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Fonte: Liberazione
Bandiera rossa a Parigi. E' nata la Comune
Ha vissuto solo due mesi, ma è immortale. Centoquarant'anni fa, il 18 marzo 1871, a Parigi una bandiera rossa si alza sull'Hotel de Ville; l'alba della Comune è nata senza spargimento di sangue, i soldati che Thiers ha mandato per schiacciare il Comitato dei venti arrondissements (poi meglio noti come la Commune) si rifiutano di sparare sulla folla. E' il sergente Verdaguer, che comanda l'88° reggimento, a dare l'ordine di abbassare le armi e il generale Lecomte, che pretende a tutti i costi una strage, è arrestato dai suoi stessi uomini. La Guardia nazionale, organo della Commune occupa le caserme governative, la prefettura, il ministero della giustizia e l'Hotel de Ville, che diventa la sede centrale del nuovo governo. La folla è nelle strade, tra «i dimostranti molte donne e anche tanti bambini». Il primo atto è quello: giù il tricolore napoleonico, su la bandiera rossa. Alacre e decisa. Già il giorno dopo, 19 marzo, il Comitato rivoluzionario, che si è insediato appunto nell'Hotel de Ville, si dichiara «nuovo governo della Repubblica», indice le elezioni a tutta velocità per il 22 marzo e vara subito i primi provvedimenti «d'urgenza». E' il primo governo proletario della storia e si vede. Ecco i suoi «provvedimenti d'urgenza»: libertà di stampa, scarcerazione immediata di tutti i detenuti politici, abolizione dei tribunali militari, proroga di un mese per le scadenze dei pagamenti, divieto di sfratto. Provvedimenti d'urgenza per il popolo parigino stremato dalla disastrosa guerra prussiana; odiosamente vessato dalla repressione di Napoleone III e del suo degno successore Adolphe Thiers. Quell'uomo reazionario e feroce, che Marx descrive così: «Maestro di piccole truffe di stato, virtuoso dello spergiuro e del tradimento, artista in tutti i bassi stratagemmi, nelle astuzie furbesche e nelle vili perfidie delle lotte di partito, con pregiudizi di classe al posto delle idee e con la vanità al posto del cuore». Adolphe Thiers, il ministro dell'interno boia di Lione, che nel 1834 ha fatto massacrare 600 operai rei di scioperare contro i bassi salari: è lui l'uomo che ha l'incarico di distruggere i comunardi. E ancora una volta lui sarà feroce. Le elezioni indette per il 22 marzo slittano al 26 e si svolgono regolarmente; il 28 marzo, il tuono del cannone e la Marsigliese annunciano ai parigini che «la Comune è proclamata in nome del popolo». Dei 93 eletti, in gran parte impiegati, maestri, medici (anche Victor Hugo e Giuseppe Garibaldi), 25 sono operai, una assoluta novità, sino a lì - sino a quel 28 marzo 1871 - assolutamente impensabile. Quella Comune fa subito paura. Deve essere schiacciata immediatamente. Da Versailles, dove il suo governo si è trasferito, Thiers già sta organizzando l'esercito con artiglieria pesante e mitragliatrici. Dall'Hotel de Ville, intanto, la Comune - questo governo di socialisti, radicali, blanquisti, anarchici, rivoluzionari, operai - fa cose inaudite. Poiché la situazione degli alloggi è drammatica in una città che ha patito un lungo assedio durante la guerra prussiana, per tre mesi gli affitti non saranno dovuti, in quanto è giusto che «anche la proprietà sopporti la sua parte di sacrifici». Le cambiali sono aggiornate, possono essere pagate «in tre anni e senza interessi». Gli oggetti di prima necessità, «di valore inferiore o pari a 20 franchi» - vennero impegnati persino gli attrezzi di lavoro - che la popolazione più povera e disperata aveva dovuto portare al Monte di Pietà devono usufruire di «restituzione gratuita» (e la onesta Comune si assume l'onere di rimborsare il Monte medesimo, con una spesa di oltre 300.000 franchi). C'è poi la disoccupazione, che è diventata enorme, anche perché i proprietari di molte piccole e grandi aziende si sono dati alla fuga: la commissione lavoro provvede a requisire le fabbriche abbandonate, «costituendole in cooperative di lavoratori» legittimati a prenderne possesso. Si aboliscono le multe sui salari operai e un decreto stabilisce che nelle gare d'appalto si «privilegino le corporazioni operaie»; e anche i prezzi devono essere concordati. Simbolo della Comune è la bandiera rossa, definita «la bandiera della repubblica universale»; di conseguenza, si stabilisce che anche i cittadini non-francesi hanno piena cittadinanza nella Comune, dal momento che in una repubblica universale «tutte le città hanno il diritto di considerare propri cittadini gli stranieri che la servono» (udite udite, italici persecutori di immigrati 140 anni dopo…). Lo scandalo di quella bandiera rossa nel cuore di Parigi. Ma non è l'unico. Dieci giorni dopo il suo insediamento, precisamente il 29 marzo, l'esercito permanente viene abolito: esso infatti è sempre stato utilizzato non solo per aggredire i popoli stranieri ma anche per opprimeri gli stessi concittadini (vero Bava Beccaris?). Esercito abolito, niente più coscrizione obbligatoria, aboliti anche i gradi, niente più generali; nasce al suo posto la Guardia nazionale, che rappresenta «il popolo armato». Anche la polizia cambia radicalmente: deve pensare solo a reprimere i reati senza più alcuna funzione in materia di ordine pubblico e politico (do you remember Scelba?). E come se non bastasse, i funzionari amministrativi da ora in poi saranno solo elettivi, e cioè revocabili in qualsiasi momento, e per di più i loro stipendi saranno ufficialmente fissati. La pensione viene garantita alle compagne, sposate o meno, dei membri della Guardia uccisi in servizio. E la ghigliottina è abolita. Ancora. Riaprono i teatri e i musei rimasti chiusi durante l'assedio; Courbet è eletto presidente della Federazione degli artisti di Parigi (è lui che l'8 maggio farà abbattere la colonna Vendome, simbolo delle «idee di guerra e conquista»: dopo la caduta della Comune il governo gli chiederà 350.000 franchi di indennizzo, ma il pittore, già in carcere, non farà in tempo a pagare nemmeno la prima rata, morirà di lì a poco). Comune scandalosa. Con decreto in data 2 aprile alla Chiesa è tolto il monopolio dell'istruzione (che Napoleone III aveva graziosamente concesso nel 1850). Semplice e grandioso. Il Consiglio della Comune afferma che «la libertà è il principio basilare della Repubblica francese» e che «la libertà di coscienza è la prima delle libertà»; rileva come «il clero è stato complice dei crimini della monarchia contro la libertà» e quindi proclama «la separazione dello Stato dalla Chiesa, la soppressione dei finanziamenti statali e la confisca dei beni di manomorta - mobili e immobili - appartenenti alle congregazioni religiose» (al tempo della Comune è Papa l'inviso Pio IX, l'autore del "Sillabo", tra l'altro). Scuola sottratta ai preti ma anche completamente riformata, con l'istruzione superiore e l'addestramento tecnico resi disponibili per tutti. Peggio, e incredibile. All'ordine del giorno è una cosa mai vista detta emancipazione femminile; viene creata la prima scuola professionale per donne, si istituiscono gli asili nido, si abolisce la distinzione tra figli legittimi e illegittimi. E nasce "l'Unione delle donne": le aderenti portano sciarpa e bracciale rosso, attive quartiere per quartiere sono mobilitate sui problemi sociali, sull'infanzia, e soprattutto sul diritto al lavoro (non facile, nemmeno oggi…). La Comune, per tutto questo, deve morire. Thiers ha pronte le armi e prepara l'offensiva. Il 21 maggio già canta vittoria vantandosi con Bismarck: «Ristabilirò l'ordine in una settimana»; e davanti all'Assemblea promette: «Signori, l'espiazione sarà completa». Manterrà la parola. Quella "sua" settimana passerà alla storia come "La Semaine sanglante", la settimana di sangue. Il 28 maggio la Comune è finita, le truppe di Thiers sono ormai entrate a Vendome, tutto il quartiere latino è nelle loro mani, incendi e battaglie sanguinose ovunque. Cominciano subito le fucilazioni di massa; all'uopo si adoperano le mitragliatrici e non si rispamia nessuno, nemmeno i feriti negli ospedali e i prigionieri dentro le carceri. L'ultimo assalto - all'arma bianca - è al Cimitero di Père-Lachaise; e qui centinaia di sopravvissuti vengono fucilati contro la cinta di quel «muro dei comunardi», dove ancora oggi ogni anno si celebra la memoria della Comune. Per tutta una notte, il centro di Parigi è colpito dai proiettili incendiari del generale Mc Mahon. E' qui, nell'assalto alla Comune, che i fucilieri di marina ricevono da Thiers «l'ordine di non fare prigionieri». E «l'ordine è tassativo». Scrupolosamente ottemperato. Più di 30mila i morti e quasi 40mila gli arrestati (in migliaia verranno poi deportati nelle isole atlantiche, circa 8 mila nella sola Nuova Caledonia). «Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti». Lo scriveva Karl Marx, 30 maggio 1871. |
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http://www.comunismoecomunita.org La Comune di Parigi 1871 Capitolo III L’”Indirizzo” di Carlo Marx sull’epica impresa dei “comunardi” All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un fragore di tuono: ” Vive le Commune! “. Che cos’è dunque la Comune, questa sfinge che tormenta così seriamente lo spirito dei borghesi? ” I proletari di Parigi diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora per essi di salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione degli affari pubblici… Il proletariato… ha capito che era suo dovere imperioso e suo diritto assoluto prendere nelle sue mani il proprio destino, e di assicurarsene il trionfo impadronendosi del potere “. Ma la classe operaia non può accontentarsi semplicemente di prendere nelle proprie mani la macchina statale bella e pronta, e di farla funzionare per i propri fini. Il potere centralizzato dello Stato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura organi prodotti secondo un piano di divisione sistematica e gerarchica, del lavoro trae la sua origine dall’epoca della monarchia assoluta, quando servì alla nascente società borghese come un’arma formidabile nelle sue lotte contro il feudalismo. Il suo sviluppo fu però intralciato da ogni sorta di residui medievali: prerogative di nobili e signori, privilegi locali, monopoli municipali e corporativi, Costituzioni provinciali. Il gigantesco colpo di scena della Rivoluzione francese del XVIII secolo spazzò via tutti questi resti di tempi passati, sbarazzando così in un solo colpo il sostrato sociale degli ultimi ostacoli che si frapponevano alla sovrastruttura dell’edificio dello Stato moderno. Questo fu edificato sotto il primo Impero, il quale a sua volta fu il prodotto delle guerre di coalizione della vecchia Europa semifeudale contro la Francia moderna. Durante i successivi régimes, il governo posto sotto il controllo parlamentare, cioè, sotto il diretto controllo delle classi possidenti, non diventò solamente l’incubatrice di enormi debiti nazionali e di imposte schiaccianti; con le sue irresistibili attrattive di posti, guadagni, protezioni, divenne da una parte il pomo della discordia tra le frazioni rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti; dall’altra anche il suo carattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche della società. Via via che il progresso della industria moderna sviluppava, allargava, accentuava, l’antagonismo di classe tra capitale e lavoro, il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere di una forza pubblica organizzata ai fini dell’asservimento della classe operaia, di un apparato di dominazione di classe. Dopo ogni rivoluzione, che segna un progresso nella lotta di classe, il carattere puramente repressivo del potere dello Stato risulta in modo sempre più evidente. La rivoluzione del 1830, trasferì il potere dai grandi proprietari fondiari ai capitalisti, lo trasferì dai più lontani antagonisti degli operai ai loro avversari più diretti. I repubblicani borghesi che, in nome della rivoluzione di Febbraio, si erano impadroniti del potere statale, se ne servirono per provocare i massacri di Giugno, allo scopo di convincere la classe operaia che la Repubblica ” sociale ” stava a significare la Repubblica che assicurava la loro soggezione sociale, e per convincere la massa monarchica della classe borghese e dei grandi proprietari fondiari che poteva tranquillamente lasciare ai borghesi “repubblicani” le cure e le proficue prerogative finanziarie del governo. Tuttavia dopo la loro unica impresa eroica di giugno, ai repubblicani borghesi non rimaneva che retrocedere dalla prima fila alla retroguardia del “partito dell’ordine” combinazione formata da tutte le frazioni e fazioni rivali della classe dei profittatori nel loro ormai dichiarato antagonismo con le classi produttrici. La forma più adeguata del loro governo di società per azioni fu la ” Repubblica parlamentare ” con Louis Bonaparte come presidente. Esso fu un regime di aperto terrorismo di classe e di deliberata irrisione alla ” vile multitude “. Se, come diceva Thiers, la Repubblica parlamentare era il regime che “meno divideva [le variopinte frazioni della classe dirigente] “, essa denunciava per contro un abisso tra questa classe e l’intero corpo della società che era escluso dalle sue ristrette file. La loro alleanza rimuoveva gli impedimenti che sotto i precedenti governi erano posti al potere statale dalle divisioni tra le frazioni della classe dirigente. In presenza della minaccia di sollevazione del proletariato, la classe dominante riunita utilizzò il potere dello Stato, senza riguardi e con ostentazione, come pubblico strumento di guerra del Capitale contro il Lavoro. Nella sua ininterrotta crociata contro le masse dei produttori, essa fu però costretta non solo ad attribuire all’esecutivo poteri sempre più vasti, ma in pari tempo a spogliare, l’uno dopo l’altro, la loro stessa fortezza parlamentare l’Assemblea nazionale di tutti i suoi mezzi di difesa contro l’esecutivo. L’esecutivo, nella persona di Louis Bonaparte, li mise tutti alla porta. Il frutto naturale della Repubblica del “partito dell’ordine” fu il secondo Impero. L’Impero, con il colpo di Stato come certificato di nascita, il suffragio universale come autenticazione e la sciabola come scettro, pretendeva di poggiare sui contadini, la grande massa di produttori che non era impegnata direttamente nella lotta tra Capitale e lavoro. Pretendeva di salvare la classe operaia mettendo fine al parlamentarismo, e insieme con questo l’aperta sottomissione del governo alle classi possidenti. Pretendeva di salvare le classi possidenti mantenendo la loro supremazia sulla classe operaia. Finalmente pretendeva di realizzare l’unità di tutte le classi risuscitando per tutte la chimera della gloria nazionale. In realtà era l’unica forma di governo possibile in un periodo in cui la borghesia aveva già perduto e la classe operaia non aveva ancora acquisito la capacità di governare la nazione. Esso fu salutato in tutto il mondo come il salvatore della società. Sotto il suo dominio la società borghese, liberata da tutte le preoccupazioni politiche, raggiunse uno sviluppo che essa stessa non aveva mai sperato. La sua industria e il suo commercio raggiunsero proporzioni colossali; la truffa finanziaria celebrò orge cosmopolite; la miseria delle masse faceva stridente contrasto con la sfacciata ostentazione di lusso sfrenato, dissoluto e abietto. Il Potere dello Stato, in apparenza in tranquillo equilibrio al disopra della società, era però esso stesso lo scandalo più grande di questa società e in pari tempo il focolaio di tutta la sua corruzione. La sua decomposizione e la decomposizione della società che esso aveva salvaguardato vennero messe a nudo dalle baionette della Prussia, ben disposta a trasferire il centro di gravità di questo regime da Parigi a Berlino. L’imperialismo è la più prostituita e insieme la più recente forma di quel potere statale che la nascente società borghese aveva incominciato a perfezionare come strumento della propria emancipazione dal feudalismo, e che la società borghese aveva infine pienamente trasformato in strumento per l’asservimento del lavoro al Capitale. La Comune fu la diretta antitesi all’Impero. Il grido di ” Republique sociale “, col quale il proletariato di Parigi aveva iniziato la rivoluzione di Febbraio non esprimeva che una vaga aspirazione ad una Repubblica che non avrebbe dovuto eliminare solamente la forma monarchica del dispotismo di classe, ma lo stesso potere di classe. La Comune fu la forma positiva di questa Repubblica. Parigi, sede centrale del vecchio potere governativo, e, nello stesso tempo, fortezza sociale della classe operaia francese, era balzata in armi contro il tentativo di Thiers e dei suoi rurali di restaurare e perpetuare il vecchio potere governativo ereditato dall’Impero. Parigi poteva solamente resistere perché, in conseguenza dell’assedio, si era sbarazzata dell’esercito e lo aveva sostituito con una guardia nazionale, la cui massa era costituita da operai. È questo stato di fatto che doveva, ora, essere trasformato in un’istituzione permanente. Il primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell’esercito permanente, e la sua sostituzione con il popolo in armi. La Comune fu composta da consiglieri municipali, eletti a suffragio universale nei diversi circondari di Parigi. Essi erano responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai o rappresentanti riconosciuti della classe operaia. La Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma un organo di lavoro esecutivo e legislativo nello stesso tempo. Invece di continuare ad essere lo strumento del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento della Comune, responsabile dinanzi ad essa e revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le branche della amministrazione. Dai membri della Comune fino ai gradi subalterni, le pubbliche funzioni venivano retribuite con salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti funzionari dello Stato scomparvero con i funzionari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà private delle creature del governo centrale. Non solo l’amministrazione municipale, ma tutte le altre iniziative fino allora esercitate dallo Stato passarono nelle mani della Comune. Una volta abolito l’esercito permanente e la polizia, strumenti di potere del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza di repressione spirituale, il potere dei preti; decretò la separazione della Chiesa e dello Stato disciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto ordini possidenti. I sacerdoti furono restituiti al tranquillo riposo della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. La totalità degli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempo da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così non solo l’istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata dalle catene che le erano state imposte dai pregiudizi di classe e dal potere governativo. I funzionari della giustizia vennero spogliati di quella finzione di indipendenza che non era servita ad altro che a mascherare la loro vile sottomissione a tutti i vari governi che si erano alternati al potere ai quali, di volta in volta, avevano prestato giuramento di fedeltà per violare in seguito tale giuramento. Come gli altri funzionari pubblici, i magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili. La Comune di Parigi doveva, beninteso, servire di modello a tutti i grandi centri industriali della Francia. Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il potere della Comune, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto, anche nelle province, cedere il posto all’autogoverno da parte dei produttori. In un abbozzo sommario dell’organizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare, è detto espressamente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo villaggio e che nelle regioni rurali l’esercito permanente doveva essere sostituito da una milizia popolare, con un periodo di servizio estremamente breve. Le comuni rurali di ogni distretto dovevano amministrare i loro affari comuni mediante un’assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettuali dovevano a loro volta inviare i propri rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi; i delegati dovevano essere revocabili in ogni momento e legati da un mandat imperatif dei propri elettori. Le funzioni, poco numerose, ma importanti, che ancora rimanevano ad un governo centrale, non dovevano essere soppresse, come venne detto falsamente in mala fede, ma dovevano venire assolte da funzionari comunali e quindi strettamente responsabili. L’unità della nazione non doveva essere spezzata, ma doveva al contrario essere riorganizzata dalla Costituzione comunale; doveva diventare una realtà attraverso la distruzione del potere dello Stato che pretendeva essere l’incarnazione di questa unità, ma voleva essere indipendente dalla nazione stessa, e persino superiore ad essa, mentre non costituiva che un’escrescenza parassitaria. Mentre era importante amputare gli organi puramente repressivi del vecchio potere governativo, le sue funzioni legittime dovevano essere strappate a una autorità che usurpava una posizione dominante al di sopra della società stessa, e restituite agli agenti responsabili della società. Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dirigente dovesse ” rappresentare ” e calpestare il popolo al Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in Comuni, così come il suffragio individuale serve ad ogni altro imprenditore in cerca di operai e personale direttivo per i suoi affari. Ed è ben noto che le società, come i singoli imprenditori, quando si tratta di veri affari, sanno generalmente mettere a ogni posto l’uomo adatto, o se una volta tanto commettono un errore, sanno rapidamente come rimediare. D’altra parte nulla poteva essere più estraneo allo spirito della Comune, che mettere al posto del suffragio universale una investitura gerarchica. È in generale destino di tutte le formazioni storiche interamente nuove di essere prese a torto per riproduzioni di vecchie e anche defunte forme di vita sociale, con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così, di questa nuova Comune, che manda in frantumi il potere dello Stato moderno, si è voluto vedere il richiamo alla vita dei comuni medievali, che prima precedettero questo potere di Stato e poi ne divennero il fondamento stesso. La Costituzione della Comune è stata presa a torto come un tentativo di spezzare in una federazione di piccoli Stati, come era stata segnata da Montesquieu e dai suoi girondini, quella unità delle grandi nazioni, che, se originariamente è stata realizzata con la violenza, è ora diventata un potente fattore della produzione sociale. L’antagonismo fra la Comune e il potere dello Stato è stato preso a torto come una forma esagerata della vecchia lotta contro l’eccesso di centralizzazione. Particolari circostanze storiche possono avere impedito in altri paesi lo sviluppo classico della forma borghese di governo che si è avuto in Francia, e possono avere permesso, come in Inghilterra, di completare i propri organi centrali dello Stato con corrotte vestries (Assemblee parrocchiali), con consiglieri comunali affaristi, feroci custodi dell’Ufficio di beneficenza nelle città, e con magistrati virtualmente ereditari nelle Contee. La Costituzione della Comune avrebbe restituito al corpo sociale tutte le forze fino allora assorbite dallo Stato parassita che si nutre a spese della società e ne paralizza il libero movimento. Con questo solo fatto avrebbe costituito la base di partenza per la rigenerazione della Francia. La classe media delle città di provincia vide nella Comune un tentativo di restaurare il controllo che il suo ceto aveva esercitato sulle campagne al tempo di Louis-Philippe, e che, sotto Louis-Napoléon, era stato soppiantato dal preteso sopravvento delle campagne sulle città. In realtà la Costituzione della Comune avrebbe messo i produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei dipartimenti e avrebbe dato a loro la sicurezza di trovare negli operai delle città i naturali garanti dei loro interessi. L’esistenza stessa della Comune implicava, come naturale conseguenza, la libertà municipale locale, ma non più intesa d’ora in avanti come un ostacolo al potere dello Stato, che era stato tolto di mezzo. Soltanto nella testa di un Bismarck il quale quando non era preso dai suoi intrighi di ferro e di sangue, tornava volentieri al suo vecchio mestiere, così adatto al suo calibro mentale, di collaboratore del “Kladderadatsch” soltanto in una testa siffatta poteva entrare l’idea di attribuire alla Comune di Parigi l’ispirazione di rifarsi a quella caricatura della vecchia organizzazione municipale francese del 1791 che è il regime municipale prussiano, il quale riduce l’amministrazione delle città alla funzione di semplici rotelle del tutto secondarie della macchina poliziesca dello Stato prussiano. La Comune fece una realtà di questa parola d’ordine di tutte le rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due maggiori fonti di spese: l’esercito permanente, la burocrazia e il funzionarismo. La sua esistenza stessa presupponeva la non esistenza della monarchia che, perlomeno in Europa, è l’abituale zavorra e la maschera indispensabile del dominio di classe. Essa forniva alla Repubblica la base per avere istituzioni democratiche. Ma né il “governo a buon mercato”, né la “vera Repubblica” erano la sua meta finale; essi non facevano che da suo corollario. La molteplicità delle interpretazioni alle quali la Comune è stata sottoposta, e la molteplicità di interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa costituì una forma politica pienamente preparata ad espandersi, mentre tutte le precedenti forme di governo non avevano messo l’accento che sulla repressione. Il suo vero segreto fu questo; che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe degli appropriatori, la forma politica finalmente scoperta che consentiva di realizzare l’emancipazione economica del lavoro. Senza quest’ultima condizione, la Costituzione della Comune sarebbe stata una cosa impossibile e un inganno. Il dominio politico dei produttori non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale. La Comune doveva pertanto servire da leva per estirpare le basi economiche sulle quali si fonda l’esistenza delle classi, e quindi dell’oppressione di classe. Compiuta l’emancipazione del lavoro, ogni uomo diviene un lavoratore e il lavoro produttivo cessa di essere l’attributo di una classe. Avviene un fatto strano. Nonostante tutti i discorsi magniloquenti, e l’immensa letteratura degli ultimi 60 anni sulla emancipazione dei lavoratori, non appena gli operai, in qualsiasi paese, prendono decisamente la cosa nelle loro mani, immediatamente si sente risuonare tutta la fraseologia apologetica dei reggicoda della società presente con i suoi due poli, capitale e schiavitù salariata (il proprietario fondiario non è che il socio passivo del capitalista), come se la società capitalista si trovasse nel suo stato più puro di verginale innocenza, come se tutte le sue contraddizioni non fossero ancora sviluppate, le sue menzogne non ancora smascherate, le sue infami realtà non ancora messe a nudo. La Comune essi esclamano vuole abolire la proprietà, base di ogni civiltà! Sì, o signori, la Comune voleva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa aveva come scopo l’espropriazione degli espropriatori. Voleva fare della proprietà privata individuale una realtà, trasformando i mezzi di produzione, la terra e il capitale, oggi essenzialmente mezzi di asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di un lavoro libero e associato. Ma questo è comunismo, è l’”impossibile” comunismo! Ebbene, quelli tra i membri delle classi dominanti, che sono abbastanza intelligenti da comprendere l’impossibilità di perpetuare il sistema presente e sono molti sono diventati gli apostoli fastidiosi e rumorosi della produzione cooperativa. Ma se la produzione cooperativa non deve restare una finzione e un inganno; se essa deve subentrare al sistema capitalista; se l’insieme delle cooperative riunite deve regolare la produzione nazionale secondo un piano comune, prendendola così sotto il loro controllo e ponendo fine alla costante anarchia e alle periodiche convulsioni che sono la sorte inevitabile della produzione capitalista che cosa sarebbe questo, o signori, se non comunismo, un molto ” possibile ” comunismo? La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par décret du peuple. Sa che per realizzare la propria emancipazione, e con essa quella forma di vita più elevata alla quale tende irresistibilmente la società odierna per la sua stessa struttura economica, essa dovrà passare attraverso lunghe lotte, per tutta una serie di processi storici che trasformeranno completamente le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma soltanto liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia società in via di disfacimento. Pienamente cosciente della sua missione storica e con l’eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere alle grossolane invettive dei signori della penna e dell’inchiostro, servi senza aggettivi, e della pedantesca protezione dei dottrinari borghesi di buoni propositi che diffondono la loro insipida ignoranza e le loro ostinate idee fisse col tono oracolare dell’infallibilità scientifica. Quando la Comune di Parigi prese nelle sue mani la direzione della rivoluzione, quando semplici operai, per la prima volta, osarono infrangere il privilegio governativo dei loro “superiori naturali”, i possidenti, e in circostanze di estrema difficoltà, compirono la loro opera umilmente, con coscienza ed efficacia (e la portarono avanti con salari il più alto dei quali raggiungeva appena il quinto di ciò che, a voler credere un’alta autorità scientifica di Londra, il professor Huxley, è il minimo richiesto per un segretario di un certo consiglio scolastico della sua città), il vecchio mondo si contorse in paurose convulsioni di rabbia alla vista della bandiera rossa, simbolo della Repubblica del lavoro, sventolante sull’Hótel de Ville a Parigi. Eppure, questa fu la prima rivoluzione nella quale la classe operaia sia stata apertamente riconosciuta come la sola classe ancora capace di iniziativa sociale, persino dalla grande maggioranza della classe media parigina bottegai, commercianti, artigiani eccettuati soltanto i ricchi capitalisti. La Comune li aveva salvati regolando saggiamente il problema che è alla base degli eterni contrasti all’interno stesso della classe media: la questione dei resoconti di dare e avere. Questa stessa parte della classe media aveva partecipato alla repressione dell’insurrezione operaia del giugno 1848, ed era stata subito sacrificata ai suoi creditori dell’Assemblea costituente senza tante cerimonie. Ma questo non era il solo motivo per cui ora queste classi medie si schieravano attorno alla classe operaia. Esse avvertivano che vi era una sola alternativa: o la Comune o l’Impero, sotto qualsiasi nome questo potesse ripresentarsi. L’Impero le aveva rovinate economicamente con lo sciupio delle finanze pubbliche, con le truffe finanziarie su larga scala che aveva sempre favorito, con l’impulso dato all’accelerazione artificiale della concentrazione del capitale, e con la correlativa espropriazione di una gran parte del loro ceto. Le aveva soppresse politicamente, le aveva scandalizzate moralmente con le sue orge, aveva deriso il loro volterrianismo affidando l’educazione dei loro figli ai frères ignorantins; aveva rivoltato il loro sentimento nazionale di francesi, precipitandoli a capofitto in una guerra che non lasciava che un solo compenso per le rovine che aveva lasciato: la scomparsa dell’Impero. Di fatto, dopo l’esodo da Parigi di tutta l’alta bohème bonapartista e capitalista, il vero partito dell’ordine della classe media si era presentato sotto le sembianze dell’Union républicaine, che si schierò sotto le bandiere della Comune e la difese dalle premeditate falsificazioni di Thiers. Se la riconoscenza di questa grande massa della classe media resisterà alla dura prova odierna, solo il tempo lo mostrerà. La Comune aveva perfettamente ragione di dire ai contadini: “La nostra vittoria è la vostra sola speranza!”. Di tutte le menzogne escogitate a Versailles e riprese come un’eco dai gloriosi pennaioli d’Europa a un soldo la riga, una delle più mostruose fu che i rurali dell’Assemblea nazionale rappresentassero i contadini francesi. È sufficiente pensare all’amore del contadino francese per gli uomini a cui, dopo il 1815, aveva dovuto pagare un miliardo di indennità. Agli occhi del contadino francese, l’esistenza stessa di un grande proprietario fondiario è di per sé stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra la tassa addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora l’avevano fatto in nome della rivoluzione; mentre ora avevano fomentato una guerra civile contro la rivoluzione, per far ricadere sulle spalle del contadino il peso maggiore dei 5 miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani. La Comune, d’altra parte, in uno dei suoi primi proclami dichiarava che le spese della guerra dovevano essere pagate da quelli che ne erano stati i veri artefici. La Comune avrebbe liberato il contadino dall’imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a buon mercato; avrebbe trasformato le sue attuali sanguisughe, il notaio, l’avvocato, l’usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati, da lui eletti e davanti a lui responsabili. Essa lo avrebbe liberato dalla tirannia della guardia campestre, del gendarme e del prefetto; avrebbe sostituito l’istruzione del maestro di scuola al posto dell’istupidimento ad opera dei preti. E il contadino francese è, al di sopra di tutto, uomo di calcolo. Egli avrebbe trovato assolutamente ragionevole che la retribuzione dei sacerdoti, invece di essere estorta dagli agenti delle imposte, dipendesse solo dall’azione spontanea degli istinti religiosi dei parrocchiani. Questi erano i grandi benefici immediati che il governo della Comune ed esso soltanto offriva in prospettiva ai contadini francesi. È quindi del tutto superfluo dilungarsi qui sugli altri problemi concreti più complessi, ma di vitale importanza, che solo la Comune era in grado di risolvere e nello stesso tempo, era costretta a risolvere in favore del contadino, come per esempio quello del debito ipotecario, che pesava come un incubo sul suo piccolo appezzamento di terra; quello del proletariato rurale che cresceva di giorno in giorno per tale ragione, e della sua espropriazione che avviene ad un ritmo sempre più rapido in conseguenza dello stesso sviluppo dell’agricoltura moderna e della concorrenza dell’azienda agricola capitalista. Il contadino francese aveva eletto Louis Bonaparte presidente della Repubblica, ma il partito dell’ordine creò il secondo Impero. Ciò di cui ha bisogno veramente il contadino francese, incominciò a mostrarlo nel 1849 e nel 1850, contrapponendo il suo sindaco al prefetto del governo, il suo maestro di scuola al prete del governo e la propria persona al gendarme del governo. Tutte le leggi fatte dal partito dell’ordine nel gennaio e nel febbraio 1850 furono misure di repressione aperta contro i contadini. Il contadino era bonapartista, perché la grande Rivoluzione, con tutti i benefici che egli ne aveva tratto, si personificava ai suoi occhi in Napoleone. Questa illusione, che si dissipò rapidamente sotto il secondo Impero (ed essa era per sua stessa natura ostile ai “rurali”), questo pregiudizio del passato, come avrebbe potuto resistere all’appello della Comune agli interessi vitali e ai bisogni urgenti dei contadini? I rurali ed era questa, di fatto, la loro principale apprensione sapevano che tre mesi di libera comunicazione tra la Parigi della Comune e le province avrebbero portato ad una insurrezione generale dei contadini. Di qui la loro ansiosa preoccupazione di stabilire attorno a Parigi un cordone poliziesco come se si fosse trattato di impedire la diffusione della peste bovina. Se la Comune era dunque la vera rappresentante di tutti gli elementi sani della società francese, e quindi il vero governo nazionale, era nello stesso tempo un governo operaio e sotto questo profilo, nella sua qualità di audace sostenitore dell’emancipazione del lavoro, un governo internazionale nel pieno senso della parola. Sotto gli occhi dell’esercito prussiano, che aveva annesso alla Germania due province francesi, la Comune annesse alla Francia gli operai di tutto il mondo. Il secondo Impero era stato una grande sagra per la furfanteria internazionale, poiché le canaglie di tutti i paesi erano accorse al suo appello per prendere parte alle sue orge e al saccheggio sistematico del popolo francese. In questo stesso momento il braccio destro di Thiers è Ganesco, crapulone valacco; il suo braccio sinistro è Markovski, spione russo. La Comune ha ammesso tutti gli stranieri a morire per una causa immortale. Tra la guerra esterna perduta per il suo tradimento, e la guerra civile provocata dal suo complotto con gli invasori stranieri, la borghesia aveva trovato il tempo di manifestare il suo patriottismo organizzando battute di caccia ai tedeschi residenti in Francia: la Comune ha eletto suo ministro del Lavoro un operaio tedesco. Thiers, la borghesia, il secondo Impero, avevano continuamente ingannato la Polonia con rumorose professioni di simpatia, mentre in realtà la tradivano consegnandola alla Russia, di cui facevano il sordido interesse. La Comune ha fatto l’onore di mettere gli eroici figli della Polonia a capo dei difensori di Parigi. E per dare chiaramente risalto alla nuova era della storia che essa era consapevole di iniziare, la Comune, sotto gli occhi dei prussiani vincitori da una parte, e dell’esercito di Bonaparte, guidato da generali bonapartisti, dall’altra, abbatté quel colossale simbolo della gloria militare, la colonna Vendôme. La grande misura sociale della Comune fu la sua stessa esistenza operante. Le sue misure particolari da essa varate potevano soltanto presagire la tendenza su cui si muoveva un governo del popolo per il popolo. Tali furono l’abolizione del lavoro notturno degli operai panettieri; la proibizione, pena sanzioni, della pratica degli imprenditori di ridurre i salari imponendo ai loro operai delle multe sotto i pretesti più svariati, procedimento nel quale l’imprenditore riunisce nella sua persona le funzioni di legislatore, giudice ed esecutore, e per di più si intasca il denaro. Un’altra misura di questo tipo fu la consegna alle associazioni operaie, sotto riserva d’indennizzo, di tutte le fabbriche e laboratori che erano stati chiusi; sia che i capitalisti in questione si fossero nascosti o che avessero preferito sospendere il lavoro. Le misure finanziarie della Comune, notevoli per la loro sagacia e moderazione, non potevano andare al di là di quanto fosse compatibile con la situazione di una città assediata. Considerando le ruberie colossali commesse ai danni della città di Parigi dalle grosse compagnie finanziarie e dagli imprenditori di lavori pubblici sotto la protezione di Haussmann, la Comune avrebbe avuto diritti per confiscare le loro proprietà, ben più validi di quelli che aveva Louis-Napoléon per confiscare quelle della famiglia d’Orleans. Gli Hohenzollern e gli oligarchi inglesi che hanno tratto, sia gli uni che gli altri, una buona parte dei loro beni dal saccheggio delle chiese, furono, naturalmente, enormemente scandalizzati dal fatto che la Comune non ricavasse più di 8.000 franchi dalla secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Mentre il governo di Versailles, appena ebbe ripreso un po’ di coraggio e di forza, ricorreva all’impiego dei mezzi più violenti contro la Comune; mentre sopprimeva la libera espressione d’opinione in tutta la Francia, giungendo fino a proibire le riunioni di delegati delle grandi città; mentre tale governo assoggettava Versailles e il resto della Francia ad uno spionaggio che superava di gran lunga quello del secondo Impero; mentre faceva bruciare dai suoi sbirri, trasformati in inquisitori, tutti i giornali stampati a Parigi e censurava tutte le lettere da e per Parigi; mentre all’Assemblea nazionale i più timidi tentativi di dire una parola in favore di Parigi erano sommersi da urla sconosciute persino alla Chambre introuvable del 1816; data la nefanda condotta della guerra che i Versagliesi portavano avanti fuori delle mura di Parigi e i loro tentativi di corruzione e di cospirazione all’interno della città, non avrebbe la Comune tradito vergognosamente la fiducia in essa riposta affettando di osservare tutte le convenzioni e le apparenze del liberalismo, come in tempi di perfetta pace? Se il governo della Comune fosse stato dello stesso stampo di quello di Thiers, non vi sarebbero stati meno pretesti di sopprimere i giornali del partito dell’ordine a Parigi, che di sopprimere quelli della Comune a Versailles. Certo però era irritante, per i rurali, che nel momento stesso in cui essi dichiaravano il ritorno alla Chiesa come solo mezzo di salvezza per la Francia, la miscredente Comune dissotterrasse i singolari misteri del convento di Piepus e quelli della chiesa di Saint-Laurent. Ed era una bella presa in giro che mentre Thiers copriva di gran croci al merito i generali bonapartisti, come riconoscimento della loro maestria nel perdere battaglie, a firmare capitolazioni e a fumare delle sigarette a Wilhelmshöhe, la Comune destituisse e arrestasse i suoi generali, al minimo sospetto di negligenza nell’adempimento dei loro doveri. L’espulsione dalla Comune e l’arresto dietro suo ordine di uno dei suoi membri che si era intrufolato sotto falso nome e che aveva scontato a Lyon sei giorni di carcere per bancarotta semplice, non costituiva forse un insulto deliberato scagliato contro il falsario Jules Favre, che continuava ad essere ministro degli Esteri della Francia, sempre disposto a vendere la Francia a Bismarck e a dettare ordini all’incomparabile governo belga? Ciononostante la Comune non pretendeva all’infallibilità, cosa che si attribuiscono senza eccezioni tutti i governi del vecchio stampo. Essa rendeva pubblici tutti i suoi atti, le sue parole, metteva il pubblico al corrente di tutte le sue operazioni. In ogni rivoluzione, si insinuano, accanto ai suoi rappresentanti autentici, individui di tutt’altro conio; alcuni sono superstiti di passate rivoluzioni e ne conservano il culto; non comprendono il movimento presente ma conservano ancora una grande influenza sul popolo, per la loro onestà e il loro riconosciuto coraggio, o per la semplice forza della tradizione. Altri non sono che semplici schiamazzatori, i quali, a forza di ripetere per anni la stessa serie di stereotipe declamazioni contro il governo del giorno, si sono fatti passare per rivoluzionari della più bell’acqua. Anche dopo il 18 marzo, si videro riemergere alcuni tipi di questo genere, e in qualche caso riuscirono a rappresentare parti di primo piano. Nella misura del loro potere, essi furono d’ostacolo all’azione della classe operaia, esattamente come uomini di tale stampo avevano frenato il libero sviluppo di ogni precedente rivoluzione. Questi elementi sono un male inevitabile; col tempo ci si sbarazza di loro, ma alla Comune non ne venne lasciato il tempo. Meravigliosa, in verità fu la trasformazione operata dalla Comune di Parigi! Sparita ogni traccia della depravata Parigi del secondo Impero. Parigi non fu più il ritrovo dei grandi proprietari fondiari inglesi, dei latifondisti assenteisti irlandesi, degli ex-negrieri e affaristi americani, degli ex-proprietari di servi russi e boiardi valacchi. Non più cadaveri alla “morgue”, non più rapine e scassi notturni, quasi spariti i furti. Invero per la prima volta dopo le giornate del febbraio 1848, le vie di Parigi furono sicure, e questo senza nessuna vigilanza di polizia. “Non sentiamo più parlare diceva un membro della Comune di assassinii, furti, aggressioni. Si direbbe veramente che la polizia ha trascinato con sé a Versailles tutta la sua clientela conservatrice”. Le cocottes avevano seguito le orme dei loro protettori gli scomparsi campioni della famiglia, della religione e, al di sopra di tutto, della proprietà. Al loro posto ricomparvero le vere donne di Parigi, eroiche, nobili e risolute come le donne dell’antichità. Una Parigi che lavorava, pensava, combatteva, dava il proprio sangue, quasi dimentica, nella gestazione di una società nuova, raggiante nell’entusiasmo della sua iniziativa storica, che i cannibali era alle sue porte! Di fronte a questo nuovo mondo di Parigi, il vecchio mondo di Versailles questa Assemblea di vampiri di tutti i defunti regimi, legittimisti e orleanisti, avidi di nutrirsi del cadavere della nazione con un codazzo di repubblicani antidiluviani, che sanzionavano con la loro presenza nell’Assemblea la rivolta di questi negrieri, si affidavano per il mantenimento della loro Repubblica parlamentare alla vanità del senile ciarlatano messo alla testa del governo, e facevano la caricatura del 1789 tenendo le loro riunioni, come fantasmi del passato, nella sala del Jeu de Paume. Eccola, questa Assemblea, la rappresentante di tutto ciò che in Francia era morto, che solo il puntello delle spade di Louis Bonaparte poteva ancora infonderle una sembianza di vita! Parigi tutta verità, Versailles tutta menzogna; e questa menzogna esala dalla bocca di Thiers! Thiers dice ad una delegazione di sindaci dei dipartimenti della Seine-et-Oise: “Potete contare sulla mia parola, alla quale non ho mai mancato”. Dice all’Assemblea stessa che “è l’Assemblea più liberamente eletta e più liberale che sia mai esistita”; dice alla sua variopinta soldatesca che è “l’ammirazione del mondo e il più bell’esercito che mai avesse avuto la Francia”; dice alle province che il bombardamento di Parigi da lui ordinato non è che una invenzione: “Se sono stati tirati alcuni colpi di cannone, ciò non è avvenuto ad opera dell’esercito di Versailles, ma di alcuni insorti, i quali volevano far credere che combattevano, mentre non osano neanche farsi vedere”. E dice ancora alle province che: “L’artiglieria di Versailles non bombarda Parigi, la sta soltanto cannoneggiando”. Dice all’arcivescovo di Parigi che pretese esecuzioni e rappresaglie (!) attribuite alle truppe di Versailles non sono che fantasie. Dice a Parigi che egli è soltanto ansioso “di liberarla dai ripugnanti despoti che la opprimono” e che di fatto la Parigi della Comune non è costituita che “da un pugno di criminali”. La Parigi del signor Thiers non era la Parigi reale della “vile multitude”, ma una Parigi immaginaria, la Parigi dei francs-fileurs, la Parigi dei boulevardiers e delle boulevardières, la Parigi ricca, capitalista, coperta di soldi, infingarda, che ora ingombrava, con i suoi lacchè, i suoi ladri in guanti gialli, con la sua bohème di letterati e con le sue cocottes, Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain; che considerava la guerra civile come una gradevole diversione, seguendo la battaglia in corso attraverso i binocoli, contando i colpi di cannone e giurando sul proprio onore e su quello delle prostitute colle quali si accompagnava che lo spettacolo era allestito assai meglio di quanto si usasse in genere al teatro della Porta di Saint-Martin. Gli uomini che cadevano erano veramente morti; le grida dei feriti erano grida sul serio; e tutto l’insieme guardate era così intensamente storico! |
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