http://www.greenreport.it 21 giugno 2016
Mai così tanti ambientalisti assassinati: il 2015 è stato un anno terribile
185 assassinati, per ogni assassinio che documentiamo, ce ne sono molti altri che non vengono denunciati. I Paesi più pericolosi sono Brasile, Filippine, Colombia, Nicaragua, RD Congo.
«Nel 2015, più di tre persone alla settimana sono morte assassinate per difendere la loro terra, i loro boschi e il loro fiumi delle industrie distruttive». A dirlo è il ,nuovo rapporto “On Dangerous Ground” pubblicato da Global Witness che documenta 185 morti di cui si è a conoscenza che sono avvenute l’anno scorso in tutto il mondo, che sarebbero solo una parte degli omicidi di difensori dell’ambiente ma che sono già il triste record delle vittime ambientaliste mai registrate, con un aumento del 59% rispetto al 2014. Come spiegano a Global Witness, «Le gravi restrizioni informative esistenti comportano senza dubbio una cifra reale maggiore». Nel 2015 i Paesi più mortali per gli attivisti della terra e dell’ambiente sono stati: Brasile (50 morti); Filippine (33), mai così tanti in questo Paese asiatico; Colombia (26); Perù (12), Nicaragua (12) Repubblica democratica del Congo – Rdc (11). Tra le principali cause di questi assassinii ci sono: le miniere (42 casi), l’agroindustria (20), il disboscamento (15) e i progetti idroelettrici (15). Billy Kyte, responsabile champagne di Global Witness, evidenzia che «Con la continua richiesta di prodotti come minerali, legname e olio di palma, governi, imprese e bande criminali si stanno appropriando della terra ignorando la gente che ci vive. E’ sempre più comune che le comunità che vivono in questi territori si trovino nel mirino della sicurezza privata delle imprese, della forze statali e di un mercato fiorente che assolda i killer. Per ogni assassinato che documentiamo, ce ne sono molti altri che non vengono denunciati. I governi devono intervenire urgentemente per fermare questa spirale di violenza». Dalla lettura di “On Dangerous Ground” emerge l’estrema vulnerabilità dei popoli indigeni diventati, a causa dei loro diritti ancestrali sulla terra e per l’isolamento geografico, un obiettivo abituale dei ladri di terra e risorse: quasi il 40% degli ambientalisti uccisi nel 2015 appartiene a gruppi indigeni. Global Witness fa lesempio del padre e del nonno dell’ambientalista filippina Michelle Campos, assassinati pubblicamente per aver difeso la loro terra ancestrale da una miniera durante un attacco armato che ha costretto 3.000 indigeni Lumad ad abbandonare le loro case nella regione di Mindanao, ricca di carbone, níckel e oro, che è una delle più pericolose del mondo per gli attivisti che difendono la terra e l’ambiente, dove solo nel 2015 “forze dell’ordine”, guerriglia islamista e bande al soldo delle compagnie minerarie hanno ucciso almeno 25 persone. Michelle Campos racconta: «Ci ammazzano, ci vilipendono e assassinano perché affrontiamo le imprese minerarie che operano nella nostra terra e i paramilitari che le proteggono- Mio padre, mio nonno e il mio maestro sono solo tre di un numero non contabile di vittime. Conosciamo gli assassini: circolano liberamente nella nostra comunità. Stiamo morendo e il nostro governo non fa niente per aiutarci». Intanto, in Brasile la lotta per salvare l’Amazzonia si sta trasformando sempre più in una lotta contro bande criminali che terrorizzano le popolazioni locali e indigene su commissione dei fazendeiros e dellegrandi imprese del legname che corrompono i funzionari che dovrebbero applicare la legge. Mentre continuano gli attacchi agli indios guarani, Global Witness ricorda Isídio Antonio, una delle ultime vittime del 2015, «Questo leader de una comunità di piccoli agricoltori dello Stato del Maranhão aveva sofferto per anni per le minacce di mrte per aver denunciato il taglio illegale che avveniva sulla sua terra. La polizia non ha investigato per nulla sul suo assassinio». Nell’Amazzonia brasiliana sono sorti migliaia di accampamenti di boscaioli illegali che, armati di machete e motoseghe tagliano alberi di prezioso legno duro, come il mogano, l’ebano e il teck. Secondo gli esperti, l’ 80% del legname brasiliano è illegale e rappresenta il 25 % del legname illegale venduto nei mercati mondiali, soprattutto negli Usa, nell’Unione europea e in Cina, che così contribuiscono ad una delle deforestazioni più estese del mondo e alla feroce persecuzione delle comunità indigene. “On Dangerous Ground” evidenzia anche la situazione sempre più pericolosa in cui vivono i popoli indigeni nella liberista Colombia e nel “socialista” Nicaragua, dove le terre e le risorse naturali degli indios vengono sequestrate da enormi interessi politici e imprenditoriali. Pierre Le Hir fa notare su Le Monde che secondo i dati raccolti da Global Witness, «L’Africa resta relativamente risparmiata, ad eccezione della Repubblica democratica del Congo, dove 11 ranger dei parchi nazionali sono stati uccisi». Anche secondo Global Witness si tratta di un dato sorprendente, visto che «Molti dei Paesi africani sono in preda a forti violenze e che i conflitti sembrano spesso legati alla terra e alle risorse naturali». La spiegazione potrebbe venire dal deficit delle informazioni che arrivano dalle zone rurali isolate, dove le organizzazioni umanitarie sono poco rappresentate. Infatti, è lo stesso rapporto a denunciare «Un aumento del numero di casi di criminalizzazione dei militanti in tutta l’Africa» : l’arresto in Camerun del direttore di una ONG che lotta contro le piantagioni di palme da olio; minacce contro il coordinatore di una ONG della Rdc che si batte per proteggere le foreste comunitarie; arresto in Madagascar di un militante ecologista che ha denunciato il traffico di palissandro; in Sierra Leone condanna del portavoce di un’associazione di proprietari terrieri che hanno subito il land grabbing di una compagnia di palma da olio… E Kyte. Aggiunge che la situazione in Africa non è la sola ad essere mal documentata: «Ci sono scarse informazioni per Paesi come la Cina o la Russia, dove le ONG e i media sono ostacolati. Le aggressioni delle quali sono vittime I difensori dell’ambiente son oil sintomo di repression più vasta che colpisce i protagonisti della società civile, in Paesi in cui gli interessi dei governi e delle compagnie private entrano in collisione». Kyte ricorda a tutti noi che «Gli assassinii che avvengono i aree in aree minerarie remote, in villaggi nel cuore delle selve tropicali e restano impuniti, sono il frutto delle decisioni che prendono i consumatori dall’altra parte del mondo. Le companies e gli investitori devono tagliare i loro legami con quei progetti che opprimono i diritti che hanno le comunità sulla loro terra. Il riscaldamento climatico e la crescita della popolazione implicano che ci sarà un aumento della domanda di terra e risorse naturali. Senza un intervento urgente, il numero di morti al quale stiamo assistendo attualmente sarà da considerarsi una minuzia in paragone con quel che sta per avvenire». Global Witness chiede ai governi dei Paesi più colpiti di: Aumentare la protezione degli attivisti della terra e dell’ambiente che sono a rischio di subire atti violenti, intimidazioni e minacce; Indagare sui delitti, comprese le menti corporative e politiche che sono dietro gli assassini, e portare gli autori davanti alla giustizia; Difendere il diritto degli attivisti ad opporsi alla realizzazione di progetti nella loro terra e a garantire che le companies siano proattive nella ricerca del consenso delle comunità; Risolvere le cause alla base della violenza contro i difensori, riconoscendo ufficialmente i diritti delle comunità sulla terra e combattendo la corruzione e le attività illegali che affliggono i settori delle risorse naturali.
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