezz'ora, con la stessa scaletta, e i ragazzi ci danno dentro.
Nello stesso istante, a Dallas, Oswald scende dal sesto al secondo piano dell'edificio dove lavora, ha sete e vuole comprarsi una Coca Cola.
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Alle 12 e 30, a Dallas c'è il sole. Il corteo con la macchina presidenziale, una limousine Lincoln da sei posti, procede lungo il percorso previsto con un po' di ritardo. In quel momento il corteo svolta in Dealey Plaza. Nell'auto, di fianco al presidente, siede Jacqueline, davanti siedono il governatore Connally e la moglie. Nel giro di otto secondi risuonano tre colpi di arma da fuoco. Kennedy è colpito al collo e alla testa. Viene colpito anche il governatore e un passante, leggermente ferito da una pallottola vagante. All'autista della Lincoln viene ordinato di arrivare al più presto all'ospedale. Da quell'istante, le storie su quel che successe in quegli istanti si moltiplicano. Qualcuno pensa subito a una cospirazione.
Passano pochi minuti. Tutte le televisioni del mondo danno la notizia che il presidente degli Stati Uniti è stato ferito, anche quella dei coniugi Huxley, a Los Angeles. La notizia coglie Laura con una siringa in mano. All'interno ci sono i famosi 100 microgrammi di LSD che stanno per accompaganre Aldous Huxley nel suo ultimo viaggio.
Sul palco del cinema Globe, i Beatles, ignari di tutto, suonano una canzone non loro. È Roll over Beethoven, di Chuck Berry.
A Wall Street John Giorno va per l'ennesima volta al telefono e chiama ancora Andy Warhol. Gli chiede se già ha saputo. Warhol risponde di sì. Giorno allora esce, prende un taxi e va a casa di Warhol. A New York sono le 14.30. A qualche chilometro di distanza, in un bar di Long Island, un ragazzino di undici anni sta guardando una partita di football. Di colpo la trasmissione si interrompe e la voce di un annunciatore dice quello che nessun americano avrebbe mai voluto sentire: «There's been a tragedy. There's are unconfirmed reports the president's been shot and he may be dead or dying». La frase resta impressa nella mente del ragazzino, che vent'anni dopo la inserisce in una canzone. La canzone si intitola The Day John Kennedy Died. Il ragazzino è Lou Reed.
In una zona imprecisabile d'Italia che somiglia al parmense, un ragazzino sta facendo i compiti sul tavolo della cucina. Si chiama Learco Pignagnoli, non è mai esistito e da grande sarà uno scrittore immaginario partorito (probabilmente) dalla fantasia di Daniele Benati, Paolo Nori, Ugo Cornia e forse altri.
A Chicago un ragazzo di 14 anni è attaccato alla televisione e ci starà per giorni. Forse è in quel momento che decide di dedicare la sua vita all'avvocatura e alla letteratura thriller. Si chama Scott Turow.
A Mosca sono le 22.30. La notizia della morte del presidente degli Stati Uniti d'America arriva in redazione alla Pravda, che scompagina la prima pagina del giorno dopo per far posto alla notizia. La radio sovietica interrompe le trasmissioni in segno di solidarietà con il popolo americano.
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Al Parkland Hospital di Dallas è all'incirca l'1 e mezza e un medico sta coprendo il corpo senza vita di JFK con un lenzuolo bianco. Jackie, ancora scossa, gli ferma la mano. Il medico la guarda negli occhi, ci pensa un attimo e poi scosta il telo. Jacqueline allora prende per mano il marito e ascolta le parole del reverendo Oscar L. Huber che dà l'estrema unzione al presidente. Quando il reverendo ha finito, Jacqueline si avvicina al volto di John e gli dà un bacio. Poi si toglie la fede dal dito, e la mette a lui.
Nello stesso momento a New York sono le 15.30. John Giorno e Andy Warhol sono abbracciati, seduti su un divano Tiffany della casa dell'artista. Piangono entrambi, come altri milioni di persone in tutto il mondo.
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Un'ora dopo, alle 14.20, nell'Air Force One, l'ex vice Presidente Lyndon Johnson giura su un messale cattolico recuperato al momento e diventa il 36esimo presidente degli Stati Uniti d'America. Al suo fianco durante la cerimonia c'è anche Jacqueline Kennedy. È ancora sotto shock e ha il vestito sporco del sangue del marito. Alla centrale di polizia, nel frattempo, Lee Harvey Oswald è sotto interrogatorio.
Intanto uno dei pochi che sicuramente non sta piangendo è Aldous Huxley. Vent'anni prima aveva rifiutato la cittadinanza statuintense per non dover essere costretto a dichiarare il proprio pacifismo come credo religioso. Ora invece è steso a letto con 100 microgrammi di acido lisergico nel sangue. Ha gli occhi chiusi, muove appena il labbro e chissà cosa sta vedendo. La moglie lo assiste ancora, gli sussurra nell'orecchio parole per tranquillizzarlo e rendergli il viaggio più dolce. A Los Angeles sono all'incirca le 11.20.
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Sono le 15.20 a Dallas, la polizia ha appena scoperto che il posto dove Oswald teneva il suo fucile, nel garage dell'abitazione al numero 2515 della Quinta Strada Ovest, è vuoto.
A Parigi sono le 19, il generale De Gaulle, informato dell'accaduto, si conferma un militare e dice: «Il presidente Kennedy è morto come un soldato sotto il fuoco per il suo dovere e al servizio del suo paese; a nome del popolo francese, amico di sempre del popolo americano, saluto questo grande esempio e questa grande memoria».
A Belgrado sono passate da poco le 20 e, dopo una giornata di colloqui con i rappresentanti della Romania, che per la prima volta hanno votato contro l'URSS a una assemblea delle Nazioni Unite, il maresciallo Tito chiama l'incaricato d'affari dell'ambasciata statunitense a Belgrado, Erich Coccer, e gli porge le sue condoglianze.
Intanto, per decisione del Governo americano viene chiuso il confine tra Stati Uniti e Messico.
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In Italia alle 20.50 molti bambini sono tristi. Forse non sanno che Kennedy è stato ucciso, forse non sanno neppure chi era Kennedy, ma hanno appena scoperto che per la seconda volta nella sua storia, il loro programma televisivo preferito, quello che guardano ogni giorno prima di andare a letto e che si chiama Carosello, è stato annullato.
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A Dallas sono passate le 19, Oswald è ancora alla centrale di polizia, dove gli inquirenti lo accusano di aver ucciso l'agente di polizia J. D. Tippit.
Nello stesso momento, a Los Angeles sono passate le 17, e l'ultimo viaggio lisergico di Aldous Huxley è finito, insieme alla sua agonia. L'autore de Il mondo nuovo e de Le porte della percezione ha esalato il suo ultimo respiro.
In Italia in quel momento sono circa le 2 del mattino e le rotative del quotidiano La Stampa stanno per essere avviate. A pagina 11 di un numero quasi esclusivamente dedicato all'omicidio di Kennedy c'è una breve recensione di un libro che si intitola L'isola, scritto in seguito a degli esperimenti con la mescalina del suo autore, il britannico Aldous Huxley. L'autore della recensione, che si firma solo con le iniziali, V e O, non può sapere che l'autore del romanzo che ha recensito sta morendo proprio in quel momento. La sua recensione termina così: A Pala la famiglia è «aperta» ogni bambino possiede, oltre a quella di origine, venti famiglie adottive e volontarie: dunque venti vicemadri, venti vicepadri e Innumerevoli vicefratelli e vicezii, presso i quali può recarsi ogni volta lo desideri. Ogni punizione è abolita, un circolo di adozione reciproca applica sistemi terapeutici. L'esercito non esiste; essendo tutti pacifisti. Il governo favorisce il controllo delle nascite affinché la popolazione dell'isola si mantenga al livello ottimale. E tutto va benissimo. Ma, naturalmente, è un'utopia
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Alle 22.30, a Dallas, Lee Harvey Oswald viene formalmente imputato dell'omicidio del Presidente Kennedy. A distanza di 50 anni, non sono in molti ad esserne ancora convinti.
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Ormai è notte fonda. Uno dei giorni più lunghi della Storia si è concluso da 4 ore e 20 minuti circa. I medici del Bethesda Naval Hospital, nei pressi di Washington, dichiarano conclusa l'autopsia sul cadavere di John Fitzgerald Kennedy e lasciano la sala dopo 10 ore di lavoro. Per la prima volta da molto tempo John Fitzgerald Kennedy resta da solo. |
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