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http://www.mymovies.it/trailer/?id=58066


Un film di Ermanno Olmi.
Con Ampello Bucci, Maurizio Gelati, Carlo Petrini, Pier Paolo Poggio, Marco Rizzone. Aldo Schiavone, Vandana Shiva, Angelo Vescovi

Documentario, durata 78 min.
Italia 2009. I.T.C. Movie, Cineteca del Comune di Bologna


Da Il Manifesto, 8 maggio 2009

Questa terra è la mia terra. Ermanno Olmi e lo «slow film»
di Roberto Silvestri

«Per cosa lottiamo? Perché non ci siano mai più africani ischeletriti né yankees rigonfi di merendine o cibo chimico deformante». Già. L'ordine mondiale va cambiato. Le risorse e le tecnologie per risolvere il problema della fame ci sono. Invece si privatizza l'acqua e la scuola elementare.... Ermanno Olmi riprende, ancor più indignato, il filo rosso lanciato 40 anni fa da Rossellini, profetica Cassandra di un'imminente catastrofe socialecologica, e aizzatore di moltitudini ribelli quando ammoniva i giovani filmaker: «basta col cinema contastorie, documentiamo con le immagini il disastro, per cambiare la storia». Così la leggenda vivente del nostro cinema poetico e non futile, per sintetizzare nel suo documentario omonimo (girato in collettivo) cos'è Terra Madre, questo Tribunale Russell dell'alimentazione non avvelenata che si svolge annualmente a Torino dal 2005, dà la parola e molti primi piani a Vandana Shiva, sublime affabulatrice, la visionaria indiana dell'economia sostenibile, che è agguerrita militante della globalizzazione dal basso, miscela esplosiva di humus + humour. 
«Noi siamo il prodotto della madre terra, cioè siamo cibo - aggiungerà in sostanza questa grande leader della lotta contro il criminal intellect multinazionale - e se il cibo è felice saremo felici. Se è troppo, distribuito per essere sprecato, e avvelenato, mal drogato, saremo avvelenati dall'unico valore etico, ma geneticamente modificato, ormai sopravvissuto, il profitto. Neanche il consumismo è consentito nella società dello spettacolo. Solo miseria, benché opulenta». 
Il forum mondiale, organizzato da Slow Food 2008, ha ospitato a Torino e nel Piemonte, quasi 7000 delegati provenienti da 153 paesi. Indios amazzonici, inuit, biondi studenti quindicenni del Massachusetts che trasformano campi sportivi in orti biodinamici, e aizzano i loro coetanei senegalesi a fare altrettanto, pescatori scozzesi, sciamani aztechi, contadini filippini venuti per migliorare le propri tecniche di coltivazione, raccoglitrici giapponesi di riso «selvaggio», coltivatrici del Burkina Faso novelle Sankara impegnate nella conservazione delle sementi, perché nella biodiversità (e nella gandhiana decrescita dei consumi) si intravede un possibile rinascimento ambientale e un detour geopolitico rivoluzionario (il riformismo democratico non basta: infatti in platea è commosso, ma più che perplesso, il presidente Napoletano, con corazziere al fianco). 7000 storie «uniche» e simili, c'è da perdersi nella rete dei milioni di presidi verdi, organizzati ovunque, collettivamente o imposti dalla lucida follia di qualche passatista-futurista, tutti contributi per combattere le crisi ecologiche, climatiche, etiche e finanziarie che ci opprimono. 
Olmi si fa ipnotizzare, come mai, dal suo stesso, prelibato, populismo (attento però: in Carinzia i contadini amano la madre terra, e sono razzisti); annega nei ricordi della campagna lombarda di un tempo, ancora rispettosa di «qualcosa»; si eccita per le sensazioni differenti che i campi arati, le colture e i pascoli del mondo sprigionano, anche se si somigliano proprio tutti. 
E scioglie la briglia al suo sguardo «che non vacilla ma che ci insegna a perderci per trovare la nuova strada», come commenta-recensisce Carlo Petrini, presidente di Slow Food organizzatore del summit, ideatore e primo produttore del documentario (con la Cineteca di Bologna che proprio in questi giorni ha scelto il film per aprire il Film Festival Slow Food, e Itc movie). Un composito e slabbrato lavoro di imbastitura, tra documentazione del meeting, memoria e nostalgia dei filmini scolastici con le animazioni di flora e fauna al lavoro, un dibattito tra eco-esperti, il girato di varie troupe giovani della sua scuola di cinema, sguinzagliate per il mondo, musiche etno, anche launeddas, e la canzone Un albero di trenta piani dell'amico e rispettato collega regista Celentano, Omero Antonutti in voce fuori campo, testi poetici sugli «irriducibili» naif della coltivazione naturale. E dunque anche un brano da L'orto di Flora di Franco Piavoli, pioniere del «land Cinema». Olmi ritaglia gli interventi, e li sospende quando la lucidità dell'analisi politica comincia a coincidere troppo con quell'accerchiamento «della metropoli da parte della campagna» teorizzata da Lin Piao. Certo, Olmi non predica, semina. Manda una troupe in Norvegia, nelle artiche isole Svalbard, dove i ghiacciai conservano, in una sorta di «banca nature dei semi», la biodiversità e dà anche la parola agli euroburocrati, di cui si fida poco. Mentre Terra madre è una sorta di contro-Nazioni Unite senza barriere di lingue, divisioni di ideologie e religioni, né confini di stati, che organizza e dà la parola a contadini, pescatori, cuochi, allevatori, pastori, altri produttori artigianali dell'agroalimentazione, musicisti, studenti e professori universitari. 
Volti che si somigliano in ogni angolo del mondo e corpi che «resistono - afferma Olmi - all'incalzare di una delittuosa politica di sfruttamento esasperato e devastante di suoli fertili, unica risorsa per il cibo dei popoli».


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