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Virginia Woolf, “La casa stregata”
“La casa stregata”, di Virginia Woolf, fa parte di una antologia di 18 racconti scritti a partire dal 1906 fino al suo suicidio, avvenuto nel 1941
Prima di morire Virginia delegò suo marito, Leonardo Woolf, alla pubblicazione dell’antologia, cosa che avvenne per la prima volta nel 1944.
Una donna, voce narrante, insieme al marito sperimenta le sensazioni di vivere in una casa vivida di ricordi, dove una coppia di fantasmi vagano alla ricerca di qualcosa. Ma non ne ha paura. La narratrice sente le varie fasi del battito del cuore della casa, e segue la “coppia spettrale” nella ricerca di un tesoro nascosto, che non è altro che la gioia di una relazione amorosa. Un tesoro emotivo nascosto nella “luce del cuore”, nell’amore tra la narratrice il suo compagno.
La casa stregata
A qualsiasi ora uno si svegliasse una porta si chiudeva. Andavano di stanza in stanza, mano nella mano, sollevando qui, aprendo là, guardando ancora. Una coppia spettrale. “Lo abbiamo lasciato qui”, diceva la donna. E lui aggiungeva: “Sì, ma anche qui!” “E’ di sopra” mormorò lei. “E’ in giardino” sussurrò. “Non facciamo rumore” si dissero, “o li sveglieremo”. Ma non è stato questo che ci ha svegliati. Oh, no. “Lo stanno cercando; stanno scostando la tenda”, si poteva dire continuando a leggere una o due pagine in più. “Ora l’hanno trovato”, si poteva sentire con certezza e fermare la matita sul margine della pagina. Poi, stanca di leggere, ci si poteva alzare e vedere da soli che la casa era vuota, le porte aperte, solo il gorgoglio soddisfatto dei piccioni selvatici e il ronzio della trebbiatrice che risuonava dalla fattoria. “Perché sono venuta qui? Che stavo cercando?” Le mie mani erano vuote. “Forse di sopra, allora?” Sul solaio c’erano le mele. E così giù di nuovo, il giardino era come sempre silenzioso, solo il libro era scivolato tra l’erba. Ma lo avevano trovato in salotto. Mai che uno potesse vederli. I vetri delle finestre riflettevano mele, rifletteva rose; attraverso il vetro tutte le foglie erano verdi. Se se si spostavano in salotto le mele si limitavano a mostrare il solo lato giallo. E poi, un istante dopo, se la porta era aperta, disteso al suolo, appeso alle pareti, penzolando dal tetto… che cosa? Le mie mani erano vuote. L’ombra di un tordo attraversò il tappeto; dalle remote profondità del silenzio il piccione selvatico estrasse la sua bolla di suono. “Al sicuro, al sicuro, al sicuro…”, batteva lievemente il polso della casa. “Il tesoro nascosto; la stanza…”, il battito si fermò bruscamente. Oh, era quello il tesoro nascosto? Un momento dopo la luce si era attenuata. Fuori, nel giardino forse? Ma tra gli alberi filtrava un raggio di sole errante. Così bello, così raro, nascosto nella frescura della superficie, il raggio che cercavo ardeva sempre dietro il vetro. La morte era nel vetro, la morte era tra noi, avvicinandosi prima alla donna, centinaia di anni fa, abbandonando la casa, sigillando tutte le finestre; le stanze restarono nell’oscurità. Lui lasciò la casa, lasciò lei, se ne andò a nord, a est, vide le stelle brillare nel cielo del Sud; cercò la casa, la trovò affondata sotto la collina. “Al sicuro, al sicuro, al sicuro”, batteva allegramente il polso della casa. “Il tesoro è tuo”. Il vento risale il viale ruggendo. Gli alberi si inclinano conquistando il di qua e il di là. Raggi di luna schizzano e si rovesciano nella pioggia. Rigida e immobile brucia la candela. Vagando per la casa, aprendo le finestre, sussurrando per non svegliarci, la coppia spettrale cerca la sua gioia. “Qui abbiamo dormito” dice lei. E lui aggiunge: “Quanti baci”. “Svegliarsi al mattino…” “Argento tra gli alberi…” “Arriva…” “Nel giardino…” Quando arrivò l’estate…” “Nei giorni nevosi dell’inverno”. In lontananza le porte continuano a chiudersi, distanti, con un suono soave come il battito di un cuore. Si avvicinano di più, si fermano sulla soglia. Il vento è calato, la pioggia argentata scivola sui vetri. L’oscurità nei nostri occhi; non sentiamo passi intorno a noi, non vediamo alcuna signora stendere il suo spettrale mantello. Le mani di lui schermano la lanterna e con un sospiro dice: “Guardali, profondamente addormentati, con l’amore sulle labbra”. Chinati, sostenendo la lanterna d’argento sopra di noi, ci guardano a lungo e profondamente. Si soffermano. Entra diretto il vento; la fiamma si piega leggermente. Raggi di luna impazziti attraversano il pavimento e il muro e, nell’incontrarsi, macchiano i volti chinati; volti che ponderano; volti che cercano i dormienti e la loro felicità nascosta. “Al sicuro, al sicuro, al sicuro”, batte orgoglioso il cuore della casa. “Tanti anni…” sospira lui. “Mi hai trovato di nuovo.” “Qui”, mormora lei, “addormentata, leggendo in giardino, ridendo, facendo rotolare le mele dal solaio. Qui abbiamo lasciato il nostro tesoro…”. Chinandosi la loro luce fa aprire i miei occhi. “Al sicuro, al sicuro, al sicuro!”, batte impazzito il polso della casa. Mi sveglio gridando: “ E’ questo il tesoro che avete nascosto? La luce nel cuore”.
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