Senza biglietto
di Giorgio Caproni

Certamente il tram non si sarebbe fermato se lui non avesse alzato la mano. Era un tram notturno, ventilato e freschissimo nella sua melodiosa corsa, ed essendo totalmente vuoto è naturale che il tranviere avrebbe saltato volentieri anche quella fermata. Lui, quasi quarantenne e vestito di nero, salì passando davanti al bigliettario mentre la vettura riprendeva leggera lo slancio. Andò a sedersi al centro della vettura, e soltanto quando il bigliettario ebbe finito di contare il pacchetto di banconote che aveva in mano, questi alzati gli occhi su lui gli chiese: «Tessera?». Se nonchè parve lì per lì che lui non conoscesse la nostra lingua; perlomeno che non conoscesse questa nostra parola, su suo viso apparendo una infinita aria d’interrogazione.

«Dico che lei deve prendere il biglietto» scandì allora quasi divertito il fattorino. «Il biglietto, questo cosino qui», insistè alzandosi e mostrando a lui un biglietto. Il quale invece doveva conscer molto bene l’italiano se rispose: «È troppo gentile da parte sua, io la ringrazio. Ma le tenga pure lei il biglietto». E fu proprio a queste parole che il bigliettario si arrabbiò un poco e scattò: «Insomma, lo vuol capire che nemmeno di notte si può viaggiare senza biglietto?

Non è mica una ragione onesta per non prendere il biglietto il fatto che sono le due di notte e che il tram è totalmente vuoto. Crede che il controllo non possa salire perchè il tram è vuoto e sono le due di notte?».

Lui passò allora dallo stupore allo smarrimento, finchè dopo esser rimasto a lungo in sospeso riuscì col viso pieno d’improvvisa tristezza a replicare: «Allora se è un obbligo me lo dia». E dovette fare un’altra pausa prima di poter aggiungere: «Me lo dia, ma mi piacerebbe proprio sapere (mi scusi: è molto penoso sentirsi forestiero in casa propria) cos’è questa faccenda di dover tenere un pezzetto di carta in mano».

Si mise in tasca il biglietto e invece di pagare rimase ad aspettare che il fattorino gli spiegasse quella faccenda. Il fattorino che invece, si capisce, aspettava i soldi cominciando sul serio a pardere la pazienza, tanto che a un certo punto, vedendo che lui non tirava fuori una lira, quasi si mise ad urlare: «Senta, un bel gioco dura poco. O lei mi dà i soldi o la faccio scendere alla prima fermata. Crede ch’io mi lasci incantare da lei perchè è un signore?». E aggiunse con voce asciuttissima: «Sono montato alle diciannove e non ho la minima voglia di scherzare. Non sono mica stato a gonnelle come lei che le odora ancora il fiato di alcool».

S’era voltato anche il conduttore e ora, frenata di malagrazia la vettura, veniva avanti con un viso su cui l’ira e la stanchezza spandevano un buio indicibile. Stava per dire o per fare qualcosa di molto brutto, quando alfine lui, nel silenzio immenso della notte ora adunatosi odoroso d’erba intorno alla vettura ferma, «mi pare che qui occorra davvero una spiegazione», disse con una voce a un tratto dolcissima e maestosa cui era impossibile resistere. «Lei», continuò con la medesima voce rivolto al conduttore il quale obbedì come spinto da un vento calmissimo ma irresistibile, «rimetta pure in moto la vettura, subito. In quanto a noi», proseguì rivolto al bigliettario che ora lo guardava con improvvisa soggezione, «creda a me che nemmeno io ho voglia di scherzare non essendo ciò nella mia natura. Non ha detto lei stesso poco fa, sebbene con molta approssimazione, chi sono io? Mi ubbidisca subito e mi spieghi la faccenda che ho detto».

Il bigliettario lo guardava parendogli d’essere diventato all’improvviso ebete. Si meravigliava sopratutto di non potersi nemmeno arrabbiare, tuttavia trovando in sè un rimasuglio di ribellioni riuscì a dire: «Cominci intanto lei, la prego, a spiegarmi chi è. Io so soltanto ch’è un signore perchè così m’è parso dal vestito. Non le ho mica detto altro».

«Ha (esaudisco la sua preghiera) ha», replicò lui, «quasi detto tutto. Bastava che lei dicesse ch’io sono il Signore, sebbene anche questo nomignolo abbia un sapore che non mi va per quella brutta idea che porta con sé. Anzi, per molte brutte idee, perché anche lei sa che deriva da dominus che vuol dire Padrone.

Il Padrone e, perfino, per il senso che voi gli avete dato, il Nobile, o il Ricco. E potrei addirittura aggiungere il Distinto e l’Elegante o tante altre cose con cui voi uomini m’avete confuso, si capisce col bel risultato di non amarmi più. E mettiamo i punti sulle «i» per il resto: posso essere andato anche con una donna, si capisce che posso esserci andato. Non posso forse sperimentare da uomo le necessità che io stesso ho regalato agli uomini? E in bocca non ho odore d’alcool, ci tengo a chiarire anche questa inezia: sarà forse l’ambrosia, il mio alito naturale, qualcosa di più forte e delicato del kum mel o del...».

Il bigliettario lo interruppe guardandolo davvero da ebete: «Non mi vorrà mica dire, ora... Insomma, vuol darmi a bere che lei è Dio?».

«Ora», replicò lui, «ha detto la parola giusta. Smettetela di chiamarmi il Signore». E passando a un tratto, chissà perchè, dal lei al tu aggiunse: «Io non voglio darti a bere nulla - sei poprio padrone di credere quello che vuoi. Sei perfino padrone di non credere a me - è un pezzo che voi non ci credete più; da quando avete cominciato a chiamarmi il Signore facendo finta di credere a quest’altra cosa perchè i vari signori di qui vogliono questo. Appunto per modellare Dio a loro, che invece è a immagine e somiglianza di tutti, anche tua. Ma spiegami ciò che t’ho chiesto, e subito».

La sua voce s’era fatta irresisitibile e davvero il fattorino si sentiva in un bagno di acqua tepida debilitante; e mentre entro di sè si ripeteva «m’ha inzuppato di parole, m’ha rimbambito», non potè fare a meno d’aprire la bocca e dire: «Il biglietto serve a...», spiegandogli fino in fondo cos’è il tram il biglietto e quale ufficio ha, e anche che per averne uno ci vogliono i soldi, cioè quelle pezzette sudice che lui, il bigliettario, contava qualche minuto fa. E facendo un sforzo riuscì come per sfogo a concludere: «Lo vede che lei mi rimbecillisce di parole? Se lei fosse davvero Dio... Ma crede che non lo sappia che Dio è onnisciente, cioè che sa tutto, anche queste faccende qui?». Senonché lui non perse la sua immensa calma davvero il bigliettario non ebbe nulla da opporgli all’orchè lui calmissimo replicò: «Io queste cose le so quando sono nei cieli. Ti dovrebb’esser facile capire che quando mi faccio uomo per sperimentare da uomo una faccenda tutta da uomini, mi faccio uomo sul serio, anche se purtroppo non riesco a diventare perfettissimamente uomo. Sarei proprio un bel tomo s’io conservassi l'onniscienza proprio in un caso come questo. Cambiamo discorso, il fatto è che una di quelle pezzette in mano non ce l’ho». Guardò in faccia il fattorino con aria costernata e aggiunse: «Ora come si fa?». 

Al bigliettario ormai non importava più nulla che lui pagasse o no e nemmeno pensò una qualsiasi risposta. Pensò piuttosto con malignità a una rivincita e disse: «Allora lo vede che lei è davvero un Signore? Se lei lavorasse, di queste pezzette, come le chiama lei, in tasca ne avrebbe almeno per pagare il tram. Non è mica giusto, questo. San Paolo dice che chi non lavora...».
Ma lui gli troncò la parola di bocca dicendo quasi con ira: «Ho fatto l’universo e dici che non ho lavorato? Ma lo sai che sei un bell’ignorante?». Parole cui il fattorino, che non si sentiva affatto ignorante, ribatté subito piccato: «Che lavoro d’Egitto! Semmai il mondo lei lo ha creato: non è mica lavorare il creare. Eppoi anche se avesse lavorato, lo sa lei quanti giorni ha lavorato? Ha lavorato sei giorni e con la paga di una settimana me lo dica lei da quanti millenni vive di rendita. Io con la mia settimana ci vivo quattro giorni al massimo. Poi mi venga a dire che lei è a immagine a somiglianza mia e non soltanto dei signori. Mi faccia il piacere!».

E allora lui s’arrabbiò davvero: «Per Dio», urlò con voce tremenda, «non farmi bestemmiare, ora. Io se non lavoro è perché non mangio, proprio perché sono puro spirito e non posso mangiare. Ma quando rimasi in terra, da uomo, per trentatré anni, lo sai pezzo d’asino che prima di fare il propagandista ho lavorato per trent'anni di seguito a bottega? E dovresti sapere anche cos’ho fatto. Ho fatto il falegname e avrei fatto anche il tranviere se ci fossero stati i trams. Non ho mica fatto lo scrittore o l’avvocato delle cause perse».

Aveva un viso terribilmente rosso, senonché a poco a poco andò calmandosi, divenne a poco a poco mansueto giungendo alfine a dire: «Perdonami, te l’ho già detto che quando mi faccio uomo assumo quasi tutte le imperfezioni degli uomini. Queste cose non volevo dirtele con questo tono».

Rimase a lungo soprappensiero e quasi vergognoso, e mentre il bigliettario non sapeva più in che mondo fosse aggiunse con un accoramento che penetrò nelle viscere e nell’ossa del bigliettario: «Però hai veramente sciupato questa mia discesa, anche se non ne hai colpa».

Fece il miracolo di far apparire fra le dita due di quelle pezzette che gli aveva prima chiesto il bigliettario, e dopo avergliele date lasciandolo in una nuvola d’indicibile confusione, alla prima fermata ordinò al conduttore di frenare e discese. E allora tutti e due, fattorino e conduttore, mentre Lui s’allontanava nel plenilunio facendo risuonare sui selci il Suo passo, si guardarono negli occhi tornando poi ciascuno al suo posto senza riuscire a dirsi una parola - entrambi col tacito giuramento di non raccontare a nessuno il fatto per non essere licenziati su due piedi proprio come due pazzi.

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