https://ilmanifesto.it 12.08.2018
La trama e l’ordito, un’estate a Capri di Claudio Vercelli
Il filosofo Walter Benjamin e la regista d’avanguardia Asja Lacis si incontrarono nel 1924 sull'isola: la seduzione cominciò con una manciata di mandorle
Era un tempo inedito, quello che il filosofo Walter Benjamin e la regista Asja Lacis condivisero. Il tempo dell’avvento rivoluzionario e della sperimentazione, che rompe i registri del passato e porta verso un qualche orizzonte a venire, ancora indefinito. Ma all’estroflessione dell’impegno intellettuale, inteso come una dimensione che coincide integralmente con la propria esistenza, corrisponde, molto spesso, la difficoltà di fare i conti con lo stato delle proprie emozioni.
ASJA LACIS ERA NATA in Lettonia nel 1891. Aveva vissuto nella sua prima maturità il lungo processo rivoluzionario che aveva investo la Russia, aderendovi ed impegnandosi soprattutto attraverso il teatro d’avanguardia, di cui è stata un’esponente durante tutta la sua esistenza, fino alla morte avvenuta nel 1979. Walter Benjamin è invece così universalmente noto, come pensatore e studioso, da non potere essere racchiuso nella descrizione offerta da poche parole.
Lacis era giunta sull’isola con il compagno, il drammaturgo Bernhard Reich e la figlia Daga, per curare di quest’ultima i postumi di una brutta polmonite. Benjamin aveva invece lasciato la Germania alla ricerca di un po’ di serenità e, come da sua abitudine, d’ispirazioni. Il matrimonio traballante con Dora Keller e le difficoltà economiche famigliari lo opprimevano. Inoltre, stava lavorando a quella complessa architettura del sapere che sarà la tesi dottorale su il «dramma barocco tedesco», con la quale confidava di ottenere la libera docenza universitaria. Gli varrà, a conti fatti, la fama di autore criptico, enciclopedico e abrasivo. Ma questo è già parte di un altro discorso.
GLI SPAZI in cui si consuma questa passione, tanto condivisa quanto trattenuta, sono strategici. Benjamin, all’epoca trentenne, aveva già del tutto consolidato la sua indole di flâneur che, attraversando le strade e i luoghi della sua epoca, cerca negli acciottolati e nei muri la trama e l’ordito del tempo perduto e di quello a venire. A Capri era arrivato già a maggio, per poi condurre un’esistenza in sintonia con la sua indole, piena di suggestioni non meno che disordinata: «spesso a mezzogiorno non mangiava nulla o al massimo una tavoletta di cioccolata. Un giorno arrivò tutto allegro dicendo: ’Finalmente ho trovato un alloggio stupendo, venga a vederlo’. Con mia meraviglia l’alloggio somigliava a una caverna in una giungla di grappoli d’uva e di rose selvatiche».
LACIS È AVVINTA ma non del tutto posseduta dal filosofo. Al pari di altre donne che lo conobbero, è mite attratta dalla sua veracità intellettuale ma gli contesta le passioni che giudica anacronistiche e l’apparente assenza di pragmatismo. Nell’uno e nell’altro caso cerca di portarlo sul piano dell’estetica materialista, pensando che un «bagno di realtà» possa essergli più che utile. Anche per mettere un po’ di ordine nella sua vita ondivaga.
BENJAMIN NE È ATTRATTO, ma mai le cederà completamente. Non almeno su questo piano inclinato. E lei, che a distanza di tempo riconobbe come il suo interlocutore «avesse sagacemente intuito i problemi formali moderni», sarà però anche giudice impietosa quando, sempre sul dramma barocco, affermerà che «a Capri mi raccontava che il suo studio aveva grande importanza per la sua carriera. Oggi, rileggendo il libro, mi accorgo di quanto Walter fosse ingenuo. Benché lo scritto appaia assai accademico, infiorato di citazioni erudite anche in francese e latino, e prenda in esame un materiale enorme, è tuttavia del tutto evidente che è stato scritto non da un erudito, bensì da un poeta innamorato della lingua che si serve di iperboli per comporre uno splendido aforisma». La regista, invece, gli rimprovera che «la strada di un individuo progressista che ragioni normalmente conduce a Mosca, non alla Palestina». In queste baruffe chiozzotte, che dietro le cortesie raccontano placidamente delle asperità del tempo, Asja e Walter trovano un terreno d’elezione nello sguardo. In quelle circostanze, passando per Napoli, condividono la metafora della città porosa, scrivendone insieme per la Frankfurter Zeitung: «struttura e azione trapassano l’una nell’altra in cortili, arcate, scale», dilatando gli spazi, le funzioni e le identità, quindi sovrapponendole, divaricandole e riannodandole. «Gli edifici sono utilizzati come palcoscenici popolari».
L’ESPERIENZA dell’urbanità meridionale sembra un calco delle delusioni rivoluzionarie che stanno incubando: «in simili siti si distingue a stento dove si continua ancora a costruire e dove è già sopravvenuta la rovina, perché nulla viene completato e portato a termine». Quasi un involontario epitaffio per i tempi a venire. Alla breve estate caprese seguirono altri momenti, con nuovi incontri. Benjamin nel 1928 le renderà un pieno tributo con il suo Programma per un teatro proletario dei bambini, una riflessione che si confronta con il teatro pedagogico, di cui Brecht è stato per molti aspetti il sommo pontefice, ma anche con la teoria dell’arte di impianto marxista. Nel mentre, tuttavia, a Berlino prima e a Riga poi continuava la riflessione comune sulle forme della modernità traslate nella dimensione metropolitana.
«Amavamo appassionatamente la città», ricorda Lacis, poiché la topografia, i colori, gli odori, gli umori urbani diventano esperienza vissuta, Lebenswerk, allegoria del trasporto per la vita. Lo sguardo dei due è infatti per nulla oleografico, soffermandosi semmai sull’antropologia dei luoghi come risonanza fantasmagorica della propria identità interiore. La rivoluzione è dentro di essi e rischia di essere sconfitta. Lo sanno in cuore e in mente loro, registrando il declino della democrazia liberale. E lui che dice: «Lei poteva uscire dal portone, girare l’angolo e stare sul tram: ma dei due dovevo essere io, a ogni costo, il primo a vedere l’altro. Perché se lei m’avesse sfiorato con la miccia del suo sguardo, io sarei volato in aria come un deposito di munizioni».
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