Dall'archivio storico de l'Unità i racconti di Giorgio Caproni

Nel 1946 l’Italia che cercava di risollevarsi dalla guerra aveva una gran voglia di racconti. L’Unità, nell’edizione di Genova, bandì un Premio di cinquantamila lire per «narrazioni o semplicemente documenti di vita che si richiamino alla Liguria». Caproni, che in quegli anni, maestro elementare, figlio di una sarta e di un ragioniere, scriveva anche per necessità economica («la mia più remota ambizione era fare il narratore», confesserà però in seguito), partecipò con La Liguria non cede. Arrivò tra i primi quattro, ma dovette accontentarsi di diecimila lire. Il primo premio andò ex aequo con Marcello Venturi a Italo Calvino con Campo di mine. 

Nella nota che ne accompagnava la pubblicazione su l'Unità di Genova del 15 settembre 1946, si legge: «Giorgio Caproni, autore del racconto scelto questa settimana per partecipare al concorso per il Premio de l'Unità di L. 50.000 che sarà assegnato nella notte di fine d'anno 1946 è uno dei nostri più noti scrittori rivelatisi in quest'ultimo decennio». Quanto al contenuto del racconto, la nota spiega che «si riferisce a un episodio realmente accaduto (durante la lotta di liberazione Caproni ha fatto parte delle S.A.P.) e reali sono i nomi dei partigiani in esso nominati nonché tutte le circostanze della loro eroica morte».  Il nome stesso della protagonista, Rina, rimanda a sua moglie, Rina Rettagliata. E Loco era infatti il suo paese natale.

Non era il primo racconto che Giorgio Caproni, allora già autore di quattro raccolte di poesie, aveva pubblicato per l'Unità. Il 12 maggio 1946 era apparso sempre sulle pagine di Genova Rovine invisibili. Protagonista è una donna, Giulia, che guarda le macerie di casa sua, della rimessa costruita dal marito, di una intera città distrutta. E non versa lacrime che non servono e «non tirano su un mattone». 

A vent'anni dalla morte del loro autore (Livorno 1912-Roma 1990) ve li riproponiamo nella loro versione originale. A testimonianza di quella che Caproni stesso confessò essere la sua profonda ambizione. «La mia più remota ambizione - raccontò in seguito - era quella di fare il narratore… Credo che la forma narrativa sia l’ossatura di qualsiasi scrittura artistica, anche della poesia… Mi dà fastidio che, per esempio, chiamino i miei versi liriche… perché mi piace raccontare, penso proprio che all’uomo piaccia stare a sentire un discorso, un racconto insomma».

Di racconti Caproni continuò a scriverne e pubblicarne sulle pagine de l'Unità. Il 22 aprile del '48 fu la volta del Colloquio col capitano. Anche qui il tema è la Resistenza e protagonista è una donna, Adelina. Con la sua bellezza e l'odore del suo corpo giovane e imbellettato. Pronto a sedurre per salvare suo marito dalla guerra.

L'ultimo dei quattro racconti che vi riproponiamo (lunedì 25 aprile ne pubblicheremo altri tre sul giornale cartaceo e online) abbandona invece il tema della guerra. Si intitola Senza biglietto e vi fa la sua prima apparizione un personaggio destinato a diventare protagonista nella produzione poetica più tarda di Caproni. Si tratta di Dio. O almeno dice di esserlo il viaggiatore che in questo racconto si fa trovare senza biglietto e senza soldi per pagarlo. Il racconto fu ripubblicato nel 1961 su "La Giustizia" e poi raccolto in Racconti scritti per forza di Giorgio Caproni, curato da Adele Dei, con la collaborazione di Michela Baldini (edito da Garzanti). La versione che vi proponiamo presenta rispetto a quel testo alcune varianti. A cominciare dal titolo, mutato nel 1961 in Il biglietto.

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