http://lepersoneeladignita.corriere.it 6 marzo 2019
Danimarca: una pervasiva “cultura dello stupro”, tra leggi antiquate e pregiudizi
La reputazione della Danimarca di essere uno stato-modello per quanto riguarda l’uguaglianza di genere è stata messa in forte discussione da un rapporto pubblicato ieri da Amnesty International.
La Danimarca, si legge nel rapporto, detiene uno dei più alti livello di stupro in Europa e, grazie a leggi inadeguate e miti e stereotipi di genere diffusi e pericolosi, di impunità pressoché endemica per gli stupratori. Nonostante il governo abbia recentemente cercato di migliorare l’accesso alla giustizia per le sopravvissute, lo stupro in Danimarca è ampiamente sotto-denunciato e anche quando una donna presenta denuncia alla polizia, le possibilità di un’indagine o di una condanna sono molto esili. Delle donne che, nel 2017, sono state stuprate o soggette a un tentato stupro (da 5100 per il ministero della Giustizia fino a 24.000 secondo un recente studio), solo 890 si sono presentate alla polizia: 535 denunce hanno dato luogo a indagini e solo 94 a condanne. Alla base di questo basso livello di condanne vi sono pregiudizi profondamente radicati all’interno del sistema giudiziario, la mancanza di fiducia nella giustizia, il timore di non essere credute e il senso di auto-colpevolizzazione. La ricerca di Amnesty International, basata su 18 interviste a donne e ragazze di età superiore a 15 anni che hanno vissuto l’esperienza dello stupro e su incontri con Ong, esperti e autorità, ha rivelato che l’esperienza della denuncia e degli eventi successivi è immensamente traumatizzante. Molte donne vengono affrontate con atteggiamenti minimizzanti, pregiudizio e attribuzione della colpa. La paura di non essere credute e addirittura di essere incolpate da parte degli agenti di polizia e dei rappresentanti della giustizia è tra le prime ragioni per cui non viene denunciato lo stupro. Anche in presenza di Linee-guida per la polizia nazionale sulla gestione dei casi di stupro, il comportamento degli agenti di polizia non le rispetta e spesso è al di sotto tanto delle Linee-guida quanto degli standard internazionali. A peggiorare le cose, la legislazione danese non definisce lo stupro sulla base dell’assenza del consenso ma sulla presenza di violenza fisica, di minacce o coercizione o sull’impossibilità per la vittima di opporre resistenza. Sono solo otto gli stati europei (Belgio, Cipro, Germania, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Regno Unito e Svezia) che hanno leggi sullo stupro basate sul consenso. La presunzione, secondo la legge e la prassi, che una vittima abbia dato il consenso perché non aveva fatto resistenza fisica è profondamente problematica dato che la “paralisi involontaria” o il “raggelamento” sono secondo gli esperti reazioni fisiche e psicologiche assai comuni di fronte a un’aggressione sessuale. Porre l’attenzione sulla resistenza e sulla violenza anziché sul consenso ha conseguenze non solo sulla denuncia di uno stupro ma anche sulla più ampia consapevolezza della violenza sessuale: in entrambi i casi si tratta di aspetti-chiave nella prevenzione dello stupro e nel contrasto all’impunità. Il governo danese ha istituito di recente un gruppo di esperti per raccomandare iniziative che aiutino le sopravvissute allo stupro a ricevere sostegno e trattamento professionale adeguati quando affrontano il sistema giudiziario. Amnesty International ha apprezzato questo gesto ma ritiene che il governo debba assumere iniziative più coraggiose e modificare la legislazione in modo che sia basata sul consenso. Sebbene emendare l’attuale legge sarebbe un passo avanti fondamentaleper cambiare le abitudini e ottenere giustizia, occorre molto altro per cambiare davvero le cose dal punto di vista sociale e istituzionale. Le autorità devono assumere iniziative di legge per assicurare che i miti e gli stereotipi di genere sullo stupro siano contrastati a ogni livello della società e che gli operatori professionali che lavorano con le sopravvissute allo stupro ricevano formazione adeguata e continua nel tempo. Inoltre, occorrono programmi di educazione sessuale e accrescimento della consapevolezza già nell’età giovanile. Di questo, nelle scuole, è necessario parlare.
Aggiornamento: il ministro della Giustizia ha reagito positivamente alla richiesta di Amnesty International!
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