Ora che è finita l&Mac226;ubriacatura, dei vincitori e dei vinti, si dovrebbe
iniziare a lavorare. Hamas dovrebbe formare il nuovo governo dell&Mac226;Autorità
Nazionale Palestinese. Fatah dovrebbe iniziare una autocritica e
ricostruire l&Mac226;organizzazione interna. Mentre le altre forze laiche e di
sinistra dovrebbero iniziare una profonda analisi della società palestinese
partendo dalla vittoria di Hamas.
La vittoria di Hamas in questa tornata elettorale non è solo una vittoria
della democrazia, ma è anche una vittoria della determinazione del popolo
palestinese a continuare la resistenza contro l&Mac226;occupazione israeliana. I
palestinesi hanno premiato la fermezza politica e sociali di Hamas. E hanno
messo in crisi i piani dei neocons del Amministrazione USA per il nuovo
Grande Medio Oriente, gia in gravi difficoltà in Iraq.
I palestinesi dopo aver sperato invano, per 13 anni, di poter vedere
realizzati i loro sogni di indipendenza e libertà, in uno stato sovrano
sulla loro terra, speravano ancora in uno Stato in grado di assicurare
lavoro, dignità e pace. Questo non è avvenuto. Al contrario, l&Mac226;esercito
di occupazione non si è mai fermato, nemmeno quando si è raggiunta una
tregua. Le forze armate e i servizi di sicurezza israeliani hanno
continuato e continuano tuttora con gli assassini mirati, la distruzione
delle case e della terra, alzando muri e ghettizzando i palestinesi, in una
politica che ha superato il regime di apartheid in Sud Africa. E come se
tutto questo non bastasse, sono aumentati i coloni e le colonie israeliani
nei territori palestinesi occupati in totale violazione di tutti gli
accordi firmati da Oslo in poi. Ciò ha indebolito e delegittimato l&Mac226;ANP.
Se si aggiunge a questa situazione il destino di nove mila prigionieri
politici nei carceri israeliani, il malgoverno, la povertà crescente e la
diffusa corruzione, allora forse potremmo capire il vero significato dei
risultati delle elezioni del 25 gennaio scorso. Fatah è stato sconfitto,
non solo per le divisioni al suo interno, ma anche per quella politica che
prevede una pace negoziata e l&Mac226;abbandono totale (come teorizzano Abu Mazen
e i firmatari del documento di Ginevra) della resistenza armata. La
mancanza di risultati di questa politica dipende anche da Israele che non
ha mai concesso nulla ai palestinesi ( se si esclude il ritiro obbligato da
Gaza avvenuto grazie alla resistenza). Ma anche il quartetto (Usa, Russia
ONU e UE) ha le sue responsabilità, perchè invece di fare pressione sul
governo israeliano e condurlo al rispetto degli accordi, si è appiattito
sulle posizione israeliane ed in particolare su un concetto veicolato
direttamente e sistematicamente dalle autorità israeliane: "la mancanza di
un partner palestinese con cui trattare, l&Mac226;ANP deve fare di più per
sradicare il terrorismo e disarmare i gruppi armati". Tutto ciò ignorando
la vera causa e la questione centrale che è l&Mac226;occupazione israeliana. I
paesi del Quartetto (ad esclusione degli USA) hanno volutamente limitato il
loro ruolo solo agli aiuti economici, importanti per la sopravivenza
dell&Mac226;ANP, ma che ora sono utilizzati come un'arma di ricatto e di pressione
contro i palestinesi e il futuro legittimo governo di Hamas.
Adesso che Hamas ha la maggioranza assoluta nel Consiglio Legislativo
Palestinese, dovrebbe avere l&Mac226;incarico per formare il nuovo governo,
l&Mac226;incognita è: su quale programma? Il sistema politico palestinese è un
sistema presidenziale, basato su un statuto fondamentale, che determina i
poteri del Presidente, del Capo del Governo e del Consiglio Legislativo.
L&Mac226;attuale situazione è molto delicata e contraddittoria: un presidente
eletto con un suo programma, ma che non ha la maggioranza in un CLP eletto
con il programma di Hamas. Il governo ha la gestione interna, polizia,
ministeri, mentre il presidente il controllo delle forze di sicurezza, la
politica estera e la trattativa con Israele e dovrebbe trovare una intesa
con il governo sulla sua gestione. In attesa dell&Mac226;incarico, Hamas
rifiutando i ricatti e le pressioni, in quanto inaccettabili ingerenze
negli affari interni palestinesi, manda diversi segnali di disponibilità ai
governi americano, israeliano e all&Mac226;Unione Europea: si può arrivare a una
lunga tregua di 10 / 15 anni se Israele si ritira dai territori
palestinesi occupati nel 1967, chiede a Israele di definire chiaramente i
suoi confini, e sulla distruzione di Israele risponde: ma è mai possibile
distruggere con le poche armi che abbiamo uno Stato che ha i caccia F16, e
200 testati nucleari? E ancora si rivolge all&Mac226;UE, garantendo che gli aiuti
economici non saranno usati per azioni armate, ma solo per il fabbisogno
della gente che lavoro nelle strutture dell&Mac226;Anp. Infine la disponibilità di
entrare a far parte dell&Mac226;OLP, rispettando tutti gli accordi stipulati e
di volere il partenariato politico, formando un governo di unità nazionale,
in particolare con Fatah. Ma quest'ultimo non ha dato ancora dato una
risposta ufficiale, in attesa di conoscere il programma di governo e le
decisioni dei vertici della stessa organizzazione, i quali stanno
esaminando e valutando i risultati elettorali e la situazione interna.
La formazione del nuovo governo ha bisogno di tempo, ed è una certezza che
sarà un governo forte sia se farà formato di Hamas da sola o sia con altri.
Il governo israeliano e quelli occidentali debbono rispettare la volontà
democratica del popolo palestinese emersa delle urne e trattare con esso.
Fatah dovrebbe continuare la preparazione del suo congresso generale, il
quale dovrebbe esaminare un lungo periodo di sperimentazione e di lotta:
a) in primis c'è l&Mac226;urgenza di distinguere Fatah dall'Olp e questi dall&Mac226;ANP,
in considerazione che l&Mac226;Organizzazione per la Liberazione della Palestina -
unico legittimo rappresentante del popolo palestinese - è il referente
dell&Mac226;ANP che rappresenta solo i palestinesi dentro i territori occupati.
2. b) c'è il problema di come riattivare le strutture dell&Mac226;OLP, in
modo di permettere a tutti i palestinesi della diaspora di eleggere i loro
rappresentanti, insieme a quelli già eletti nel CLP, nel Consiglio
Nazionale.
3. c) occorre esaminare tutti gli accordi firmati da Oslo in poi e
cercare l&Mac226;alternativa, in quanto questi accordi non sono riusciti a
realizzare le aspirazione del popolo palestinese.
4. d) c'è poi la questione di quale è il ruolo di Fatah dentro l&Mac226;OLP e
su quale programma politico. Un programma fondato sul solo negoziato oppure
a questo va affiancato la resistenza popolare, anche armata, come esercizio
del diritto al autodeterminazione contro una occupazione militare straniera?
5. riaffermare i diritti inalienabile del popolo palestinese al
ritorno sulla sua terra come è previsto nelle risoluzioni de Onu.
6. e) la lotta di liberazione palestinese, non ha niente a che fare con
il terrorismo, ed è parte essenziale della resistenza mondiale contro il
capitalismo e l&Mac226;imperialismo.
7. f) infine occorre rafforzare la democrazia interna eleggendo gli
organi decisionali di Fatah : Comitato Centrale e Consiglio Rivoluzionario.
Soprattutto occorre ritornare alle disposizioni di un grande
insegnante: le masse popolari, e attivare tutte le strutture per
riconquistarne la fiducia e la stima.
Oggi la questione palestinese sta attraversando una delicata fase di
grandi cambiamenti ed ha più bisogno che mai di essere sostenuta, da tutte
le forze di sinistra, progressiste, democratiche e laiche, come lotta di
liberazione nazionale, per uno Stato Palestinese laico e democratico,
subito. Ne hanno bisogno i prigionieri politici palestinesi nei carceri
israeliani, come Marwan Barghuoti e Ahmad Saadat nel carcere di
Jerico sotto "custodia" di soldati inglesi e americani, come tanti altri
meno noti di Hamas. Per affermare questa solidarietà con la Palestina
invitiamo tutti a partecipare alla manifestazione nazionale del 18
febbraio a Roma.
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