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sabato 25 agosto 2018

 

“Conigli bianchi”

di Leonora Carrington

 

Un racconto surreale come tutta la produzione artistica di Leonora Carrington, la più importante artista donna del movimento surrealista

Leonora Carrington, nata a Lancaster nel 1917, è stata una scrittrice e pittrice britannica, anche se gran parte della sua produzione appartiene al lunghissimo periodo, quasi settant’anni, passati a Città del Messico, dove è morta nel 2011.

 

L’età giovane la trascorse in Francia dove prese parte al movimento surrealista e si impegnò in un’attiva collaborazione con il Kunsler Bund, movimento clandestino di intellettuali antifascisti. Ebbe una tormentata relazione con Max Ernst. Dopo l’occupazione nazista in Francia, Ernst fu arrestato dalla Gestapo, Leonora costretta a fuggire in Spagna dove, a causa di un depressione, fece la terribile esperienza di diversi ricoveri psichiatrici, esperienza da cui ha tratto un libro tradotto anche in Italiano, “Giù in fondo”. Nel 1939 Leonora Carrington si trasferì definitivamente in Messico dove intrecciò legami con molti surrealisti in esilio, e dove morì all’età di 94 anni. Nella foto Leonora Carrington a Saint Martin d’Ardèche nel 1938

“Conigli bianchi” è un racconto surreale, che rispecchia in pieno il suo esprimersi anche nella pittura.

 

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Conigli bianchi

di Leonora Carrington

traduzione di Marina Zenobio

 

E’ arrivato il momento di raccontare gli avvenimenti iniziati al numero 40 di Pest Street. Sembrava come se le case, di un nero rossastro, fossero risorte misteriosamente dall’incendio di Londra. L’edificio di fronte la mia finestra, ricoperto da fasci di rampicanti, aveva l’aspetto nero e vuoto di una abitazione colpita dalla peste e laccata da fiamme e fumo. Non era così che avevo immaginato New York.

Faceva un tale caldo da avere le palpitazioni se mi azzardavo a fare un giro per strada, così rimasi seduta contemplando la casa di fronte, rinfrescandomi di tanto in tanto il viso madido di sudore.

In Pest Street la luce non era mai forte. C’era sempre una reminiscenza di fumo che rendeva torbida e nebbiosa la visuale. Tuttavia era possibile esaminare la casa di fronte nei dettagli, addirittura con precisione. Oltretutto io ho sempre avuto una vista eccellente.

Ho passato giornate intere a tentare di scoprire un qualche movimento ma niente, e alla fine ho iniziato a spogliarmi con totale non curanza davanti la finestra aperta e a fare sani esercizi di respirazione nell’aria densa di Pest Street. Probabilmente è questo che mi ha lasciato i polmoni così neri, come le case.

Un pomeriggio, dopo aver lavato i capelli, mi sedetti sul quel piccolo arco di pietra che una volta era un balcone, per asciugarli. Appoggiata la testa tra le ginocchia riuscii a osservare una mosca che succhiava il cadavere di un ragno vicino ai miei piedi. Alzai gli occhi, guardai attraverso i miei lunghi capelli e vidi qualcosa di nero nel cielo, di un silenzio inquietante per essere un aereo. Scansai i capelli in tempo per vedere scendere un grande corvo sul balcone della casa di fronte. Si posò sulla balaustra e guardò la finestra vuota. Poi scosse la testa sotto un’ala, forse alla ricerca di qualche pidocchio. Qualche minuto dopo non fui troppo sorpresa di vedere aprirsi le doppie imposte e una donna sporgersi dal balcone. Portava un grande piatto di ossa che vuotò per terra. Con un breve gracidio di ringraziamento il corvo saltò a terra e si mise a rovistare tra il suo disgustoso pranzo.

La donna, che aveva dei capelli neri lunghissimi, li utilizzò per pure il piatto. Dopo mi guardò direttamente e sorrise in maniera amicale. Io le sorrisi a mia volta e agitai un asciugamano. Questo l’animò, gettò la testa indietro con civetteria e mi dedicò un elegante saluto, come si fa ad una regina.

– Ha un po’ di carne andata a male che non le serve? – mi gridò.

– Un po’ di cosa? – gridai io, chiedendomi se l’udito mi avesse ingannata.

– Di carne andata a male. Carne in decomposizione.

– In questo momento no – risposi, chiedendomi se non si stesse prendendo gioco di me.

– E ce l’avrà per il fine settimana? Se sì la ringrazierei immensamente se me la portasse.

Dopo di che rientrò e sparì. Il corvo si alzò in volo.

La curiosità per la casa e la sua occupante mi spinse, all’indomani, a comprare un grande pezzo di carne. Lo misi sul balcone sopra un giornale e aspettai. In un tempo relativamente breve l’odore si fece così forte da obbligarmi a fare le faccende quotidiani con il naso ben tappato. Ogni tanto scendevo in strada a respirare.

Verso la notte di giovedì notai che la carne stava cambiando colore così che, cacciando via una nube di mosche rancorose, la buttai nella mia borsa a rete e mi diressi alla casa di fronte. Notai che mentre scendevo le scale la padrona di casa sembrò evitarmi.

Mi ci volle un po’ a trovare il portone. Era nascosto sotto una cascata di qualcosa, e dava l’impressione che nessuno ne era uscito né entrato da anni. Il campanello era di quelli antichi, di quelli che devi tirare e nel farlo, con più forza delle mie intenzioni, rimasi con il pomello in mano. Diedi un colpo irritato alla porta e si sfondò, lasciando uscire un orribile odore di carne putrida. La mobilia della sala da pranzo, quasi al buio, sembrava di legno intagliato.

La donna scese, sussurrando, con una torcia nella mano.

– Come sta? Come sta? – mormorò cerimoniosa, e mi sorprese osservare che indossava un bellissimo e antico vestito di seta verde. Però avvicinandosi vidi che aveva la carnagione bianchissima e brillava come se fosse stata cosparsa di mille piccole stelle.

– Lei è molto gentile – proseguì prendendomi per un braccio con la sua mano scintillante -. Non sa come saranno contenti i miei poveri coniglietti.

Salimmo. La mia compagna prestava molta attenzione nel camminare, come se avesse paura.

L’ultima rampa di scale conduceva ad una alcova decorata con mobili scuri, barocchi, tappezzati di rosso. Il pavimento era cosparso di ossa rosicchiate e teschi di animali.

– Abbiamo davvero pochissime visite – sorrise la donna -, così che tutti sono corsi a nascondersi nei loro piccoli nascondigli.

Lanciò un fischio delicato e, paralizzata, vidi uscire cautamente un centinaio di conigli bianchi da ogni angolo, con i loro grandi occhi rosa fiammanti fissi su di lei.

– Venite belli, venite! – canticchiò mettendo la mano nella mia borsa a rete e tirando fuori un pezzo di carne putrida.

Con profondo disgusto mi appartai ad un angolo e la vidi lanciare quella carogna ai conigli che lottarono come lupi per averne un pezzo.

– Uno finisce con l’affezionarsi a loro – proseguì la donna -. Ognuno ha le sue piccoli abitudini. La sorprenderebbe sapere quanto sono egoisti i conigli.

I conigli lacerarono la carne con i loro affilati denti.

– Certo, ogni tanto ce ne mangiamo uno. Mio marito fa uno stufato di coniglio saporitissimo, ogni sabato a cena.

Poi un movimento in uno degli angoli della stanza attrasse la mia attenzione, e mi resi conto che c’era una terza persona. Quando la luce della torcia illuminò il viso vidi che la carnagione era brillante come quella della donna, come orpelli su un albero di Natale. Era un uomo e indossava una tunica rossa, seduto rigido ci dava il suo profilo. Non sembrava si fosse accorto della nostra presenza, né del grande coniglio maschio che aveva sulle ginocchia e che masticava un pezzo di carne.

La donna seguì il mio sguardo e ridacchiò.

– Lui è mio marito. I ragazzi lo chiamano Lazzaro…

Al suono di questo nome, familiare, l’uomo girò il viso verso di noi e vidi che una benda gli copriva gli occhi.

– Ethel? – chiese con voce debolissima – Non voglio ospiti qui. Sai bene che l’ho proibito.

– Dai Laz, non cominciare – la sua voce era querula -, non puoi togliermi una po’ di compagnia. Sono più di vent’anni che non vedevo una faccia nuova. Inoltre ha portato carne per i nostri conigli.

La donna si voltò e mi fece segno di andare dalla sua parte.

– Vuole fermarsi con noi? Sì? – All’improvviso ebbi paura e voglia di andarmene, di scappare da queste persone terribili e argentate e dai loro carnivori conigli bianchi.

– Credo sia meglio che me ne vada, è ora di cenare.

L’uomo sulla sedia fece una risata stridula terrorizzando il coniglio che aveva sulle ginocchia, il qualche salto e scomparve.

La donna avvicinò così tanto la sua faccia alla mia da temere che il suo alito nauseabondo mi avrebbe narcotizzata.

– Non vuole fermarsi ed essere come noi? In sette anni la sua pelle si trasformerà come le stelle, sette anni solo, e avrà la malattia sacra della Bibbia, la lebbra!

Iniziai a correre singhiozzando, affogata nel terrore. Quando arrivai davanti la porta di casa una curiosità malsana mi fece guardare indietro e vidi che la donna, sulla balaustra, alzava la mano a mo’ di saluto. E nell’agitarla le sue dita si staccarono e caddero al suolo, come stelle cadenti.