http://osservatorioglobalizzazione.it/ 21 maggio 2019
Coudenhove-Kalergi: il vero padre dell’Europa? – Il falso mito del «Piano Kalergi» di Lucio Mamone
Abbiamo il piacere di presentarvi la seconda puntata del dossier su Kalergi realizzato da Lucio Mamone. Buona lettura!
Le origini della teoria del “Piano Kalergi” Per meglio comprendere il contenuto e la consistenza intellettuale della teoria del «Piano Kalergi» è opportuno rilevare come la molteplicità di siti internet e personalità che ad esso si richiamano, hanno come pressoché unica fonte il libro «Razzismo legale? Il Terzo Reich degli Ebrei? Stop al piano Kalergi! Una petizione ai parlamenti tedeschi», pubblicato nel 2005 dal neonazista austriaco Gerd Honsik. Diciamo questo poiché, secondo quest’ultimo, a svelare il «Piano Kalergi» non sarebbe chissà quale documento segreto fortunatamente trafugato, come ad esempio si vorrebbe per «I Protocolli dei Savi di Sion», ma sarebbero gli stessi trattati di Kalergi a fornire candidamente i dettagli del “Piano”. Tuttavia, alla lettura delle opere citate da Honsik a sostegno della sua tesi, diventa chiaro che il «Piano Kalergi» è il semplice frutto dell’interpretazione erronea di qualche passaggio controverso, unita alla massiccia attribuzione a Kalergi di idee a lui estranee e spesso esplicitamente contraddette nelle sue opere. Ora, dal momento in cui anche coloro che vantano letture di prima mano dei testi di Kalergi, finiscono puntualmente per citare gli stessi passi citati da Honsik e, soprattutto, ripetono, qualora volessimo concedergli l’attenuante della buona fede, gli stessi errori di interpretazione commessi dal nostro, è ragionevole supporre che tali “pensatori indipendenti” non abbiamo in realtà conoscenza dei testi di Kalergi, ma si siano per lo più limitati a riciclare le tesi paranoidi messe in circolo con «Razzismo legale?».
I lineamenti del «Piano» Secondo Honsik e i suoi seguaci, il «Piano Kalergi» sarebbe un progetto per la creazione di un ordine mondiale dominato da un’aristocrazia giudaica del denaro. La prima fase del piano vorrebbe la sua realizzazione su scala europea, attraverso l’unificazione del continente in un’entità politica unica (la «Paneuropa» nel linguaggio di Kalergi, l’Unione Europea nella realtà storica), sperimentando in piccolo ciò che verrebbe poi esteso all’intero pianeta. Lo scopo ultimo del progetto consisterebbe nell’affermazione di «una razza ebraica di dominatori»1. La dimensione razziale però animerebbe il «Piano» per intero, dettando anche le modalità con cui i suoi obiettivi sarebbero da perseguire. L’esigua minoranza giudaica potrebbe infatti esercitare un dominio assoluto sulle masse dei gentili, solo se quest’ultimi fossero resi impotenti a seguito di una generale regressione verso l’istupidimento e la debolezza di carattere. Il modello antropologico dell’individuo «facilmente manovrabile»2 sarebbe individuato da Kalergi nell’uomo «meticcio (Mischling)», come dimostrerebbe il seguente passaggio tratto da «Idealismo pratico»: «La conseguenza è che il meticcio abbina spesso assenza di carattere, sfrenatezza, carenza di volontà, incostanza, assenza di pietà e di fedeltà con oggettività, versatilità, vivacità intellettuale, libertà dai pregiudizi e ampiezza di vedute»3. In «Razzismo legale?» questa affermazione viene così commentata dal sedicente Prof. Guido Raimund (in realtà rivelatosi essere Honsik stesso): «il “Conte” Kalergi vuole il subumano (Untermesch): attraverso il mescolamento razziale il padre fondatore dell’EU spera di creare un tipo di uomo dalla volontà debole e privo di carattere. Un moderno Doktor Frankenstein fu così scatenato sull’Occidente. E noi riconosciamo: dietro l’antisemitismo europeo si nascondono tremendi razzisti, massacratori di popoli sin dal principio»4. Capito dunque che attraverso il meticciato l’incontrovertibile asservimento dei gentili diverrebbe finalmente possibile, alle élite ebraiche non resterebbe che promuovere migrazioni di massa dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa così da cancellare l’identità e la pluralità, ribadiamo: etnica, dei popoli autoctoni a favore di un unico “uomo senza qualità”. La “pistola fumante” i sostenitori del «Piano Kalergi» la ritroverebbero nel passo di «Idealismo pratico» da loro più amato e citato: «L’uomo del lontano futuro sarà meticcio. Le odierne razze e classi cadranno vittime del crescente superamento dello spazio, del tempo e del pregiudizio. La razza euroasiatica-negroide del futuro, d’aspetto simile agli antichi Egizi, sostituirà la molteplicità dei popoli con la molteplicità delle personalità. (…) L’endogamia produce tipi caratteristici — l’incrocio produce personalità originali. Precursore dell’uomo unico del futuro è nella moderna Europa il Russo in quanto meticcio slavo-tataro-finnico; corrispondendo nel minor modo, tra tutti i popoli europei, ad una razza (am wenigsten Rasse hat), egli è il tipico uomo dalle molte anime con un’anima vasta, ricca, onnicomprensiva.»5 Va da sé che, se solo la sostituzione dei popoli europei con l’uomo meticcio potrebbe prevenire qualunque spirito di rivalsa nei gentili, solo il mantenimento del “sangue puro“ in seno all’élite giudaica la renderebbe capace di restare salda nella propria posizione di dominio. Per capire quanto c’è di vero nella lettura di Kalergi proposta da Honsik, proviamo a riporre in chiave schematica i tratti costitutivi del «Piano»: 1) polarizzazione della società in due classi rigidamente separate di governanti e governati 2) ruolo dirigente riservato ai soli Ebrei e fondato sulla supremazia della finanza 3) caratterizzazione razziale delle classi: ceto dominante ebraico di sangue puro e masse dominate di sangue misto 4) imbestialimento dei gentili come conseguenza del meticciato loro imposto. Bene, non un singolo punto dei quattro presentati può dirsi coerente con le idee promosse da Kalergi e dunque presente nei suoi scritti.
1. Il carattere aperto della nobiltà dello spirito Nonostante infatti Kalergi abbia enfaticamente difeso la funzione sociale della nobiltà e riconosciuto persino l’urgenza di ricostituire una nuova classe dirigente aristocratica come unico rimedio al declino accelerato dell’Europa e dell’Occidente, il suo ideale aristocratico vorrebbe tuttavia passare attraverso il superamento del carattere classista ed ereditario sul quale le famiglie nobili del passato avevano legittimato la propria supremazia. Kalergi dunque da un lato propone un ceto aristocratico, non a caso da lui definito come «nobiltà del caso» («Zufallsadel»6), costituito da quegli individui che di volta in volta farebbero mostra di qualità straordinarie e che dunque perderebbe qualunque connotazione di classe; d’altro lato immagina anche questa nuova «aristocrazia dello spirito» non come investita da particolari privilegi giuridici o ideologicamente separata dalla società, ma come una sorta di corpo d’élite di figure a metà tra i leader carismatici della rivoluzione e degli scrupolosi funzionari7. Nella visione di Kalergi un’aristocrazia così formata verrebbe spontaneamente riconosciuta dalle masse in virtù delle sue qualità e del suo spirito di abnegazione. Persino lo spesso contestato passaggio sull’eugenetica ha contenuto esattamente opposto a quello che Honsik vorrebbe leggervi, esprimendo cioè l’aspettativa fortemente ottimistica che, in un’ideale società del futuro, gli uomini e le donne migliori si attraggano reciprocamente per “affinità elettiva” senza quindi il bisogno dell’intervento coattivo di alcuna norma culturale o autorità politica8. In «Idealismo pratico», per quanto il testo possa essere sprezzante verso la democrazia, non c’è dunque spazio, al di là di ogni ragionevole dubbio, per qualsivoglia gerarchia sociale violenta e pietrificata.
2. Il mescolamento tra ebraismo e nobiltà Per quanto concerne la supposta identità ebraica dei futuri dominatori europei, la teoria del «Piano Kalergi» trova la sua forza nelle prese di posizione filo-ebraiche ripetutamente espresse da Kalergi nelle pagine di «Idealismo pratico». Anche in questo caso, però, l’interpretazione data da Honsik e seguaci rimane credibile solo prescindendo da una lettura integrale del testo. Al ruolo degli Ebrei nelle sorti dell’Europa Kalergi dedica il capitolo intitolato, appunto, «Ebraismo e nobiltà del futuro», dove esordisce affermando: «Principali esponenti della nobiltà del cervello corrotta come di quella sana: del capitalismo, del giornalismo e della letteratura sono gli Ebrei. La superiorità del loro spirito li predestina a principale fattore della nobiltà futura.»9Già da queste prime battute si evince come la considerazione di Kalergi verso gli Ebrei è sì considerevole, ma certamente non unilaterale. Egli riconosce certamente in questo popolo delle qualità straordinarie che se da una parte potrebbero fornire un contributo unico nella lotta per l’emancipazione dell’umanità, dall’altra lo rendono responsabile di buona parte dell’attuale sventura10. Il giudizio di valore complessivo, che pur prende le mosse dalla constatazione circa la superiorità intellettuale degli Ebrei, si rivela “a somma zero”, dove meriti, potenzialità, rischi e colpe finiscono sostanzialmente per controbilanciarsi. Più che come incondizionata ammirazione, esso può quindi essere riassunto dal motto: «Dove c’è molta luce, ci sono molte ombre»11. Peraltro, come spesso avviene in Kalergi, i punti di forza che contraddistinguono gli Ebrei, quali intelligenza e idealismo, si ritrovano contrapposti ad altrettanti peculiari punti di debolezza, quali fragilità fisico-nervosa e atteggiamento servile12 Non lasciandosi dunque fuorviare dai preconcetti interessati della vulgata honsikiana, si comprende facilmente comel’argomento di Kalergi non conduca verso un dominio giudaico sul continente, quanto piuttosto all’auspicio che la consistente componente ebraica della classe dirigente occidentale comprenda la necessità di solidarizzare e mescolarsi con l’aristocrazia non ebraica, di spada o di spirito che sia, accogliendone gli ideali etici ed estetici, e che questa faccia altrettanto, liberandosi da qualunque tentazione antisemita: «Non solo gli Ebrei migreranno in direzione dell’ideale aristocratico occidentale – anche la nobiltà conoscerà una sua migrazione, che li porterà ad incontrare gli Ebrei a metà cammino»13. Priva del benché minimo fondamento è invece la caratterizzazione del sistema di potere propugnato da Kalergi come fondato sul dominio della finanza. All’esatto contrario, in «Idealismo pratico» non si manca di sottolineare come l’ampia autorità di cui la finanza nell’Europa post-bellica dispone, sia il segno inequivocabile della fase di decadenza di quest’ultima14. Del resto, un personaggio come Kalergi, socialmente e ideologicamente così legato alla classe aristocratica, non poteva che scorgere nella finanza un volgare strumento di quel potere borghese da lui profondamente avversato e disprezzato. Il modello di società assai vagamente evocato in «Idealismo pratico» avrebbe dunque fra i suoi scopi proprio quello di ricondurre il potere economico in una posizione, sotto ogni punto di vista, subordinata rispetto alle professioni e attività ideali, fra le quali vengono annoverate non solo la politica, ma anche l’arte, l’educazione e la medicina15.
3. La necessità del meticciato per la nobiltà futura Altrettanto arduo si rivela lo sforzo di rintracciare dei passaggi nelle opere di Kalergi che suffraghino l’ipotesi di una separazione razziale tra dominanti, di sangue puro, e dominati, di sangue misto. Anche stavolta il testo ci restituisce un quadro per lo più di segno opposto: «L’uomo aristocratico del futuro non sarà né feudale, né ebreo, né borghese né proletario; egli sarà sintetico. Le razze e le classi nel senso odierno scompariranno, rimarranno le personalità.»16 Alquanto sintomatico ai fini del nostro discorso si rivela il fatto che, nel passo appena citato, Kalergi utilizzi una formulazione («Le razze e le classi nel senso odierno scompariranno, rimarranno le personalità») assai simile a quella utilizzata nel passaggio che la vulgata honsikiana ha elevato a propria bandiera («La razza euroasiatica-negroide del futuro, d’aspetto simile agli antichi Egizi, sostituirà la molteplicità dei popoli con la molteplicità delle personalità»), a riprova di come il medesimo fenomeno riscontrato da Kalergi a livello generale, ossia il mescolamento etnico-culturale ed il superamento delle identità tradizionali, sia poi da lui previsto, ed in un certo senso prescritto, anche nel processo di formazione della futura nobiltà dello spirito. Persino la predestinazione degli Ebrei all’eccellenza nei campi più svariati non deriva dal mantenimento di un sangue puro, ma dall’aver saputo coniugare, nel corso della storia, consanguineità e meticciato17.
4. Meticciato come forza e debolezza Diventa a questo punto intuibile come anche l’ultimo presupposto della teoria del «Piano Kalergi», che vedrebbe nelle migrazioni di massa e il conseguente mescolamento razziale un fattore di imbestialimento dei popoli europei, viene a cadere. Se infatti, come abbiamo visto, il meticciato riguarda la società nel suo insieme e se, anche quando il testo si riferisce ad un ceto sociale specifico, questo non è il gruppo dei governati, ma l’élite dirigente, non si capisce davvero come lo stesso meticciato possa essere portatore, secondo Kalergi, di effetti puramente negativi. In secondo luogo è il caso di segnalare, in riferimento al supposto ricorso alla sostituzione etnica per ammansire le indocili masse lavoratrici, che l’espressione «facilmente manovrabili (leicht lenkbar)», riferita secondo Honsik ai meticci e messa da lui tra virgolette a volerne così sottintendere una citazione letterale da «Idealismo pratico»18, non ricorre in quest’ultimo una singola volta, neanche in un contesto completamente diverso rispetto alla trattazione sugli effetti del mescolamento etnico; il tutto fa ragionevolmente supporre che tale espressione non abbia come fonte Kalergi, ma Honsik (del resto, cosa aspettarsi da chi attribuisce le proprie considerazioni ad un inesistente Prof. Guido Raimund? Sarebbe auspicabile che provassero a rispondere a questa e a simili domande tutti quegli intellettuali che, nonostante portino sui di sé la responsabilità della loro fama, hanno dato credito e risonanza ad una patacca come il «Piano Kalergi»). Se vogliamo invece comprendere che tipo di considerazione Kalergi nutra realmente verso i meticci, è probabilmente sufficiente rileggere uno dei passaggi incriminati, che dunque riproponiamo: «La conseguenza è che il meticcio abbina spesso assenza di carattere, sfrenatezza, carenza di volontà, incostanza, assenza di pietà e di fedeltà con oggettività, versatilità, vivacità intellettuale, libertà dai pregiudizi e ampiezza di vedute»19. Qui si vede bene come non si vuole procedere ad una denigrazione verso il meticcio, quanto piuttosto ad un’elencazione delle sue caratteristiche negative (assenza di carattere, sfrenatezza, ecc.) e positive (oggettività, versatilità, ecc.). L’immagine che viene fuori da queste righe è dunque quella di un individuo sì debole nel carattere, ma dall’intelligenza spiccata, che dunque in nessun modo si confà al «subumano» honsikiano. La controprova di ciò la si ritrova nella descrizione del complementare uomo “di sangue puro”, anch’esso presentato come figura esemplare di una serie di pregi e difetti: «I tratti essenziali, derivanti da questa consanguineità, sono: fedeltà, pietà, senso della famiglia, spirito di casta, fermezza, ostinatezza, energia, limitatezza; forza del pregiudizio, mancanza di obiettività, ristrettezza di orizzonti»20. Che il meticcio possa in definitiva rappresentare tanto un’evoluzione quanto una degenerazione rispetto ai predecessori di sangue puro, lo scrive del resto in forma esplicita Kalergi stesso, permettendo così di abbandonare oltre ogni ragionevole dubbio la lettura honsikiana: «I meticci si differenziano costantemente da genitori ed avi; ogni generazione è una variazione della precedente, o in senso evolutivo o degenerativo»21.
Un giudizio conclusivo sulla teoria del «Piano Kalergi»: la miseria del neofascismo Siamo ora in grado di tracciare un bilancio complessivo, e sufficientemente ponderato, sul «Piano Kalergi». Tale teoria si rivela affatto inconsistente non solo perché, come abbiamo visto, i suoi singoli presupposti non trovano fondamento nei testi di Kalergi, ma anche perché a mancare in questi ultimi è proprio l’intento generale di elaborare un “piano”: per quanto potrebbe riguardare una teoria trasformativa della società, non si trova nulla che vada al di là di generiche previsioni, di enfatiche petizioni di principio e di proposte assai vaghe; nulla che potrebbe corrispondere, ad esempio, ad un nuova forma di rapporti sociali, ad un’inedita concezione del diritto, ad una riorganizzazione dello stato ecc. Se proprio vogliamo scorgere in «Idealismo pratico», o altrove, una forma di progettualità sociale, essa non riguarda la società nel suo complesso, ma più limitatamente la questione circa la rigenerazione dell’aristocrazia (ed anche in questo caso particolare non riesce a sottrarsi ad una sostanziale vaghezza). Naturalmente un discorso diverso vale se ci spostiamo dal piano politico-sociale a quello politico-internazionale: Paneuropa, ossia l’idea promossa da Kalergi per una federazione degli stati europei, possiede di certo tutti gli elementi di un “progetto”, compresi un soggetto ed una prassi di riferimento. Anche questo fatto non dà tuttavia maggior credito alla teoria del «Piano», visto che quest’ultima vorrebbe la questione europea subordinata alla volontà di trasformazione della società, mentre invece la costituzione di Paneuropa non avrebbe né presupposto né prodotto, quantomeno immediatamente, questa trasformazione. Per comprendere dunque l’essenza del «Piano Kalergi» dobbiamo abbandonare il terreno del dibattito intellettuale, avendo a che fare con nient’altro che l’ennesima variante dell’insopportabile vittimismo neonazista e neofascista, di un parlare da pecora in tempi sfavorevoli, rinnegando di fronte all’opinione pubblica la propria identità politica e attribuendo ai nemici i contenuti della propria prassi. Per accorgersi di questo basta leggere le primissime righe della fatica di Honsik: «Pochi sanno che il più potente razzista del ventesimo secolo non si chiama Hitler, ma Conte Coudenhove-Kalergi»22. Insomma, uno stucchevole sforzo mistificatore per lasciare intendere che il razzismo nazista è stata la risposta più conseguente e appropriata all’originario razzismo cosmopolita di Ebrei e antifascisti, ossia il «più terrificante di tutti»23.
La presenza del razzismo in Kalergi Vale ancora la pena porre la questione sul come e il perché la teoria del «Piano Kalergi» possa risultare credibile agli occhi di un lettore di oggi. Il primo motivo ha probabilmente a che fare con Kalergi stesso e riguarda ciò che potremmo definire il suo “dilettantismo aristocratico”. In questo senso Kalergi condivide quell’abito mentale e comportamentale, ancora diffuso tra la nobiltà europea del ‘900, grandiosamente esemplificato dalla figura di Lord Darlington in «Quel che resta del giorno». Convinto della missione e predisposizione morale, politica ed intellettuale che il suo ceto avrebbe per la guida della società, Kalergi cerca di mostrare padronanza di tutte le tematiche discusse nei circoli culturali del suo tempo, arrischiandosi nella messa in relazione dei più diversi campi della realtà e del sapere. Il risultato è spesso un miscuglio di determinismo biologico o, addirittura, climatologico e storicismo, di moralismo e scientismo, che, salvo qualche intuizione effettivamente considerevole, colpisce più per la sua stravaganza che per la sua acutezza. Non è dunque difficile estrapolare dei passaggi, dove biologia, sociologia e storia delle religioni sono sovrapposte l’una all’altra, in grado di suscitare non solo sorpresa, ma, soprattutto alla luce dell’esperienza storica acquisita, qualche perturbante sospetto. Ciò ci conduce ad un secondo motivo e questione: Kalergi era razzista? Sostanzialmente, sì. Lo era in una forma tutto sommato originale per una società in cui era convintamente razzista la quasi totalità della nobiltà e della borghesia, della propaganda nazionalista e della cultura liberale, al punto che, negli ultimi anni dell’ ‘800, un autore come Houston Stewart Chamberlain riscuoteva il suo successo nel dire che il XIX secolo è stato «un secolo delle razze e per giunta ciò è innanzitutto una conseguenza necessaria e immediata della scienza e del pensiero scientifico. (…) In opposizione alle certamente molto nobili idee di affratellamento universale del XVIII secolo, trasudate dal puro sentimentalismo e nelle quali i socialisti con ritardo ancora oggi arrancano, si è sollevata a poco a poco la dura realtà come esito necessario degli eventi e delle ricerche del nostro tempo»24. Kalergi era razzista innanzitutto nel senso che, non essendo socialista, parlava la “lingua del tempo”, la quale aveva a sua volta nella parola «razza» uno delle sue categorie fondamentali attraverso cui spiegare un gran numero di fenomeni o anche solo esprimere diversi concetti. Ma ciò significa anche che, quando Kalergi parla ad esempio di «razza di nobili (Adelsrasse)»25, utilizza talvolta l’espressione nel senso ben più innocuo di “tipologia di nobili” e non di gruppo etnicamente distinto. Detto ciò, è altrettanto evidente che, in un senso più stretto, Kalergi credesse nell’esistenza delle razze26 e, probabilmente, in una certa gerarchia fra esse, per quanto sia poi piuttosto difficile ricostruire, partendo dai testi, una teoria stabile e coerente circa le razze e la loro interazione. Senza dunque pretesa di sistematicità, perché essa manca anzitutto nel nostro oggetto di studio, possiamo comunque riconoscere in Kalergi, rispetto alla questione razziale, un orientamento che oscilla moderatamente fra posizioni, allora, conservatrici e progressiste. Nel primo senso è certamente indicativo il fatto che Kalergi non metta in alcun modo in discussione l’assetto imperialistico del mondo ed accetti nel modo più spontaneo e pacifico lo status di colonia per l’intero continente africano. Ciò fa il paio con la riproposizione in Kalergi della mitologia sul «fardello dell’uomo bianco» e quindi con l’investitura della razza bianca a principale agente della civilizzazione e della storia. In senso progressista sono invece da leggere la sua incredulità su una diversità razziale intra-europea27, cosa nient’affatto scontata per l’epoca, o la sua avversione al tabù del mescolamento etnico. Se dunque il discorso di Kalergi sulle razze può sembrare sospetto, è solo perché l’Occidente ha successivamente messo in atto un gigantesco processo ideologico di sublimazione del proprio passato, rimuovendo così, dalla coscienza dei più, quanto il razzismo sia stato esperienza quotidiana. Leggendo Kalergi non ritroviamo quindi un visionario detentore di un sapere esoterico, ma al contrario una figura intellettuale che può risultare oggi perturbante proprio quando si appiattisce sui pregiudizi tipici del suo tempo. È tuttavia proprio da questa sua esemplarità da esponente della classe dirigente europea del primo Novecento che emerge un primo elemento di interesse verso Kalergi, purché a questo interesse corrisponda ben altra prospettiva e soprattutto ben altro rigore intellettuale rispetto alla vulgata honsikiana. E, naturalmente, un’autentica lettura dei testi.
Note
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